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sabato 10 maggio 2014
venerdì 9 maggio 2014
Parole di apertura della XXIV Fiera Internazionale del Turismo
l'amico Ciro Bianchi Ross è stato incaricato di dare un discorso di benvenuto ahli illustri invitati francesi a quesa edizione del FITUR, dove la Francia è il Paese invitato. Eccone il testo:
L'orma francese
di Ciro Bianchi Ross
Parole di Ciro Bianchi Ross all'inaugurazione dell'evento teorico della XXXIV Fiera Internazionale del Turismo dedicata alla Francia. L'Avana, 7 maggio 2014.
Ci fu un tempo in cui le prostitute francesi erano le preferite. Più eleganti, profumate, meno volgari, eccellevano da maestre nelle pratiche del sesso orale, allora sconosciute tra gli amanti cubani. Ce n'erano austriache, italiane, canadesi, belghe, tedesche...ma erano tutte francesi per quelli di casa. Una di loro, la piccola Berta, la donna più bella che mai ci fu nella zona di tolleranza di San Isidro, fu il detonante della guerra che sostennenero in questo quartiere avanero i protettori francesi e cubani. In quella tenzone – chiamata la guerra delle braghe sbottonate – trovarono la morte Louisi Lotot e Alberto Yarini, il re dei magnaccia cubani.
Gli ideali di “Libertà, Uguaglianza e Fraternità” proclamati dalla Rivoluzione Francese, scuotono molto presto il movimento rivoluzionario e anticolonialista dell'Isola. Fu numeroso il gruppo di cubani che, ai tempi della Spagna, trova rifugio in Francia per le sue idee, lo stesso succederà con la dittatura machadista. Il primo condannato a morte per il delitto di sovversivismo fu un inviato di José Bonaparte a disturbare l'ordine nella colonia.
Già da allora e fino aben inoltrata la prima metà del XX secolo, Parigi e non New York, sarà la mecca della borghesia e dell'aristocrazia cubana. Una sera alle Tullerìes, Napoleone III si getterà morto d'amore, ai piedi della cubana serafina Montalvo, terza Contessa di Fernandina, dalla fama di essere una delle cubane più belle del suo tempo. Marta Abreu e Luis Estevez y Romero, manterranno una fastosa magione a Parigi. Quella di Rosalía Abreu si converte, per desiderio espresso della sua proprietaria, nella Casa Cuba, pensione di studenti cubani che frequenatnco corsi alla Sorbona. A parigi ha casa a Parigi il matrimonio Baró-Lasa. Il poeta Saint John-Perse, Premio Nobel di Letteratura avrà, più in qua nel tempo, relazioni amorose con una distinta giovane cubana, Lilita Sánchez Abreu, alla quale dedicherà il suo problema “Alla straniera”. Lil e lo scrittore francese si conobbero nel 1932 e “Alla straniera” fu il regalo di commiato che il poeta le fece quando, anni dopo, si separarono per l'ultima volta a Washington. Senza dubbio, Perse, non dimenticò mai la cubana e ancora nel 1953 le fece arrivare questo messaggio: “Vorrei che sapesse che rimarrà sempre nel meglio di me stesso, che lei è molto di me stesso, che il mio cuore continua ad emozionarsi quando penso in lei e che il legame che esiste fra noi continuerà essendo per me, forse al contrario di quello che lei sente, eccezionale fino alla mia morte”.
Nella residenza parigina della cubana María de las Mercedes Santa Cruz y Montalvo, la molto conosciuta Contessa di Merlin che fu amante, si dice, del principe Geronimo Bonaparte, si alternavano Victor Hugo e Lamartine, Musset e Rossini, anche Maria Malibràn, la famosa cantante. Parigi è lo scenario dei grandi successi iniziali di Claudio José Brindis de Salas, il Paganini nero, come si chiamo lì e lì un altro cubano, José White, autore de La bella cubana, arriverà a sostituire Jean Delphine Alard alla sua cattedra nel Conservatorio di Parigi. La pittura moderna comincia a Cuba dopo il soggiorno parigino di Víctor Manuel e Alejo Carpentier scriverà, in francese, racconti surreali fino a che sente la necessità imperiosa di esprimere l'americano nella sua opera.
Vagabondi nottambuli saranno, a Parigi, il pittore Carlos Enríquez e il poeta Félix pita Rodríguez prima che lo fosse tutta una legione di scrittori e artisti cubani che si deliziavano con Sartre e le sue pagine sul compromesso intellettuale, seguono con simpatia la guerra di liberazione algerina e si entusiasmano con la Nuova Onda, gente che preferisce il volto smunto di Simone Signoret con una sigaretta che pende dalle labbra sotto un lampione opaco all'immacolata e sanissima Doris Day parlando da un telefono bianco.
Specchio della pazienza, scritto nel 1908 e che è il monumento più antico delle lettere cubane che è arrivato fino a noi, ha un francese come uno dei suoi suo protagonisti. Si tratta di un personaggio reale, il corsaro Gilberto Girón.
I fatti che canta il poema epico-storico Specchio della pazienza, accaddero realmente nel 1604. Il sequestro di Frate Juan de las Cabezas Altamirano, Vescovo di Cuba, da parte del corsaro francese Gilberto Girón, vicino alle coste di Manzanillo. Il vescovo riesce ad essere riscattato mediante un congruo pagamento: soldi, carne, pancetta e cuoio. Quindi un gruppo di ventiquattro creoli e spagnoli decide di lavare l'affronto e ci riesce. Si affronta alle forze del francese e il negro schiavo Salvador Golomón colpisce a morte il corsaro, per cui gli si offre la libertà. Già prima di allora, nel 1555, un altro corsaro francese, Jacques de Sores, si era impadronito dell'Avana e la distrusse prima di abbandonarla.
Alla fine del XVIII secolo, apparve a Cuba la controdanza come conseguenza dell'influenza francese nelle corti spagnole e l'arrivo dei primi coloni francesi da Haiti e Luisiana. Nel 1794 , il Papel Periódico dell'Avana, una delle nostre prime pubblicazioni giornalistiche, segnala un ballo ufficiale che comincia con un minuetto e prosegue con la controdanza. Anni dopo, nel 1809, un articolo pubblicato se El Aviso dell'Avana, ricorda l'inimicizia politica che esiste in quel momento tra Spagna e Francia e si scaglia contro i balli di origine francese. Della controdanza dice che è “un'invenzione che la diabolica Francia ci ha introdotto” Un ballo, prosegue che è, nella sua essenza,diametralmente contrario al cristianesimo, “fatto a base di gesti lascivi e una ruffianità imprudente...che provocano, per la stanchezza e il caldo che patisce il corpo, la concupiscenza” Già per questa data - inizi del XIX secolo – nasceva la controdanza creola. In essa si trovano le cellule iniziali dell'habanera, il danzón, la guajira, la clave, la criolla e altre modalità della canzone cubana. Il valzer e la controdanza, portati dagli immigrati francesi, trovarono subito documento di cittadinanza fra di noi.
Parigi, nei decenni iniziali del XX secolo, fu uno dei primi scenari internazionali della musica cubana. La francia che tradizionalmente aveva ignorato l'America, comincia allora a interessarsi per le cose di questo continente ed è la musica cubana con Moisés Simons e Eliseo Grenet, di mezzo, quella che aprì questa porta. Sono i giorni de El manisero e di Mamá Inés una musica, dice Carpentier testimone di quella esplosione, che profumava a esterno di zuccherificio, a cortile di case popolari, a chioschi cinesi a mandorle tostate da premio...e che non era altro che il son e la conga che irrompevano in teatri e cabaret. Nel suo momento, Los Zafiros entusiasmarono al teatro Olimpia di Parigi e Dith Piaf conquisterà successi incondizionali nelel sue serate del cabaret Sans Souci.
Ancora nel 1977 il Teatro dei campi Elisi, di Parigi, servì da pista di decollo al cubano Jorge Luis Prats. Trascorreva il Ventisettesimo Concorso Internazionale Marguerite Long-Jaques Tibaud e questo pianista fenomenale era uno dei cinquantasette candidati di tredici Paesi che optavano per i riconoscimenti della gara. La giuria fu particolarmente severa con i concorrenti: dopo la prima eliminatoria ne rimasero solo undici e otto dopo la seconda. Nel terza selezione, quella definitiva, Prats ottenne il Primo Gran Premio Marguerite Long e con quattro dei cinque premi speciali della gara. Il permio che non vinse era destinato a riconoscere il miglior interprete di Rachmaninov e non venne assegnato. Prats non aveva portato al concorso nessuna opera di Rachmaninov.
La Francia disputa a Cuba la nazionalità dell'eminente urologo Joaquin Albarrán che donò alla sua natìa Sagua la Grande, città della regione centrale dell'Isola, la sua toga e il tòcco di professore della Sorbona. Il progetto dell'acquedotto dell'Avana, dell'ingegner Francisco de Albear ricevette, nel 1887, la Medaglia d'Oro all'Esposizione Internazionale di Parigi, una delle sette meraviglie dell'ingegneria civile cubana. Opere sociali e economiche importantinella vita cubana, come il tunnel dell'Avana e il tunnel della Quinta Avenida, furono eseguite da imprese francesi.
Lezama Lima che riconobbe come pochi la cultura francese, non andò mai in Francia. Il modernista Julián del Casal, seguace di Baudelaire e Verlaine, investe in un desiderato viaggio a Parigi l'esigua fortuna che gli lascia suo padre. Attraversa l'Atlantico, ma non passa dalla Spagna. Ha sognato tanto la capitale francese che teme che la realta lo deluda, che il suo sogno svanisca come il profumo di un fiore colto con le mani. Senza mai aver visto un originale di Moreau, casal può mettere in versi in Mi museo ideal, dieci quadri del francese; una delle migliori collezioni di sonetti che esiste nelle lettere cubane. José Martí, in cambio arriverà a parigi alla fine della sua prima deportazione in Spagna e conoscerà Victor Hugo. Il francese aveva appena pubblicato Mes fils e l'opera è al sensazionalità del momento. Martí ne acquista una copia e al suo ritorno in America, nella solitudine silenziosa dell'Atlantico, assiema all'aria di mare lo tonificano quelle riflessioni di Hugo sulla tristezza del proscritto e il piacere del sacrificio. Nel secolo scorso, Mariano Brull, farà una traduzione eccellente di Cimitero marino e La giovane parca di Paul Valery. Cintio Vitier mette in spagnolo le illuminazioni di Rimbau e Lezama lima assume la versione spagnola di Piogge, di Saint-John Perse. Sempre, dal XIX secolo, poeti nati a Cuba adottarono come propria la lingua di Francia e invece di scrivere in spagnolo, aspirarono a scrivere i loro nomi nelle lettere francesi. Figurano in questa linea José María de Heredia autore di Les Trophées. Anche Augusto da Armas, autore di Rimes byzantines e Armand Godoy, autore di oltre quaranta poemari scritti in francese e pubblicati in Francia. Frutto del talento di Godoy è la traduzione fedele e armoniosa di poemi di José Martí che dette a conoscere nel 1937. Un lavoro meritorio nell'insegnamento del francese è quello che svolge da molti anni l'Alianza Francesa, mentre, l'Unión Francesa, fondata nel 1925, si sforza per riunire i francesi residenti o di passaggio a Cuba.
