Pubblicato su Juventud Rebelde del 9/8/15
Una negra vecchia, metà fattucchiera e metà veggente, si detenne davanti al bambino che dormiva nella sua culla avvolto in tulle e dopo averlo benedetto fece sentire una strana profezia. “È un genio”, affermò. Era nato quatto o cinque giorni prima con le sue 12 libbre di peso, era stato un avvenimento per il quartiere. Suo padre, il giornalista canario Ernesto Lecuona Ramos, direttore del giornale El Comercio, trovò sistemazione nell’accogliente città di Guanabacoa, allora dall’aria limpida e acqua cristallina, al fine che sua moglie Elisa Casado Bernal, già di salute delicata, partorisse il suo figlio numero 12. Si sarebbe chiamato Ernesto Sixto de la Asunción e sarà, dicono gli specialisti, il più universale dei compositori latinoamericani.
Una negra vecchia, metà fattucchiera e metà veggente, si detenne davanti al bambino che dormiva nella sua culla avvolto in tulle e dopo averlo benedetto fece sentire una strana profezia. “È un genio”, affermò. Era nato quatto o cinque giorni prima con le sue 12 libbre di peso, era stato un avvenimento per il quartiere. Suo padre, il giornalista canario Ernesto Lecuona Ramos, direttore del giornale El Comercio, trovò sistemazione nell’accogliente città di Guanabacoa, allora dall’aria limpida e acqua cristallina, al fine che sua moglie Elisa Casado Bernal, già di salute delicata, partorisse il suo figlio numero 12. Si sarebbe chiamato Ernesto Sixto de la Asunción e sarà, dicono gli specialisti, il più universale dei compositori latinoamericani.
Nacque il 6 agosto del 1895.
Non aveva ancora compiuto i 6 anni d’età quando la rivista avanera El Fígaro
metteva in risalto il suo sguardo vivace e penetrante, la sua acuta
intelligenza e risaltava inoltre la sua sicurezza al piano, così come la
finezza e buon gusto delle su esecuzioni. Ciò, naturalmente, non era altro che
roba da ragazzi. Sarebbe stata sua sorella Ernestina, 14 anni più grandi di
Ernesto che nel 1903 gli mise le mani sul piano “con un senso di disciplina al
limite dell’improvvisazione”. L’anno seguente si iscrive al conservatorio
Peyrellade e nel 1908 pubblica la sua prima opera musicale. Già fuori dal
conservatorio, Joaquí Nin che lo prese come allievo per otto mesi, prima di
tornare a Parigi gli suggerì che non prendesse lezioni da altri che non fosse
Hubert de Blanck. L’illustre pedagogo lo accettò al sesto anno di piano del
progetto di studi che reggeva nel suo conservatorio, questo dimostra
l’avanzamento raggiunto da Ernesto Lecuona nel poco tempo che avave da alunno.
Suo padre era morto nel
1902, durante un viaggio alle Canarie. La madre ha bisogno di cure speciali e
il giovane pianista, per aiutare i suoi, comincia a conoscere alcuni aspetti
brutti della vita. Ha 12 anni e comincia a lavorare. Il cine ara ancora muto e
si necessitavano pianisti per animare le proiezioni. Nel cine Fedora, in
Belascoain e San Miguel, guadagna tre pesos spagnoli al giorno per questo
compito (non c’era ancora moneta nazionale) e nonostante la sua età dirige
anche l’orchestra. Lavorò, poi, in altre sale cinematografiche e nel teatro
Regio della plaza de Albear, fu il pianista che accompagnava la cantante leggera
Amalia Molína. È da allora che un primo giro artistico lo porta nella città
dell’Avana e Matanzas come membro di una compagnia in cui figurano la cantante
leggera Mimí Ginés, un duetto di cantanti italiani e Teresky, il “trasformista”
che era come si chiamavano allora i travestiti.
Il maestro Hubert de Blanck
pensa che il suo discepolo sciupa il suo talento. Parla con la madre di Lecuona.
Ha davanti a se una solida carriera di pianista e urge toglierlo da attività
triviali che potranno aiutare a vivere la famiglia, ma che non portano il
musicista da nessuna parte. Elisa Casado comprende la situazione e accetta il
suggerimento a costo di grandi sacrifici.
Molti anni dopo, gia al
culmine della sua gloria, Lecuona ricordava con emozione la fede di sua madre e
insisteva nell’affermare che ciò che era, lo doveva a lei.
