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mercoledì 9 aprile 2014

Evidente

EVIDENTE: è medium

martedì 8 aprile 2014

XX Incontro Internazionale delle Accademie del Balletto

Cita en La Habana reunirá a bailarines de 14 países

Fonte: EFE


LA HABANA -- El XX Encuentro Internacional de Academias de Ballet de La Habana reunirá a participantes de 14 países, del 12 al 26 de este mes, según informaron sus organizadores.
Unos 500 bailarines de México, Argentina, Estados Unidos, Brasil, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guatemala, Italia, Perú, República Dominicana, Sudáfrica, Venezuela y Cuba se reunirán en el encuentro, según anunció la directora de la Escuela Nacional de Ballet (ENB) de la isla, Ramona de Saá.
El certamen internacional estará dedicado al bailarín y profesor Fernando Alonso (1914-2013), uno de los fundadores de la escuela cubana de ballet, que falleció el año pasado y que entregó gran parte de su vida a este arte.
De Saá manifestó que coreógrafos, profesores y bailarines han mostrado su interés por el intercambio profesional y académico que se producirá durante este encuentro académico en La Habana.
Como novedad en esta edición, resaltó los talleres de crítica de danza, que impartirán el cubano Pedro González y el venezolano Carlos Paolillo, así como el titulado “Diseñando la danza junto a los nuevos medios audiovisuales” y el primer concurso para jóvenes críticos de arte.
El programa del evento incluye clases magistrales sobre la metodología de la preparación física y la enseñanza de la escuela cubana de ballet y otras que se referirán al repertorio, las danzas de carácter, composición, coreografía y teatro infantil, entre otras temáticas.
En esta edición también se efectuará un concurso internacional, por primera vez con participación de niños, que reconocerá a los 16 mejores bailarines en diversas categorías y donde se entregará un “Grand Prix”, los galardones “Revelación” y premiará a las mejores interpretaciones individuales y de pareja entre otros actos.

Evento

Evento: è forte afflusso d'aria

Senza baffi e grembiule, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud rebelde del 6/4/14

Torno ad aprofittare dello spazio odierno per soddisfare la curiosità di lettori che hanno scritto cercando informazioni. La settimana scorsa, nel fare lo stesso, ho accennato fra gli altri temi, allo scomparso hotel Miramar situato all’intersezione di Malecón e Prado e a Brenda, una ballerina uruguayana che ha fatto furore nell’Avana degli anni 40 del secolo scorso.
Combinando entrambi i temi, ha scritto Cristóbal Díaz Ayala, miusicografo cubano residente a Portorico e autore fra i tanti titoli, di questo libro imprescindibile che è Música cubana: del areíto al rap, che conta di molteplici edizioni. Diceva Ayala allo scriba: “Caro Ciro: al piano terra dell’hotel Miramar c’è stato, per molti anni, il Centro Vasco, l’eccellente ristorante di Juan Azerzabaitoria dove, naturalmente, andavano tutti i pelotari dei diversi sferisteri dell’Avana. A metà degli anni ’50 si trasferì in una zona del Vedado. Brenda usciva avvolta da una seta, ma col seno scoperto. Ballava con suo fratello. In realtà la sua danza non aveva niente di volgare, era una stilizzazione molto meno sensuale che una rumba caliente...Veniva dal Messico dove aveva avuto un amore con il direttore d’orchestra e compositore messicano Luis Arcaraz che, si dice, si ispirò a lei nello scrivere la sua bella canzone Viajera. Don Galaor le fece un’intervista per Bohemia, dove si parlava di tutto ciò, mi sembra...Era una donna bellissima e ottima ballerina”.
Con relazione al Miramar, un altro lettore di cui mi sfugge il nome,ha fatto questa interessante precisazione: “Nel 1900, gli alberghi preferiti dell’Avana si trovavano sul Paseo del Prado. L’hotel Pasaje, in Prado 95, a mezzo isolato dal Parque Central; l’hotel Inglaterra in Prado e San Rafael, di tre piani; l’hotel Telegrafo in Prado numero 112 angolo San Miguel con due piani e capacità per 150 ospiti; e l’hotel miramar in Prado e Malecón che era il più caro della città: costava dieci dollari al giorno per camera con bagno. Ricordiamo che al principio della Repubblica, un peso o duro spagnolo si cambiava a 60 centesimi in moneta americana. Fu il primo albergo che proibì i baffi ai dipendenti – cuochi, aiutanti di cucina, camerieri...- e stabilì per uomini e donne l’uso obbligatorio della retina in testa. Fu anche il primo albergo, a Cuba, nel quale cameriere e facchini sfoggiavano eleganti uniformi.
“L’ hotel Miramar era piccolo, ma molto confortevole; lussuoso, con chéf di cucina francesi e un ordine e pulizia estremi. Nella sua cucina si impiegava legna, carbone vegetale e gas, così come piastre di cottura elettriche. Possedeva un sistema di trasporto visibile sulle cartine, a disposizione dei suoi ospiti, organizzava escursioni e giri della città e i suoi dintorni e gli garantiva i bagni di mare nei luoghi abilitati per quello e che l’estendersi del Malecón ha spostato. Le persone alloggiate nell’hotel avevano il privilegio di godere, dai suoi balconi, dei concerti che la Banda Musicale dello Stato Maggiore dell’Esercito offriva nel chiosco, situato di fronte all’installazione alberghiera.
“Prado y Malecón, il primo angolo dell’Avana, aveva senza dubbio fama di sfortuna. Gli affari che vi si avviavano non prosperavano, nonostante l’eccellenza della posizione. L’hotel Miramar si chiuse nel 1920. Sebbene non trionfasse, l’esercizio alberghiero, rese popolare questa canzonetta:
Fin qua il commento ricevuto. Diciamo, di passo, che la malasorte dell’angolo – e ci sono luoghi e spazi che senza dubio ce l’hanno – è relativo. Il Centro Vasco non fu esattamente un disastro commerciale. In un momento che adesso lo scriba non sa precisare, essendo già di proprietà di Juan Azerzabaitoria Carán, questa casa, specializzata in piatti tipici della cucina basca e che presentava un'ampia scelta di vini, si spostò verso il Vedado e aprì le sue porte in Tercera angolo 4, dove funzionava anche la casa sociale dell’associazione dei baschi residenti a Cuba. I padroni del ristorante già installati a Miami negli anni ’80, vollero portare sullo scenario artisti cubani dell’Isola. Una sera in cui si annunciava la presenza di Rosita Fornés, una bomba collocata dall’estrema destra, fece fallire lo spettacolo annunciato e distrusse completamente il locale che si vide costretto a chiudere per sempre le sue porte.