La cucina francese è una degli affluenti di quella cubana. Ristoranti come Le Vendôme, Normandie, Mès Amìs, La Torre e sopratutto El Palcio de Cristal, mantennero all'Avana, già nel XX secolo, le glorie della cucina francese. Nonostante i cuochi stranieri fossero un'eccezione nelel case cubane, il milionario Oscar Cintas ebbe uno chéf francese nella sua residenza avanera perché servisse la sua tavola nei tre o quattro giorni l'anno che passava a Cuba. Lo ebbe anche Agustín Batista González de Mendoza. Nel 1949, il padrone di The Trust Company of Cuba, considerata una delle cinquecento entità bancarie del mondo, portò dalla Francia Sylvain Brouté che aveva lavorato per celebrità come i Rothschild, la principessa de la Tour D'Auvergue, il Conte de Vianne e Jacques Guerlain. Col tempo, Brouté, rescise il suo contratto con ala coppia Batista-Falla Bonet e aprì la sua propria attività, Sylavin Patisserie, dolci e buffet per cene fini di cibo francese e che dopo la morte del suo fondatore, diede origine a una catena di opifici di pane e dolci di successo. Un piatto caratteristico della cucina cubana, l'aragosta al caffé, nacque a Parigi e non pochi piatti francesi si sono “cubanizzati” all'Avana nell'introdurvi le nostre spezie nel loro confezionamento. Così l'aragosta termidor “cubanizzata” si condisce con aglio, peperoncino, formaggino e senape che le danno odore e sapore differente.
Dopo innumerevoli e infruttuosi tentativi, il 22 aprile del 1819 si tenne la fondazione della colonia Fernandina de Jagua (la odierna Cienfuegos, n.d.t.), con la presenza nel territorio del colonnello degli Eserciti Reali Juan Luis Lorenzo de Clouet e un gruppo di coloni francesi provenienti da Bordeaux, la luisiana e Filadelfia.
Fu l'unica cittò in america che, sotto la Corona Spagnola fu sognata disegnata e fondata da francesi, marchio che la sviluppa e si trasforma per la sua creazione e immagine alla città più “francesizzata” di Cuba. Mentre in America si produce l'espansione delle città esistenti o se ne fondano altre di minor importanza, è a Cienfuegos dove si raggiunge la materializzazione delle idee più moderne e illustri del XIX secolo che si esprime con l'integrazione del suo urbanismo e architettura, con la rottura coloniale della piazza, la chiesa il municipio e nell'esplosione delle nuove funzioni proprie della modernità, assieme alla sua stretta relazione con la baia che la avvolge, condiziona, qualifica.
Il suo perfetto ed elegante tracciato neoclassico a forma di scacchiera che si estende per tutto il perimetro urbano, costituisce una mostra eccezionale dell'rbanismo cubano e americano del XIX secolo al quale si aggiunge la ricchezza monumentale dei suoi spazi pubblici, i suoi edifici neoclassici, eclettici e di Art Decò, tutto ciò generatori di una grande omogeneità stilistica e costruttiva che definisce l'alto valore urbano e architettonico che ha ereditato il complesso.
Cienfuegos costituisce un'ineguagliabile congiunto di valori strettamente relazionati al mare, vero protagonista della sua ricchezza, identità fisica e spirituale dei cienfuegueros. Da lì che sia riconosciuta sia nazionalmente che internazionalmente come La Bella Città del Mare e la Perla del Sud. Detta baia, rifugio costante dei più famosi pirati e corsari del loro tempo fu battezzata, prima dell fondazione di Cienfuegos, come Il Grande Porto delle Americhe, soprannome che raccoglie le eccellenti condizioni della sua baia a forma di sacca, fonte di ispirazione e ricchezza, conchiglia che si apre al mondo con ampie possibilità ambientali, commerciali e turistiche.
Fu una città ricca e colta. La sua risorsa economica fondamentale era lo zucchero e manteneva un commercio intenso con l'estero. La sua borghesia parlava le lingue, educava i figli con istitutrici francesi prima di inviarli in Europa e passeggiava i suoi ozi in lussuose carrozze modello Principe Alberto.
Questo splendore di ieri si avverte oggi nel severo neoclassicismo di molti edifici dell'urbe. Il Teatro Sauto è una delle gioie dell'architettura cubana e la chiesa di San Pietro Apostolo è considerata come la costruzione neoclassica più bella del Paese. Niente uguaglia, nel continente la farmacia francese del dottor Triolet, convertita in museo.
Questo esercizio fu aperto al pubblico il 1° gennaio 1882. Fondata dai dottori Emilio Triolet, nato a Lissy, Francia, e Juan Fermín Figueroa, il cosiddetto re delle farmacie a Cuba, acquisì subito fama.
Durante la fine del XIX secolo e inizio del XX, mantenne rapporti commerciali con i laboratori più importanti del mondo. Triolet partecipò all Esposizione Universale di Parigi nel 1900 ottenendo la Medaglia di Bronzo con undici prodotti brevettati da lui. Nel 1964 l'esercizio fu nazionalizzato e convertito immediatamente in museo. Esibisce, fra gl altri oggetti originali, i suoi vasi di porcellana policroma, i libri dove si registravano le ricette e una valorosa collezione di etichette, così come il bancone del dispensario. A Trinidad si conserva la Casa del Corsaro, fu costruita nel 1754 dal capitano di corsa Carlos Merlin, di origine francese. A Trinidad all'epoca della corsa, c'era un quartiere intero, El Fotuto, abitato da corsari. Non bisogna dimenticare che con Bayamo e Remedios, Trinidad era base di corsari. Gilberto Girón, il corsaro di “Espejo de paciencia”, dette nome a una spiaggia della baia dei Porci, Playa Girón, scritta a colpi di sangue e eroismo nella storia della Rivoluzione e tutt'oggi all'Isola della Gioventù, ci sono persone che cercano i tesori, presumibilmente, nascosti da pirati e corsari nel territorio.
Crogiolo di culture, somma di incontri e disincontri – catalani al centro dell'emigrazione spagnola, africani di etnie diverse, francesi, haitiani, antillani in generale – la mescolanza è più aperta a Santiago de Cuba che nel resto del Paese e l'influenza negra resta un elemento essenziale.
C'è influenza francese nel suo folclore. La Tumba Francesa, uno dei centri culturali della città, è composta da discendenti di schiavi africani che ebbero padroni francesi e utilizzano elementi tradizionali di provenienza dahomeyana, mentre il Balletto Folkloristico Cutumba, da un tocco proprio alle radici haitiane e franco haitiane. Nella periferia della città sono visibili rovine di aziende di produzione e raccolta del caffè che erano di francesi. Il restauro di una di queste – La Isabelica, nei dintorni della Gran Piedra, roccia granitica che si eleva a oltre 1200 metri di altitudine – permette di vedere come viveva la famiglia proprietaria e come si ottenevano i raccolti. In questa regione si installarono molti francesi che fuggirono da Haiti dopo il trionfo della Rivoluzione e si dedicarono alla coltivazione del caffè. Il museo descrive la vita in queste tenute e gli strumenti utilizzati nelle coltivazioni. Fuori dall'edificio del museo sono situati gli essiccatoi, la mola e un acquedotto.
Più di 60 famiglie con cognomi francesi sono radicate a Baracoa. I loro antenati arrivarono a questa città nei giorni della rivoluzione haitiana. La giusta ira dei loro antichi schiavi li aveva privati di quasi tutto quello che possedevano nella vita, ma poterono scappare da Haiti con la testa sulle spalle e una volta a Baracoa propagarono i loro usi e costumi, la loro filosofia e letteratura e si dedicarono a controllare l'economia della regione. Rivitalizzarono l'industria zuccheriera locale che sparì in seguito e introdussero nuovi metodi e varietà nella semina del caffè.
Dietro a loro giunse a Baracoa, nel 1819, il dottor Enrìque Faber. Di bella presenza, simpatico, buon medico, il francese non smetteva di vantarsi della sua condizione di chirurgo negli eserciti napoleonici. La sua popolarità e fama crescevano giorno dopo giorno e non mancavano, naturalmente, le ragazze nubili – e alcune sposate – che sospiravano al suo passaggio e lo chiamavano col pretesto di qualunque, falsa, indisposizione improvvvisa.
Le preferenze del giovane medico non erano fra le sue compatriote, ma fra le giovani creole e fra loro, sembrava avere occhi per Juana de Leòn, una signorina a cui il viso brillva come una moneta appena coniata. Il dottor Faber si vide corrisposto, gli amori culminarono in matrimonio e come nelle favole gli sposi vissero felici fino a quando la notizia non si sparse per la città e dintorni, provocando l'intervento delle autorità locali.
Una schiava domestica vide più di quello che doveva e scoprì, spaventata, che il dottor Enrique Faber era una donna.
La giustizia, immediatamente mise in chiaro i fatti e una commissione di medici, gli stessi a cui il dottor Faber aveva sottratto la clientela, lo sottomise a un coscienzioso esame che confermò quello che la schiava stava proclamendo a i quattro venti.
Senz’altra alternativa, Enriqueta Faber rivelò la sua storia. Vedova, usurpò il nome e i documenti di suo marito che le aveva trasmesso le sue conoscenze di Medicina e una buona scorta di aneddoti dei suoi trascorsi nelle campagne bonapartiste e se ne andò a cercare fortuna per il mondo fino che sbarcò a Baracoa, dove la colonia francese lì residente poteva garantirle una clientela vasta e sicura.
La sanzione fu severa. La Chiesa annullò il matrimonio e la truffaldina fu rinchiusa nella Casa di Raccolta dell’Avana per diversi anni. Poi fu espulsa da Cuba.
Juana de León non rinunciò alle sue vanità del mondo, com’era da attendersi. Otto anni dopo l’incidente si sposò nuovamente, adesso sì, con un signore di retta e incorruttibile virilità.
Napoleone ha il suo palazzo all’Avana. È, nel suo genere, il museo più importante che esiste fuori dalla Francia. L’Imperatore non venne mai a Cuba; giunse però la sua maschera funebre. La portò Antonmarchi, il suo medico durante l’esilio a Sant Elena che visse e morì a Santiago de Cuba, dove venne inumato nel cimitero di Santa Ifigenia di questa città.