La
comparsa
Certamente il giovane
artista non sprecava completamente il suo tempo. Nel 1912 entra nella compagnia
di Arquímedes Pous. Questo è anche l’anno de La comparsa, una delle sue melodie più conosciute che a dire del
musicologo Jesús Gómez Cairo, risulta essere rivelatrice del talento del suo
autore, della sua condizione di compositore nato. Poco dopo, con
rappresentazioni di successo negli Stati Uniti, inizia la sua carriera
internazionale e nel 1918, assieme al compositore José Mauri, fonda L’Istituto
Musicale dell’Avana.
Lo attrae il teatro lirico,
la rivista, il varietà e la zarzuela
hanno in lui un ispirato coltivatore. Domingo
de piñata, rappresentata in prima al teatro Martí nel 1919, segna un record
nella storia di questo spazio, nel raggiungere circa 200 rappresentazioni. Nel
1922, assiema a Gonzalo Roig, Virgilio Diago, Pérez Sentenat e altri maestri,
fonda l’Orchestra Sinfonica dell’Avana, con lo stesso Lecuona come pianista e
Roig come direttore, sono presenti al programma inaugurale il 29 di ottobre di
quello stesso anno per interpretare il Concerto
numero 2 in sol minore opus 32 per piano e orchestra del compositore
francese Camilo Saint-Säens. Nel 1923 Lecuona orgnizza e dirige, nei tatri
Payret e Nacional, i Conciertos Típicos
Cubanos che rappresentano opere di autori contemporanei e in cui attuarono,
fra gli altri, René Cabel, Rita Montaner, Carmen Burguette, María Fantoli,
Tomasita Nuñez, Hortensia Coalla e Luisa María Morales.
Degna di tenersi in conto è
la relazione di lavoro che il compositore mantenne con gustavo Sánchez
Galarraga, un poeta, oggi esecrato e che bisognerà rileggere – i leggere –
perché lo scriba sospetta che sia condannato senza essere letto. Molti hanno
lavorato con entrambi i creatori. Lecuona dirà: “ Gustavo e io eravamo il
complemento, la sintesi, il riassunto dell’entusiasmo. Questo ci ha dato
l’opportunità di identificarci intimamente. Abbiamo cominciato componendo
canzoni, dopo abbiamo intrapreso il nostro miglior lavoro: la zarzuela”.
Il maestro lavorò anche con
altri librettisti. Niña Rita o La Habana de 1830, hanno il libretto di
Castells e Riancho e la musica è anche di Eliseo Grenet. Nel 1927 debuttò nel
teatro Regina – attuale Casa della Musica di Centro Avana – in essa debuttò
anche Rita Montaner nella parte del negretto del calesse. Un’opera memorabile,
fra le altre ragioni perché in essa Rita interpretò Ay mama Inés!, di Grenet e Canto
Siboney di Lecuona; successi imperituri, se esistono. Di Sánchez Galarraga
è il libretto di Lola Cruz, esordita
nel 1935 nel teatro Auditórium, poi Amadeo Roldán, zarzuela con cui Esther Borja debutta nell’ambito teatrale.
Il maestro viaggia
intensamente. Nel 1923 è a New York e in Portorico, nel 1924, in Spagna come
pianista accompagnatore della eccellente violinista Martha de la Torre. Nel
1928 creatori del calibro di Edgar Varése, Alejo Carpentier, maurice Ravel e
Joaquin Turina lo applaudono per le sue rappresentzioni nelle sale Pleyel e
Gaveau di Parigi.
Panama e Costa Rica lo
accolgono nel 1930 e l’anno seguente si reca in Messico. A Hollywood,
contrattato dalla Metro Goldwyn Mayer partecipa, con l’orchestra dei Fratelli
Palau, nella musicalizzazione de El
manisero. E in un teatro di questa città interpreta, con la presenza del
suo autore, Rapsodia in blue, del
compositore nordamericano George Gershwin.
Nel 1932 torna in Spagna ed
è di nuovo in Messico nel ’34. Nel ’36 fa la sua prima visita in Argentina con
Ernestina Lecuona, Esther Borja e Bola de Nieve; visita che ripeterà nel 1937 e
1938 quando, con Esther e Bola, partecipa alle riprese del film Adiós Buenos Aires. Questo stesso anno
attua in Perù e Cile per tornare in Argentina nel 1940.