Palazzo di 80 finestre

Sul Gran Teatro dell’Avana, vorrebbe sapere un lettore che si firma come Alberto nel suo messaggio elettronico. Si interessa per conoscere, in particolare, come la costruzione dell’edificio del Centro Gallego – il molto illustre Centro Gallego dell’Avana, come si chiamava – assorbì il Teatro Tacón.
Il Tacón fu, nel suo momento (1838), uno dei migliori teatri del mondo. La sua facciata austera contrastava con il lusso e l’eleganza dell’interno. L’esimia ballerina Fanny Essler lo paragonò al San carlo di Napoli e alla Scala di Milano “non credo siano più grandi ed eleganti in proporzioni e stile”. La contessa di Merlinn lo vide, nel 1844, come un salone che non avrebbe stonato a Londra o a Parigi, mentre altri viaggiatori resistevano nel trovare nella colonia quello che non esisteva nella metropoli. Il palco destinato al Governatore era meglio adornato di uno destinato ai regnanti in altri Paesi. Ottanta finestre e 22 porte ventilavano l’ambiente e il suo lampadario centrale, a forma di ragno, costituiva, secondo il volgo, uno degli elementi distintivi della città, assieme al Morro e La Cabaña. La sua acustica era insuperabile. Nel 1878 conteneva 2287 persone sedute oltre ad altre 750 che potevano sistemarsi in piedi dietro ai palchi, anche se si dice che ai suoi inizi aveva una capacità di 4000 spettatori.
All’effettuare l’acquisto del Gran Teatro, il Centro Gallego si compromise a cominciare l’edificazione del suo nuovo palazzo sociale, nel 1907 emise un bando per l’opera. Passarono, comunque, tre anni perché cominciasse la costruzione del nuovo edificio. Non fu fino al 3 aprile del 1910 quando il direttivo galiziano approvò il progetto definitvo, opera dell’architetto belga Paul Belau, di passaggio dall’Avana e incaricò la sua esecuzione alla costruttrice nordamericana Purdy and Henderson. Per allora erano stati demoliti gli edifici annessi al Gran Teatro e questi era già stato privato del suo portico, il vestibolo e i caffé, mentre il grande salone si manteneva intatto e fu incluso, nel 1911, oggetto di riforme. Il Gran Teatro Nacional, scrive Francisco Rey Alfonso nella sua Biografia de un coliseo, continuò in piedi offrendo gli spettacoli più varii anche nei momenti in cui, per arrivare alla sala, si dovette abilitare un tunnel tra le opere in costruzione o aprire una porta della calle San Rafael per permettere l’accesso al pubblico.
Alla fine del 1913 fu pronto il palazzo sociale del Centro Gallego e la sua direzione traslocò nel nuovo edificio, dalla vecchia sede di Prado e Dragones. Arrivò così il turno del Gran Teatro per mettere in marcia i lavori di modifica.
Come requisito indispensabile per l’esecuzione di queste modifiche, la direzione galiziana sollecitò alla società costruttrice che l’acustica del teatro rimanesse inalterata , dice Rey Alfonso nel suo citato libro. Questa ed altre pretese determinarono che ognuno dei passi che si dettero nello storico immobile, fossero oggetto di analisi e proposte di più di uno specialista. In questo senso, e con oggetto di non appartarsi dal progetto originale, più dello stretto necessario, si aprofittò al massimo della struttura del Tacón e l’ingegnere cubano Benito Laguruela disimpegnò un ruolo molto importante nella formulazione di queste modifiche. Si ebbe l’accortezza di riprodurre il più esattamente possibile la pianta del salone e si cercò di utilizzare legname simile a quello esistente.
Il palazzo sociale del Centro Gallego e il Gran Teatro rappresenntarono un investimento che superò i due milioni di pesos. Il 22 aprile del 1915, con la messa in scena dell’Aida di Verdi, a carico dell’impresario Bracale, si inaugurava il Gran Teatro Nazionale. Tre mesi dopo aveva luogo, nel nuovo scenario, la prima stagione cinematografica. In questa occasione cominciò a funzionare un estrattore d’aria che faceva scendere a 20 gradi la temperatura della sala.