Ci visitò anche il Duca di Orleàns, futuro re di Francia col nome di Luigi Filippo I. Giunse in compagnia dei suoi fratelli, il Duca di Montpensier e il Conte Beaujolais. La visita dei principi di Orleans fu un avvenimento sociale. La Contessa di Jibacoa, loro anfitriona principale, mise la sua casa a disposizione dei francesi, pagò le loro spese e diede a Luigi Filippo, alla sua partenza da Cuba, una borsa con mille once d’oro.
Molto generoso fu anche don Martín Aróstegui y Herrera che somministrò ai principi, in qualità di prestito, una buona somma di denaro di cui poi rifiuto la restituzione. Si dice che Luigi Filippo si rivolgeva a lui come “Mon Chér Martin” e che gli inviò in regalo il ritratto di sua madre, la regina Luisa di Borbone-Pethievre, disegnato da David quando, nel 1938, il Principe di Joiunville, suo figlio, visitò l’Avana con quell’incarico.
Vive all’Avana Maria Antonietta di Francia. L’immaginario popolare situa il suo arrivo alla fine della decade degli anni ’20. Vestita di bianco, deambula senza testa lungo il Salone dei Passi Perduti del Campidoglio dell’Avana. Nessuno è riuscito a parlarle. È estremamente paurosa e fugge davanti agli estranei.
La huella francesa
Ciro Bianchi Ross.
Palabras de Ciro Bianchi Ross en la inauguración del evento teórico de
la 34 Feria Internacional de Turismo, dedicado a Francia. La Habana,
mayo 7 de 2014
Hubo un tiempo en Cuba en que las prostitutas francesas eran las
preferidas. Más elegantes y perfumadas, menos vulgares, se alzaban
como maestras en prácticas como la del sexo oral entonces todavía
desconocidas entre los amantes cubanos. Las había austriacas,
italianas, canadienses, belgas, alemanas... pero todas eran francesas
para los del patio. Una de ellas, la pequeña Berta, la mujer más bella
que hubo jamás en la zona de tolerancia de San Isidro, fue el
detonante de la guerra que en dicha barriada habanera sostuvieron
proxenetas franceses y cubanos. En aquella contienda --la llamada
guerra de las portañuelas-- encontraron la muerte Louis Lotot y
Alberto Yarini, el rey de los chulos cubanos.
Los ideales de <
Revolución Francesa, mueven desde temprano el movimiento
revolucionario y anticolonialista de la Isla. Numeroso es el grupo de
cubanos que, en tiempos de España, encuentra, por sus ideas, refugio
en Francia, y lo mismo sucederá bajo la dictadura machadista. El
primer condenado a muerte por el delito de infidencia fue un enviado
por José Bonaparte a subvertir el orden en la colonia.
Ya para entonces, y hasta bien entrada la primera mitad del siglo XX,
París, y no Nueva York, será la meca de la aristocracia y la burguesía
cubanas. Una noche, en las Tullerías, Napoleón III se arrojará, muerto
de amor, a los pies de la cubana Serafina Montalvo, III Condesa de
Fernandina, con fama de ser una de las cubanas más bellas de su
tiempo. Marta Abreu y Luis Estévez y Romero mantendrán una fastuosa
mansión en París. La de Rosalía Abreu se convierte, por decisión
expresa de su propietaria, en La Casa Cuba, albergue de estudiantes
cubanos que cursan estudios en La Sorbona. Tiene también casa en París
el matrimonio Baró-Lasa. El poeta Saint John-Perse, Premio Nóbel de
Literatura, tendrá, más acá en el tiempo, relaciones amorosas con una
distinguida joven cubana, Lilita Sánchez Abreu, a la que dedicará su
poema <>. Lil y el escritor francés se conocieron en
1932 y <> fue el regalo de despedida que el poeta le
hizo cuando, años después, se separaron por última vez, en
Washington. Sin embargo, Perse no olvidó nunca a la cubana y todavía
en 1953 le hacía llegar este mensaje: <
En la residencia parisina de la cubana María de las Mercedes Santa
Cruz y Montalvo, la muy célebre Condesa de Merlin, que fue amante, se
dice, del príncipe Jerónimo Bonaparte, alternan Víctor Hugo y
Lamartine, Musset y Rossini. También María Malibrán, la famosa
cantante. París es el escenario de los grandes éxitos iniciales de
Claudio José Brindis de Salas, el Paganini negro, como se le llamó, y
allí otro cubano, José White, autor de La bella cubana, llegaría a
sustituir a Jean Delphine Alard en su cátedra del Conservatorio de
París. La pintura moderna comienza en Cuba luego de la estancia
parisina de Víctor Manuel, y Alejo Carpentier escribirá en francés
relatos surrealistas hasta que siente la necesidad imperiosa de
expresar lo americano en su obra.
Vagabundos del alba serán en París el pintor Carlos Enríquez y el
poeta Félix Pita Rodríguez antes de que lo fuera toda una legión de
escritores y artistas cubanos que se deslumbran con Sartre y sus
páginas sobre el compromiso intelectual, siguen con simpatía la guerra
de liberación argelina y se entusiasman con la Nueva Ola, gente que
prefiere el rostro demacrado de Simone Signoret con un cigarrillo
colgando de los labios bajo una farola opaca a la inmaculada y
saludable Doris Day hablando por un teléfono blanco.
Espejo de paciencia, escrito en 1608 y que es el monumento más
antiguo de las letras cubanas que ha llegado hasta nosotros, tiene a
un francés como uno de sus protagonistas. Se trata de un personaje
real, el corsario Gilberto Girón.
Los hechos que canta el poema épico-histórico Espejo de paciencia
sucedieron realmente en 1604. El secuestro de fray Juan de las Cabezas
Altamirano, Obispo de Cuba, por el corsario francés Gilberto Girón
cerca de las costas de Manzanillo. El Obispo logra ser rescatado
mediante el pago de un cuantioso rescate --dinero, carne, tocino y
cueros. Entonces un grupo de veinticuatro criollos y españoles decide
lavar la afrenta y lo consigue. Se enfrenta a las fuerzas del francés
y el negro esclavo Salvador Golomón da muerte al corsario, por lo que
se le otorga la libertad. Ya para entonces, en 1555, otro corsario
francés, Jacques de Sores, se había apoderado de La Habana y la
destruyó antes de abandonarla.
A fines del siglo XVIII aparecía en Cuba la contradanza como
consecuencia de la influencia francesa en las cortes españolas y la
llegada de los primeros colonos franceses de Haití y Louisiana. En
1794, El Papel Periódico de La Habana, una de nuestras primeras
publicaciones periódicas, reseña un baile oficial que comienza con un
minué y prosigue con la contradanza. Años más tarde, en 1809, un
artículo publicado en El Aviso de La Habana, recuerda la enemistad
política que existe en ese momento entre España y Francia y arremete
contra los bailes de origen francés. De la contradanza dice que es
<
baile, prosigue, que es, en su esencia, diametralmente contrario al
cristianismo, <
nacía la contradanza criolla. En ella se encuentran las células
iniciales de la habanera, el danzón, la guajira, la clave, la criolla
y de otras modalidades de la canción cubana. El vals y la contradanza
traídos por los inmigrantes franceses tuvieron pronto carta de
ciudadanía entre nosotros.
Es París, en las décadas iniciales del siglo XX, uno de los primeros
escenarios internacionales de la música cubana. Francia que
tradicionalmente había ignorado a América, empieza entonces a
interesarse por las cosas de este continente y es la música cubana,
con Moisés Simons y Eliseo Grenet por medio, la que abrió esa puerta.
Son los días de El manisero y de Mamá Inés, una música, dice
Carpentier, testigo de aquella explosión, que olía a batey de ingenio,
a patio de solar, a puesto de chinos, a pirulí premiado... y que no era
más que el son y la conga que irrumpían en teatros y cabarets. En su
momento, Los Zafiros arrebatarían en el teatro Olimpia, de París, y
Edith Piaf conquistaría nuevos incondicionales en sus noches del
cabaret Sans Souci.
Todavía en 1977 el Teatro de los Campos Elíseos, de París, sirvió de
pista de despegue al cubano Jorge Luis Prats. Transcurría el Vigésimo
Séptimo Concurso Internacional Margueritte Long-Jacques Tibaud y ese
pianista fenomenal era uno de los cincuenta y siete candidatos de
trece países que optaban por los galardones del certamen. El jurado
fue particularmente severo con los concursantes: solo once de ellos
quedaron después de la primera eliminatoria, y ocho después de la
segunda. En la tercera ronda, la definitiva, Prats se alzó con el
Primer Gran Premio Margueritte Long y con cuatro de los cinco premios
especiales de la competencia. El galardón que no conquistó estaba
destinado a reconocer al mejor intérprete de Rachmáninov, y quedó
desierto. Prats no había llevado a concurso ninguna obra de
Rachmáninov.
Francia disputa aún a Cuba la nacionalidad del eminente urólogo
Joaquín Albarrán, que legó a su natal Sagua la Grande, ciudad de la
región central de la Isla, su toga y su birrete de profesor de La
Sorbona. Medalla de Oro en la Exposición Internacional de París
obtuvo, en 1887, el proyecto que el ingeniero Francisco de Albear
realizó para el acueducto de La Habana, una de las siete maravillas de
la ingeniería civil cubana. Obras sociales y económicas importantes
en la vida cubana, como el túnel de La Habana y el túnel de la Quinta
Avenida, fueron ejecutadas por empresas francesas.
Lezama Lima, que conoció como pocos la cultura francesa, no estuvo
nunca en Francia. El modernista Julián del Casal, seguidor de
Baudelaire y Verlaine, invierte en un ansiado viaje a París la exigua
fortuna que le lega su padre. Cruza el Atlántico, pero no pasa de
España. Ha soñado tanto con la capital francesa que teme que la
realidad lo desilusione, que su ensueño se desvanezca como el aroma de
una flor cogida con la mano. Sin haber visto nunca un original de
Moreau, Casal puede llevar al verso, en Mi museo ideal, diez cuadros
del francés; una de las mejores colecciones de sonetos que existe en
las letras cubanas. José Martí, en cambio, llegará a París al final de
su primer destierro, en España, y conocerá a Víctor Hugo. Acababa el
francés de publicar Mes fils, y la obra es la sensación literaria del
momento. Martí se hace de su ejemplar y en su retorno a América, en la
soledad silenciosa del Atlántico, lo tonifican, junto al aire de mar,
aquellas reflexiones de Hugo sobre la tristeza del proscrito y el
placer del sacrificio. En el siglo pasado Mariano Brull hará una
traducción excelente de Cementerio marino y La joven parca, de Paul
Valery. Cintio Vitier pone en español las Iluminaciones, de Rimbau. Y
Lezama Lima asume la versión española
de Lluvias, de Saint-John Perse. Hubo siempre, desde el siglo XIX,
poetas nacidos en Cuba que adoptaron como propio el idioma de Francia
y, en lugar de escribir en español, aspiraron a incorporar su nombre a
las letras francesas. Figuran en esa línea José María de Heredia,
autor de Les Trophées. También Augusto de Armas, autor de Rimes
byzantines, y Armand Godoy, autor de más de cuarenta poemarios
escritos en francés y publicados en Francia. Fruto del talento de
Godoy es la traducción fiel y armoniosa de poemas de José Martí que
dio a conocer en 1937. Una labor meritoria en la enseñanza del francés
acomete desde hace muchos años la Alianza Francesa, en tanto que la
Unión Francesa, fundada en 1925, se esfuerza por agrupar a franceses
residentes o de paso por Cuba.
