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martedì 11 agosto 2015

Lecuona, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 9/8/15

Una negra vecchia, metà fattucchiera e metà veggente, si detenne davanti al bambino che dormiva nella sua culla avvolto in tulle e dopo averlo benedetto fece sentire una strana profezia. “È un genio”, affermò. Era nato quatto o cinque giorni prima con le sue 12 libbre di peso, era stato un avvenimento per il quartiere. Suo padre, il giornalista canario Ernesto Lecuona Ramos, direttore del giornale El Comercio, trovò sistemazione nell’accogliente città di Guanabacoa, allora dall’aria limpida e acqua cristallina, al fine che sua  moglie Elisa Casado Bernal, già di salute delicata, partorisse il suo figlio numero 12. Si sarebbe chiamato Ernesto Sixto de la Asunción e sarà, dicono gli specialisti, il più universale dei compositori latinoamericani.
Nacque il 6 agosto del 1895. Non aveva ancora compiuto i 6 anni d’età quando la rivista avanera El Fígaro metteva in risalto il suo sguardo vivace e penetrante, la sua acuta intelligenza e risaltava inoltre la sua sicurezza al piano, così come la finezza e buon gusto delle su esecuzioni. Ciò, naturalmente, non era altro che roba da ragazzi. Sarebbe stata sua sorella Ernestina, 14 anni più grandi di Ernesto che nel 1903 gli mise le mani sul piano “con un senso di disciplina al limite dell’improvvisazione”. L’anno seguente si iscrive al conservatorio Peyrellade e nel 1908 pubblica la sua prima opera musicale. Già fuori dal conservatorio, Joaquí Nin che lo prese come allievo per otto mesi, prima di tornare a Parigi gli suggerì che non prendesse lezioni da altri che non fosse Hubert de Blanck. L’illustre pedagogo lo accettò al sesto anno di piano del progetto di studi che reggeva nel suo conservatorio, questo dimostra l’avanzamento raggiunto da Ernesto Lecuona nel poco tempo che avave da alunno.
Suo padre era morto nel 1902, durante un viaggio alle Canarie. La madre ha bisogno di cure speciali e il giovane pianista, per aiutare i suoi, comincia a conoscere alcuni aspetti brutti della vita. Ha 12 anni e comincia a lavorare. Il cine ara ancora muto e si necessitavano pianisti per animare le proiezioni. Nel cine Fedora, in Belascoain e San Miguel, guadagna tre pesos spagnoli al giorno per questo compito (non c’era ancora moneta nazionale) e nonostante la sua età dirige anche l’orchestra. Lavorò, poi, in altre sale cinematografiche e nel teatro Regio della plaza de Albear, fu il pianista che accompagnava la cantante leggera Amalia Molína. È da allora che un primo giro artistico lo porta nella città dell’Avana e Matanzas come membro di una compagnia in cui figurano la cantante leggera Mimí Ginés, un duetto di cantanti italiani e Teresky, il “trasformista” che era come si chiamavano allora i travestiti.
Il maestro Hubert de Blanck pensa che il suo discepolo sciupa il suo talento. Parla con la madre di Lecuona. Ha davanti a se una solida carriera di pianista e urge toglierlo da attività triviali che potranno aiutare a vivere la famiglia, ma che non portano il musicista da nessuna parte. Elisa Casado comprende la situazione e accetta il suggerimento a costo di grandi sacrifici.
Molti anni dopo, gia al culmine della sua gloria, Lecuona ricordava con emozione la fede di sua madre e insisteva nell’affermare che ciò che era, lo doveva a lei.