Parco Alfredo Zayas

Dello scomparso parco Alfredo Zayas, chiede la lettrice Karelia. Si costruì sul retro del Palazzo Presidenziale nel 1925, al fine di erigere una statua a questo distinto intellettuale e cospiratore per l’indipendenza, quarto presidente della Repubblica di Cuba. Oggi, l’antico Palazzo ospita il Museo della Rivoluzione e il Memorial Granma occupa l’area di quel parco.
L’aneddoto caratterizza questo luogo. Si dice che Zayas non volle abbandonare il primo magistero senza erigersi un monumento che lo pepetuasse alla posterità. Siccome il tempo stringeva – lascerà il potere il 20 maggio del 1925 dopo averlo trasmesso al generale Machado – su cercò all’estero la statua di un individuo che gli assomigliasse. Con la statua già all’Avana, mancava solo di costruire il piedestallo su cui erigerla. E questo fu ciò che si fece. Zayas appariva in piedi, coperto dai suoi abiti caratteristici e la testa scoperta. Aveva la mano sinistra dentro al taschino della giacca mentre segnalava il palazzo Presidenziale con la destra. Sembrava dire: “Quello che ho qua, me lo sono rubato lì”.
Zayas inaugurò il monumento lo stesso giorno in cui abbandonava la presidenza. Era troppo, quello di erigersi un monumento in vita e per colmo inaugurarlo quando si lasciava il potere. Gli studenti universitari, con alla testa Julio Antonio Mella, non nascosero la loro idignazione e vollero abbaterlo prima che si inaugurasse. José Lezama Lima ricreò il fatto nel suo romanzo Paradiso (1966) e nel settembre del 1970 lo raccontò in un’intervista alla rivista Alma Mater.
Diceva Lezama: “Quella ribellione scendeva per la calle San Lázaro, attraversava il monumento agli Studenti e dopo s’incamminava verso il Palazzo...Ma zayas era un uomo che aveva un certo stile in ciò. Allora lasciò che la manifestazione arrivasse fino ala statua. La finalità perseguita da Mella era di abbattere la statua; vi giunse di fronte e lanciò una corda con una mira tanto buona che il cappio si agganciò al collo di bronzo di Alfredo Zayas. Gli studenti lo osannavano e lanciavano forti grida, ma già quando l’enorme pupazzo cominciò a dare segnali di cedimento e angustia per la pressione della corda, intervenne la polizia dando grandi manganellate, picchiando duro ed allora ci fu un gran fuggi fuggi e Mella rimase quasi solo. Il giorno seguente Mella apparve nei giornali della capitale con la testa fasciata giacché rimase fino all’ultimo momento, la polizia gli ruppe la testa e andò al pronto soccorso.
“Questo ha lasciato nel mio ricordo, una grande memoria di quello che era Julio Antonio Mella dirigendo leribellioni studentesche...Aveva il senso della protesta che si trasforma in ribellione, l’insurrezione che si solleva a rivoluzione e che brucia e modifica i popoli”.

Sin bigote y delantal

Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
5 de Abril del 2014 19:11:33 CDT

Vuelvo a aprovechar el espacio de hoy para satisfacer la curiosidad de
lectores que escribieron en procura de información. La semana pasada,
al hacer lo mismo, aludí, entre otros temas, al desaparecido hotel
Miramar, situado en la intersección de Malecón y Prado, y a Brenda,
una bailarina uruguaya que hizo furor en La Habana de los años 40 del
siglo pasado.
Combinando ambos temas, escribió Cristóbal Díaz Ayala, musicógrafo
cubano radicado en Puerto Rico y autor, entre otros muchos títulos, de
ese libro imprescindible que es Música cubana: Del areíto al rap, que
cuenta con múltiples ediciones. Decía Díaz Ayala al escribidor:
"querido Ciro: En los bajos del hotel Miramar, estuvo por muchos años
el Centro Vasco, el excelente restaurante de Juan Azerzabaitoria,
donde por supuesto iban todos los pelotaris de los distintos frontones
de La Habana. Para mediados de los 50, se trasladó a una localización
en el Vedado. Brenda salía envuelta en unas sedas, pero con el pecho
al aire. Bailaba con su hermano. En realidad, su baile no tenía nada
de vulgar, era una estilización mucho menos sensual que una rumba
caliente... Venía de México, donde había tenido amores con el director
de orquesta y compositor mexicano Luis Arcaraz, quien se dice se
inspiró en ella para escribir su linda canción Viajera. Don Galaor le
hizo una entrevista para Bohemia donde se hablaba de todo esto, me
parece... Era una mujer preciosa, y muy buena bailarina".
Sobre el Miramar, otro lector cuyo nombre no retuve, hizo esta
interesante precisión: "en 1900, los hoteles preferidos de La Habana
estaban en el Paseo del Prado. El hotel Pasaje, en Prado 95, a media
cuadra del Parque Central; el hotel Inglaterra, en Prado y San Rafael,
de tres pisos; el hotel Telégrafo, en Prado número 112 esquina a San
Miguel, con dos pisos y capacidad para 150 huéspedes; y el hotel
Miramar, en Prado y Malecón, que era el más caro de la ciudad: cobraba
diez dólares diarios por habitación con baño. Recordamos que a
principios de la República, un peso o duro español se cambiaba por 60
centavos en moneda americana. Fue el primer hotel que prohibió el
bigote a los empleados --cocineros, ayudantes de cocina, camareros...-- e
implantó para hombres y mujeres el uso obligatorio de la redecilla en
la cabeza. También fue el primer hotel en Cuba en que camareras y
botones lucieron uniformes elegantes.
El hotel Miramar era pequeño pero muy confortable; lujoso, con chefs
de cocina franceses y un orden y limpieza extremados. En su cocina se
empleaba la leña, el carbón vegetal y el gas, así como planchas
tostadoras eléctricas. Tenía un sistema de transporte mapificado a
disposición de sus huéspedes, organizaba excursiones y paseos por la
ciudad y sus alrededores y les garantizaba el acceso a los baños de
mar en los lugares habilitados para ello y que la extensión del
Malecón iría desplazado. Las personas alojadas en el hotel tenían el
privilegio de disfrutar desde sus balcones de los conciertos que la
banda de música del Estado Mayor del Ejército ofrecía en la glorieta,
situada frente a la instalación hotelera.
Prado y Malecón, la primera esquina de La Habana, tenía, sin embargo,
mala sombra. Los negocios que se montaban en ella no prosperaban pese
a la excelencia de la posición. El hotel Miramar se descomercializó en
1920. Si bien no triunfó, el establecimiento hotelero hizo popular
esta cancioncilla: Cuando vayas a La Habana/ a cenar al Miramar,
verás a los dependientes / sin bigote y delantal...".
Hasta aquí el comentario recibido. Digamos de paso que eso de la mala
sombra de la esquina --y hay lugares y espacios que, sin duda, la
tienen-- es relativo. El Centro Vasco no fue precisamente un fracaso
comercial. En un momento que no puede precisar ahora el escribidor y
siendo ya propiedad de Juan Azerzabaitoria Carán, esta casa
especializada en platos típicos de la cocina vasca y que mostraba una
amplia carta de vinos, se desplazó hacia el Vedado y abrió sus puertas
en Tercera esquina a 4, donde funcionaba asimismo la casa social de la
asociación de los vascos residentes en Cuba. Instalados en Miami
quisieron los dueños del restaurante, ya en los años 80, llevar a su
escenario a artistas cubanos de la Isla. Una noche, en la que se
anunciaba la presencia de Rosita Fornés, una bomba colocada por la
extrema derecha dio al traste con el pretendido espectáculo y destruyó
totalmente el local, que se vio obligado así a cerrar sus puertas para
siempre.

