Una mia intervista
"leggera" con, in anteprima, il titolo del mio nuovo libro
Clima: è allarme!
(2016 Giugno 17) - E’ troppo presto per dire che tempo farà quest’estate ma a
preoccupare sono i cambiamenti climatici: “ci dobbiamo abituare a vivere in un
ambiente più estremo, e anche mediamente più caldo” sostiene Luca Lombroso dell’Osservatorio
Geofisico dell’Università di Modena e Reggio Emilia. In base alle sue
simulazioni, senza azioni virtuose di limitazione delle emissioni serra, il
riscaldamento aumenterebbe di quattro
gradi e in quel caso il mare potrebbe arrivare fino a Ravenna e Ferrara. Sarà
un’estate pazzerella? Altro ci deve preoccupare... E’ bastato un inizio di
giugno variabile per scatenare l’inevitabile ridda di previsioni catastrofiche
sull’estate alle porte. A riportare tutti all’ordine è Luca Lombroso: “è impossibile fare previsioni sul meteo dei
prossimi mesi” puntualizza sottolineando ancora una volta il vero grande
problema: l’emergenza ambientale. Lombroso ha partecipato a Parigi alla
Conferenza delle Parti (COP 21) delle Nazioni Unite per il Clima, l’evento dedicato
al clima e al riscaldamento globale ed è in uscita il suo ultimo libro
Ciao Fossili,
Cambiamenti climatici resilienza e futuro
nell’era post carbon Edizioni Artestampa
dedicato al tema
della transizione, appunto, al futuro post combustibili fossili alla luce di
due importanti novità, l’enciciclica Laudato Si di Papa Francesco e i risultati
di COP 21 di Parigi. Lombroso, la variabilità di questo inizio di giugno
potrebbe caratterizzare l’intera estate? “E’ troppo presto per dirlo. Le
previsioni si possono formulare fino a cinque/sette giorni, tendenze indicative
possono arrivare fino a otto/dieci giorni e quindi è impossibile fare una previsione precisa di
come sarà la restante parte dell’estate. Negli ultimi anni abbiamo assistito a
grandissimi estremi in un verso e nell’altro, con la prevalenza sempre del
caldo. Non mi stupirei però di questa situazione di variabilità: è capitato in
anni recenti che si siano verificate situazioni di caldo precoce ma il mese di
maggio appena trascorso non è stato così anomalo come sembra”. Ci dobbiamo
abituare a un clima generalmente più caldo? “Ci dobbiamo abituare a vivere in
un ambiente più estremo, e anche mediamente più caldo. Negli ultimi anni ci
siamo un po’ assuefatti al caldo e consideriamo normale che ci siano 27 gradi
già a maggio e a inizio giugno, che però non sono periodi caldi. L’estate
meteorologica, lo ricordiamo, inizia il 1° giugno, quella astronomica il 21. Il
mese di maggio con 30 gradi fino al 2000 era l’eccezione, non la norma come è
stato spesso invece dal 2001 in poi, con anni come il 2006 e il 2009 quando il caldo è stato esagerato e duraturo
come nel 2003. Negli ultimi anni, nel mese di maggio non ci sono state
particolari ondate di caldo precoce e basta andare solo a tre anni fa per trovare un mese di maggio più
fresco di quello appena trascorso. Certo se guardiamo l’andamento dall’inizio
del 2016, qui all’Osservatorio Geofisico del Dipartimento di Ingegneria
dell’Università, vediamo che ci sono stati molti momenti caldi, anche lunghi e precoci:
addirittura la giornata dell’11 gennaio è stata più calda di alcune di maggio.