La cocina francesa es uno de los afluentes de la cubana. Restaurantes
como Le Vendome, Normandie, Mes Amis, La Torre y, sobre todo, El
Palacio de Cristal, mantuvieron en La Habana, ya en el siglo XX, las
glorias de la cocina francesa. Pese a que los cocineros extranjeros
eran excepción en las casas cubanas, el millonario Oscar Cintas tuvo
un chef francés en su residencia habanera para que atendiera su la
mesa en los tres o cuatro días que cada año pasaba en Cuba. También lo
tuvo Agustín Batista González de Mendoza. En 1949, el dueño de The
Trust Company of Cuba, considerado uno de las quinientas entidades
bancarias más importantes del mundo, trajo de Francia a Sylvain Brouté
que había trabajado para celebridades como los Rothschild, la Princesa
de la Tour D' Auvergue, el Conde de Vianne y Jacques Guerlain. Con el
tiempo, Brouté rescindió su contrato con el matrimonio Batista-Falla
Bonet y abrió su propio negocio, Sylvain Patisserie, repostería y
buffet de comida fina francesa que, ya muerto su fundador, daría
origen a una exitosa cadena de establecimientos de pan y dulces. Un
plato emblemático de la cocina cubana, la langosta al café, nació en
París, y no pocos platos franceses se cubanizaron en La Habana al
incorporárseles nuestras especias en su confección. Así, la langosta
termidor cubanizada se sazona con ajo, ají guaguao, tomillo y mostaza
que le dan sabor y olor diferentes.
Luego de innumerables e infructuosos intentos, el 22 de abril de 1819
se efectuó la fundación de la colonia Fernandina de Jagua, con la
presencia en el territorio del coronel de los Reales Ejércitos Juan
Luis Lorenzo De Clouet y un grupo de colonos franceses procedentes de
Burdeos, Luisiana y Filadelfia.
Fue la única ciudad de América que bajo la Corona Española fue soñada,
diseñada y fundada por franceses, sello que la fomenta y se convierte
por su creación e imagen en la ciudad más afrancesada de Cuba.
Mientras en América se produce la expansión de sus ciudades ya
existentes o se fundan otras de menor importancia, es en Cienfuegos
donde se alcanza la materialización de las ideas más modernas e
ilustradas del siglo XIX, que se expresa con la integración de su
urbanismo y arquitectura, con la ruptura colonial de la plaza, la
iglesia y el cabildo y en la explosión de las nuevas funciones propias
de la modernidad, junto a su estrecha relación con la bahía que la
envuelve, condiciona y cualifica.
Su elegante y perfecto trazado neoclásico en forma de tablero de
ajedrez, que se extiende por todo su perímetro urbano, constituye un
exponente excepcional del urbanismo cubano y americano del siglo XIX,
al que se suma la riqueza monumental de sus espacios públicos y sus
edificaciones neoclásicas, eclécticas y de Art Deco, todas ellas,
generadoras de una gran homogeneidad estilística y constructiva, que
define el alto valor urbano y arquitectónico que tiene el conjunto
heredado.
Cienfuegos constituye un inigualable conjunto de valores estrechamente
relacionados con el mar, verdadero protagonista de su riqueza e
identidad física y espiritual de los cienfuegueros. De ahí que sea
reconocida nacional e internacionalmente como la Linda Ciudad del Mar
y la Perla del Sur. Dicha bahía, refugio constante de los más
connotados corsarios y piratas de su tiempo, fue bautizada desde antes
de la fundación de Cienfuegos como el Gran Puerto de las Américas,
sobrenombre que recoge las excelentes condiciones de su bahía del
bolsa, fuente de inspiración y riquezas, concha que se abre al mundo
con amplias posibilidades ambientales, comerciales y turísticas.
Fue una urbe rica y culta. Su rubro económico fundamental era el
azúcar y mantenía un comercio intenso con el exterior. Su burguesía
dominaba idiomas, educaba a sus hijos con institutrices francesas
antes de enviarlos a Europa y paseaba sus ocios en lujosos coches
modelo Príncipe Alberto.
Ese esplendor de ayer se advierte hoy en el severo corte neoclásico de
muchas de las edificaciones de la urbe. El Teatro Sauto es una de las
joyas de la arquitectura cubana, y la iglesia de San Pedro Apóstol
está considerada como la construcción neoclásica más bella del país.
Nada iguala en el continente a la farmacia francesa del doctor
Triolet convertida en museo. Este establecimiento abrió al público el
1 de enero de 1882. Fundada por los doctores Emilio Triolet, nacido en
Lissy, Francia, y Juan Fermín Figueroa, el llamado Rey de las boticas
de Cuba, ganó rápidamente merecida fama.
Durante los finales del siglo XIX y comienzos del XX mantuvo nexos
comerciales con los laboratorios más importantes del mundo. Triolet
participó en la Exposición Universal de Paris en 1900 obteniendo
Medalla de Bronce con once productos patentados por él. En 1964 el
establecimiento fue nacionalizado y convertido en museo de inmediato.
Muestra, entre otros objetos originales, sus frascos de porcelana
policromada, los libros donde se asentaban las recetas y una valiosa
colección de etiquetas, así como la mesa dispensarial.
Se conserva en Trinidad la Casa del Corsario. Fue construida en 1754
para el capitán de corsario Carlos Merlin, de origen francés. En
Trinidad, en la época del corso, había un barrio entero, El Fotuto,
habitado por corsarios. No hay que olvidar que junto a Bayamo y
Remedios, Trinidad era base de corsarios. Gilberto Girón, el corsario
de Espejo de paciencia, dio nombre a una playa de la bahía de
Cochinos, Playa Girón, escrita a golpe de sangre y heroísmo en la
historia de la Revolución, y todavía, en la Isla de la Juventud, hay
pineros que buscan los tesoros que supuestamente enterraron piratas y
corsarios en su territorio.
Crisol de culturas, suma de encuentros y desencuentros --catalanes en
el centro de la emigración española, africanos de etnias diversas,
franceses, haitianos, antillanos en general-- el mestizaje es en
Santiago de Cuba más abierto que en el resto del país y la influencia
negra resulta un elemento insoslayable.
Hay ascendencia francesa en su folclor. La Tumba Francesa, uno de los
focos culturales de la ciudad, la componen descendientes de esclavos
africanos que tuvieron amos franceses y utilizan elementos
tradicionales de procedencia dahomeyana, mientras que el Ballet
Folclórico Cutumba, da un toque propio a las raíces haitianas y franco
haitianas. En las afueras de la ciudad son visibles ruinas de
cafetales franceses. El rescate de uno de ellos --La Isabelica, en los
alrededores de La Gran Piedra, roca granítica que se eleva a más de 1
200 m de altitud-- permite ver cómo vivía la familia propietaria y cómo
se obtenían las cosechas. En esa región se instalaron muchos franceses
que huyeron de Haití tras el triunfo de la revolución y se dedicaron
al cultivo del café. El museo describe la vida en esas haciendas y los
instrumentos utilizados en los cultivos. Fuera del edificio del museo
están situados los secaderos, la tahona y un acueducto.
Más de 60 familias con apellidos franceses radican hoy en Baracoa. Sus
antecesores llegaron a esta villa en los días de la revolución
haitiana. La justa ira de sus antiguos esclavos los había privado de
casi todo lo que poseían en la vida, pero pudieron escapar de Haití
con la cabeza sobre los hombros, y ya en Baracoa propagaron sus modas
y costumbres, su filosofía y su literatura y se dedicaron a controlar
la economía de la región. Revitalizaron la industria azucarera local,
que desapareció luego, e introdujeron nuevos métodos y variedades en
la siembra del café.
Tras ellos llegó a Baracoa, en 1819, el doctor Enrique Faber. Bien
parecido, simpático, buen médico, el francés no cesaba de jactarse de
su condición de cirujano en los ejércitos napoleónicos. Su popularidad
y fama crecían por día, y no faltaban, por supuesto, las muchachas
casaderas --y algunas casadas-- que suspiraban a su paso y lo hacían
venir con el pretexto de cualquier fingida indisposición repentina.
Las preferencias del joven galeno no estaban entre sus compatriotas,
sino entre las criollitas y, de ellas, solo parecía tener ojos para
Juana de León, una señorita a quien la cara le relucía como una moneda
recién acuñada. El doctor Faber se vio correspondido, los amores
concluyeron en matrimonio y, como en los cuentos, los esposos vivieron
muy felices hasta que la noticia se regó por la ciudad y sus contornos
y provocó la intervención de las autoridades locales.
Una esclava doméstica vio más de lo que debía, y descubrió, espantada,
que el doctor Enrique Faber era en verdad una mujer.
La justicia, de inmediato, puso en claro los hechos, y una junta de
médicos, los mismos a los que el doctor Faber había venido
quitándoles la clientela, lo sometió a un concienzudo reconocimiento
que corroboró lo que la esclava proclamaba a los cuatro vientos.
Sin otra alternativa, Enriqueta Faber reveló su historia. Viuda,
usurpó el nombre y los documentos de su esposo, que le había
trasmitido sus conocimientos de Medicina y una buena provisión de
anécdotas de sus andanzas en las campañas bonapartistas, y salió a
probar suerte por el mundo hasta que carenó en Baracoa, donde la
colonia francesa allí asentada podía garantizarle una clientela vasta
y segura.
La sanción fue severa. La Iglesia anuló el matrimonio y la plagiaria
fue internada en la Casa de Recogidas de La Habana durante varios
años. Luego, la expulsaron de Cuba.
Juana de León no renunció a las vanidades del mundo, como era de
esperarse. Ocho años después del incidente casó de nuevo, ahora, eso
sí, con un señor de recta e insobornable virilidad.