Palacio de 80 ventanas

Sobre el Gran Teatro de La Habana quiere saber un lector que firma
como Alberto su mensaje electrónico. Se interesa por conocer, en
particular, cómo la construcción del edificio del Centro Gallego --el
muy ilustre Centro Gallego de La Habana, como se le llamaba-- asumió el
Teatro Tacón.
El Tacón fue en su momento (1838) uno de los mejores teatros del
mundo. Su austera fachada contrastaba con el lujo y la elegancia de su
interior. La eximia bailarina Fanny Elssler lo comparó con el San
Carlo, de Nápoles, y La Scala, de Milán, y "no creo que sean mucho más
grandes ni más elegantes en proporciones y estilo". La condesa de
Merlin lo vio, en 1844, como un salón que no desentonaría en Londres
ni en París, en tanto que otros viajeros se resentían al encontrar en
la colonia lo que no existía en la metrópoli. El palco destinado al
Gobernador lucía mejor adornado que el que se destinaba a los reyes en
algunos países. Ochenta ventanas y 22 puertas ventilaban la estancia,
y su lámpara central, en forma de araña, constituía, según la copla
popular, uno de los elementos distintivos de la ciudad, junto al Morro
y la Cabaña. Su acústica era insuperable. En 1878 admitía a 2 287
personas sentadas y a otras 750 que podían colocarse de pie detrás de
los palcos, aunque se dice que en sus inicios tenía capacidad para
unos 4 000 espectadores.
Al efectuar la compra del Gran Teatro, el Centro Gallego se
comprometió a comenzar la edificación de su nuevo palacio social en
1907 y sacó la obra a concurso. Pasarían, sin embargo, tres años para
que comenzara la construcción del nuevo edificio. Porque no fue hasta
el 3 de abril de 1910 cuando la directiva gallega aprobó el proyecto
definitivo, obra del arquitecto belga Paul Belau, de paso por La
Habana, y encomendó su ejecución a la constructora norteamericana
Purdy and Henderson. Para entonces se habían demolido los edificios
anexos al Gran Teatro y este estaba privado ya de su pórtico, el
vestíbulo y los cafés, mientras que el gran salón se mantenía intacto
y fue incluso, en 1911, objeto de reformas. El Gran Teatro Nacional,
escribe Francisco Rey Alfonso en su Biografía de un coliseo, siguió en
pie ofreciendo los más variados espectáculos incluso en los momentos
en que, para llegar hasta su sala, hubo que habilitar un túnel por
entre las obras en construcción o abrir una de las puertas de la calle
San Rafael para permitir el acceso del público.
A finales de 1913 estuvo listo el palacio social del Centro Gallego y
su directiva se trasladó al nuevo edificio desde su antigua sede de
Prado y Dragones. Llegaba así su turno al Gran Teatro, que sería
clausurado para poner en marcha las labores de reconstrucción.
Como requisito indispensable para la ejecución de esas reformas, la
directiva gallega solicitó a la constructora que la acústica del
teatro permaneciera inalterable, dice Rey Alfonso en su libro citado.
Esa y otras pretensiones determinaron que cada uno de los pasos que se
dieran en el histórico inmueble fuera objeto de análisis y
proposiciones por más de un especialista. En tal sentido, y con el
objeto de no separarse del modelo original más de lo estrictamente
necesario, se aprovechó todo lo que se pudo de la estructura del Tacón
y el ingeniero cubano Benito Lagueruela desempeñó un papel muy
destacado en la formulación de esos arreglos. Se tuvo el cuidado de
reproducir lo más exactamente posible la planta del salón y se trató
de utilizar maderas semejantes a las ya existentes.
El palacio social del Centro Gallego y el Gran Teatro representaron
una inversión que sobrepasó los dos millones de pesos. El 22 de abril
de 1915, con la puesta de la ópera Aída, de Verdi, a cargo de una
compañía del empresario Bracale, se inauguraba el Gran Teatro
Nacional. Tres meses después tenía lugar en el nuevo recinto la
primera temporada cinematográfica. En esa ocasión comenzó a funcionar
un ventilador absorbente que hacía descender a 20 grados la
temperatura de la sala.

