Pubblicato su Juventud Rebelde del 6/7/14
Si dice che Santiago
González Palacios che renderà celebre lo pseudonimo di Don Cándido, fu uno dei
migliori reporter della stampa avanera. Quando Rafael Suárez Solís, amante del
successo immediato e vertiginoso, fu il capo dell’informazione de Il Diario
della Marina, riorganizzò i servizi di tale giornale e incaricò della copertura
dei ministeri, allora segretariati: di Stato, Esteri e Salute Pubblica e gli
affidò anche quello che si chiamava “la piccola Polizia”, che si occupava delle
notizie che generavano liti tra vicine, scivoloni con eccesso di rum e i
bisticci di coppia.
Nel 1927 González Palacio passò al giornale El
Mundo. Che
magnifico cronista! Aveva sulle spalle 4 ministeri, redigeva informazioni
speciali, fabbricava interviste di strada, faceva i titoli. Per superare il
caldo e la fatica e rischiararevle idee aveva una formula speciale: in un
padellino di stagno pieno d’acqua fredda, versava una tazza di caffé bollente;
beveraggio che considerava insuperabile.
Erano anni tragici mobilità
lavorativa, disoccupazione, pantaloni di sacco di farina, sigaretti da un
centesimo, crimini misteriosi e censura implacabile. Al suo fianco, come
occorreva a la Marina, lavorava Miguel de Marcos, il futuro autore di Fotuto e Papaíto Mayarí. Il
considerevole umorista era incaricato, sotto gli ordini diretti di González
Palacio, della sezione dei telegrammi. Era un compito duro. I telegrammi che i
corrispondenti inviavano, dall’interno alla Redazione, contenevano testi
stringati, abbreviati, cervellotici e De Marcos doveva prima interpretarli e
poi rielaborarli, ingrassarli e vestirli prima di inserirli nelle pagine del
giornale.
Non sempre risultava facile.
Arrivavano dei telegrammi più scarno dell’altro e non era raro che Miguel de
Marcos, nonostante l’acqua gelata col caffè che González Palacio divideva
generosamente con lui, sudasse inchiostro nelle ore piccole, nel tentativo di
dargli forma come questo che spedivano da Yaguaramas: “Treno 22. Kilometro 67.
Residui mucca. Corrispondente”.
Davanti a un messaggio così
criptico se rendeva imprescindibile che De Marcos si consultasse col suo capo.
González Palacio lo ascoltava senza smettere di pestare vertiginosamente sulla
sua macchina da scrivere o senza deviare lo sguardo dal titolo a otto colonne,
in corpo 72, purificato e perfettamente misurato.
-Una grande informazione-
esclamava. E senza sviare l’attenzione da quello che stava facendo aggiungeva:
“Questo vuol dire che il treno 22, partito da Camagüey, transitando alle 11.30
di sera dal km. 67, tra Ranchuelo e Yaguaramas, ha investito una mucca che si
trovava sui binari. L’animale rimase ucciso e non si sono trovati resti. Questa
è una notiziona. Elaborala e suggerisc anche un titolo a tre colonne per la
prima pagina in questo modo: “Resti di mucca a Yaguaramas”.
Nonostante che il
giornalista genuino sia un individuo dall’indenne gioventù, giunse il momento
in cui Santiago González Palacios sentì la stanchezza della notizia e si volse
verso il passato, non come storico, ma come cronista. Come si disse la scorsa domenica,
fu allora che diede a conoscere nella rivista Carteles, dell’Avana, una colonna
col titolo di Lo sapeva lei?, appunti
brevi e sppregiudicati che nel 1947 raccolse nel libro che giunse a mano dello
scriba grazie alla rinuncia, da parte sua, della lettrice Carmen Cantón e di
cui riproduciamo, tali e quali, alcuni dei suoi passi.
Sì,
ma no
La rivista portoricana El
Carnaval, nel numero dedicato a Cuba nel luglio del 1902, a due mesi scarsi
dall’instaurazione della Repubblica, inserì diversi materiali che elogiavano
l’Isola e qualcuno dei suoi uomini. Uno dei prescelti fu il poeta Diego Vicente
Tejera. El carnaval diceva riguardo
all’autore de La hamaca:
“Diego Vicente Tejera e un
altro portoricano distintissimo, quasi sconosciuto dai suoi compatrioti. È un
illustrissimo dottore e scrittore correttissimo, autore della luminosa opera
inedita Desde el Zanjón hasta a Baire e
fu assiduo collaboratore di Patria”.
