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lunedì 2 settembre 2013

L'amante di Lansky e altre risposte, di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 1°/09/13

L’amante di Lansky ed altre risposte.

Diversi lettori hanno scritto al giornale o hanno abbordato questo scriba per la strada con l’interesse di sapere dove fosse ubicato esattamente il cabaret Sans Soucì, lo scomparso centro notturno a cui ho dedicato le pagine corrispondenti alla domeniche 11 e 18 agosto. Altri, certamente non pochi, hanno chiesto che cercassi di precisare quando questo locale chiuse definitivamente le sue porte; ovvero se la sua ultima funzione fu il 31 dicembre del 1958 o se i suoi spettacoli, come si evince da annunci apparsi sulla stampa, si protrassero durante il gennaio e febbraio del 1959. Non mancano coloro che, in relazione alla pagina intitolata “Baroni della mafia” (5 maggio, 2013), chiedono che racconti cosa ho potuto verificare sull’amante cubana di Meyer Lansky e sono diversi coloro che insistono perché completi l’informazione su Amletto Battisti e Lora, proprietario dell’hotel Sevilla e Amedeo Barletta, proprietario del giornale El Mundo e rappresentante, a Cuba, della General Motors, che presentai in “Altri uomini della mafia” apparso la settimana scorsa, nel quale non fui più esplicito per mancanza di spazio.
Cercherò, nel limite del possibile, di accontentare tutti.

Come me lo hanno raccontato.

L’elenco del telefono dell’Avana, corrispondente al 1958, riporta l’indirizzo del cabaret Sans Soucì. Dice: Strada di Arroyo Arenas, kilometro 15, Si potrebbe anche dire: Avenida 51 tra 220 e 222. Alla sinistra del viale si proviene dall’Avana. Nonostante le trasformazioni, il luogo richiama ancora l’attenzione per la sua facciata di pietra, coronata da tegole spagnole, dove si leggeva il nome del locale. Una volta chiuso il cabaret si è dato luogo a differenti usi. All’angolo della 220 funziona un’agenzia di vendita auto.
Il cabaret ha chiuso in modo definitivo l’ultimo giorno del 1958? E’ almeno quello che mi dice adesso regino Manuel Lòpez Rodrìguez che, con 11 anni d’età, cominciò a lavorare nel Sans Soucì come tuttofare – cameriere, fattorino, inserviente -. Suo padre era il capo elettricista dell’azienda, un posto chiave in una installazione di questo tipo, e la considerazione che si aveva per il genitore aprì al ragazzo le porte del posto.
Correva, allora, l’anno 1956 e Regino Manuel, soprannominato Manolo, compì non pochi compiti colà per potersi conservare il lavoro che, per la sua età, non poteva disimpegnare ufficialmente. Alla caduta della dittatura aveva 13 anni.
Racconta che il 1° gennaio, dopo le tre del mattino, si seppe nel Sans Soucì della fuga di Batista. Dice che al conoscere la notizia, alte cariche del Governo che erano li in attesa dell’anno nuovo, si misero a correre come volgari passeggeri a cui scappava il treno. A quell’ora Manolo si diresse a casa per riposare assieme a suo padre. Tornarono al cabaret verso mezzogiorno, informati di quello che successe prima dell’alba o alle prime ore del mattino. Già di ritorno al locale videro più di 20 macchinette mangiasoldi, distrutte, nell’area del parcheggio.
Chiarisce che il casinò e il locale non erano stati saccheggiati, però siccome chi era intervenuto poteva tornare, suo padre e sua madre che lavorava a sua volta nel Sans Soucì, oltre a sei o sette dipendenti che si erano uniti un po’ per rischio, decisero di rimanere sul posto per difenderlo se fosse stato necessario. Il ragazzo volle aggiungersi al gruppo. Ricorda che suo padre estrasse una pistola calibro 45 e una rivoltella calibro 38 che teneva nascoste, per farne uso in caso di bisogno.
Il giorno 2, i custodi improvvisati, videro un’auto che attraversava la porta del cabaret e avanzava per un vialetto interno fino a fermarsi davanti al bar caffetteria “El Popular”. Serviva bevande e spuntini e doveva il suo nome al aftto che dava adito a un casinò destinato essenzialmente ai taxisti e autisti che potevano guadagnare, ma sopratutto perdere, un po’ di soldi mentre aspettavano i loro passeggeri o “padroni”. Un casinò destinato, ad ogni modo, a gente di poche risorse economiche. Una gran parete di cristallo separava il bar dal casinò.
Cinque o sei uomini armati di fucile scesero dall’automobile entrando nel locale de “El Popular”. Nel vedere la manovra, gli improvvisati guardiani, si diressero a loro volta verso il luogo. Arrivando li, “el Gallego”, uno dei dipendenti sevì nervosamente l’ordinazione di gassose che fecero i nuovi arrivati e preparava i panini che avevano richiesto.
Ci fu un confronto fra i “custodi” e le persone dell’auto che erano intenti a distruggere, a fucilate, la vetrata. Il padre di manolo con la pistola in vista sotto la camicia all’altezza della cintura, li richiamò all’ordine ed ebbe risultato quando uno degli occupanti del veicolo, un falegname che lo conosceva per essere un vicino di casa, disse al suo gruppo che era meglio andarsene e questo fecero, dopo aver mangiato in pace i loro panini.
Santo Trafficante, racconta Manolo; non tornò più al Sans Soucì. Nemmeno Raúl González Jerez, proprietario del club 21 che Trafficante portò al cabaret come una specie di gerente. Nemmeno Tommy, il contabile, un soggetto che Manolo non seppe mai se fosse cubano o nordamericano, tornò. Abbandonato dai suoi dirigenti il Sans Soucì rimase allo sbando. I suoi lavoratori volevano mantenerlo a galla. Crearono una commissione che si intervistò con il capitano Otero, capo militare de “La Lisa”. Erano disposti a lavorare senza stipendio finché il Governo si facesse carico del cabaret. Manolo dice che tutto sembrava filare dritto, ma i musicisti si rifiutarono di lavorare senza stipendio.

