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domenica 1 dicembre 2024

Vita e carriera di Vittorio Garatti, tra Italia, Venezuela e Cuba

 Come previsto, ieri sera sono stato alla serata dedicata al ricordo di Vittorio Garatti nell’ambito della Settimana della Cultura Italiana. La presentazione della Vita e carriera di Vittorio è stata eseguita con la proiezione di una serie di diapositive che la riassumevano è stata preparata ed effettuata dall’Architetto Enrico Bordogna, invitato all’Avana dall’Ambasciata d’Italia. L’esponente con molta competenza e visibile emozione ha raccontato la storia professionale di Vittorio da prima della Laurea conseguita nel 1957, quando si era iscritto all’Accademia di Belle Arti di Milano ed aveva esordito nel mondo del disegno e della pittura. Successivamente, il relatore, ha suddiviso la carriera professionale di Vittorio in tre fasi: la prima dal 1957, appena conseguita la Laurea, al 1960 con la partenza e il soggiorno in Venezuela assieme alla giovane moglie. A Caracas ha conosciuto l’affermato architetto cubano Ricardo Porro, esule dal sanguinario regime di Fulgencio Batista, che è stato un esempio fondamentale nel resto della sua vita, così come conobbe altri due giovani architetti italiani: Roberto Gottardi e Sergio Baroni di cui diceva fosse il fratello che non aveva mai avuto.

Dopo la vittoria della Rivoluzione di Fidel Castro, a Cuba, Porro tornò all’Avana nel 1960 e nel 1961 invitò il terzetto italiano a raggiungerlo. Iniziava così la seconda fase della carriera professionale di Garatti che durò fino al 1974, anno in cui fu costretto, per sfortunata combinazione, al ritorno a Milano. Incaricato di importanti lavori all’Avana, a non solo, Vittorio assieme a Porro e Gottardi progettò e fece costruire quella che doveva essere l’Accademia Cubana delle Belle Arti, purtroppo caduta nell’incuria quasi totale, ma al di là della sua singolare bellezza è stata fatta con una struttura tale che ancora oggi, con un minimo sforzo, sarebbe utilizzabile. Naturalmente questa non fu la sua sola opera, ma indubbiamente la più originale e imperitura. Contemporaneamente lavorava a progetti urbanistici e agricoli di cui alcuni rimasti incompiuti, non per sua volontà.

Uno dei lavori più importanti e strategicamente molto importante, era l’incarico della ristrutturazione del porto dell’Avana e questo gli costò l’esilio per leggerezza ed eccesso di zelo. Risulta che una sera, come si usa spesso specialmente a Milano, decise di portarsi a casa i disegni per guadagnare tempo nel lavoro, ma…qualche solerte funzionario della Seguridad del Estado, particolarmente attenta ed attiva a quel tempo, vide quell’azione come un tentativo di spionaggio con la conseguenza di una espulsione immediata. Chi ha conosciuto Vittorio non potrebbe mai credere a una possibilità del genere, impensabile per una persona integra e ingenua come lui.

Fu così che dal 1974 alla sua morte, avvenuta nel 2023, iniziò la terza parte della sua carriera nella natia Milano dove si occupò principalmente di ristrutturazione e progettazione di interni come ad esempio il laboratorio, lo show room e la sala di presidenza dello stilista Ferré ma ebbe anche un ruolo nella ristrutturazione del famoso e importante Hotel Gallia con la costruzione della mansarda diventata ultimo piano dell’immobile.

Nel 1987, grazie all’incessante lavoro di suo “fratello” Sergio Baroni e dell’amica Norma Martinez, venne finalmente rivisto il suo “caso” dove risultò libero da ogni carico e poté tornare, almeno temporaneamente, nella sua sempre amata Cuba da uomo libero e felice.

Chi, come l’Architetto Bordogna, ha potuto visitare la sua casa nel famoso quartiere di Brera a Milano, non ha potuto fare a meno di vedere l’affresco che ha dipinto nella parete di fondo del salone, da sapore palladiano e che contiene un riassunto della sua vita, come la presenza dei suoi migliori amici e sullo sfondo, al posto delle ville del famoso Architetto veneto del ‘700, appaiono le cupole della Scuola d’Arte dell’Avana.

Una esposizione completa, molto curata e ben presentata dall’architetto Bordogna, peccato che le con dizioni locali l’abbiano castigata dapprima con un ritardo di mezz’ora sull’inizio e poi dal guasto al proiettore di diapositive che doveva, appunto, proiettarle su schermo cinematografico, ma che poi sono state caricate su un televisore che seppure di schermo grande non rendeva certo loro la giustizia e visibilità che meritavano. Il tutto accompagnato da una traduzione non proprio soddisfacente in quanto la traduttrice non era da “simultanea” e pur avendo padronanza della lingua italiana, faticava a seguire i periodi narrativi del relatore che a volte, a causa della passione, risultavano un po’ lunghi per essere ben memorizzati.

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