La comparsa

Certamente il giovane artista non sprecava completamente il suo tempo. Nel 1912 entra nella compagnia di Arquímedes Pous. Questo è anche l’anno de La comparsa, una delle sue melodie più conosciute che a dire del musicologo Jesús Gómez Cairo, risulta essere rivelatrice del talento del suo autore, della sua condizione di compositore nato. Poco dopo, con rappresentazioni di successo negli Stati Uniti, inizia la sua carriera internazionale e nel 1918, assieme al compositore José Mauri, fonda L’Istituto Musicale dell’Avana.
Lo attrae il teatro lirico, la rivista, il varietà e la zarzuela hanno in lui un ispirato coltivatore. Domingo de piñata, rappresentata in prima al teatro Martí nel 1919, segna un record nella storia di questo spazio, nel raggiungere circa 200 rappresentazioni. Nel 1922, assiema a Gonzalo Roig, Virgilio Diago, Pérez Sentenat e altri maestri, fonda l’Orchestra Sinfonica dell’Avana, con lo stesso Lecuona come pianista e Roig come direttore, sono presenti al programma inaugurale il 29 di ottobre di quello stesso anno per interpretare il Concerto numero 2 in sol minore opus 32 per piano e orchestra del compositore francese Camilo Saint-Säens. Nel 1923 Lecuona orgnizza e dirige, nei tatri Payret e Nacional, i Conciertos Típicos Cubanos che rappresentano opere di autori contemporanei e in cui attuarono, fra gli altri, René Cabel, Rita Montaner, Carmen Burguette, María Fantoli, Tomasita Nuñez, Hortensia Coalla e Luisa María Morales.
Degna di tenersi in conto è la relazione di lavoro che il compositore mantenne con gustavo Sánchez Galarraga, un poeta, oggi esecrato e che bisognerà rileggere – i leggere – perché lo scriba sospetta che sia condannato senza essere letto. Molti hanno lavorato con entrambi i creatori. Lecuona dirà: “ Gustavo e io eravamo il complemento, la sintesi, il riassunto dell’entusiasmo. Questo ci ha dato l’opportunità di identificarci intimamente. Abbiamo cominciato componendo canzoni, dopo abbiamo intrapreso il nostro miglior lavoro: la zarzuela”.
Il maestro lavorò anche con altri librettisti. Niña Rita o La Habana de 1830, hanno il libretto di Castells e Riancho e la musica è anche di Eliseo Grenet. Nel 1927 debuttò nel teatro Regina – attuale Casa della Musica di Centro Avana – in essa debuttò anche Rita Montaner nella parte del negretto del calesse. Un’opera memorabile, fra le altre ragioni perché in essa Rita interpretò Ay mama Inés!, di Grenet e Canto Siboney di Lecuona; successi imperituri, se esistono. Di Sánchez Galarraga è il libretto di Lola Cruz, esordita nel 1935 nel teatro Auditórium, poi Amadeo Roldán, zarzuela con cui Esther Borja debutta nell’ambito teatrale.
Il maestro viaggia intensamente. Nel 1923 è a New York e in Portorico, nel 1924, in Spagna come pianista accompagnatore della eccellente violinista Martha de la Torre. Nel 1928 creatori del calibro di Edgar Varése, Alejo Carpentier, maurice Ravel e Joaquin Turina lo applaudono per le sue rappresentzioni nelle sale Pleyel e Gaveau di Parigi.
Panama e Costa Rica lo accolgono nel 1930 e l’anno seguente si reca in Messico. A Hollywood, contrattato dalla Metro Goldwyn Mayer partecipa, con l’orchestra dei Fratelli Palau, nella musicalizzazione de El manisero. E in un teatro di questa città interpreta, con la presenza del suo autore, Rapsodia in blue, del compositore nordamericano George Gershwin.
Nel 1932 torna in Spagna ed è di nuovo in Messico nel ’34. Nel ’36 fa la sua prima visita in Argentina con Ernestina Lecuona, Esther Borja e Bola de Nieve; visita che ripeterà nel 1937 e 1938 quando, con Esther e Bola, partecipa alle riprese del film Adiós Buenos Aires. Questo stesso anno attua in Perù e Cile per tornare in Argentina nel 1940.
Il 10 di ottobre del 1943 esordisce la sua Rapsodia negra al Carnegie Hall di New York. Già nella decade del ’50 un lungo giro lo conduce in Marocco, Madeira e Madrid. Nel 1958 torna in Spagna. Il 23 gennaio 1959, torna a Cuba.