Una donna “fatta a mano”.

È molto scarsa l’informazione di cui dispone lo scriba rispetto a Carmen, l’amante cubana di Meyer Lansky. Qualcuno che la conobbe, disse a un giornalista nordamericano che era la donna più bella che avesse visto in vita sua. Aveva, allora, 20 anni, buone maniere e voce dolce. Andatura lieve. La pelle olivastra e i capelli neri e crespi le scendevano sulla schiena fino alla vita. Il suo era un corpo ben proporzionato, con seni rotondi e dita lunghe. Una peluria sottile, appena percettibile, le copriva totalmente le cosce e le braccia.
Lansky divideva con lei un piano alto nel Paseo del Prado, dove viveva anche la madre di Carmen. “Un pasaje de Almendra”, il romanzo di Mayra Montero, si svolge in quell’appartamento. Lansky e Carmen si conobbero ne “El Encanto” il grande magazzino di Galiano e San Rafael. Quella relazione fu qualcosa di insolito per il capoccia mafioso, che non si permetteva certe libertà. Lansky mantenne Carmen all’oscuro e con l’ostracismo più profondo, non solo perché temeva che sua moglie Terry potesse venire a sapere di quell’amore clandestino, ma anche perchè aveva sempre criticato i suoi soci per questi amori segreti, che classificava come una debolezza.
Lansky uscì da Cuba nel gennaio del 1959, dopo l’ingresso all’Avana del Comandante en Jefe Fidel Castro. Tornò nel marzo dello stesso anno per portare via Carmen dall’Isola. Non trovò la ragazza “fatta a mano”, si era volatilizzata, sparita. Mai nessuno seppe più niente di lei.
Giunto alla vecchiaia, Lansky, parlava dei 17 milioni di dollari in contanti che “per un pelo” non potè portar via dall’Avana nel gennaio del ’59 e che non poté recuperare mai più.
Li aveva nascosti nell’appartamento di Carmen nel Paseo del Prado? Quei 17 milioni sono spariti con lei?

Soldi sottobanco.

