Translate

Il tempo all'Avana

+28
°
C
H: +28°
L: +23°
L'Avana
Lunedì, 24 Maggio
Vedi le previsioni a 7 giorni
Mar Mer Gio Ven Sab Dom
+28° +29° +29° +28° +29° +29°
+24° +24° +24° +24° +24° +24°

lunedì 5 maggio 2014

I fatti di Orfila (I), di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 4/5/14

Il lunedì, 15 settembre del 1947, la residenza del comandante Antonio Morín Dopico, già cessato dalle sue funzioni di Capo della Polizia di Marianao, fu assaltata da forze agli ordini del comandante Mario Salabarría. L’aggressione, respinta dagli assediati, si protrasse per quasi tre ore e per farla smettere ci volle l’intervento di truppe dell’Esercito che intervennero sul luogo con 20 carri armati e camion blindati. Una vera battaglia campale nella quale, tra gli altri, morirono dopo essersi arresi e già fuori dalla casa, il comandante Emilio Tro e la signora Aurora Soler de Morín, in stato di gravidanza. “Ho sempre creduto che l’espressione ‘cortina di fuoco’ non fosse altro che una frase letteraria; adesso so che è una terribile realtà”, dichirò alla stampa un testimone oculare del fatto.

La giustizia tarda, ma arriva

Come tanti altri, Tro e Salabarría emersero alla luce pubblica dopo dell’ascesa al potere, nel 1944, di Ramón Grau San Martín, quando molti lottatori anti machadisti presentarono il conto all’Autenticismo con richiesta di risarcimenti o gli reclamavano di mantenere le promesse politiche per le quali avevano lottato. Immediatamente si moltiplicarono i cosiddetti “gruppi d’azione”, che dirimevano le loro differenze a colpi d’arma da fuoco e spazzavano i loro avversari. I politici animarono questi gruppi, li armarono e allo stesso tempo stimolavano le loro rivalità. Tro – capo dell’Unione Insurrezionale Rivoluzionaria (UIR) – si mostrò contrario al gruppo di Orlando León Lemus (il Rosso) e non accettò l’autorità di Salabarría.le differenze si acutizzarono quando il presidente lo nominò direttore dell’Accademia della Polizia Nazionale e Tro insistette per stabilire il suo studio nello stesso edificio dove Salabarría, capo del Servizio di Investigazioni e Informazioni Straordinarie, aveva i suoi uffici. Il nome di Tro era vincolato all’attentato della calzada di Ayestarán del 26 maggio del 1947, dal quale il Rosso uscì illeso miracolosamente.
Raúl Aguiar assicura nel suo libro El bonchismo (gioco d’azzardo, nd.t.) y el gangsterismo en Cuba che Emilio Tro Rivero proveniva dal trozkismo; appartenne nel 1933 alla frazione trozkista del Sindacato del Commercio. Fu imprigionato, accusato di “riunione illecita” e due anni più tardi, per la sua partecipazione allo sciopero di marzo, i tribunali lo condannarono a 90 giorni di carcere per “associazione illegale” e ad altri nove mesi di prigione per il delitto di sabotaggio. Una volta in libertà, entrò in contatto con la Giovane Cuba, l’organizzazione fondata da Antonio Guiteras e si relazionò con il Vecchio García (José María García), che per decenni mantenne nascosti i resti del martire del Morrillo e del suo compagno, il venezuelano Carlos Aponte. Smembrata Giovane Cuba, milita nell’Alleanza Nazionale Rivoluzionaria fino a che Pedro Fajardo Boheras (Manzanillo) lo conduce all’Azione Rivoluzionaria Guiteras, assieme ad Arcadio Méndez e Jesús González Cartas (lo Strano), gruppo che si distingue nel suo confronto col regime batistiano e nel quale militavano il Rosso e Rogelio Hernández Vega (Cucú) fino alla sua espulsione per uscire dalla disciplina e la linea di condotta di detta organizzazione.
La morte di Manzanillo, assassinato a sangue freddo, praticamente sulla porta di casa in Libertad e Poey, alla Víbora, il 31 dicembre del 1941 da parte di un gruppo della polizia al comando di Mariano Faget, obbliga Tro a uscire da Cuba. Già da allora, si dice, aveva preso parte all’attentato a Orestes Ferrara. Si reca negli Stati Uniti, si arruola nell’esercito nordamericano e come parte di questa forza, sbarca nel “D Day” in Normandia e una volta finita la guerra, rimane quattro mesi in Giappone come parte delle truppe di occupazione. Viene congedato con onore.
Al suo ritorno, assieme ad Armando Correa e Jesús Diéguez, fonda l’Unione Insurrezionale Rivoluzionaria (UIR) che che propugna la disposizione dei gruppi rivoluzionari alla lotta e proclama l’incapacità del capitalismo di soddisfare le necessità della maggioranza. La nuova organzizzazione ha un motto: “La giustizia arriva tardi, ma arriva”. Il suo fondatore è convinto che “la giustizia che sanziona nei codici e le leggi, è che non arriva alle teste indegne dei funzionari che rubano, uccidono e torturano cercando di soffocare la ribellione giustificata”.
Il funzionamento della UIR – sottolineava Tro – era incamminata a raggiungere la sanzione dei responsabili di disordini e uccisioni tanto del Governo di Machado come quello di Batista a partire dal 1933, al fine di disciplinare la società. Il programma dell’organizzazione era diretto al rafforzamento delle pubbliche libertà, l’onestà amministrativa, una vera giustizia sociale, un’economia socializzata e una cultura integrale che arrivasse agli umili.