Il 10 di ottobre del 1943
esordisce la sua Rapsodia negra al
Carnegie Hall di New York. Già nella decade del ’50 un lungo giro lo conduce in
Marocco, Madeira e Madrid. Nel 1958 torna in Spagna. Il 23 gennaio 1959, torna
a Cuba.
La
Nostalgia
La sua vita fu molto
intensa. Compone centinaia di bellissimi numeri che comprendono tutta
l’amplissima gamma della musica popolare cubana. Scopre, “pulisce” e lancia
tutto un esercito di cantanti. Le sue relazioni con numerosi artisti stranieri gli danno la
possibilità di portare a Cuba non poche stelle luminose. Nonostante il suo
carattere, timido e introverso, sa essere imprenditore quando deve esserlo, non
si dedica solo a supervisionare gli abiti di scena o la scenografia di uno
spettacolo col fine di mantenere vivo il teatro lirico cubano per il quale
produce, a parte le già citate zarzuelas
tanto indimenticabili come El cafetal (1928),
María la O (1930) e Rosa la China (1932).
“La sua vita continua senza
tregua e senza riposo, componendo, lottando per i diritti dei compositori
cubani, producendo buoni programmi per il teatro, registrando la sua musica”,
scrive il musicologo Cristóbal Díaz Ayala.
Dopo la fuga di Batista, si
sente animato e imprenditore nell’Isola, dice il suo biografo Orlando Martínez.
Nei giorni 23, 27 e 30 di maggio del 1959, organizza tre concerti
nell’Auditorium. Sarà il suo ultimo contatto col pubblico cubano. Lo si accusa
di malversazione di fondi della Società degli Autori e di complicità con la
dittatura batistiana, però esce indenne da entrambe le accuse. C’è il progetto,
fallito, di portare al cine la sua vita col titolo di Malagueña e il maestro parte per gli Stati Uniti per trattare la
riduzione dei diritti musicali. Torna all’Isola e riparte il 6 gennaio del
1960. Adduce di dover incassare dei diritti d’autore e chiede al Banco Nacional
che gli si permetta setrarre 150 dollari dal suo conto corrente e altri 300 per
le persone che lo accompagnano. Parte dall’Avana il 6 gennaio 1960 e non
tornerà mai più.
Da Tampa scrive ai suoi
amici rimasti a Cuba. È amareggiato, la nostalgia lo ammazza, necessita il
contatto con la sua terra. Non scrive, ha perso le sue capacità d’impresario.
Si ammala gravemente, Dopo ingenti sforzi, la sua amica, la soprano Luisa María
Morales, riesce a contattarlo per telefono dall’Avana. Il maestro è in camera
ad ossigeno, ma parla con l’indimenticabile amica. Le chiede che non divulghi
il suo stato di salute. È il mese di maggio del 1963. Il suo stato fisico
migliora in settembre, su consiglio del suo medico si trasferisce in Spagna.
Vuole visitare Santa Cruz de Tenerife, dove nacque e morì suo padre. A Malaga
gli offrono una bella casa per riconoscenza alla sua immortale Malagueña e lo dichiarano Figlio
Adottivo. Dona a una chiesa l’immagine riprodotta della Caridad del Cobre
davanti alla quale fa dire una messa per le vittime dell’uragano Flora. A
Barcellona torna ad ammalarsi gravemente, Gli si raccomanda di tornare a
Tenerife ed effettua il viaggio con una sonda al naso. Il capitano della nave
teme che muoia a bordo e gli ordina di sbarcare a Cadice. Ma alla fine può
proseguire il viaggio.
Nel lussuoso hotel Mencey,
di Santa Cruz, le cose sembrano migliorare. Il maestro scherza con i suoi
accompagnatori, ma tutto non è solo che un’illusione. Muore alla mezzanotte
del 29 novembre del 1963. La causa iniziale della sua morte fu una
broncopolmonite; quella principale un’asistolia per fibrillazione ventricolare.
Il 3 dicembre, davanti al
cadavere, gli si offrì una messa di corpus insepultus nella chiesa del cimitero
di Santa Lastenia, a Santa Cruz. Dopo il cadavere fu trasportato a Madrid. Lì
gli si cantò una messa imponente organizzata dalla Società degli Autori di
Spagna. Dodici sacerdoti officiarono davanti a 48 candelabri. Attuò l’Orchestra
Sinfonica di Madrid con un coro di 200 voci. La bandiera cubana copriva il
feretro. Quella stessa sera il corpo di Lecuona, imbalsamato con una tecnica
che garantiva la sua efficacia per 35 anni come minimo, partì in aereo con
destinazione New York. Il 13 dicembre lo inumarono nel cimitero di Westchester
in questa città.