La Nostalgia

La sua vita fu molto intensa. Compone centinaia di bellissimi numeri che comprendono tutta l’amplissima gamma della musica popolare cubana. Scopre, “pulisce” e lancia tutto un esercito di cantanti. Le sue relazioni con  numerosi artisti stranieri gli danno la possibilità di portare a Cuba non poche stelle luminose. Nonostante il suo carattere, timido e introverso, sa essere imprenditore quando deve esserlo, non si dedica solo a supervisionare gli abiti di scena o la scenografia di uno spettacolo col fine di mantenere vivo il teatro lirico cubano per il quale produce, a parte le già citate zarzuelas tanto indimenticabili come El cafetal (1928), María la O (1930) e Rosa la China (1932).
“La sua vita continua senza tregua e senza riposo, componendo, lottando per i diritti dei compositori cubani, producendo buoni programmi per il teatro, registrando la sua musica”, scrive il musicologo Cristóbal Díaz Ayala.
Dopo la fuga di Batista, si sente animato e imprenditore nell’Isola, dice il suo biografo Orlando Martínez. Nei giorni 23, 27 e 30 di maggio del 1959, organizza tre concerti nell’Auditorium. Sarà il suo ultimo contatto col pubblico cubano. Lo si accusa di malversazione di fondi della Società degli Autori e di complicità con la dittatura batistiana, però esce indenne da entrambe le accuse. C’è il progetto, fallito, di portare al cine la sua vita col titolo di Malagueña e il maestro parte per gli Stati Uniti per trattare la riduzione dei diritti musicali. Torna all’Isola e riparte il 6 gennaio del 1960. Adduce di dover incassare dei diritti d’autore e chiede al Banco Nacional che gli si permetta setrarre 150 dollari dal suo conto corrente e altri 300 per le persone che lo accompagnano. Parte dall’Avana il 6 gennaio 1960 e non tornerà mai più.
Da Tampa scrive ai suoi amici rimasti a Cuba. È amareggiato, la nostalgia lo ammazza, necessita il contatto con la sua terra. Non scrive, ha perso le sue capacità d’impresario. Si ammala gravemente, Dopo ingenti sforzi, la sua amica, la soprano Luisa María Morales, riesce a contattarlo per telefono dall’Avana. Il maestro è in camera ad ossigeno, ma parla con l’indimenticabile amica. Le chiede che non divulghi il suo stato di salute. È il mese di maggio del 1963. Il suo stato fisico migliora in settembre, su consiglio del suo medico si trasferisce in Spagna. Vuole visitare Santa Cruz de Tenerife, dove nacque e morì suo padre. A Malaga gli offrono una bella casa per riconoscenza alla sua immortale Malagueña e lo dichiarano Figlio Adottivo. Dona a una chiesa l’immagine riprodotta della Caridad del Cobre davanti alla quale fa dire una messa per le vittime dell’uragano Flora. A Barcellona torna ad ammalarsi gravemente, Gli si raccomanda di tornare a Tenerife ed effettua il viaggio con una sonda al naso. Il capitano della nave teme che muoia a bordo e gli ordina di sbarcare a Cadice. Ma alla fine può proseguire il viaggio.
Nel lussuoso hotel Mencey, di Santa Cruz, le cose sembrano migliorare. Il maestro scherza con i suoi accompagnatori, ma tutto non è solo che un’illusione. Muore alla mezzanotte del 29 novembre del 1963. La causa iniziale della sua morte fu una broncopolmonite; quella principale un’asistolia per fibrillazione ventricolare.
Il 3 dicembre, davanti al cadavere, gli si offrì una messa di corpus insepultus nella chiesa del cimitero di Santa Lastenia, a Santa Cruz. Dopo il cadavere fu trasportato a Madrid. Lì gli si cantò una messa imponente organizzata dalla Società degli Autori di Spagna. Dodici sacerdoti officiarono davanti a 48 candelabri. Attuò l’Orchestra Sinfonica di Madrid con un coro di 200 voci. La bandiera cubana copriva il feretro. Quella stessa sera il corpo di Lecuona, imbalsamato con una tecnica che garantiva la sua efficacia per 35 anni come minimo, partì in aereo con destinazione New York. Il 13 dicembre lo inumarono nel cimitero di Westchester in questa città.
Sulle sue creazioni il musicologo Cristóbal Díaz Ayala scrisse: “Lecuona fu l’esempio della fusione delle vertenti spagnole e africane della musica cubana. Nessuno, meglio di lui, seppe fondere entrambi gli elementi senza perdere l’autenticità delle fonti originali, ma creando un prodotto nuovo e diverso: la musica cubana”.


Fonti; Testi di Radamés Giro, Orlando Martínez, Ramón Fajardo e Cristóbal diaz Ayala.