Santo Trafficante era socio di Amletto Battisti nel contrabbando di narcotici. Lansky simpatizzava col proprietario dell’hotel Sevilla. Utilizzava la Banca di Credito e Investimenti, di Battisti per lavare i soldi non dichiarati dei casinò. Amadeo Barletta, proprietario anche di Tele Mundo - il canale 2 della televisione nazionale - era anche padrone del Banco Atlantico. Banche che ricevevano, clandestinamente, i soldi dei casinò e mantenevano legami occulti con un insieme di compagnie fantasma.
Dice uno storico: “Il tipo di struttura finanziaria che Lansky, Trafficante e altri malavitosi nordamericani avevano bisogno per la loro espansione a Cuba...le banche che erano proprietà o erano controllate da Battisti, Barletta e, in seguito, una creata dallo stesso presidente Batista rivestivano la maggior importanza per la mafia dell’Avana. Si era già cominciato a riscuotere molti soldi dagli alberghi, dai casinò, cabaret e altri affari relazionati al turismo, ma se tutto andava secondo i piani, quello sarebbe stato solo l’inizio”.
Molte delle attività di Barletta erano sotto il controllo di una misteriosa Santo Domingo Motors Company, i cui proprietari erano sconosciuti anche al Banco Nacional de Cuba, afferma Guillermo Jíménez nel suo libro “Los proprietarios de Cuba. 1958” oltre il 50% del Banco Atlantico era controllato da questa compagnia e il direttore generale, il banchiere italiano Leonardo Masoni, venne espressamente da Milano per occuparsene in rappresentanza di 1.150 azionisti italiani sconosciuti. Barletta rappresentava la Santo Domingo Motors Company, ma non la controllava. La controllavano capitali italiani mascherati.
Battisti era - dice Guillermo Jiménez nel suo citato libro - il più potente dei banchieri dei giochi d’azzardo e degli strozzini o prestasoldi. Tramite la sua banca faceva grossi prestiti ai politici. Controllava una lotteria privata. Dal suo arrivo a Cuba nel 1936, mantenne stretti vincoli con l’allora colonnello Fulgencio Batista, e quasi subito dopo il suo arrivo, divenne presidente del Jockey Club della Compagnia Cubano-Uruguaya per lo Sviluppo del Turismo che operava nell’ippodromo oriental park, di Marianao, dove aveva forti interessi nel casinò.
Trafficante diceva che a Cuba i veri mafiosi vestivano le uniformi militari e usavano portafogli da ministro. La mafia utilizzava i politici cubani, ma li disprezzava. Lansky non si stancava di dimostrare che non era in debito con loro; solo con Batista.
Una sera Lansky aveva un appuntamento con Battisti al Sevilla. Giunse all’hotel, scese dalla sua auto e già nel vestibolo si imbatté con Santiago Rey, ministro degli interni della dittatura. Rei stese la mano per salutare Lansky, ma questi lo guardò con sdegno e proseguì. Il ministro rimase con la mano sospesa, mentre Lansky proseguiva il suo cammino verso l’ufficio di Battisti.

La amante de Lansky y otras respuestas

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
1 de Septiembre del 2013 13:53:21 CDT

Varios lectores se dirigieron al periódico o abordaron a este
escribidor en la calle con el interés de conocer dónde estaba situado
exactamente el cabaré Sans Souci, el desaparecido centro nocturno al
que dediqué las páginas correspondientes a los domingos 11 y 18 de
agosto. Otros, no pocos por cierto, solicitaron que tratara de
precisar cuándo ese establecimiento cerró sus puertas de manera
definitiva; esto es, si su última función fue la del 31 de diciembre
de 1958 o si sus espectáculos, como se infiere por anuncios aparecidos
en la prensa, se prolongaron durante enero y febrero de 1959. No
faltan los que con relación a la página titulada Barones de la mafia
(5 de mayo, 2013) piden que cuente lo que haya podido averiguar sobre
la amante cubana de Meyer Lansky, y son varios los que insisten en que
complete la información sobre Amletto Battisti y Lora, propietario del
hotel Sevilla, y Amadeo Barletta, propietario del periódico El Mundo y
representante en Cuba de la General Motor, que ofrecí en Otros hombres
de la mafia, aparecida la pasada semana, en la que no fui más
explícito por falta de espacio.
Trataré hasta donde sea posible de complacerlos a todos.

Como me lo contaron.