Nel leggere l’articolo in
cui ci si riferiva alla sua persona, il fondatore del Partito Socialista Cubano
e più tardi del Partito Popolare Operaio, che sì collaboro con Patria, il
giornale di José Martí, si sentì obbligato a fare le correzioni pertinenti a
mezzo stampa. Precisò, quindi, di non essere portoricano, ma di essere nato a
Santiago di Cuba. Aggiunse che non era nemmeno dottore e nemmeno diplomato
universitario perché lasciò inconclusi gli studi di Diritto e Medicina a cui si
era iscritto in altro momento. Precisò che Dedsde
el Zanjón hasta a Baire non era un’opera inedita, ma che era stata
pubblicata, ma che il suo autore era Luis Estévez y Romero, all’epoca vice
presidente della Repubblica.
Ferito
per davvero
Il pubblico che, la sera
dell’11 agosto del 1902, riempiva la sala del teatro Albisu per la
rappresentazione di un’opera intitolata Il
giro del Mondo, fu testimone di un fatto di un reale fatto di sangue.
Nell'opera si simulava
l’assalto a un treno e uno degli assaltatori era una comparsa soprannominato
Pantera. Al momento di realizzare l’attacco, Pantera si avvicinò tanto che uno
degli assaltati, l’attore Alejandro Garrido, azionò il fucile che aveva per la
propria difesa e sparò quasi toccandolo con la bocca dell’arma, contro
l’aggressore. Pantera, quando risuonarono gli spari, alzò le mani al volto e
cadde privo di sensi. Fu una scena così perfetta che gli spettatori ebbero
l’impressione di aver assistito a un fatto reale.
Sceso il telone, il Pantera
non si rialzò. Stupiti, i suoi compagni si avvicinarono e quando ne furono a
contatto videro con meraviglia che sul tavolato c’erano macchie di sangue.
L’attore era ferito ad un occhio. Una scheggia di cartone della cartuccia a salve
del fucile, lo aveva ferito durante l’assalto. Garrido fu arrestato; le
autorità non lo ritennero colpevole e venne rimesso in libertà.
Suonò
alle 21.30
La sera del 18 settembre del
1902, gli avaneri aspettavano con attenzione il rombo del cannone delle 21, per
sincronizzare i loro orologi. Il tempo passava e il botto del cannone non si
sentiva. Ma quando già nessuno se lo aspettava e molti si erano ritirati in
casa, giunse il botto. Erano le 21.30. Mai nessuno dette una spiegazione in
merito a quella irregolarità.
In
mancanza di argento
Dovuto alla grande scarsità
di argento nella regione orientale dell’Isola, si dispose, da parte del
Governo coloniale che si supplisse alla sua mancanza con biglietti, ma siccome
venne a mancare anche la carta, fu necessario mettere mano a una partita di
carte da gioco francesi che il corsaro José Robert aveva tolto a dei corsari
portoghesi.
La nuova moneta non fu del
gradimento dei commercianti che la ricevevano a denti stretti. Arrivò il
momento che si rifiutarono di accettarla, cosa che spingeva alla fame la
popolazione privata di mezzi per comprare gli alimentari.
Nel 1787 si chiese con
urgenza al Re la soppressione della moneta di cartone e che se ne inviasse
altra di nuovo conio. La richiesta fu accettata e dopo un anno la moneta di
cartone veniva ritirata dal mercato.
La moneta in argento circolò a Cuba fino al 17 gennaio del 1781. Erano pezzi di argento con poligonali e senza bordo in rilievo.
La
Cabaña, chi offre di più?
La collina dove si sarebbe
costruita la fortezza di San Carlos de la Cabaña, nel 1748 aveva scarso valore.
In quella data, il suo proprietario la vendette per 500 pesos.