Napoleón tiene su palacio en La Habana. Es, en su tipo, el más
importante museo que existe fuera de Francia. Nunca estuvo el
Emperador en Cuba; llegó, sí, su mascarilla. La trajo Antommarchi, su
médico durante el cautiverio de Santa Elena, que vivió y murió en
Santiago de Cuba y fue inhumado en el cementerio de Santa Ifigenia, de
esa ciudad.
Nos visitó asimismo el Duque de Orleáns, futuro rey de Francia con el
nombre de Luis Felipe I. Llegó en compañía de sus hermanos, el Duque
de Montpensier y el Conde Beaujolais. La visita de los príncipes de
Orleáns fue un acontecimiento social. La Condesa de Jibacoa, su
principal anfitriona, puso su casa a disposición de los franceses,
pagó sus gastos y dio a Luis Felipe, a su salida de Cuba, una bolsa
con mil onzas de oro.
Muy generoso fue asimismo don Martín Aróstegui y Herrera, que
suministró a los príncipes en calidad de préstamo una bonita suma de
dinero cuya devolución se negó a aceptar. Se dice que Luis Felipe se
dirigía a él como Mon Cher Martín y que le envió de regalo el retrato
de su madre, la reina Luisa de Bourbon-Penthiévre, dibujado por David,
cuando en 1838, el Príncipe de Joiunville, su hijo, visitó La Habana
con dicha encomienda.
Vive en La Habana María Antonieta de Francia. El imaginario popular
sitúa su arribo a fines de la década de 1920. Vestida de blanco,
deambula sin cabeza por el Salón de los Pasos Perdidos del Capitolio
de La Habana. Nadie ha conseguido hablarle. Es extremadamente
asustadiza y huye ante los extraños.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
giovedì 8 maggio 2014
mercoledì 7 maggio 2014
martedì 6 maggio 2014
Il Medico de la Salsa, Manolin, visita LatitudCuba
Oggi, abbiamo la gradita visita del musicista Manuel González Hernández, meglio conosciuto come Manolín el Medico de la Salsa, attualmente residente a Miami.
lunedì 5 maggio 2014
I fatti di Orfila (I), di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 4/5/14
Il lunedì, 15 settembre del 1947, la residenza del comandante Antonio Morín Dopico, già cessato dalle sue funzioni di Capo della Polizia di Marianao, fu assaltata da forze agli ordini del comandante Mario Salabarría. L’aggressione, respinta dagli assediati, si protrasse per quasi tre ore e per farla smettere ci volle l’intervento di truppe dell’Esercito che intervennero sul luogo con 20 carri armati e camion blindati. Una vera battaglia campale nella quale, tra gli altri, morirono dopo essersi arresi e già fuori dalla casa, il comandante Emilio Tro e la signora Aurora Soler de Morín, in stato di gravidanza. “Ho sempre creduto che l’espressione ‘cortina di fuoco’ non fosse altro che una frase letteraria; adesso so che è una terribile realtà”, dichirò alla stampa un testimone oculare del fatto.
La giustizia tarda, ma arriva
Come tanti altri, Tro e Salabarría emersero alla luce pubblica dopo dell’ascesa al potere, nel 1944, di Ramón Grau San Martín, quando molti lottatori anti machadisti presentarono il conto all’Autenticismo con richiesta di risarcimenti o gli reclamavano di mantenere le promesse politiche per le quali avevano lottato. Immediatamente si moltiplicarono i cosiddetti “gruppi d’azione”, che dirimevano le loro differenze a colpi d’arma da fuoco e spazzavano i loro avversari. I politici animarono questi gruppi, li armarono e allo stesso tempo stimolavano le loro rivalità. Tro – capo dell’Unione Insurrezionale Rivoluzionaria (UIR) – si mostrò contrario al gruppo di Orlando León Lemus (il Rosso) e non accettò l’autorità di Salabarría.le differenze si acutizzarono quando il presidente lo nominò direttore dell’Accademia della Polizia Nazionale e Tro insistette per stabilire il suo studio nello stesso edificio dove Salabarría, capo del Servizio di Investigazioni e Informazioni Straordinarie, aveva i suoi uffici. Il nome di Tro era vincolato all’attentato della calzada di Ayestarán del 26 maggio del 1947, dal quale il Rosso uscì illeso miracolosamente.
Raúl Aguiar assicura nel suo libro El bonchismo (gioco d’azzardo, nd.t.) y el gangsterismo en Cuba che Emilio Tro Rivero proveniva dal trozkismo; appartenne nel 1933 alla frazione trozkista del Sindacato del Commercio. Fu imprigionato, accusato di “riunione illecita” e due anni più tardi, per la sua partecipazione allo sciopero di marzo, i tribunali lo condannarono a 90 giorni di carcere per “associazione illegale” e ad altri nove mesi di prigione per il delitto di sabotaggio. Una volta in libertà, entrò in contatto con la Giovane Cuba, l’organizzazione fondata da Antonio Guiteras e si relazionò con il Vecchio García (José María García), che per decenni mantenne nascosti i resti del martire del Morrillo e del suo compagno, il venezuelano Carlos Aponte. Smembrata Giovane Cuba, milita nell’Alleanza Nazionale Rivoluzionaria fino a che Pedro Fajardo Boheras (Manzanillo) lo conduce all’Azione Rivoluzionaria Guiteras, assieme ad Arcadio Méndez e Jesús González Cartas (lo Strano), gruppo che si distingue nel suo confronto col regime batistiano e nel quale militavano il Rosso e Rogelio Hernández Vega (Cucú) fino alla sua espulsione per uscire dalla disciplina e la linea di condotta di detta organizzazione.
La morte di Manzanillo, assassinato a sangue freddo, praticamente sulla porta di casa in Libertad e Poey, alla Víbora, il 31 dicembre del 1941 da parte di un gruppo della polizia al comando di Mariano Faget, obbliga Tro a uscire da Cuba. Già da allora, si dice, aveva preso parte all’attentato a Orestes Ferrara. Si reca negli Stati Uniti, si arruola nell’esercito nordamericano e come parte di questa forza, sbarca nel “D Day” in Normandia e una volta finita la guerra, rimane quattro mesi in Giappone come parte delle truppe di occupazione. Viene congedato con onore.
Al suo ritorno, assieme ad Armando Correa e Jesús Diéguez, fonda l’Unione Insurrezionale Rivoluzionaria (UIR) che che propugna la disposizione dei gruppi rivoluzionari alla lotta e proclama l’incapacità del capitalismo di soddisfare le necessità della maggioranza. La nuova organzizzazione ha un motto: “La giustizia arriva tardi, ma arriva”. Il suo fondatore è convinto che “la giustizia che sanziona nei codici e le leggi, è che non arriva alle teste indegne dei funzionari che rubano, uccidono e torturano cercando di soffocare la ribellione giustificata”.
Il funzionamento della UIR – sottolineava Tro – era incamminata a raggiungere la sanzione dei responsabili di disordini e uccisioni tanto del Governo di Machado come quello di Batista a partire dal 1933, al fine di disciplinare la società. Il programma dell’organizzazione era diretto al rafforzamento delle pubbliche libertà, l’onestà amministrativa, una vera giustizia sociale, un’economia socializzata e una cultura integrale che arrivasse agli umili.
Il Nemico Pubblico n° 1
Da Pro Legge e Giustizia, sorta ai tempi di Machado, nasce l’Esercito del Caribe che appoggerà Grau nel suo primo Governo (1933-34) armi alla mano. La caduta di Grau, il 15 gennaio, defenestrato da Batista, spinge un’altra volta questi lottatori alla clandestinità. Si disperdono in diversi gruppi, fra questi la Legione Rivoluzionaria di Cuba che vuole proseguire il cammino dell’insurrezione armata. In essa militano Mario Salabarría e suo fratello Julio, Roberto Meoqui, Manolo Castro e Armando Leyva, fra gli altri. Il colonnello José Eleuterio Pedraza, capo della Polizia all’Avana li perseguì con accanimento durante lo scipero del marzo 1935 ed è allora, - afferma Raúl Aguiar nel citato libro – che il gruppo si converte in una organizzazione insurrezionale che attuerà con il motto “Per la liberazione economica, politica e sociale di Cuba”.
È Salabarría che mantiene la linea insurrezionale con maggior forza e spinta. Le sue lotte cominciarono nel 1930 ed emerse come uomo d’azione tra il 1933, quando Batista assunse il comando dell’Esercito, fino al 1944 quando abbandona la presidenza della Repubblica. Fu in questo periodo che Salabarría si guadagnò il soprannome di Nemico Pubblico n°1, che gli dettero i machadisti e batistiani. Diceva di avere un programma che lo avrebbe portato a eliminare ogni male che si doveva togliere dalla società, “quello che precipiterebbe gli eventi di un periodo di grandi realizzazioni per il pieno godimento della Giustizia, del Progresso e della libertà per tutti gli uomini in ugual misura”.
Al accedere Grau al potere, nel 1944, Salabarría assunse col grado di Comandante, il comando del Servizio di Investigazioni e Informazioni Straordinarie della Polizia Nazionale, con sede nella calle Sarabia. Un incarico che crebbe la fama della sua rettitudine e onestà, sopratutto quando accusò pubblicamente Alberto Inocente Álvarez, ministro del Commercio del presidente Grau, di essere al centro di un affare losco per lo scambio di zucchero cubano con grasso argentino che procurò ai funzionari cubani un guadagno milionario che passò sottobanco. L’accusa provocò una risposta irritata del presidente. Disse. “ Me ne vado prima io che Inocente”, ma dovette rimuoverlo dopo una mozione di sfiducia alla Camera dei Rappresentanti, contro il funzionario. Un movimento orizzontale: lo dimise dal Commercio e lo nominò Cancelliere, cosa che per una casuale carambola propiziò che Alberto Inocente presiedesse il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Fu Salabarría che chiarì il caso dell’omicidio del figlio di Martínez Sáenz, senatore e ministro senza portafoglio. Un ragazzo di soli 15 anni d’età impallinato nella Quinta Avenida il 6 settembre del 1946, la cui morte commosse la società cubana. Salabarría arrestò e ottenne la confessione dell’autore intellettuale del crimine, il milionario Enrique Sánchez del Monte, proprietario dello zuccherificio Santa Lucía. Fu un arresto illegale, seguito dal sequestro in una tenuta di Santa María del Rosario, la cui confessione fu ottenuta “a colpi di convincimento”.