El Directorio Telefónico de La Habana correspondiente a 1958 consigna
la dirección del cabaret Sans Souci. Dice: Carretera de Arroyo Arenas,
kilómetro 15. También podría decirse: Avenida 51 entre 220 y 222. A la
izquierda de la vía si se avanza desde La Habana. Pese a las
transformaciones, el lugar llama todavía la atención por su portada de
piedra, coronada por tejas españolas, donde se leía el nombre del
establecimiento. Una vez cerrado el cabaré, se ha dado al lugar
diferentes usos. En la esquina de 220 funciona un expendio de
automóviles.
¿Cerró el cabaré de manera definitiva el último día de 1958? Es al
menos lo que me dice ahora Regino Manuel López Rodríguez que, con 11
años de edad comenzó a trabajar en Sans Souci como botones —servidor,
recadero, ordenanza—. Su padre era el electricista principal de la
empresa, un puesto clave en una instalación de ese tipo, y la
consideración que se tenía a su progenitor abrió al muchacho las
puertas del lugar. Corría entonces el año de 1956 y Regino Manuel, a
quien apodan Manolo, cumplió allí no pocas tareas con tal de conservar
un empleo que, por su edad de entonces, no podía desempeñar de manera
oficial. Al derrumbarse la dictadura tenía 13 años de edad.
Refiere que el 1ro. de enero, pasadas las tres de la mañana, se supo
en Sans Souci de la fuga de Batista. Dice que al conocerse la noticia,
altas figuras del Gobierno que allí esperaron el año, corrieron como
vulgares viajeros a los que se les va el tren. A esa hora Manolo
marchó a descansar a su casa junto con su padre. Regresarían al cabaré
sobre las 12 del día, avisados de lo que había sucedido durante la
madrugada o las primeras horas de la mañana. Ya de vuelta en el
establecimiento vieron más de 20 máquinas tragaperras destrozadas en
el área del parqueo.
Precisa que el casino no había sido saqueado ni el cabaré tampoco,
pero como quienes antes habían irrumpido podrían volver, el padre y la
madre de Manolo, que trabajaba también en Sans Souci, y seis o siete
empleados más que se habían juntado un poco por azar, decidieron
permanecer en el lugar para defenderlo si era preciso. Quiso el
muchacho sumarse al grupo. Recuerda que su padre sacó una pistola
calibre 45 y un revólver 38, que mantenía ocultos, para hacer uso de
ellos en caso necesario.
El día 2 los improvisados custodios vieron cómo un automóvil
atravesaba la portada del cabaré y avanzaba por una calle interior
hasta detenerse frente al bar-cafetería El Popular. Expedía bebidas y
alimentos ligeros y debía su nombre a que daba asiento a un casino de
juego destinado en lo esencial a taxistas y choferes que podían ganar
y, sobre todo, perder algún dinero mientras esperaban por sus
patrones. Un casino destinado, de cualquier manera, a gente de pocos
recursos. Una gran pared de cristal separaba el bar del casino.
Cinco o seis hombres armados con fusiles descendieron del automóvil y
penetraron en el local de El Popular. Al ver la maniobra, los
espontáneos guardianes se dirigieron también hacia el lugar. Al llegar
allí, el Gallego, uno de los dependientes, atendía, muy nervioso, el
pedido de gaseosas que hicieron los recién llegados y se disponía a
prepararles los entrepanes que habían solicitado.
Hubo una confrontación entre los custodios y la gente del automóvil,
empeñados en destrozar a tiros la vidriera. El padre de Manolo, con la
pistola insinuándosele debajo de la camisa a la altura de la cintura,
los llamó al orden y primó el buen tino cuando uno de los tripulantes
del vehículo, un carpintero que conocía al padre de Manolo, de quien
era vecino, dijo a los de su grupo que lo más oportuno era marcharse.
Eso hicieron luego de comer sus emparedados en paz.
Santo Trafficante, precisa Manolo, no volvió más por Sans Souci.
Tampoco Raúl González Jerez, propietario del Club 21 y a quien
Trafficante llevó al cabaré como una especie de gerente. Tampoco
volvió Tommy, el contador, un sujeto del que Manolo nunca supo si era
cubano o norteamericano. Abandonado por sus ejecutivos, Sans Souci
quedó al garete. Quisieron sus empleados mantenerlo a flote. Crearon
una comisión que se entrevistó con el capitán Otero, jefe del cuartel
de La Lisa. Estaban dispuestos a laborar sin recibir remuneración
alguna hasta que el Gobierno se hiciera cargo del cabaré. Dice Manolo
que todo parecía marchar de la mejor manera, pero que los músicos se
negaron a trabajar si no recibían salario.

Una mujer «hecha a mano».