Parque Alfredo Zayas

Por el ya desaparecido parque Alfredo Zayas inquiere la lectora
Karelia. Se construyó al fondo del Palacio Presidencial, en 1925, a
fin de erigir en su espacio la estatua de ese distinguido intelectual
y conspirador independentista, cuarto presidente de la República de
Cuba. Hoy el antiguo Palacio da albergue al Museo de la Revolución y
el Memorial Granma ocupa el área del parque.
La anécdota matiza dicho sitio. Se dice que Zayas no quiso abandonar
la primera magistratura sin erigirse un monumento que lo perpetuara
para la posteridad. Como el tiempo apremiaba --abandonaría el poder el
20 de mayo de 1925 luego de traspasarlo al general Gerardo Machado-- se
buscó en el extranjero la estatua de un individuo que se le pareciera.
Ya con la estatua en La Habana faltaba solo construir el pedestal
donde se erigiría. Eso fue lo que se hizo. Zayas aparecía de pie,
cubierto con sus ropas características y la cabeza descubierta. Tenía
la mano izquierda dentro del bolsillo de la chaqueta mientras señala
el Palacio Presidencial con la mano derecha. Parecía decir: <>.
Zayas inauguró el monumento el mismo día en que abandonaba la
presidencia. Era demasiado aquello de erigirse un monumento en vida y,
para colmo, inaugurarlo desde el poder. Los estudiantes
universitarios, con Julio Antonio Mella a la cabeza, no ocultaban su
indignación y quisieron derribarlo antes de que se inaugurara. José
Lezama Lima recreó el incidente en su novela Paradiso (1966) y en
septiembre de 1970 lo relató en la entrevista que concedió a la
revista Alma Máter.
Decía Lezama: "aquel motín bajaba por la calle San Lázaro, atravesaba
el Monumento de los Estudiantes y después se encaminó a Palacio... Pero
Zayas era un hombre que en eso tenía su estilo, era un malvado, pero
tenía su estilo en eso. Y entonces dejó que la manifestación llegara
hasta la estatua. La finalidad que perseguía Mella era echar abajo la
estatua; llegó frente a la estatua y tiró una soga con tan buena
puntería que la soga encajó en el cuello broncíneo de Alfredo Zayas.
Los estudiantes lo coreaban y daban grandes gritos, pero cuando ya
aquel enorme muñeco empezó a dar señales de estremecimiento y angustia
por la presión de la soga, irrumpió el piquete de la policía dando
grandes golpes de palo, pegando reciamente, y entonces hubo una gran
corrida y Mella se quedó casi solo. Y al día siguiente apareció Mella
en los periódicos de la capital con la cabeza vendada ya que se quedó
allí hasta el último momento, la policía le rompió la cabeza y fue
para la casa de socorros.
Eso ha dejado también en mi recuerdo una gran memoria, lo que era
Julio Antonio Mella dirigiendo un motín estudiantil... Tenía el sentido
de la algarada que se convierte en motín, la insurrección que se alza
a revolución y que quema y modifica a los pueblos
".

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/



lunedì 7 aprile 2014

Evaso

EVASO: è contenitore, in genere di terracotta

domenica 6 aprile 2014

Estromettere

ESTROMETTERE: impiegare fantasia

sabato 5 aprile 2014

Estrattore

ESTRATTORE: trattore indicato da uno spagnolo

venerdì 4 aprile 2014

Essenza

ESSENZA: ne è privo

giovedì 3 aprile 2014

Cubani a Roma


Di Ciro Bianchi Ross (testo letto a Radio Miami)

Ho riletto, in questi giorni, un libro interessantissimo: Due anni di reclusione nel Vaticano. Il suo autore, Miguel Figueroa Miranda, entrò nel servizio diplomatico nel 1937 e in questa stessa data fu destinato, come Segretario di Terza Classe, alla Legazione cubana a Roma. Due anni dopo, già come Segretario di Seconda, assumeva la rappresentanza di Cuba alla Santa Sede, come Incaricato d'Affari ad interim e come tale vi rimase fino al 1945. Perciò a Miguel Figueroa toccò vivere in Europa, assieme a sua moglie e i suoi due bambini piccoli nati in Italia, la Seconda Guerra Mondiale e il periodo che la precedette. Parte di questo tempo, e per questo il titolo del suo libro, lo passò recluso nel Vaticano. Dal 1941, quando Cuba dichiarò la guerra all'Italia, fino a che questo Paese non venne occupato dalle truppe nordamericane, Figueroa dovette trovare rifugio presso la città papale e poté uscire dal suo confino obbligato in occasioni contate e giustificatissime, sempre sotto la vigilanza e la custodia della polizia fascista.
Come diplomatico, Figueroa, conobbe il minuscolo re Vittorio Emanuele, sua moglie Elena che era di statura doppia e il principe Umberto, oltre ad altri membri della famiglia reale. Anche il dittatore Benito Mussolini. Assistette ai funerali del Papa Pio XI e vide, dalla Piazza San Pietro, la fumata bianca che annunciava al mondo l'ascesa al trono pontificio del cardinale Eugenio Pacelli, col nome di Pio XII, che lo aiutò molto nella sua carriera diplomatica. Le sue relazioni col cardinale Montini, segretario di Stato di Sua Santità, salito al trono di Pietro col nome di Paolo VI, andarono più in la del rapporto protocollare.
Ebbe relazioni con Alfonso XIII, il monarca spagnolo esiliato a Roma e partecipò ai suoi funerali dove il corpo, in una stanza priva di mobili e rivestita di nero, era posto direttamente al suolo, senza sarcofago, vestito con l'abito bianco degli Ordini Militari spagnoli, il ciondolo di Castiglia al lato della testa e i piedi ricoperti con la coperta della Vergine del Pilar, portata appositamente da Saragozza.
Presenziò alle celebrazioni degli anniversari della Marcia su Roma e seguì da vicino la caduta di Mussolini, destituito dal Gran Consiglio Fascista e la proclamazione del governo di Badoglio. Seppe delle intenzioni di Hitler di sequestrare il Papa e visse i bombardamenti di cui fu bersaglio il Vaticano...
Non c'erano molti cubani a Roma, a quel tempo. Nel suo racconto, Figueroa ricorda un negro tra i 50 e i 60 anni che lavorava come caratterista in pellicole prodotte a Cinecittà. Anche la signorina Ana Arango, di mezza età con viso rotondo e colorato, sempre col sorriso sulle labbra. Arrivò a Roma nel 1937 in pellegrinaggio e non sapeva come lasciare quella città. Fissò mille volte la data del suo ritorno, ma quando si avvicinava la vigilia della partenza, la sua tachicardia cronica non le permetteva il viaggio. La persona più in vista di quella colonia era Silvia Alfonso y Aldama, Contessa Manzini, discendente di Miguel Aldama, il Benemerito della Patria, una delle grandi fortune di Cuba del secolo XIX che perse, per la sua affiliazione politica, nei giorni della Guerra Grande (1868/78). Lei si sposò in prime nozze con il milionario di Cienfuegos Emilio Terry e alla sua morte, contrasse matrimonio con un italiano, il Conte Manzini che sarebbe stato ambasciatore nell'Unione Sovietica, Francia e altri Paesi europei. Fu una delle cubane più belle del suo tempo, ma quando la conobbe Figueroa a Roma, della sua leggendaria bellezza restava solo il ricordo. Viveva sola in una magnifica casa sulla Via Cassia, costruita sui resti di una villa imperiale vicino al luogo che la tradizione attribuisce alla tomba di Nerone.
Quando Miguel Figueroa Miranda poté mettere fine alla sua reclusione in Vaticano, una delle sue prime gestioni fu quella di visitare i cubani residenti a Roma al fine di prestargli aiuto, nella misura delle sue possibilità.
Così, fra le altre, andò nella casa della scrittrice Alba de Céspedes, nipote del Padre della Patria. Visitò inoltre la Contessa Manzini. La distruzione era totale. Una palla di cannone aveva attraversato la sua casa da parte a parte demolendo le pareti esterne e interne, distruggendo mobili e opere d'arte. Nella città occupata dai nordamericani regnava la confusione; la fame era generalizzata e l'assenza di polizia che facesse finire assalti e saccheggi rendeva più difficile la situazione.
Ma Silvia Alfonso y Aldama, integra e indomita, con la testa alta in un gesto caratteristico, insistette per restare nella sua casa, indifferente alle carenze e al pericolo. Figueroa le domandò in cosa potesse aiutarla. Cosa poteva portarle per alleviarle la sua situazione. Silvia fu decisa nella sua risposta. Disse: “Mi porti una bandiera cubana”.