Lecuona

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
8 de Agosto del 2015 22:00:06 CDT

Una negra vieja, mitad hechicera, mitad pitonisa, se detuvo ante el niño que dormía en su cuna envuelto en tules y luego de bendecirlo dejó oír una rara profecía. “Es un genio”, afirmó. Había nacido cuatro o cinco días antes y con sus 12 libras de peso había sido un acontecimiento en la barriada. Su padre, el periodista canario Ernesto Lecuona Ramos, director del periódico El Comercio, buscó acomodo en la acogedora villa de Guanabacoa, entonces de aires límpidos y aguas cristalinas, a fin de que su esposa Elisa Casado Bernal, ya delicada de salud, pariese a su hijo número 12. Se llamaría Ernesto Sixto de la Asunción y sería, aseguran especialistas, el más universal de los compositores latinoamericanos.
Nació el 6 de agosto de 1895. No había cumplido aún los seis años de edad cuando la revista habanera El Fígaro ponía de relieve su mirada viva y penetrante y su aguda inteligencia, y resaltaba asimismo su seguridad en el piano, así como la finura y buen gusto de sus ejecuciones. Aquello, sin embargo, no pasaba de ser cosa de muchacho. Sería su hermana Ernestina, 14 años mayor que Ernesto, quien en 1903 le puso las manos en el piano “con un sentido de disciplina, al margen de la improvisación”. Matricula al año siguiente en el conservatorio Peyrellade, y en 1908 publica su primera obra musical. Fuera ya del conservatorio, Joaquín Nin, que lo tomó como discípulo durante ocho meses, antes de volver a París le aconsejó que no recibiese clases de nadie más que de Hubert de Blanck. El ilustre pedagogo lo aceptó en el sexto año de piano del plan de estudios que regía en su conservatorio, lo que demuestra el adelanto alcanzado por Ernesto Lecuona en el poco tiempo que llevaba como alumno.
Su padre había muerto en 1902, durante un viaje a Canarias. La madre necesita de cuidados especiales y el joven pianista, para ayudar a los suyos, empieza a conocer algunas facetas feas de la vida. Tiene 12 años y comienza a trabajar. El cine era todavía silente y se necesitaba de pianistas que animasen las proyecciones. En el cine Fedora, en Belascoaín y San Miguel, devenga tres pesos españoles diarios por esa tarea (no hay aún moneda nacional) y pese a su edad dirige también la orquesta. Trabajó luego en otras salas cinematográficas, y en el teatro Regio, de la plaza de Albear, fue el pianista acompañante de la tonadillera Amalia Molina. Es por entonces que una primera gira artística lo lleva por ciudades de La Habana y Matanzas como parte de una compañía en la que figuran la tonadillera Mimí Ginés, un dúo de cantantes italianos, y Teresky, el transformista, que era como se llamaba entonces a los travestis.
El maestro Hubert de Blanck piensa que su discípulo malgasta su talento. Conversa con la madre de Lecuona. Tiene ante sí una sólida carrera pianística y urge sacarlo de actividades triviales que podrán ayudar a vivir a la familia, pero que no conducen al músico a ninguna parte. Elisa Casado comprende la situación y acepta la sugerencia a costa de grandes sacrificios.
Muchos años después, ya en el apogeo de su gloria, Lecuona recordaba emocionado la fe de su madre e insistía en afirmar que lo que era se lo debía a ella.