Salabarría non era tanto probo come voleva far credere. Pareva che lottasse contro la borsa nera e si venne a sapere che era immerso in operazioni perfettamente organizzate che cominciavano con la confisca illegale delle merci nei magazzini della Dogana e finiva con la transazione amichevole tra le parti in conflitto. Verrà alla luce il sequestro del presidente dei magazzinieri di alimenti alla vigilia di un viaggio in Spagna. Lo accusarono di essere immerso fino al collo nella borsa nera e gli chiesero 100.000 pesos in cambio della sua rimessa in libertà con la promessa di lasciarlo fare e disfare, inoltre, un gioco d’azzardo fraudolento. Se non “collaborava”, lo avrebbero fatto sparire. Avrebbero fatto credere che si fosse imbarcato sulla nave che lo avrebbe portato in Europa, ma che non sarebbe arrivato da nessuna parte seminando, tra i famigliari, amici e clienti, l’idea che si sarebbe buttato in mare durante la traversata.
Il tenutario del gioco d’azzardo
Antonio Morín Dopico, per parte sua, proveniva dal gioco d’azzardo universitario. Nonostante fosse stao assolto, lo si supponeva implicato nella morte del professor Ramiro Valdés Daussá, nel 1940. Il senatore Félix Lancís, all’epoca primo ministro nel gabinetto di Grau propose Morín come capo della polizia nel municipio di Marianao e Grau fu d’accordo nel dargli questa opportunità perché si “rigenerasse”.
Rimase sempre il sospetto che il tenutario continuasse ad esserlo. Quando, nel 1945, José Noguerol Conde, uno dei sentenziati per la morte di Valdés Daussá, riusca fuggire dalla sala dei condannati dell’ospedala Calixto García, si suppose che Morín non fosse alieno all’evasione e che era stato parte essenziale nella sua preparazione.
Il 24 maggio dello stesso anno, forze dell’Esercito perquisirono una casa da giocoin San Celestino, tra Sarná e Reál, a Marianao e arrestarono18 persone, quasi tutte con precedenti penali. Sequestrarono due roulettes, quattro tavoli da poker e di baccarat, 36 sgabelli, 70 mazzi di carte, 4786 fiches, due thermos di caffè e 40 tazze servite.
Gia da un mese prima si giocava giorno e notte in questa casa con l’autorizzazione del comandante Antonio Morín Dopico che, venendo a sapere della perquisizione del covo e dell’arresto dei giocatori, volle liberarli a punta di mitragliatrice.
L’alleanza tra Morín e Tro era, sopratutto, strategica: entrambi erano nemici di Salabarría.
Blas Roca, Segretario Generale del Partito Socialista Popolare e rappresentante alla Camera, aveva già avvertito che quelle nomine ad incarichi di polizia di capi e membri di bande avrebbero procurato conseguenze fatali per la sicurezza cittadina e lo svolgersi della politica nella nazione. (Continua)
Los sucesos de Orfila (I)
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
3 de Mayo del 2014 18:42:17 CDT
El lunes 15 de septiembre de 1947 la residencia del comandante Antonio Morín Dopico, cesado ya en sus funciones de jefe de la Policía de Marianao, fue asaltada por fuerzas a las órdenes del comandante Mario Salabarría. La agresión, repelida por los sitiados, se prolongó durante casi tres horas, y para detenerla se impuso la intervención de tropas del Ejército, que acudieron al lugar con 20 tanques y camiones blindados. Una verdadera batalla campal en la que, entre otros, resultaron muertos, después de haberse rendido, y ya fuera de la casa, el comandante Emilio Tro y la señora Aurora Soler de Morín, en estado de gestación. <>, declaró a la prensa un testigo presencial del suceso.
La justicia tarda, pero llega
Como otros tantos, Tro y Salabarría emergieron a la luz pública después del ascenso al poder, en 1944, de Ramón Grau San Martín, cuando muchos luchadores antimachadistas pasaron factura al Autenticismo en demanda de compensaciones o le reclamaron el cumplimiento de los postulados políticos por los que lidiaron. Pronto se multiplicaron los llamados <>, que dirimían sus diferencias a tiro limpio y barrían a sus adversarios. Los políticos animaron esos grupos, los armaron y, al mismo tiempo, estimularon sus rivalidades. Tro --jefe de la Unión Insurreccional Revolucionaria
(UIR)-- se mostró contrario al grupo de Orlando León Lemus (el
Colorado) y no acató la autoridad de Salabarría. Las diferencias se agudizaron cuando el Presidente lo nombró director de la Academia de la Policía Nacional y Tro insistió en instalar su despacho en el mismo edificio donde Salabarría, jefe del Servicio de Investigaciones e Informaciones Extraordinarias, tenía sus oficinas. El nombre de Tro se vinculaba al atentado de la calzada de Ayestarán, el 26 de mayo de 1947, del que el Colorado salió milagrosamente ileso.
Asegura Raúl Aguiar en su libro El bonchismo y el gangsterismo en Cuba que Emilio Tro Rivero provenía del trotskismo; había pertenecido en
1933 a la fracción trotskista del Sindicato de Comercio. Fue preso, acusado de <>, y dos años más tarde, por su participación en la huelga de marzo, los tribunales lo condenaban a 90 días de cárcel por <> y a otros nueve meses de encierro por el delito de sabotaje. Ya en libertad, entró en contacto con Joven Cuba, la organización fundada por Antonio Guiteras, y se relacionó con el Viejo García (José María García), que durante décadas mantuvo escondidos los restos del mártir del Morrillo y de su compañero, el venezolano Carlos Aponte. Desmembrada Joven Cuba, milita en Alianza Nacional Revolucionaria hasta que Pedro Fajardo Boheras
(Manzanillo) lo lleva a Acción Revolucionaria Guiteras, junto con Arcadio Méndez y Jesús González Cartas (el Extraño), grupo que se destaca en su enfrentamiento al régimen batistiano, y en el que militarán el Colorado y Rogelio Hernández Vega (Cucú) hasta su expulsión por separarse de la disciplina y la línea de conducta de dicha organización.
La muerte de Manzanillo, asesinado a mansalva prácticamente en la puerta de su casa, en Libertad y Poey, en La Víbora, el 31 de diciembre de 1941, por un grupo policial al mando de Mariano Faget, obliga a Tro a salir de Cuba. Ya para entonces, se dice, había tomado parte en el atentado a Orestes Ferrara. Marcha a Estados Unidos, se alista en el Ejército norteamericano y, como parte de esa fuerza, desembarca el Día D, en Normandía, y, una vez finalizada la guerra, permanece cuatro meses en Japón como parte de las tropas ocupantes. Es licenciado con honores.
A su regreso, junto con Armando Correa y Jesús Diéguez, funda la Unión Insurreccional Revolucionaria (UIR), que propugna la disposición de los grupos revolucionarios a la lucha y proclama la incapacidad del capitalismo para satisfacer las necesidades de la mayoría. Tiene la nueva organización un lema: <>. Su fundador está convencido de que <> es una <>.
El accionar de la UIR --aseveraba Tro-- se encaminaba a lograr la sanción de los responsables de desafueros y asesinatos tanto del Gobierno de Machado como de Batista a partir de 1933, a fin de adecentar a la sociedad. El programa de la organización se dirigía al afianzamiento de las libertades públicas, la honestidad administrativa, una verdadera justicia social, una economía socializada y una cultura integral que llegara a los más humildes.
El enemigo público no. 1
De Pro Ley y Justicia, surgida en tiempos de Machado, nace el Ejército Caribe, que apoyará a Grau, en su primer Gobierno (1933-1934) con las armas en la mano. La caída de Grau, el 15 de enero, defenestrado por Batista, empuja otra vez a la clandestinidad a esos luchadores. Se dispersan en diversos grupos, entre estos la Legión Revolucionaria de Cuba, que quiere seguir el camino de la insurrección armada. En ella militan Mario Salabarría y su hermano Julio, Roberto Meoqui, Manolo Castro y Armando Leyva, entre otros. El coronel José Eleuterio Pedraza, jefe de la Policía en La Habana, los persiguió con saña durante la huelga de marzo de 1935, y es entonces --asevera Raúl Aguiar en el libro citado-- que el grupo se convierte en una organización insurreccional que accionaría bajo el lema Por la liberación económica, política y social de Cuba.
Es Salabarría quien mantiene la línea insurreccional con más fuerza y ahínco. Sus luchas comenzaron en 1930 y sobresalió como hombre de acción entre 1933, cuando Batista asumió la jefatura del Ejército, hasta 1944, cuando abandona la presidencia de la República. Fue en esa etapa que Salabarría ganó el calificativo de Enemigo Público No. 1, que le dieron machadistas y batistianos. Decía contar con un programa que lo llevaría a liquidar todo lo malo que debía eliminarse en la sociedad, <>.
Al acceder Grau al poder, en 1944, Salabarría asumió, con grados de comandante, la jefatura del Servicio de Investigaciones e Informaciones Extraordinarias de la Policía Nacional, con sede en la calle Sarabia. Un cargo que acrecentaría la fama de su rectitud y honestidad, sobre todo cuando acusó públicamente a Alberto Inocente Álvarez, ministro de Comercio del presidente Grau, de estar en el centro del turbio negocio del trueque de azúcar cubano por sebo argentino que propició a funcionarios cubanos una ganancia millonaria que pasó por debajo de la mesa. La acusación provocó una respuesta airada del mandatario. Dijo: <>.
Pero tendría que removerlo luego de una moción de desconfianza de la Cámara de Representantes contra el funcionario. Un movimiento
horizontal: lo cesó en Comercio y lo nombró Canciller, lo que, por pura carambola, propició que Alberto Inocente presidiera el Consejo de Seguridad de la ONU. Fue Salabarría quien esclareció el caso del asesinato del hijo de Martínez Sáenz, senador y ministro sin cartera.
Un muchacho de apenas 15 años de edad baleado en la Quinta Avenida, el
6 de septiembre de 1946, y cuya muerte conmocionó a la sociedad cubana. Salabarría detuvo y logró la confesión del autor intelectual del crimen, el millonario Enrique Sánchez del Monte, propietario del central azucarero Santa Lucía. Fue una detención ilegal, seguida de secuestro en una finca de Santa María del Rosario, en la que la confesión se consiguió a <>.
Salabarría no era tan probo como él quería hacer creer. Parecía que luchaba contra la bolsa negra y llegó a saberse que estaba inmerso en operaciones perfectamente organizadas que comenzaban con la incautación ilegal de la mercancía en los almacenes de la Aduana y terminaba con la transacción amistosa entre las partes en conflicto.
Saldría a relucir el secuestro del presidente de los almacenistas de víveres en vísperas de un viaje a España. Lo acusaron de estar metido hasta el cuello en la bolsa negra y le pidieron 100 000 pesos a cambio de ponerlo en libertad y el compromiso de dejarlo hacer y deshacer en el estraperlo, un juego fraudulento de azar. Si no <>, lo desaparecían. Harían creer que abordó el barco que lo llevaría a Europa y no llegaría a ninguna parte, sembrando entre familiares, amigos y clientes la idea de que se había arrojado al mar durante la travesía.