Cubanos en Roma

He releído en estos días un libro interesantísimo: Dos años de reclusión en el Vaticano. Su autor, Miguel Figueroa Miranda, ingresó en el servicio diplomático en 1937 y, en esa misma fecha, se le destinó, como Secretario de Tercera Clase, a la Legación cubana en Roma. Dos años más tarde, ya como Secretario de Segunda, asumía la representación de Cuba ante la Santa Sede como Encargado de Negocios interino y como tal se mantuvo hasta 1945. De ahí que a Miguel Figueroa le tocara vivir en Europa, junto a su esposa y sus dos pequeños hijos, nacidos en Italia, la Segunda Guerra Mundial y el periodo que le precedió. Parte de ese tiempo, y por eso el título de su libro, la pasó recluido en el Vaticano. Desde 1941, cuando Cuba declaró la guerra a Italia, hasta que ese país fue ocupado por tropas norteamericanas, Figueroa debió buscar refugio en la ciudad papal y solo pudo salir de su obligado confinamiento en muy contadas y justificadísimas ocasiones y siempre bajo la vigilancia y la custodia de la policía fascista.
Como diplomático, Figueroa conoció al diminuto rey Víctor Manuel de Italia, a su esposa Elena, que le doblaba la estatura, y al príncipe Humberto, entre otros miembros de la familia real. También al dictador Benito Mussolini. Asistió a los funerales del Papa Pío XI y vio desde la Plaza de San Pedro la humareda blanca que anunciaba al mundo la exaltación al trono pontificio del cardenal Eugenio Pacelli, con el nombre de Pío XII, quien mucho lo distinguiría durante su gestión diplomática. Sus relaciones con el cardenal Montini, secretario de Estado de Su Santidad, exaltado al trono de San Pedro con el nombre de Pablo VI, fueron más allá de lo estrictamente protocolar.
Tuvo relaciones con Alfonso XIII, el monarca español exiliado en Roma, y concurrió a sus funerales, donde el cadáver, en una habitación sin muebles y revestida de negro, permanecía directamente sobre el piso, sin sarcófago, vestido con el hábito blanco de las Órdenes Militares españolas, el pendón de Castilla cerca de la cabeza y los pies cubiertos con el manto de la virgen del Pilar, llevado expresamente desde Zaragoza.
Presenció la celebración de los aniversarios de la Marcha sobre Roma y siguió de cerca la caída de Mussolini, destituido por el Gran Consejo Fascista, y la proclamación del gobierno de Badoglio. Supo de las intenciones de Hitler de llevarse secuestrado al Papa y vivió los bombardeos de que fue blanco el Vaticano…
No había muchos cubanos en Roma en esa época. En su relato, Figueroa recuerda a un negro de entre 50 y 60 años que trabajaba como actor de reparto en películas producidas por Cinecittá. Y también a la señorita Ana Arango, de mediada edad, cara redonda y colorada y siempre con la sonrisa a flor de labios. Llegó a Roma en 1937, con motivo de una peregrinación, y no sabía cómo despedirse de esa ciudad. Mil veces fijó la fecha de su regreso, pero su taquicardia crónica se recrudecía en vísperas de la partida y no la dejaba viajar.
La persona más prominente de aquella colonia era Silvia Alfonso y Aldama, Condesa Manzini, descendiente de Miguel Aldama, el Benemérito de la Patria, una de las grandes fortunas de la Cuba del siglo XIX, que perdió, por su filiación política, en los días de la Guerra Grande (1868-78). Ella casó en primeras nupcias con el millonario cienfueguero Emilio Terry y, muerto este, contrajo matrimonio con un italiano, el Conde Manzini, que sería embajador en la Unión Soviética, Francia y otros países europeos. Fue una de las cubanas más bellas de su tiempo, pero cuando Figueroa la conoció en Roma, de su legendaria belleza quedaba solo el recuerdo. Vivía sola en una casa magnífica, en la Vía Cassia, construida sobre los restos de una villa imperial junto al lugar que la tradición atribuye a la tumba de Nerón.
Cuando Miguel Figueroa Miranda pudo poner fin a su reclusión en el Vaticano, una de sus primeras gestiones fue la de visitar a los cubanos radicados en Roma a fin brindarles ayuda en la medida de sus posibilidades.
Así, entre otras, estuvo en la casa de la escritora Alba de Céspedes, nieta del Padre de la Patria. Visitó además a la Condesa Manzini. La destrucción era total. Una bala de cañón había atravesado su casa de parte a parte, derribando paredes exteriores e interiores y destruyendo muebles y obras de arte. Reinaba la confusión en la ciudad ocupada por los norteamericanos; el hambre era general y la ausencia de policías que pusieran coto a los desmanes y saqueos hacía más difícil la situación.
Pero Silvia Alfonso y Aldama, entera e indómita, con la cabeza erguida en gesto característico, insistió en permanecer en su casa, indiferente a las carencias y al peligro. Preguntó Figueroa en qué podía ayudarla. Qué podía llevarle para aliviar su situación. Silvia fue precisa en su respuesta. Dijo: Tráigame una bandera cubana.