Il Nemico Pubblico n° 1

Da Pro Legge e Giustizia, sorta ai tempi di Machado, nasce l’Esercito del Caribe che appoggerà Grau nel suo primo Governo (1933-34) armi alla mano. La caduta di Grau, il 15 gennaio, defenestrato da Batista, spinge un’altra volta questi lottatori alla clandestinità. Si disperdono in diversi gruppi, fra questi la Legione Rivoluzionaria di Cuba che vuole proseguire il cammino dell’insurrezione armata. In essa militano Mario Salabarría e suo fratello Julio, Roberto Meoqui, Manolo Castro e Armando Leyva, fra gli altri. Il colonnello José Eleuterio Pedraza, capo della Polizia all’Avana li perseguì con accanimento durante lo scipero del marzo 1935 ed è allora, - afferma Raúl Aguiar nel citato libro – che il gruppo si converte in una organizzazione insurrezionale che attuerà con il motto “Per la liberazione economica, politica e sociale di Cuba”.
È Salabarría che mantiene la linea insurrezionale con maggior forza e spinta. Le sue lotte cominciarono nel 1930 ed emerse come uomo d’azione tra il 1933, quando Batista assunse il comando dell’Esercito, fino al 1944 quando abbandona la presidenza della Repubblica. Fu in questo periodo che Salabarría si guadagnò il soprannome di Nemico Pubblico n°1, che gli dettero i machadisti e batistiani. Diceva di avere un programma che lo avrebbe portato a eliminare ogni male che si doveva togliere dalla società, “quello che precipiterebbe gli eventi di un periodo di grandi realizzazioni per il pieno godimento della Giustizia, del Progresso e della libertà per tutti gli uomini in ugual misura”.
Al accedere Grau al potere, nel 1944, Salabarría assunse col grado di Comandante, il comando del Servizio di Investigazioni e Informazioni Straordinarie della Polizia Nazionale, con sede nella calle Sarabia. Un incarico che crebbe la fama della sua rettitudine e onestà, sopratutto quando accusò pubblicamente Alberto Inocente Álvarez, ministro del Commercio del presidente Grau, di essere al centro di un affare losco per lo scambio di zucchero cubano con grasso argentino che procurò ai funzionari cubani un guadagno milionario che passò sottobanco. L’accusa provocò una risposta irritata del presidente. Disse. “ Me ne vado prima io che Inocente”, ma dovette rimuoverlo dopo una mozione di sfiducia alla Camera dei Rappresentanti, contro il funzionario. Un movimento orizzontale: lo dimise dal Commercio e lo nominò Cancelliere, cosa che per una casuale carambola propiziò che Alberto Inocente presiedesse il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Fu Salabarría che chiarì il caso dell’omicidio del figlio di Martínez Sáenz, senatore e ministro senza portafoglio. Un ragazzo di soli 15 anni d’età impallinato nella Quinta Avenida il 6 settembre del 1946, la cui morte commosse la società cubana. Salabarría arrestò e ottenne la confessione dell’autore intellettuale del crimine, il milionario Enrique Sánchez del Monte, proprietario dello zuccherificio Santa Lucía. Fu un arresto illegale, seguito dal sequestro in una tenuta di Santa María del Rosario, la cui confessione fu ottenuta “a colpi di convincimento”.
Salabarría non era tanto probo come voleva far credere. Pareva che lottasse contro la borsa nera e si venne a sapere che era immerso in operazioni perfettamente organizzate che cominciavano con la confisca illegale delle merci nei magazzini della Dogana e finiva con la transazione amichevole tra le parti in conflitto. Verrà alla luce il sequestro del presidente dei magazzinieri di alimenti alla vigilia di un viaggio in Spagna. Lo accusarono di essere immerso fino al collo nella borsa nera e gli chiesero 100.000 pesos in cambio della sua rimessa in libertà con la promessa di lasciarlo fare e disfare, inoltre, un gioco d’azzardo fraudolento. Se non “collaborava”, lo avrebbero fatto sparire. Avrebbero fatto credere che si fosse imbarcato sulla nave che lo avrebbe portato in Europa, ma che non sarebbe arrivato da nessuna parte seminando, tra i famigliari, amici e clienti, l’idea che si sarebbe buttato in mare durante la traversata.