Sulle sue creazioni il
musicologo Cristóbal Díaz Ayala scrisse: “Lecuona fu l’esempio della fusione
delle vertenti spagnole e africane della musica cubana. Nessuno, meglio di lui,
seppe fondere entrambi gli elementi senza perdere l’autenticità delle fonti
originali, ma creando un prodotto nuovo e diverso: la musica cubana”.
Fonti;
Testi di Radamés Giro, Orlando Martínez, Ramón Fajardo e Cristóbal diaz Ayala.
Lecuona
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
8 de Agosto del 2015 22:00:06 CDT
8 de Agosto del 2015 22:00:06 CDT
Una negra
vieja, mitad hechicera, mitad pitonisa, se detuvo ante el niño que dormía en su
cuna envuelto en tules y luego de bendecirlo dejó oír una rara profecía. “Es un
genio”, afirmó. Había nacido cuatro o cinco días antes y con sus 12 libras de
peso había sido un acontecimiento en la barriada. Su padre, el periodista
canario Ernesto Lecuona Ramos, director del periódico El Comercio, buscó
acomodo en la acogedora villa de Guanabacoa, entonces de aires límpidos y aguas
cristalinas, a fin de que su esposa Elisa Casado Bernal, ya delicada de salud,
pariese a su hijo número 12. Se llamaría Ernesto Sixto de la Asunción y sería,
aseguran especialistas, el más universal de los compositores latinoamericanos.
Nació el 6 de
agosto de 1895. No había cumplido aún los seis años de edad cuando la revista
habanera El Fígaro ponía de relieve su mirada viva y penetrante y su aguda inteligencia,
y resaltaba asimismo su seguridad en el piano, así como la finura y buen gusto
de sus ejecuciones. Aquello, sin embargo, no pasaba de ser cosa de muchacho.
Sería su hermana Ernestina, 14 años mayor que Ernesto, quien en 1903 le puso
las manos en el piano “con un sentido de disciplina, al margen de la
improvisación”. Matricula al año siguiente en el conservatorio Peyrellade, y en
1908 publica su primera obra musical. Fuera ya del conservatorio, Joaquín Nin,
que lo tomó como discípulo durante ocho meses, antes de volver a París le
aconsejó que no recibiese clases de nadie más que de Hubert de Blanck. El
ilustre pedagogo lo aceptó en el sexto año de piano del plan de estudios que
regía en su conservatorio, lo que demuestra el adelanto alcanzado por Ernesto
Lecuona en el poco tiempo que llevaba como alumno.
Su padre había
muerto en 1902, durante un viaje a Canarias. La madre necesita de cuidados
especiales y el joven pianista, para ayudar a los suyos, empieza a conocer
algunas facetas feas de la vida. Tiene 12 años y comienza a trabajar. El cine
era todavía silente y se necesitaba de pianistas que animasen las proyecciones.
En el cine Fedora, en Belascoaín y San Miguel, devenga tres pesos españoles
diarios por esa tarea (no hay aún moneda nacional) y pese a su edad dirige
también la orquesta. Trabajó luego en otras salas cinematográficas, y en el
teatro Regio, de la plaza de Albear, fue el pianista acompañante de la
tonadillera Amalia Molina. Es por entonces que una primera gira artística lo
lleva por ciudades de La Habana y Matanzas como parte de una compañía en la que
figuran la tonadillera Mimí Ginés, un dúo de cantantes italianos, y Teresky, el
transformista, que era como se llamaba entonces a los travestis.
El maestro
Hubert de Blanck piensa que su discípulo malgasta su talento. Conversa con la
madre de Lecuona. Tiene ante sí una sólida carrera pianística y urge sacarlo de
actividades triviales que podrán ayudar a vivir a la familia, pero que no
conducen al músico a ninguna parte. Elisa Casado comprende la situación y
acepta la sugerencia a costa de grandes sacrificios.
Muchos años
después, ya en el apogeo de su gloria, Lecuona recordaba emocionado la fe de su
madre e insistía en afirmar que lo que era se lo debía a ella.
La comparsa
Ciertamente no
malgastaba del todo su talento el joven artista. En 1912 ingresa en la compañía
de Arquímedes Pous. Ese es también el año de La comparsa, una de
sus melodías más conocidas, y que al decir del musicólogo Jesús Gómez Cairo
resulta reveladora del genio de su autor, de su condición de compositor nato.