Riferimenti dell’epoca
confermano che il 28 febbraio del 1748, il suo proprietario di allora, Miguel
de Castro Palomino, vendette ad Agustín Sotolongo, tesioriere delle Sante
Crociate le terre di sua appartenenza nella “sierra del Castello e Reale Forza
del Morro”. Palomino ereditò il terreno da quella che fu sua moglie, Margarita
Franco, che a sua volta lo ereditò dal capitano Juan de Castro, suo primo
marito, che il 28 di agosto del 1675, la ottenne come mercede dal municipio
avanero.
Il
ghiaccio
Ancora, agli inizi del XX
secolo, il ghiaccio era un articolo quasi di lusso all’Avana e nel resto
dell’Isola.Si disponeva di lui solo nei banchetti, anche se era presente in
alcuni caffè e botteghe. Quando si trattava di banchetti, nel menù era segnato:
“Per finire: caffè, ghiaccio, sigari”.
Crollo
nel Payret
La notte del 12 marzo del
1882 crollò, in seguito ad un acquazzone torrenziale, l’ala di sinistra del
teatro Payret, con il saldo di vari morti e feriti.
Incendio
nell’isolato di Gómez
Un vorace incendio si
sviluppò nella notte del 27 gennaio del 1905 nell’isolato di Gómez, all’Avana.
Fu un sinistro che causò perdite considerevoli.
Rimasero distrutti ventiquattro esercizi e se ne salvarono solo 11. Il
fuoco cominciò in un negozio chiamato Il Globo.
Solo
per bianchi
Un ordine diramato il 9
agosto del 1832, rese obbligatorio che i sovrintendenti delle tenute di Cuba
fossero bianchi.
Comunque
tu ti metta
Per risoluzione del
segretario del Governo – ministro degli Interni -, il 7 luglio del 1905 fu
sospeso dalle sue funzioni, come sindaco dell’Avana, il dottor Juan Ramón
O’Farril. Gli si aprì un’istruttoria e si formularono 26 accuse contro di lui.
Una di queste per aver “insabbiato” per mesi dei documenti e un’altra per aver
trattato una pratica con straordinaria celerità.
Reclamo
santiaguero
In una comunicazione del
1775 il Municipio di Santiago de Cuba dice al Governatore dell’Isola che detto
Municipio notava con disappunto che nei suoi avvisi e documenti ufficiali,
detto Governatore desse al municipio dell’Avana il titolo di “Illustre” e non
desse alcun titolo al santiaguero, quando Sua Maestà lo riconosce come “Molto
illustre e molto leale”. Avverte il funzionario che provveda a compiere quello
che con la pietà di Sua Maestà il Re (che Dio lo conservi) lo ha distinto e non
lo ometta nelle sue comunicazioni.
Otros apuntes de Don Cándido
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
5 de Julio del 2014 20:21:36 CDT
Se dice que Santiago González Palacios, que haría célebre el seudónimo
de Don Cándido, fue uno de los mejores reporteros de la prensa
habanera. Cuando Rafael Suárez Solís, amante del suceso fragante y
vertiginoso, fue jefe de Información del Diario de la Marina,
reorganizó los servicios de ese periódico y encargó a González
Palacios de la cobertura de los ministerios, entonces secretarías, de
Estado --Relaciones Exteriores-- y Sanidad, y le confió asimismo lo que
se llamaba la “Policía chiquita”, que atendía las noticias que
generaban las broncas entre vecinas, los resbalones con cáscaras de
ron y los enredos de pareja.
En 1927 González Palacios pasó al periódico El Mundo. ¡Qué estupendo
repórter! Llevaba cuatro ministerios sobre sus hombros, redactaba
informaciones especiales, fabricaba entrevistas callejeras, hacía
títulos. Tenía una fórmula especial para superar el calor y el agobio
y avivar las ideas: en un jarro de estaño lleno de agua fría vertía
una taza de café hirviente; brebaje que consideraba inmejorable.
Eran años trágicos. Época de reajustes laborales, desempleo,
pantalones de sacos de harina, tabaquitos de a “quilo”, crímenes
misteriosos y censura implacable. A su lado, como también ocurriera en
la Marina, laboraba Miguel de Marcos, el futuro autor de Fotuto y
Papaíto Mayarí. El notable humorista estaba encargado, bajo las
órdenes directas de González Palacios, de la sección de Telegramas.