Il tenutario del gioco d’azzardo

Antonio Morín Dopico, per parte sua, proveniva dal gioco d’azzardo universitario. Nonostante fosse stao assolto, lo si supponeva implicato nella morte del professor Ramiro Valdés Daussá, nel 1940. Il senatore Félix Lancís, all’epoca primo ministro nel gabinetto di Grau propose Morín come capo della polizia nel municipio di Marianao e Grau fu d’accordo nel dargli questa opportunità perché si “rigenerasse”.
Rimase sempre il sospetto che il tenutario continuasse ad esserlo. Quando, nel 1945, José Noguerol Conde, uno dei sentenziati per la morte di Valdés Daussá, riusca fuggire dalla sala dei condannati dell’ospedala Calixto García, si suppose che Morín non fosse alieno all’evasione e che era stato parte essenziale nella sua preparazione.
Il 24 maggio dello stesso anno, forze dell’Esercito perquisirono una casa da giocoin San Celestino, tra Sarná e Reál, a Marianao e arrestarono18 persone, quasi tutte con precedenti penali. Sequestrarono due roulettes, quattro tavoli da poker e di baccarat, 36 sgabelli, 70 mazzi di carte, 4786 fiches, due thermos di caffè e 40 tazze servite.
Gia da un mese prima si giocava giorno e notte in questa casa con l’autorizzazione del comandante Antonio Morín Dopico che, venendo a sapere della perquisizione del covo e dell’arresto dei giocatori, volle liberarli a punta di mitragliatrice.
L’alleanza tra Morín e Tro era, sopratutto, strategica: entrambi erano nemici di Salabarría.
Blas Roca, Segretario Generale del Partito Socialista Popolare e rappresentante alla Camera, aveva già avvertito che quelle nomine ad incarichi di polizia di capi e membri di bande avrebbero procurato conseguenze fatali per la sicurezza cittadina e lo svolgersi della politica nella nazione. (Continua)

Los sucesos de Orfila (I)

Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
3 de Mayo del 2014 18:42:17 CDT

El lunes 15 de septiembre de 1947 la residencia del comandante Antonio Morín Dopico, cesado ya en sus funciones de jefe de la Policía de Marianao, fue asaltada por fuerzas a las órdenes del comandante Mario Salabarría. La agresión, repelida por los sitiados, se prolongó durante casi tres horas, y para detenerla se impuso la intervención de tropas del Ejército, que acudieron al lugar con 20 tanques y camiones blindados. Una verdadera batalla campal en la que, entre otros, resultaron muertos, después de haberse rendido, y ya fuera de la casa, el comandante Emilio Tro y la señora Aurora Soler de Morín, en estado de gestación. <>, declaró a la prensa un testigo presencial del suceso.