Habló para Radio Miami, Ciro Bianchi Ross.








Le armi dei potenti

FONTE; EL NUEVO HERALD

EEUU creó 'Twitter cubano' para impulsar revueltas contra los Castro


JACK GILLUM Y ALBERTO ARCE AND POR DESMOND BUTLER
THE ASSOCIATED PRESS
WASHINGTON -- El gobierno de Estados Unidos planeó la creación de un "Twitter cubano", una red de comunicaciones diseñada para socavar el gobierno comunista de la isla, creada usando empresas de fachada constituidas en secreto y financiada a través de transacciones con bancos extranjeros, según descubrió The Associated Press.
El proyecto, que duró dos años y atrajo a decenas de miles de suscriptores, trató de evadir las fuertes restricciones que el gobierno cubano ha impuesto sobre el acceso a internet a través de una primitiva plataforma de medios sociales. En primer lugar, la red ayudaría se volvería popular entre los jóvenes en Cuba; luego el plan era para empujarlos hacia la disidencia.
Sin embargo, sus usuarios nunca supieron que el proyecto fue creado por una agencia de Estados Unidos vinculada al Departamento de Estado, ni que los contratistas estadounidenses estaban reuniendo datos personales sobre ellos con la esperanza de que algún día esa información fuera utilizada con propósitos políticos.
No está claro si el proyecto es legal bajo las leyes estadounidenses, que exigen autorización por escrito del Presidente y una notificación al Congreso para adelantar cualquier operación secreta. Funcionarios de la USAID, la Agencia de Estados Unidos para el Desarrollo Internacional, declinaron decir quién aprobó el programa o si la Casa Blanca conocía de su existencia.
El gobierno cubano también se abstuvo a comentar sobre el asunto.
Como mínimo, los detalles descubiertos por la AP parecen contradecir los argumentos que por mucho tiempo ha esgrimido la USAID en el sentido de que no participa en acciones encubiertas, algo que podría socavar su misión de asistencia a los pobres y vulnerables del mundo, un esfuerzo que requiere de la confianza y la cooperación de gobiernos de otros países.
La USAID y sus contratistas hicieron un esfuerzo significativo para ocultar los lazos que el proyecto tenía con Washington, según entrevistas y más de 1,000 páginas de documentos obtenidos por la AP sobre el desarrollo de esta iniciativa. Establecieron empresas de fachada en España y cuentas bancarias en las Islas Caimán para ocultar las transacciones financieras y trataron de contratar a altos ejecutivos de empresas privadas sin decirles que se trataba de un proyecto financiado con dinero de los contribuyentes de Estados Unidos.
"No se mencionará en lo absoluto la participación del gobierno de Estados Unidos", dice un informe de Mobile Accord, una de las empresas contratistas. "Es totalmente crucial para el éxito a largo plazo del servicio y garantizar el cumplimiento de la Misión (sic)". (Misión aparece con mayúscula en el documento original en inglés).
El proyecto, denominado "ZunZuneo", palabra relacionada con el zunzún, como se denomina en Cuba el colibrí o zumbador, debutó poco después del arresto en Cuba en 2009 del contratista estadounidense Alan Gross, quien fue condenado a prisión tras viajar repetidamente a la isla en otra misión clandestina de la USAID para ampliar el acceso a la Internet mediante el uso de tecnología avanzada, a la que sólo tenían acceso los gobiernos.
En una declaración, la USAID expresó que está "orgullosa de su trabajo en Cuba para ofrecer asistencia humanitaria básica, promover los derechos humanos y las libertades fundamentales, y ayudar a que la información fluya con más libertad al pueblo cubano", del que dijo "ha vivido bajo un régimen autoritario" durante 50 años.
La USAID dijo que su labor se hizo en concordancia con las "las leyes estadounidenses".
Pero el senador Patrick Leahy, demócrata por Vermont y presidente de la Subcomisión del Senado sobre el Departamento de Estado y Operaciones en el Extranjero, dijo que las revelaciones son preocupantes.
"Existe el riesgo de que cubanos jóvenes usasen el servicio en sus teléfonos móviles sin saber que era una actividad financiada por el gobierno de Estados Unidos", dijo. "También está la naturaleza clandestina del programa, de lo que no se informó a la Subcomisión de Asignaciones que tiene la responsabilidad de hacer supervisión. Y el hecho de que el servicio comenzó a operar poco después del arresto de Alan Gross, subcontratista de la USAID que fue enviado a Cuba a ofrecer el acceso de los ciudadanos a la Internet".
El gobierno cubano se abstuvo de comentar.
La AP obtuvo más de 1,000 páginas de documentos acerca del desarrollo del proyecto. Verificó de manera independiente el alcance y los detalles del mismo con esos documentos, mediante bases de datos de acceso público, fuentes del gobierno y entrevistas con quienes participaron en ZunZuneo.
Este proyecto parece ser un retroceso a los tiempos de la Guerra Fría y a la lucha que por décadas han sostenido Estados Unidos y Cuba. Se hizo en un momento en el que la relación históricamente agria entre los dos países ha mejorado, al menos marginalmente, y cuando Cuba ha intentado dar pasos hacia una economía de mercado.
El proyecto de medios sociales comenzó en 2009 después que Creative Associates International, una empresa con sede en Washington, consiguió medio millón de números de teléfonos móviles. Para la AP no está claro cómo los números fueron conseguidos, aunque los documentos parecen indicar que se hizo de manera ilícita a través de una fuente del interior de la empresa estatal de telefonía cubana. Los responsables de ZunZuneo usaron esos números para crear una base de suscriptores para empezar el proyecto.