Era un duro menester. Los telegramas que los corresponsales enviaban a
la Redacción desde el interior contenían textos restringidos,
abreviados, elípticos y De Marcos debía, primero, interpretarlos para
después reelaborarlos, engordarlos y vestirlos antes de insertarlos en
las páginas del periódico.
No siempre resultaba fácil. Llegaban telegramas más escuetos que otros
y no era raro que Miguel de Marcos, pese al agua helada con café que
generosamente compartía con él González Palacios, sudara tinta en la
alta noche en su intento de darles forma, como este que remitían desde
Yaguaramas: “Tren 22. Kilómetro 67. Vaca residuos. Corresponsal”.
Ante mensaje tan críptico se hacía imprescindible que De Marcos
consultara con su jefe. González Palacios lo atendía sin dejar de
aporrear vertiginosamente su máquina de escribir o sin desviar la
vista del título que elaboraba a ocho columnas, en 72, sangrado y
perfectamente medido.
--Una gran información --exclamaba. Y sin desviar la atención de lo
suyo, añadía: “Eso quiere decir que el tren 22, que salió da Camagüey
a las 11:30 de la noche, al pasar por el kilómetro 67, entre Ranchuelo
y Yaguaramas, aplastó a una vaca que se encontraba en la vía férrea.
El animal quedó trucidado y no se hallaron sus residuos. Esto es todo
un notición. Elabóralo y de paso hazme la sugerencia de título a tres
columnas para la primera página de esta forma: Residuos de vaca en
Yaguaramas”.
Pese a que el periodista genuino es un individuo de indemne juventud,
llegó el momento en que Santiago González Palacios sintió la fatiga de
la noticia y se volvió hacia el pasado, no como un historiador, sino
como un cronista. Como se dijo el domingo anterior fue entonces que
dio a conocer en la revista Carteles, de La Habana, una columna bajo
el título de ¿Lo sabía usted?, apuntes breves y desembarazados que en
1947 recogió en un libro que se llamó de la misma manera. Hoy volvemos
sobre ese libro que llegó a manos del escribidor gracias al
desprendimiento de la lectora Carmen Cantón, y reproducimos tal cual
algunos de sus pasajes.
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
5 de Julio del 2014 20:21:36 CDT
Se dice que Santiago González Palacios, que haría célebre el seudónimo
de Don Cándido, fue uno de los mejores reporteros de la prensa
habanera. Cuando Rafael Suárez Solís, amante del suceso fragante y
vertiginoso, fue jefe de Información del Diario de la Marina,
reorganizó los servicios de ese periódico y encargó a González
Palacios de la cobertura de los ministerios, entonces secretarías, de
Estado --Relaciones Exteriores-- y Sanidad, y le confió asimismo lo que
se llamaba la “Policía chiquita”, que atendía las noticias que
generaban las broncas entre vecinas, los resbalones con cáscaras de
ron y los enredos de pareja.
En 1927 González Palacios pasó al periódico El Mundo. ¡Qué estupendo
repórter! Llevaba cuatro ministerios sobre sus hombros, redactaba
informaciones especiales, fabricaba entrevistas callejeras, hacía
títulos. Tenía una fórmula especial para superar el calor y el agobio
y avivar las ideas: en un jarro de estaño lleno de agua fría vertía
una taza de café hirviente; brebaje que consideraba inmejorable.
Eran años trágicos. Época de reajustes laborales, desempleo,
pantalones de sacos de harina, tabaquitos de a “quilo”, crímenes
misteriosos y censura implacable. A su lado, como también ocurriera en
la Marina, laboraba Miguel de Marcos, el futuro autor de Fotuto y
Papaíto Mayarí. El notable humorista estaba encargado, bajo las
órdenes directas de González Palacios, de la sección de Telegramas.
Era un duro menester. Los telegramas que los corresponsales enviaban a
la Redacción desde el interior contenían textos restringidos,
abreviados, elípticos y De Marcos debía, primero, interpretarlos para
después reelaborarlos, engordarlos y vestirlos antes de insertarlos en
las páginas del periódico.