El bonchista
Antonio Morín Dopico, por su parte, provenía del <> universitario. Aunque fue absuelto se le suponía implicado en la muerte del profesor Ramiro Valdés Daussá, en 1940. El senador Félix Lancís, a la sazón primer ministro en el gabinete grausista, propuso a Morín para jefe de la Policía en el municipio de Marianao, y Grau estuvo de acuerdo en darle esa oportunidad para que se <>.
Existió siempre la sospecha de que el bonchista continuaba siéndolo.
Cuando en 1945 José Noguerol Conde, uno de los sentenciados por la muerte de Valdés Daussá, consiguió fugarse de la sala de penados del hospital Calixto García, se manejó que Morín no era ajeno a la evasión y que había sido parte esencial en su preparación.
El 24 de mayo del mismo año, fuerzas del Ejército allanaron una casa de juego en San Celestino, entre Samá y Real, en Marianao, y detuvieron en esta a 18 personas, casi todas con antecedentes penales.
Ocuparon dos ruletas, cuatro mesas de póquer y de bacará, 36 taburetes, 70 juegos de barajas, 4 786 fichas, dos termos de café y 40 tazas servidas.
Desde un mes antes se jugaba día y noche en esa casa con la autorización del comandante Antonio Morín Dopico, quien al enterarse del allanamiento del garito y de la detención de los jugadores, quiso liberarlos a punta de ametralladora.
La alianza entre Morín y Tro era, sobre todo, estratégica: ambos eran enemigos de Salabarría.
Ya Blas Roca, secretario general del Partido Socialista Popular y representante a la Cámara, había advertido que aquellos nombramientos en cargos policiales de jefes y miembros de las pandillas traerían consecuencias fatales para la seguridad ciudadana y el desenvolvimiento político de la nación. (Continuará)
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
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Il lunedì, 15 settembre del 1947, la residenza del comandante Antonio Morín Dopico, già cessato dalle sue funzioni di Capo della Polizia di Marianao, fu assaltata da forze agli ordini del comandante Mario Salabarría. L’aggressione, respinta dagli assediati, si protrasse per quasi tre ore e per farla smettere ci volle l’intervento di truppe dell’Esercito che intervennero sul luogo con 20 carri armati e camion blindati. Una vera battaglia campale nella quale, tra gli altri, morirono dopo essersi arresi e già fuori dalla casa, il comandante Emilio Tro e la signora Aurora Soler de Morín, in stato di gravidanza. “Ho sempre creduto che l’espressione ‘cortina di fuoco’ non fosse altro che una frase letteraria; adesso so che è una terribile realtà”, dichirò alla stampa un testimone oculare del fatto.
La giustizia tarda, ma arriva
Come tanti altri, Tro e Salabarría emersero alla luce pubblica dopo dell’ascesa al potere, nel 1944, di Ramón Grau San Martín, quando molti lottatori anti machadisti presentarono il conto all’Autenticismo con richiesta di risarcimenti o gli reclamavano di mantenere le promesse politiche per le quali avevano lottato. Immediatamente si moltiplicarono i cosiddetti “gruppi d’azione”, che dirimevano le loro differenze a colpi d’arma da fuoco e spazzavano i loro avversari. I politici animarono questi gruppi, li armarono e allo stesso tempo stimolavano le loro rivalità. Tro – capo dell’Unione Insurrezionale Rivoluzionaria (UIR) – si mostrò contrario al gruppo di Orlando León Lemus (il Rosso) e non accettò l’autorità di Salabarría.le differenze si acutizzarono quando il presidente lo nominò direttore dell’Accademia della Polizia Nazionale e Tro insistette per stabilire il suo studio nello stesso edificio dove Salabarría, capo del Servizio di Investigazioni e Informazioni Straordinarie, aveva i suoi uffici. Il nome di Tro era vincolato all’attentato della calzada di Ayestarán del 26 maggio del 1947, dal quale il Rosso uscì illeso miracolosamente.
Raúl Aguiar assicura nel suo libro El bonchismo (gioco d’azzardo, nd.t.) y el gangsterismo en Cuba che Emilio Tro Rivero proveniva dal trozkismo; appartenne nel 1933 alla frazione trozkista del Sindacato del Commercio. Fu imprigionato, accusato di “riunione illecita” e due anni più tardi, per la sua partecipazione allo sciopero di marzo, i tribunali lo condannarono a 90 giorni di carcere per “associazione illegale” e ad altri nove mesi di prigione per il delitto di sabotaggio. Una volta in libertà, entrò in contatto con la Giovane Cuba, l’organizzazione fondata da Antonio Guiteras e si relazionò con il Vecchio García (José María García), che per decenni mantenne nascosti i resti del martire del Morrillo e del suo compagno, il venezuelano Carlos Aponte. Smembrata Giovane Cuba, milita nell’Alleanza Nazionale Rivoluzionaria fino a che Pedro Fajardo Boheras (Manzanillo) lo conduce all’Azione Rivoluzionaria Guiteras, assieme ad Arcadio Méndez e Jesús González Cartas (lo Strano), gruppo che si distingue nel suo confronto col regime batistiano e nel quale militavano il Rosso e Rogelio Hernández Vega (Cucú) fino alla sua espulsione per uscire dalla disciplina e la linea di condotta di detta organizzazione.
La morte di Manzanillo, assassinato a sangue freddo, praticamente sulla porta di casa in Libertad e Poey, alla Víbora, il 31 dicembre del 1941 da parte di un gruppo della polizia al comando di Mariano Faget, obbliga Tro a uscire da Cuba. Già da allora, si dice, aveva preso parte all’attentato a Orestes Ferrara. Si reca negli Stati Uniti, si arruola nell’esercito nordamericano e come parte di questa forza, sbarca nel “D Day” in Normandia e una volta finita la guerra, rimane quattro mesi in Giappone come parte delle truppe di occupazione. Viene congedato con onore.
Al suo ritorno, assieme ad Armando Correa e Jesús Diéguez, fonda l’Unione Insurrezionale Rivoluzionaria (UIR) che che propugna la disposizione dei gruppi rivoluzionari alla lotta e proclama l’incapacità del capitalismo di soddisfare le necessità della maggioranza. La nuova organzizzazione ha un motto: “La giustizia arriva tardi, ma arriva”. Il suo fondatore è convinto che “la giustizia che sanziona nei codici e le leggi, è che non arriva alle teste indegne dei funzionari che rubano, uccidono e torturano cercando di soffocare la ribellione giustificata”.
Il funzionamento della UIR – sottolineava Tro – era incamminata a raggiungere la sanzione dei responsabili di disordini e uccisioni tanto del Governo di Machado come quello di Batista a partire dal 1933, al fine di disciplinare la società. Il programma dell’organizzazione era diretto al rafforzamento delle pubbliche libertà, l’onestà amministrativa, una vera giustizia sociale, un’economia socializzata e una cultura integrale che arrivasse agli umili.
Il Nemico Pubblico n° 1
Da Pro Legge e Giustizia, sorta ai tempi di Machado, nasce l’Esercito del Caribe che appoggerà Grau nel suo primo Governo (1933-34) armi alla mano. La caduta di Grau, il 15 gennaio, defenestrato da Batista, spinge un’altra volta questi lottatori alla clandestinità. Si disperdono in diversi gruppi, fra questi la Legione Rivoluzionaria di Cuba che vuole proseguire il cammino dell’insurrezione armata. In essa militano Mario Salabarría e suo fratello Julio, Roberto Meoqui, Manolo Castro e Armando Leyva, fra gli altri. Il colonnello José Eleuterio Pedraza, capo della Polizia all’Avana li perseguì con accanimento durante lo scipero del marzo 1935 ed è allora, - afferma Raúl Aguiar nel citato libro – che il gruppo si converte in una organizzazione insurrezionale che attuerà con il motto “Per la liberazione economica, politica e sociale di Cuba”.
È Salabarría che mantiene la linea insurrezionale con maggior forza e spinta. Le sue lotte cominciarono nel 1930 ed emerse come uomo d’azione tra il 1933, quando Batista assunse il comando dell’Esercito, fino al 1944 quando abbandona la presidenza della Repubblica. Fu in questo periodo che Salabarría si guadagnò il soprannome di Nemico Pubblico n°1, che gli dettero i machadisti e batistiani. Diceva di avere un programma che lo avrebbe portato a eliminare ogni male che si doveva togliere dalla società, “quello che precipiterebbe gli eventi di un periodo di grandi realizzazioni per il pieno godimento della Giustizia, del Progresso e della libertà per tutti gli uomini in ugual misura”.
Al accedere Grau al potere, nel 1944, Salabarría assunse col grado di Comandante, il comando del Servizio di Investigazioni e Informazioni Straordinarie della Polizia Nazionale, con sede nella calle Sarabia. Un incarico che crebbe la fama della sua rettitudine e onestà, sopratutto quando accusò pubblicamente Alberto Inocente Álvarez, ministro del Commercio del presidente Grau, di essere al centro di un affare losco per lo scambio di zucchero cubano con grasso argentino che procurò ai funzionari cubani un guadagno milionario che passò sottobanco. L’accusa provocò una risposta irritata del presidente. Disse. “ Me ne vado prima io che Inocente”, ma dovette rimuoverlo dopo una mozione di sfiducia alla Camera dei Rappresentanti, contro il funzionario. Un movimento orizzontale: lo dimise dal Commercio e lo nominò Cancelliere, cosa che per una casuale carambola propiziò che Alberto Inocente presiedesse il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Fu Salabarría che chiarì il caso dell’omicidio del figlio di Martínez Sáenz, senatore e ministro senza portafoglio. Un ragazzo di soli 15 anni d’età impallinato nella Quinta Avenida il 6 settembre del 1946, la cui morte commosse la società cubana. Salabarría arrestò e ottenne la confessione dell’autore intellettuale del crimine, il milionario Enrique Sánchez del Monte, proprietario dello zuccherificio Santa Lucía. Fu un arresto illegale, seguito dal sequestro in una tenuta di Santa María del Rosario, la cui confessione fu ottenuta “a colpi di convincimento”.
Salabarría non era tanto probo come voleva far credere. Pareva che lottasse contro la borsa nera e si venne a sapere che era immerso in operazioni perfettamente organizzate che cominciavano con la confisca illegale delle merci nei magazzini della Dogana e finiva con la transazione amichevole tra le parti in conflitto. Verrà alla luce il sequestro del presidente dei magazzinieri di alimenti alla vigilia di un viaggio in Spagna. Lo accusarono di essere immerso fino al collo nella borsa nera e gli chiesero 100.000 pesos in cambio della sua rimessa in libertà con la promessa di lasciarlo fare e disfare, inoltre, un gioco d’azzardo fraudolento. Se non “collaborava”, lo avrebbero fatto sparire. Avrebbero fatto credere che si fosse imbarcato sulla nave che lo avrebbe portato in Europa, ma che non sarebbe arrivato da nessuna parte seminando, tra i famigliari, amici e clienti, l’idea che si sarebbe buttato in mare durante la traversata.