La justicia tarda, pero llega

Como otros tantos, Tro y Salabarría emergieron a la luz pública después del ascenso al poder, en 1944, de Ramón Grau San Martín, cuando muchos luchadores antimachadistas pasaron factura al Autenticismo en demanda de compensaciones o le reclamaron el cumplimiento de los postulados políticos por los que lidiaron. Pronto se multiplicaron los llamados <>, que dirimían sus diferencias a tiro limpio y barrían a sus adversarios. Los políticos animaron esos grupos, los armaron y, al mismo tiempo, estimularon sus rivalidades. Tro --jefe de la Unión Insurreccional Revolucionaria
(UIR)-- se mostró contrario al grupo de Orlando León Lemus (el
Colorado) y no acató la autoridad de Salabarría. Las diferencias se agudizaron cuando el Presidente lo nombró director de la Academia de la Policía Nacional y Tro insistió en instalar su despacho en el mismo edificio donde Salabarría, jefe del Servicio de Investigaciones e Informaciones Extraordinarias, tenía sus oficinas. El nombre de Tro se vinculaba al atentado de la calzada de Ayestarán, el 26 de mayo de 1947, del que el Colorado salió milagrosamente ileso.
Asegura Raúl Aguiar en su libro El bonchismo y el gangsterismo en Cuba que Emilio Tro Rivero provenía del trotskismo; había pertenecido en
1933 a la fracción trotskista del Sindicato de Comercio. Fue preso, acusado de <>, y dos años más tarde, por su participación en la huelga de marzo, los tribunales lo condenaban a 90 días de cárcel por <> y a otros nueve meses de encierro por el delito de sabotaje. Ya en libertad, entró en contacto con Joven Cuba, la organización fundada por Antonio Guiteras, y se relacionó con el Viejo García (José María García), que durante décadas mantuvo escondidos los restos del mártir del Morrillo y de su compañero, el venezolano Carlos Aponte. Desmembrada Joven Cuba, milita en Alianza Nacional Revolucionaria hasta que Pedro Fajardo Boheras
(Manzanillo) lo lleva a Acción Revolucionaria Guiteras, junto con Arcadio Méndez y Jesús González Cartas (el Extraño), grupo que se destaca en su enfrentamiento al régimen batistiano, y en el que militarán el Colorado y Rogelio Hernández Vega (Cucú) hasta su expulsión por separarse de la disciplina y la línea de conducta de dicha organización.
La muerte de Manzanillo, asesinado a mansalva prácticamente en la puerta de su casa, en Libertad y Poey, en La Víbora, el 31 de diciembre de 1941, por un grupo policial al mando de Mariano Faget, obliga a Tro a salir de Cuba. Ya para entonces, se dice, había tomado parte en el atentado a Orestes Ferrara. Marcha a Estados Unidos, se alista en el Ejército norteamericano y, como parte de esa fuerza, desembarca el Día D, en Normandía, y, una vez finalizada la guerra, permanece cuatro meses en Japón como parte de las tropas ocupantes. Es licenciado con honores.
A su regreso, junto con Armando Correa y Jesús Diéguez, funda la Unión Insurreccional Revolucionaria (UIR), que propugna la disposición de los grupos revolucionarios a la lucha y proclama la incapacidad del capitalismo para satisfacer las necesidades de la mayoría. Tiene la nueva organización un lema: <>. Su fundador está convencido de que <> es una <>.
El accionar de la UIR --aseveraba Tro-- se encaminaba a lograr la sanción de los responsables de desafueros y asesinatos tanto del Gobierno de Machado como de Batista a partir de 1933, a fin de adecentar a la sociedad. El programa de la organización se dirigía al afianzamiento de las libertades públicas, la honestidad administrativa, una verdadera justicia social, una economía socializada y una cultura integral que llegara a los más humildes.