No siempre resultaba fácil. Llegaban telegramas más escuetos que otros
y no era raro que Miguel de Marcos, pese al agua helada con café que
generosamente compartía con él González Palacios, sudara tinta en la
alta noche en su intento de darles forma, como este que remitían desde
Yaguaramas: “Tren 22. Kilómetro 67. Vaca residuos. Corresponsal”.
Ante mensaje tan críptico se hacía imprescindible que De Marcos
consultara con su jefe. González Palacios lo atendía sin dejar de
aporrear vertiginosamente su máquina de escribir o sin desviar la
vista del título que elaboraba a ocho columnas, en 72, sangrado y
perfectamente medido.
--Una gran información --exclamaba. Y sin desviar la atención de lo
suyo, añadía: “Eso quiere decir que el tren 22, que salió da Camagüey
a las 11:30 de la noche, al pasar por el kilómetro 67, entre Ranchuelo
y Yaguaramas, aplastó a una vaca que se encontraba en la vía férrea.
El animal quedó trucidado y no se hallaron sus residuos. Esto es todo
un notición. Elabóralo y de paso hazme la sugerencia de título a tres
columnas para la primera página de esta forma: Residuos de vaca en
Yaguaramas”.
Pese a que el periodista genuino es un individuo de indemne juventud,
llegó el momento en que Santiago González Palacios sintió la fatiga de
la noticia y se volvió hacia el pasado, no como un historiador, sino
como un cronista. Como se dijo el domingo anterior fue entonces que
dio a conocer en la revista Carteles, de La Habana, una columna bajo
el título de ¿Lo sabía usted?, apuntes breves y desembarazados que en
1947 recogió en un libro que se llamó de la misma manera. Hoy volvemos
sobre ese libro que llegó a manos del escribidor gracias al
desprendimiento de la lectora Carmen Cantón, y reproducimos tal cual
algunos de sus pasajes.
Sí; Pero no
La revista puertorriqueña El Carnaval, en un número que dedicó a Cuba
en julio de 1902, a dos meses escasos de la instauración de la
República, insertó varios materiales de elogio para la Isla y algunos
de sus hombres. Uno de los escogidos fue el poeta Diego Vicente
Tejera. Decía El Carnaval sobre el autor de La Hamaca:
“Diego Vicente Tejera es otro puertorriqueño distinguidísimo, casi
desconocido de sus compatriotas. Es un ilustrado doctor y escritor
correctísimo, autor de la luminosa obra inédita Desde el Zanjón hasta
Baire y asiduo colaborador que fue de Patria”.
Al leer el artículo en que se aludía a su persona, el fundador del
Partido Socialista Cubano y más tarde del Partido Popular Obrero, que
sí colaboró en Patria, el periódico de José Martí, se sintió obligado
a hacer las enmiendas pertinentes a través de la prensa. Precisó
entonces que no era puertorriqueño, sino nacido en Santiago de Cuba.
Añadió que tampoco era doctor, ni siquiera licenciado, porque dejó sin
concluir las carreras de Derecho y Medicina que matriculó en su
momento. Apuntó que Desde el Zanjón hasta Baire no era una obra
inédita, sino que ya había sido publicada, pero que su autor era Luis
Estévez y Romero, a la sazón vicepresidente de la República.
Herido de verdad
El público que en la noche del 11 de agosto de 1902 llenaba la sala
del teatro Albisu para presenciar la representación de una obra
titulada La vuelta al mundo fue testigo de un episodio sangriento y
real.
Se simulaba en la obra el asalto a un tren y uno de los asaltantes era
un “comparsa” al que apodaban Pantera. En el instante de realizarse el
ataque, Pantera se aproximó tanto que uno de los asaltados, el actor
Alejandro Garrido, accionó la escopeta que llevaba para su defensa y
disparó casi a boca tocante contra los agresores. Pantera, cuando
sonaron los disparos, se llevó las manos a la cara y cayó desplomado.
Fue algo tan perfecto que los espectadores tuvieron la impresión de
haber visto un suceso verídico.
Cayó el telón y Pantera no se levantó. Extrañados, sus compañeros se
le acercaron y al incorporarlo vieron, con asombro, que sobre el
tablado había un pequeño charco de sangre. El actor estaba herido en
un ojo. Un taco de cartón del cartucho de la escopeta le había herido
durante el asalto. Garrido fue detenido; las autoridades no lo
consideraron culpable y quedó en libertad.