Poco después, con presentaciones exitosas en Estados Unidos se inicia su
carrera internacional, y en 1918, junto con el compositor José Mauri, funda el
Instituto Musical de La Habana.
Lo atrae el
teatro lírico, y la revista, el sainete y la zarzuela tienen en él un inspirado
cultivador. Domingo de piñata, estrenada en el
teatro Martí en 1919, marca un hito en la historia de ese coliseo al alcanzar
cerca de 200 representaciones. En 1922, junto a Gonzalo Roig, Virgilio Diago,
Pérez Sentenat y otros maestros, funda la Orquesta Sinfónica de La Habana, y el
propio Lecuona, como pianista, y Roig, como director, están en su
programa inaugural el 29 de octubre de ese año para interpretar el Concierto número 2 en sol menor opus 32 para piano y orquesta del
compositor francés Camilo Saint-Saëns. En 1923 Lecuona organiza y dirige,
en los teatros Payret y Nacional, los Conciertos Típicos
Cubanos que presentaron obras de autores contemporáneos y en
los que actuaron, entre otros, René Cabel, Rita Montaner, Carmen Burguette,
María Fantoli, Tomasita Núñez, Hortensia Coalla y Luisa María Morales.
Digna de
tenerse en cuenta es la relación de trabajo que mantuvo el compositor con
Gustavo Sánchez Galarraga, un poeta hoy execrado y que habrá que releer —o leer
porque el escribidor sospecha que está condenado sin haber sido leído. Mucho
trabajaron juntos ambos creadores. Diría Lecuona: “Gustavo y yo éramos el
complemento, la síntesis, el resumen del entusiasmo. Ello nos dio la oportunidad
de identificarnos íntimamente. Empezamos componiendo canciones, después
emprendimos nuestra labor mejor: la zarzuela”.
Trabajó
asimismo el maestro con otros libretistas. Niña Rita o La Habana de 1830, tiene libreto de Castells y
Riancho y la música es también de Eliseo Grenet. Se estrenó en 1927, en el
teatro Regina —actual Casa de la Música, de Centro Habana— y en ella debutó
Rita Montaner en el papel del negrito calesero. Una obra memorable, entre otras
razones, porque en ella Rita interpretó ¡Ay, mamá Inés!,
de Grenet, y Canto Siboney, de Lecuona; éxitos
perdurables si los hay. De Sánchez Galarraga es el libreto de Lola Cruz, estrenada en 1935 en el teatro Auditórium,
después Amadeo Roldán, zarzuela con la que Esther Borja debuta en el
ámbito teatral.
Viaja
intensamente el maestro. En 1923 está en Nueva York y en Puerto Rico, en 1924,
en España como pianista acompañante de la destacada violinista Martha de la
Torre. En 1928 creadores del calibre de Edgar Varése, Alejo Carpentier, Maurice
Ravel y Joaquín Turina lo aplauden en sus presentaciones en las salas Pleyel y
Gaveau, de París. Panamá y Costa Rica lo acogen en 1930, y al año siguiente
viaja a México. En Hollywood, contratado por la Metro Goldwyn Mayer participa,
con la orquesta de Hermanos Palau, en la musicalización de la película El manisero. Y en un teatro de esa ciudad interpreta,
con la presencia del autor, Rapsodia en azul,
del compositor norteamericano George Gershwin.
En 1932 vuelve
a España y está de nuevo en México en el 34. En el 36 hace su primera visita a
Argentina con Ernestina Lecuona, Esther Borja y Bola de Nieve; visita que
repetirá en 1937 y 1938, cuando, junto a Esther y Bola, participa en la
filmación de
Adiós, Buenos
Aires. En ese mismo año actúa en Perú y Chile para volver a
la Argentina en 1940.
El 10 de
octubre de 1943 estrena su Rapsodia negra en
el Carnegie Hall, de Nueva York. Ya en la década del 50 un largo periplo lo
lleva a Marruecos, Madeira y Madrid. En 1958 vuelve a España. El 23 de enero de
1959 regresa a Cuba.