Es muy poca la información de que dispone el escribidor sobre Carmen,
la amante cubana de Meyer Lansky. Alguien que la conoció dijo a un
periodista norteamericano que era la mujer más bella que había visto
en su vida. Tenía unos 20 años entonces, buenos modales y voz suave.
De andar grácil. Su piel era aceitunada y el cabello, negro y crespo,
se le escurría por la espalda hasta la cintura. Era el suyo un cuerpo
bien proporcionado, con pechos rotundos y dedos largos. Un vello muy
fino, apenas perceptible, le cubría totalmente los muslos y los
brazos.
Lansky compartía con ella un piso alto en el Paseo del Prado, donde
vivía además, la madre de Carmen. Un pasaje de Almendra, la novela de
Mayra Montero, se desarrolla en ese apartamento. Lansky y Carmen se
conocieron en El Encanto, la lujosa tienda por departamentos de
Galiano y San Rafael. Aquella relación fue algo insólito en el
cabecilla mafioso, que no se permitía esas libertades. Lansky mantuvo
a Carmen en el ostracismo y la oscuridad más profundos, no solo porque
le aterrorizaba que su esposa Teddy pudiera enterarse de aquel amor
clandestino, sino porque siempre criticó en sus socios esos amoríos
secretos, que calificaba como una debilidad.
Lansky salió de Cuba en enero de 1959, luego de la entrada en La
Habana del Comandante en Jefe Fidel Castro. Volvió en marzo del mismo
año para sacar a Carmen de la Isla. No la encontró. La muchacha «hecha
a mano» se volatilizó, se esfumó. Nadie más volvió a saber de ella.
Ya en su vejez, Lansky hablaba de los 17 millones de dólares, en
efectivo, que «por un pelito» no pudo sacar de La Habana en enero del
59, y que nunca pudo recuperar.
¿Los dejó guardados en el piso de Carmen, en el Paseo del Prado?
¿Desaparecieron con ella aquellos 17 millones?

Dinero bajo el tapete.

Santo Trafficante estaba asociado con Amletto Battisti en el
contrabando de narcóticos. Lansky simpatizaba con el propietario del
hotel Sevilla. Utilizaba el Banco de Créditos e Inversiones, de
Battisti, para blanquear dinero no declarado de los casinos de juego.
Amadeo Barletta, propietario también de Tele Mundo —el canal 2 de la
TV nacional— era dueño asimismo del banco Atlántico. Bancos que
recibían, bajo cuerda, el dinero de los casinos y que mantenían nexos
ocultos con un conjunto de compañías ficticias.
Dice un historiador: «El tipo de estructura financiera que Lansky,
Trafficante y otros hampones norteamericanos necesitaban para llevar a
cabo la expansión de su imperio criminal en Cuba… Los bancos que eran
propiedad o estaban controlados por Battisti, Barletta y más adelante
uno creado por el mismo presidente Batista revestían la mayor
importancia para la mafia de La Habana. Ya se había empezado a
recaudar mucho dinero de los hoteles, casinos, cabarés y otros
negocios relacionados con el turismo, pero si todo salía de acuerdo
con el plan, eso sería solo el comienzo».
Muchas de las empresas de Barletta estaban bajo el control de una
misteriosa Santo Domingo Motors Company, cuyos propietarios eran
desconocidos incluso para el Banco Nacional de Cuba, afirma Guillermo
Jiménez en su libro Los propietarios de Cuba. 1958. Más del 50 por
ciento del banco Atlántico era controlado por esa compañía, y el
director general de la entidad, el banquero italiano Leonardo Masoni,
vino expresamente de Milán a ocuparse en este de la representación de
1 150 acciones de propietarios italianos desconocidos. Barletta
representaba la Santo Domingo Motors Company, pero no la controlaba.
La controlaban capitales italianos enmascarados.
Battisti era —dice Guillermo Jiménez en su libro citado— el más
poderoso de los banqueros de los juegos de azar y de los prestamistas
o garroteros. A través de su banco hacía fuertes préstamos a los
políticos. Controlaba una lotería particular. Desde su llegada a Cuba,
en 1936, mantuvo vínculos estrechos con el entonces coronel Fulgencio
Batista, y casi de inmediato, luego de su arribo, se hizo con la
presidencia del Jockey Club y de la Compañía Cubano Uruguaya para el
Fomento del Turismo, que operaba el hipódromo Oriental Park, de
Marianao, donde tenía fuertes intereses en su casino de juego.
Trafficante decía que en Cuba los verdaderos mafiosos vestían
uniformes militares y usaban carteras de ministros. La mafia utilizaba
a los políticos cubanos, pero los despreciaba. Lansky no se cansaba de
demostrar que no estaba en deuda con ellos; solo con Batista.
Una noche Lansky tenía cita con Battisti en el Sevilla. Llegó al
hotel, descendió de su automóvil y, ya en el vestíbulo, se topó con
Santiago Rey, ministro del Interior de la dictadura. Rey alargó la
mano para saludar a Lansky, pero este lo miró con desdén y no se
detuvo. El Ministro quedó con la mano en el aire mientras Lansky
seguía su camino hacia el despacho de Battisti.

Ciro Bianchi Ross
ciro@jrebelde.cip.cu
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