Sonó a las 9:30
La noche del 18 de septiembre de 1902 los habaneros esperaban atentos
el estampido del cañonazo de las 9 para confrontar sus relojes. El
tiempo pasaba y el tronar del cañón no se oía. Y cuando ya nadie lo
esperaba y muchos se habían recogido, llegó el estampido. Eran las
nueve y media. Nunca se dio una explicación oficial por aquella
irregularidad.
A falta de plata
Debido a la gran escasez de plata macuquina en la región oriental de
la Isla, se dispuso por parte del Gobierno colonial que se supliera su
falta con papeletas, pero como el papel también llegó a faltar fue
necesario echar mano a una partida de barajas francesas que quitó a
corsarios portugueses el corsario José Robert.
La nueva moneda no fue del agrado de los comerciantes, que la recibían
a regañadientes. Llegó el momento en que se negaron a aceptarla, lo
que empujaba al hambre a la población, privada de adquirir los
alimentos.
En 1787 se pidió con urgencia al Rey la supresión de la moneda de
cartón y que se enviase otra de nuevo cuño. El ruego fue atendido y un
año más tarde la moneda de cartón era retirada del mercado.
La moneda macuquina circuló en Cuba hasta el 17 de enero de 1781. Eran
piezas de plata esquinadas y sin cordoncillo.
La Cabaña, ¿Quién da más?
La loma donde se construiría la fortaleza de San Carlos de la Cabaña
tenía escaso valor en 1748. En esa fecha su propietario la vendió en
500 pesos.
Referencias de la época confirman que el 28 de febrero de 1748 su
propietario de entonces, Miguel de Castro Palomino, vendió a Agustín
Sotolongo, tesorero de la Santa Cruzada, las tierras de su pertenencia
en la <<sierra del Castillo y Real Fuerza del Morro>>. Palomino heredó
el predio de la que había sido su esposa, Margarita Franco, que las
heredó a su vez del capitán Juan de Castro, su primer marido, que el
28 de agosto de 1675 las obtuvo por merced del cabildo habanero.
El hielo
Todavía a comienzos del siglo XX el hielo era un artículo casi de lujo
en La Habana y en el resto de la Isla. Solo se disponía de él en
banquetes, aunque lo había en algunos cafés y bodegas. Cuando de
banquetes se trataba, en la carta-menú se consignaba: “Postres: café,
hielo, tabacos”.
Derrumbe en el Payret
La noche del 12 de marzo de 1882 se desplomó, a consecuencia de un
aguacero torrencial, el ala izquierda del teatro Payret, con el saldo
de varios muertos y heridos.
Incendio en la Manzana de Gómez
Un voraz incendio se declaró la noche del 27 de enero de 1905 en la
Manzana de Gómez, en La Habana. Fue un siniestro que originó pérdidas
considerables. Veinticuatro establecimientos quedaron destruidos y
solo 11 se salvaron. El fuego comenzó por un comercio denominado El
Globo.
Solo para blancos
Una orden dictada el 9 de agosto de 1832 hizo obligatorio que fueran
blancos los mayorales de las fincas de Cuba.
Como quiera que te pongas
Por resolución del secretario de Gobernación --ministro del Interior--,
el 7 de julio de 1905 fue suspendido en sus funciones como Alcalde de
La Habana el doctor Juan Ramón O'Farrill. Se le instruyó expediente y
se formularon 23 cargos en su contra. Uno de estos, por haber
“engavetado” durante meses unos documentos y otro, por haber tramitado
un asunto con celeridad extraordinaria.
Reclamo santiaguero
En una comunicación de 1775 el Ayuntamiento de Santiago de Cuba dice
al Gobernador de la Isla que dicho Ayuntamiento veía con reparo que en
sus avisos y documentos oficiales ese Gobernador diera al Ayuntamiento
de La Habana el título de <<Ilustre>> y no diera título alguno al
santiaguero, cuando Su Majestad lo tiene por “Muy Ilustre y Muy Leal”.
Lo advierte al funcionario para que se sirva cumplir con lo que la
piedad de Su Majestad el Rey (que Dios guarde) lo ha distinguido y no
lo omita en sus comunicaciones.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/