La Nostalgia
Fue muy
intensa su vida. Compone cientos de bellísimos números que comprenden toda la
amplísima gama de la música popular cubana. Descubre, pule y lanza toda una
cantera de cantantes. Sus relaciones con numerosos artistas extranjeros
posibilitan que traiga a Cuba a no pocas estrellas rutilantes. Pese a su
carácter tímido e introvertido sabe ser un empresario cuando tiene que serlo y
el compositor exquisito no es remiso a supervisar el vestuario y la
escenografía de un espectáculo con tal de mantener vivo el teatro lírico cubano
para el que produce, aparte de las ya mencionadas, zarzuelas igualmente
inolvidables como El cafetal
(1928), María la O (1930) y Rosa la China (1932).
“Sigue su
vida, sin tregua ni reposo, componiendo, luchando por los derechos de los
compositores cubanos, produciendo buenos programas para el teatro, grabando su
música”, escribe el musicógrafo Cristóbal Díaz Ayala.
Tras la huida
de Batista, se siente en la Isla animoso y emprendedor, dice su biógrafo
Orlando Martínez. Los días 23, 27 y 30 de mayo de 1959 organiza tres conciertos
en el Auditórium. Sería su último contacto con el público cubano. Se le acusa
de mal manejo de fondos en la Sociedad de Autores y de complicidad con la
dictadura batistiana, pero sale ileso de ambos cargos. Hay el proyecto fallido
de llevar al cine su vida con el título de Malagueña, y el
maestro viaja a Estados Unidos para gestionar el abaratamiento de los derechos
musicales. Regresa a la Isla y vuelve a partir el 6 de enero de 1960. Aduce que
debe cobrar derechos de autor y pide al Banco Nacional que se le permita
extraer 150 dólares de su cuenta bancaria y otros 300 para las personas que lo
acompañarán. Sale de La Habana el 6 de enero de 1960. No regresará nunca más.
Desde Tampa
escribe a sus amigos que quedaron en Cuba. Está amargado, lo mata la nostalgia,
necesita el contacto con su tierra. No escribe y ha perdido sus aristas para la
empresa. Enferma de cuidado. Tras ingentes esfuerzos su amiga, la soprano Luisa
María Morales, logra contactarlo por teléfono desde La Habana. El maestro está
en cámara de oxígeno, pero habla con la amiga inolvidable. Le pide que no
divulgue su estado de salud.
Es el mes de
mayo de 1963. Mejora su estado físico y en septiembre, aconsejado por su
médico, se traslada a España. Quiere visitar Santa Cruz de Tenerife, donde
nació y murió su padre. En Málaga le obsequian una bella casa en reconocimiento
a su inmortal Malagueña y lo declaran Hijo Adoptivo. Dona a una
iglesia una imagen de bulto de la Caridad del Cobre ante la que hace decir misa
por las víctimas del ciclón Flora. En Barcelona vuelve a enfermar de gravedad.
Se le recomienda que vuelva a Tenerife y hace el viaje con sonda nasal. El
capitán de la nave teme que muera a bordo y le ordena que desembarque en Cádiz.
Pero al fin puede seguir viaje.
En el lujoso
hotel Mencey, de Santa Cruz, las cosas parecen mejorar. Bromea el maestro con
sus acompañantes, pero todo no es más que una ilusión. Fallece en la medianoche
del 29 de noviembre de 1963. La causa inicial de su muerte fue una
bronconeumonía; la directa, una asistolia por fibrilación ventricular.
El 3 de
diciembre, ante el cadáver, se le ofreció una misa de corpus insepultus en la
iglesia del cementerio de Santa Lastenia, en Santa Cruz. Después el cadáver fue
trasladado a Madrid. Allí se le cantó una misa imponente organizada por la
Sociedad de Autores de España. Doce sacerdotes oficiaron ante 48 candelabros.
Actuó la Orquesta Sinfónica de Madrid con un coro de 200 voces. La bandera
cubana cubría el féretro.
Esa misma
noche el cuerpo de Lecuona embalsamado con una técnica que garantizaba su
eficacia durante 35 años como mínimo, salió en avión con destino a Nueva York.
El 13 de diciembre lo inhumaron en el cementerio de Westchester de esa ciudad.
Sobre su
creación escribió el musicógrafo Cristóbal Díaz Ayala: “Lecuona fue el
paradigma de la fusión de las vertientes españolas y africanas de la música
cubana. Nadie mejor que él supo fundir ambos elementos sin perder la
autenticidad de las fuentes originales, pero creando un producto nuevo y
distinto: música cubana”.
Fuentes: Textos
de Radamés Giro, Orlando Martínez, Ramón Fajardo y Cristóbal Díaz Ayala.