Si tratta di sbalzi a cui la natura e il corpo umano non rispondono bene”. In
pochi anni ci sono stati cambiamenti climatici evidenti? “Siamo di fronte a un
problema planetario, lo dimostra la recente conferenza di Parigi a cui ho
partecipato, ma anche epocale perché è causato dall’uomo e perché il
cambiamento avviene in poco tempo. Dobbiamo immaginare che, in linea con i
cambiamenti che ci sono stati a livello globale, già dagli Anni Novanta nel nostro territorio è come se fosse
scattata una molla. Siamo entrati in una nuova normalità fatta di temperature
mediamente più alte e con un conseguente problema che ormai è vistoso e indiscutibile:
l’aumento di frequenza e intensità dell’ondata di caldo estivo e l’andamento
anomalo delle piogge per cui si
alternano precipitazioni anche intense a periodi in cui la pioggia manca
completamente. Basta andare allo scorso dicembre quando praticamente non è
piovuto e poi fra gennaio e febbraio è caduta tutta la pioggia mancata nei mesi
precedenti. Quest’estremizzazione (è già un dato di fatto) si ripercuote
naturalmente sull’uomo e sulle sue attività ma naturalmente anche sulla flora,
sulla fauna, sull’agricoltura e sull’economia perché il turismo vorrebbe
situazioni di meteo stabile. Già accetta difficilmente la normale variabilità
figuriamoci questi eccessi sempre più frequenti. E’ un po’ per questo che poi
si va a cercare come colpevole (che poi colpevole non è) il meteorologo e le previsioni
se mancano i turisti nei fine settimana sulle spiagge o sulle piste da sci
durante l’inverno. Non è il meteorologo il problema! E non dimentichiamoci che
con questi fenomeni estremi non si scherza: si rischia la vita. Lo dimostra ciò
che è successo recentemente a Chioggia Sottomarina con un tornado vero e
proprio che ha devastato le spiagge”. Rispetto ai cambiamenti climatici, quanto
dobbiamo essere preoccupati da uno a dieci? “Io direi dieci. E’ positiva la
decisione della Conferenza di Parigi ma ora si tratta di attuarla e non solo a
livello globale. COP 21 chiede un impegno agli Stati ma anche a livello
subnazionale, alle realtà e alle amministrazioni locali. Cito, tra gli esempi,
quello che stiamo facendo a Carpi e a Campogalliano come Movimento di Città di
Transizione (https://campogallianotransizione.wordpress.com - https://carpitransizione.wordpress.com), cioè come cittadini che stanno cercando di passare a
un’era post carbon, caratterizzata da comunità resilienti”. Che cosa significa?
“Le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera sono oltre 400 parti per
milione ed è un fatto nuovo nell’intera storia dell’evoluzione umana. Le
conseguenze non sono ben chiare e solitamente si pensa che sia qualcosa di
lontano da noi, un problema di orsi polari. Con il ritiro dei ghiacci del Polo
Nord (in queste settimane sono ai minimi storici e addirittura c’è il rischio
che questa sia la prima estate che vede il Polo Nord libero da ghiacci) oltre
ad aprirsi contenziosi internazionali, per esempio, sulle nuove rotte marine e
nelle esplorazioni petrolifere, si verifica un’alterazione della circolazione
generale dell’atmosfera. E’ possibile che, in conseguenza della mancanza di
ghiaccio al Polo Nord, ci ritroviamo con climi più estremi: inverni anche più
brutali e gran caldo improvviso. Tutto ciò perché la mancanza di ghiaccio
sostanzialmente va a cambiare la circolazione generale dell’atmosfera. Di
fronte a questi rischi, ci sono gruppi di cittadini che dal basso hanno pensato
di agire perché i grandi potenti arrivano tardi
e l’azione dei singoli è troppo limitata: nel mezzo ci sono le comunità che possono affrontare questi problemi di
resilienza, cioè la capacità di convivere con un clima più brutale, e sanno
come comportarsi quando c’è un’alluvione, un’allerta meteo o un temporale
forte. Allo stesso tempo avviano piani di decrescita energetica e di
conversione a fonti rinnovabili”. Questo presuppone però una grande
consapevolezza del problema… “E’ ovvio la consapevolezza è il primo dei
problemi e il tempo stringe. C’è da lavorare molto nelle scuole per le giovani
generazioni perché sono quelle che vengono coinvolte dalla Conferenza di Parigi:
se tali decisioni saranno attuate, traghetteranno la società a qualcosa di
diverso e, credo, migliore. Ma allo stesso tempo non dobbiamo illuderci che
basti agire nelle scuole perché l’educazione ambientale deve coinvolgere i
consigli regionali, comunali, il parlamento e anche i consiglieri
d’amministrazione delle aziende”. E se non faremo nulla a cosa andremo
incontro? “Se nel corso di questo secolo (quindi è una cosa che riguarda i
nostri bambini), non si fa niente si va
verso un riscaldamento del pianeta oltre i 4/5 gradi e la Banca Mondiale
ritiene questo scenario incompatibile con la civiltà globale interconnessa. Di
fatto vaste zone andrebbero incontro al collasso e, come sono crollati l’Impero
romano e quello dei maya nell’America centrale, a causa anche di cambiamenti
ambientali, così potrebbe capitare anche a noi. Città come New York, Londra e
non solo le coste del Bangladesh o piccole isole come le Maldive sarebbero
sommerse dall’acqua scatenando ondate migratorie. Sul nostro territorio avevo provato
a fare alcune simulazioni: se conteniamo il riscaldamento entro i due gradi di
temperatura (meglio ancora 1,5) diciamo che avrebbero dei grossi problemi
Venezia (che è quasi condannata) ma anche le zone costiere della riviera, però
i danni sarebbero di entità tutto sommato accettabile e potremmo conviverci con
resilienza. Se il riscaldamento arrivasse a quattro gradi il mare potrebbe
arrivare fino a Ravenna e Ferrara”. Sara Gelli
Luca LOMBROSO
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