Il tenutario del gioco d’azzardo
Antonio Morín Dopico, per parte sua, proveniva dal gioco d’azzardo universitario. Nonostante fosse stao assolto, lo si supponeva implicato nella morte del professor Ramiro Valdés Daussá, nel 1940. Il senatore Félix Lancís, all’epoca primo ministro nel gabinetto di Grau propose Morín come capo della polizia nel municipio di Marianao e Grau fu d’accordo nel dargli questa opportunità perché si “rigenerasse”.
Rimase sempre il sospetto che il tenutario continuasse ad esserlo. Quando, nel 1945, José Noguerol Conde, uno dei sentenziati per la morte di Valdés Daussá, riusca fuggire dalla sala dei condannati dell’ospedala Calixto García, si suppose che Morín non fosse alieno all’evasione e che era stato parte essenziale nella sua preparazione.
Il 24 maggio dello stesso anno, forze dell’Esercito perquisirono una casa da giocoin San Celestino, tra Sarná e Reál, a Marianao e arrestarono18 persone, quasi tutte con precedenti penali. Sequestrarono due roulettes, quattro tavoli da poker e di baccarat, 36 sgabelli, 70 mazzi di carte, 4786 fiches, due thermos di caffè e 40 tazze servite.
Gia da un mese prima si giocava giorno e notte in questa casa con l’autorizzazione del comandante Antonio Morín Dopico che, venendo a sapere della perquisizione del covo e dell’arresto dei giocatori, volle liberarli a punta di mitragliatrice.
L’alleanza tra Morín e Tro era, sopratutto, strategica: entrambi erano nemici di Salabarría.
Blas Roca, Segretario Generale del Partito Socialista Popolare e rappresentante alla Camera, aveva già avvertito che quelle nomine ad incarichi di polizia di capi e membri di bande avrebbero procurato conseguenze fatali per la sicurezza cittadina e lo svolgersi della politica nella nazione. (Continua)
Los sucesos de Orfila (I)
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
3 de Mayo del 2014 18:42:17 CDT
El lunes 15 de septiembre de 1947 la residencia del comandante Antonio Morín Dopico, cesado ya en sus funciones de jefe de la Policía de Marianao, fue asaltada por fuerzas a las órdenes del comandante Mario Salabarría. La agresión, repelida por los sitiados, se prolongó durante casi tres horas, y para detenerla se impuso la intervención de tropas del Ejército, que acudieron al lugar con 20 tanques y camiones blindados. Una verdadera batalla campal en la que, entre otros, resultaron muertos, después de haberse rendido, y ya fuera de la casa, el comandante Emilio Tro y la señora Aurora Soler de Morín, en estado de gestación. <
La justicia tarda, pero llega
Como otros tantos, Tro y Salabarría emergieron a la luz pública después del ascenso al poder, en 1944, de Ramón Grau San Martín, cuando muchos luchadores antimachadistas pasaron factura al Autenticismo en demanda de compensaciones o le reclamaron el cumplimiento de los postulados políticos por los que lidiaron. Pronto se multiplicaron los llamados <
(UIR)-- se mostró contrario al grupo de Orlando León Lemus (el
Colorado) y no acató la autoridad de Salabarría. Las diferencias se agudizaron cuando el Presidente lo nombró director de la Academia de la Policía Nacional y Tro insistió en instalar su despacho en el mismo edificio donde Salabarría, jefe del Servicio de Investigaciones e Informaciones Extraordinarias, tenía sus oficinas. El nombre de Tro se vinculaba al atentado de la calzada de Ayestarán, el 26 de mayo de 1947, del que el Colorado salió milagrosamente ileso.
Asegura Raúl Aguiar en su libro El bonchismo y el gangsterismo en Cuba que Emilio Tro Rivero provenía del trotskismo; había pertenecido en
1933 a la fracción trotskista del Sindicato de Comercio. Fue preso, acusado de <
(Manzanillo) lo lleva a Acción Revolucionaria Guiteras, junto con Arcadio Méndez y Jesús González Cartas (el Extraño), grupo que se destaca en su enfrentamiento al régimen batistiano, y en el que militarán el Colorado y Rogelio Hernández Vega (Cucú) hasta su expulsión por separarse de la disciplina y la línea de conducta de dicha organización.
La muerte de Manzanillo, asesinado a mansalva prácticamente en la puerta de su casa, en Libertad y Poey, en La Víbora, el 31 de diciembre de 1941, por un grupo policial al mando de Mariano Faget, obliga a Tro a salir de Cuba. Ya para entonces, se dice, había tomado parte en el atentado a Orestes Ferrara. Marcha a Estados Unidos, se alista en el Ejército norteamericano y, como parte de esa fuerza, desembarca el Día D, en Normandía, y, una vez finalizada la guerra, permanece cuatro meses en Japón como parte de las tropas ocupantes. Es licenciado con honores.
A su regreso, junto con Armando Correa y Jesús Diéguez, funda la Unión Insurreccional Revolucionaria (UIR), que propugna la disposición de los grupos revolucionarios a la lucha y proclama la incapacidad del capitalismo para satisfacer las necesidades de la mayoría. Tiene la nueva organización un lema: <
El accionar de la UIR --aseveraba Tro-- se encaminaba a lograr la sanción de los responsables de desafueros y asesinatos tanto del Gobierno de Machado como de Batista a partir de 1933, a fin de adecentar a la sociedad. El programa de la organización se dirigía al afianzamiento de las libertades públicas, la honestidad administrativa, una verdadera justicia social, una economía socializada y una cultura integral que llegara a los más humildes.
El enemigo público no. 1
De Pro Ley y Justicia, surgida en tiempos de Machado, nace el Ejército Caribe, que apoyará a Grau, en su primer Gobierno (1933-1934) con las armas en la mano. La caída de Grau, el 15 de enero, defenestrado por Batista, empuja otra vez a la clandestinidad a esos luchadores. Se dispersan en diversos grupos, entre estos la Legión Revolucionaria de Cuba, que quiere seguir el camino de la insurrección armada. En ella militan Mario Salabarría y su hermano Julio, Roberto Meoqui, Manolo Castro y Armando Leyva, entre otros. El coronel José Eleuterio Pedraza, jefe de la Policía en La Habana, los persiguió con saña durante la huelga de marzo de 1935, y es entonces --asevera Raúl Aguiar en el libro citado-- que el grupo se convierte en una organización insurreccional que accionaría bajo el lema Por la liberación económica, política y social de Cuba.
Es Salabarría quien mantiene la línea insurreccional con más fuerza y ahínco. Sus luchas comenzaron en 1930 y sobresalió como hombre de acción entre 1933, cuando Batista asumió la jefatura del Ejército, hasta 1944, cuando abandona la presidencia de la República. Fue en esa etapa que Salabarría ganó el calificativo de Enemigo Público No. 1, que le dieron machadistas y batistianos. Decía contar con un programa que lo llevaría a liquidar todo lo malo que debía eliminarse en la sociedad, <
Al acceder Grau al poder, en 1944, Salabarría asumió, con grados de comandante, la jefatura del Servicio de Investigaciones e Informaciones Extraordinarias de la Policía Nacional, con sede en la calle Sarabia. Un cargo que acrecentaría la fama de su rectitud y honestidad, sobre todo cuando acusó públicamente a Alberto Inocente Álvarez, ministro de Comercio del presidente Grau, de estar en el centro del turbio negocio del trueque de azúcar cubano por sebo argentino que propició a funcionarios cubanos una ganancia millonaria que pasó por debajo de la mesa. La acusación provocó una respuesta airada del mandatario. Dijo: <
Pero tendría que removerlo luego de una moción de desconfianza de la Cámara de Representantes contra el funcionario. Un movimiento
horizontal: lo cesó en Comercio y lo nombró Canciller, lo que, por pura carambola, propició que Alberto Inocente presidiera el Consejo de Seguridad de la ONU. Fue Salabarría quien esclareció el caso del asesinato del hijo de Martínez Sáenz, senador y ministro sin cartera.
Un muchacho de apenas 15 años de edad baleado en la Quinta Avenida, el
6 de septiembre de 1946, y cuya muerte conmocionó a la sociedad cubana. Salabarría detuvo y logró la confesión del autor intelectual del crimen, el millonario Enrique Sánchez del Monte, propietario del central azucarero Santa Lucía. Fue una detención ilegal, seguida de secuestro en una finca de Santa María del Rosario, en la que la confesión se consiguió a <
Salabarría no era tan probo como él quería hacer creer. Parecía que luchaba contra la bolsa negra y llegó a saberse que estaba inmerso en operaciones perfectamente organizadas que comenzaban con la incautación ilegal de la mercancía en los almacenes de la Aduana y terminaba con la transacción amistosa entre las partes en conflicto.
Saldría a relucir el secuestro del presidente de los almacenistas de víveres en vísperas de un viaje a España. Lo acusaron de estar metido hasta el cuello en la bolsa negra y le pidieron 100 000 pesos a cambio de ponerlo en libertad y el compromiso de dejarlo hacer y deshacer en el estraperlo, un juego fraudulento de azar. Si no <
El bonchista
Antonio Morín Dopico, por su parte, provenía del <
Existió siempre la sospecha de que el bonchista continuaba siéndolo.
Cuando en 1945 José Noguerol Conde, uno de los sentenciados por la muerte de Valdés Daussá, consiguió fugarse de la sala de penados del hospital Calixto García, se manejó que Morín no era ajeno a la evasión y que había sido parte esencial en su preparación.
El 24 de mayo del mismo año, fuerzas del Ejército allanaron una casa de juego en San Celestino, entre Samá y Real, en Marianao, y detuvieron en esta a 18 personas, casi todas con antecedentes penales.
Ocuparon dos ruletas, cuatro mesas de póquer y de bacará, 36 taburetes, 70 juegos de barajas, 4 786 fichas, dos termos de café y 40 tazas servidas.
Desde un mes antes se jugaba día y noche en esa casa con la autorización del comandante Antonio Morín Dopico, quien al enterarse del allanamiento del garito y de la detención de los jugadores, quiso liberarlos a punta de ametralladora.
La alianza entre Morín y Tro era, sobre todo, estratégica: ambos eran enemigos de Salabarría.
Ya Blas Roca, secretario general del Partido Socialista Popular y representante a la Cámara, había advertido que aquellos nombramientos en cargos policiales de jefes y miembros de las pandillas traerían consecuencias fatales para la seguridad ciudadana y el desenvolvimiento político de la nación. (Continuará)
Ciro Bianchi Ross
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domenica 4 maggio 2014
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