Los responsables de ZunZuneo querían que la red social creciera lentamente para no ser detectada por el gobierno cubano. Al final, según documentos y entrevistas, la red reuniría una masa crítica suficiente como para que los disidentes convocaran en la red a encuentros masivos convocados con poca antelación, conocidos en inglés como "smart mobs", y que pudieran provocar manifestaciones políticas o "una renegociación del equilibrio de poder entre el estado y la sociedad".
El gobierno cubano mantiene un control férreo sobre la información y los líderes del país consideran la Internet un "potro salvaje" que "hay que domar". Los líderes de ZunZuneo planeaban sacar a Cuba "de la inercia mediante iniciativas tácticas y temporales, y lanzar un proceso de transición hacia el cambio democrático".
Durante un discurso pronunciado en 2011 en la Universidad George Washington, la entonces secretaria de Estado Hillary Clinton dijo que Estados Unidos apoya a ciudadanos en "entornos opresivos de Internet a saltarse los filtros". Al señalar el ejemplo de Túnez, el epicentro y origen de las revoluciones de la Primavera Árabe, Clinton dijo que la gente usó la tecnología para "organizar y compartir reclamos, lo que, como ya sabemos, contribuyó a alimentar un movimiento que provocó cambios revolucionarios".
Suzanne Hall, funcionaria del Departamento de Estado que trabajaba en el programa de redes sociales impulsado por Clinton, participó en reuniones sobre ZunZuneo y encabezó un intento de conseguir que el fundador de Twitter, Jack Dorsey, se hiciera cargo del proyecto. Dorsey declinó comentar al respecto.
Los 1,6 millones de dólares que se calcula que invirtieron en ZunZuneo estaban asignados públicamente a un proyecto no especificado en Pakistán, según la información pública del gobierno, pero esos documentos no revelan dónde realmente se gastó el dinero.
Los organizadores de ZunZuneo trabajaron duro para crear una red que pareciera un negocio legítimo. Crearon un portal de Internet del mismo nombre, y una campaña de mercadotecnia, de manera que los usuarios pudieran suscribirse y enviar sus propios mensajes de texto a grupos de su elección.
"La publicidad ficticia le da la apariencia de una actividad comerciales", dice un documento de propuesta obtenido por la AP. Tras bambalinas, las computadoras de ZunZuneo también almacenaban y analizaban los mensajes de los suscriptores y otra información demográfica, incluyendo su género, años, "receptividad" y "tendencias políticas".
USAID creía que la información demográfica sobre los disidentes los iba a ayudar dirigir otros programas que tenían en Cuba y a "maximizar nuestras posibilidades de ampliar nuestro alcance".
"Fue algo maravilloso", dijo Ernesto Guerra, un usuario cubano que nunca sospechó que su querida red tenía lazos con Washington. "¿Cómo iba a saberlo? No tenía un letrero que dijera: 'Bienvenido a ZunZuneo, un proyecto de la USAID"'.
Los ejecutivos crearon una empresa en España y una empresa a cargo de las operaciones en las Islas Caimán —un conocido paraíso fiscal británico en el Caribe— para pagar las facturas y cuentas de la compañía, de manera que "las transacciones monetarias no indicaran su origen en Estados Unidos", decía un memorando sobre estrategia. Eso hubiera sido catastrófico, concluyeron, porque socavaría la credibilidad del servicio ante los usuarios y provocaría su bloqueo por parte del gobierno cubano.
De manera similar, los mensajes de los suscriptores eran enviados a través de otros dos países, pero nunca a través de servidores en Estados Unidos.
Mobile Accord, una compañía con sede en Denver, consideró contratar a una docena de altos ejecutivos que fueron entrevistados para dirigir la compañía fachada en España. Una de las candidatas, Francoise de Valera, dijo a la AP que nunca le dijeron nada sobre Cuba o la participación del gobierno de Estados Unidos.
James Eberhard, director general de Mobile Accord y uno de los participantes clave en el desarrollo del proyecto, declinó hacer comentarios. Por su parte, Creative Associates refirió todas las preguntas de la AP a la USAID.
A lo largo de dos años, ZunZuneo llegó a tener por lo menos 40,000 suscriptores. Pero los documentos de su equipo revelan que consiguieron pruebas de que las autoridades cubanas trataron de seguir la pista a los mensajes de texto y de intentos de penetrar el sistema de ZunZuneo. La USAID dijo a la AP que ZunZuneo dejó de funcionar en septiembre de 2012, cuando se acabó una donación del gobierno.
ZunZuneo desapareció abruptamente en 2012 y el Partido Comunista cubanos siguen en el poder, sin que una Primavera Cubana se avizore en el horizonte.
"El momento en que Zunzuneo desapareció, quedó un vacío" dijo Guerra". "La gente me enviaba mensajes, ¿qué sucede con Zunzuneo? Al final, nadie sabe lo que pasó. Nunca supimos de dónde salió".
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Con producto interactivo: http://hosted.ap.org/interactives/2014/cuba-usaid-es/
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A este reportaje contribuyeron la periodista de investigación de The Associated Press Monica Mathur, en Washington, y los corresponsales Andrea Rodríguez y Peter Orsi en La Habana. Arce reportó desde Tegucigalpa, Honduras.
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