El enemigo público no. 1

De Pro Ley y Justicia, surgida en tiempos de Machado, nace el Ejército Caribe, que apoyará a Grau, en su primer Gobierno (1933-1934) con las armas en la mano. La caída de Grau, el 15 de enero, defenestrado por Batista, empuja otra vez a la clandestinidad a esos luchadores. Se dispersan en diversos grupos, entre estos la Legión Revolucionaria de Cuba, que quiere seguir el camino de la insurrección armada. En ella militan Mario Salabarría y su hermano Julio, Roberto Meoqui, Manolo Castro y Armando Leyva, entre otros. El coronel José Eleuterio Pedraza, jefe de la Policía en La Habana, los persiguió con saña durante la huelga de marzo de 1935, y es entonces --asevera Raúl Aguiar en el libro citado-- que el grupo se convierte en una organización insurreccional que accionaría bajo el lema Por la liberación económica, política y social de Cuba.
Es Salabarría quien mantiene la línea insurreccional con más fuerza y ahínco. Sus luchas comenzaron en 1930 y sobresalió como hombre de acción entre 1933, cuando Batista asumió la jefatura del Ejército, hasta 1944, cuando abandona la presidencia de la República. Fue en esa etapa que Salabarría ganó el calificativo de Enemigo Público No. 1, que le dieron machadistas y batistianos. Decía contar con un programa que lo llevaría a liquidar todo lo malo que debía eliminarse en la sociedad, <>.
Al acceder Grau al poder, en 1944, Salabarría asumió, con grados de comandante, la jefatura del Servicio de Investigaciones e Informaciones Extraordinarias de la Policía Nacional, con sede en la calle Sarabia. Un cargo que acrecentaría la fama de su rectitud y honestidad, sobre todo cuando acusó públicamente a Alberto Inocente Álvarez, ministro de Comercio del presidente Grau, de estar en el centro del turbio negocio del trueque de azúcar cubano por sebo argentino que propició a funcionarios cubanos una ganancia millonaria que pasó por debajo de la mesa. La acusación provocó una respuesta airada del mandatario. Dijo: <>.
Pero tendría que removerlo luego de una moción de desconfianza de la Cámara de Representantes contra el funcionario. Un movimiento
horizontal: lo cesó en Comercio y lo nombró Canciller, lo que, por pura carambola, propició que Alberto Inocente presidiera el Consejo de Seguridad de la ONU. Fue Salabarría quien esclareció el caso del asesinato del hijo de Martínez Sáenz, senador y ministro sin cartera.
Un muchacho de apenas 15 años de edad baleado en la Quinta Avenida, el
6 de septiembre de 1946, y cuya muerte conmocionó a la sociedad cubana. Salabarría detuvo y logró la confesión del autor intelectual del crimen, el millonario Enrique Sánchez del Monte, propietario del central azucarero Santa Lucía. Fue una detención ilegal, seguida de secuestro en una finca de Santa María del Rosario, en la que la confesión se consiguió a <>.
Salabarría no era tan probo como él quería hacer creer. Parecía que luchaba contra la bolsa negra y llegó a saberse que estaba inmerso en operaciones perfectamente organizadas que comenzaban con la incautación ilegal de la mercancía en los almacenes de la Aduana y terminaba con la transacción amistosa entre las partes en conflicto.
Saldría a relucir el secuestro del presidente de los almacenistas de víveres en vísperas de un viaje a España. Lo acusaron de estar metido hasta el cuello en la bolsa negra y le pidieron 100 000 pesos a cambio de ponerlo en libertad y el compromiso de dejarlo hacer y deshacer en el estraperlo, un juego fraudulento de azar. Si no <>, lo desaparecían. Harían creer que abordó el barco que lo llevaría a Europa y no llegaría a ninguna parte, sembrando entre familiares, amigos y clientes la idea de que se había arrojado al mar durante la travesía.

El bonchista

Antonio Morín Dopico, por su parte, provenía del <> universitario. Aunque fue absuelto se le suponía implicado en la muerte del profesor Ramiro Valdés Daussá, en 1940. El senador Félix Lancís, a la sazón primer ministro en el gabinete grausista, propuso a Morín para jefe de la Policía en el municipio de Marianao, y Grau estuvo de acuerdo en darle esa oportunidad para que se <>.
Existió siempre la sospecha de que el bonchista continuaba siéndolo.
Cuando en 1945 José Noguerol Conde, uno de los sentenciados por la muerte de Valdés Daussá, consiguió fugarse de la sala de penados del hospital Calixto García, se manejó que Morín no era ajeno a la evasión y que había sido parte esencial en su preparación.
El 24 de mayo del mismo año, fuerzas del Ejército allanaron una casa de juego en San Celestino, entre Samá y Real, en Marianao, y detuvieron en esta a 18 personas, casi todas con antecedentes penales.
Ocuparon dos ruletas, cuatro mesas de póquer y de bacará, 36 taburetes, 70 juegos de barajas, 4 786 fichas, dos termos de café y 40 tazas servidas.
Desde un mes antes se jugaba día y noche en esa casa con la autorización del comandante Antonio Morín Dopico, quien al enterarse del allanamiento del garito y de la detención de los jugadores, quiso liberarlos a punta de ametralladora.
La alianza entre Morín y Tro era, sobre todo, estratégica: ambos eran enemigos de Salabarría.
Ya Blas Roca, secretario general del Partido Socialista Popular y representante a la Cámara, había advertido que aquellos nombramientos en cargos policiales de jefes y miembros de las pandillas traerían consecuencias fatales para la seguridad ciudadana y el desenvolvimiento político de la nación. (Continuará)

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/



Nessun commento:

Posta un commento