La comparsa

Ciertamente no malgastaba del todo su talento el joven artista. En 1912 ingresa en la compañía de Arquímedes Pous. Ese es también el año de La comparsa, una de sus melodías más conocidas, y que al decir del musicólogo Jesús Gómez Cairo resulta reveladora del genio de su autor, de su condición de compositor nato. Poco después, con presentaciones exitosas en Estados Unidos se inicia su carrera internacional, y en 1918, junto con el compositor José Mauri, funda el Instituto Musical de La Habana.
Lo atrae el teatro lírico, y la revista, el sainete y la zarzuela tienen en él un inspirado cultivador. Domingo de piñata, estrenada en el teatro Martí en 1919, marca un hito en la historia de ese coliseo al alcanzar cerca de 200 representaciones. En 1922, junto a Gonzalo Roig, Virgilio Diago, Pérez Sentenat y otros maestros, funda la Orquesta Sinfónica de La Habana, y el propio Lecuona, como pianista,  y Roig, como director, están en su programa inaugural el 29 de octubre de ese año para interpretar el Concierto número 2 en sol menor opus 32 para piano y orquesta del compositor francés  Camilo Saint-Saëns. En 1923 Lecuona organiza y dirige, en los teatros Payret y Nacional, los Conciertos Típicos Cubanos que presentaron obras de autores contemporáneos y en los que actuaron, entre otros, René Cabel, Rita Montaner, Carmen Burguette, María Fantoli, Tomasita Núñez, Hortensia Coalla y Luisa María Morales.
Digna de tenerse en cuenta es la relación de trabajo que mantuvo el compositor con Gustavo Sánchez Galarraga, un poeta hoy execrado y que habrá que releer —o leer porque el escribidor sospecha que está condenado sin haber sido leído. Mucho trabajaron juntos ambos creadores. Diría Lecuona: “Gustavo y yo éramos el complemento, la síntesis, el resumen del entusiasmo. Ello nos dio la oportunidad de identificarnos íntimamente. Empezamos componiendo canciones, después emprendimos nuestra labor mejor: la zarzuela”.
Trabajó asimismo el maestro con otros libretistas. Niña Rita o La Habana de 1830, tiene libreto de Castells y Riancho y la música es también de Eliseo Grenet. Se estrenó en 1927, en el teatro Regina —actual Casa de la Música, de Centro Habana— y en ella debutó Rita Montaner en el papel del negrito calesero. Una obra memorable, entre otras razones, porque en ella Rita interpretó ¡Ay, mamá Inés!, de Grenet, y Canto Siboney, de Lecuona; éxitos perdurables si los hay. De Sánchez Galarraga es el libreto de Lola Cruz, estrenada en 1935 en el teatro Auditórium, después Amadeo Roldán,  zarzuela con la que Esther Borja debuta en el ámbito teatral.
Viaja intensamente el maestro. En 1923 está en Nueva York y en Puerto Rico, en 1924, en España como pianista acompañante de la destacada violinista Martha de la Torre. En 1928 creadores del calibre de Edgar Varése, Alejo Carpentier, Maurice Ravel y Joaquín Turina lo aplauden en sus presentaciones en las salas Pleyel y Gaveau, de París. Panamá y Costa Rica lo acogen en 1930, y al año siguiente viaja a México. En Hollywood, contratado por la Metro Goldwyn Mayer participa, con la orquesta de Hermanos Palau, en la musicalización de la película El manisero. Y en un teatro de esa ciudad interpreta, con la presencia del autor, Rapsodia en azul, del compositor norteamericano George Gershwin.
En 1932 vuelve a España y está de nuevo en México en el 34. En el 36 hace su primera visita a Argentina con Ernestina Lecuona, Esther Borja y Bola de Nieve; visita que repetirá en 1937 y 1938, cuando, junto a Esther y Bola, participa en la filmación de
Adiós, Buenos Aires. En ese mismo año actúa en Perú y Chile para volver a la Argentina en 1940.
El 10 de octubre de 1943 estrena su Rapsodia negra en el Carnegie Hall, de Nueva York. Ya en la década del 50 un largo periplo lo lleva a Marruecos, Madeira y Madrid. En 1958 vuelve a España. El 23 de enero de 1959 regresa a Cuba.

La Nostalgia

Fue muy intensa su vida. Compone cientos de bellísimos números que comprenden toda la amplísima gama de la música popular cubana. Descubre, pule y lanza toda una cantera de cantantes. Sus relaciones con numerosos artistas extranjeros posibilitan que traiga a Cuba a no pocas estrellas rutilantes. Pese a su carácter tímido e introvertido sabe ser un empresario cuando tiene que serlo y el compositor exquisito no es remiso a supervisar el vestuario y la escenografía de un espectáculo con tal de mantener vivo el teatro lírico cubano para el que produce, aparte de las ya mencionadas, zarzuelas igualmente inolvidables como El cafetal (1928), María la O (1930) y Rosa la China (1932).
“Sigue su vida, sin tregua ni reposo, componiendo, luchando por los derechos de los compositores cubanos, produciendo buenos programas para el teatro, grabando su música”, escribe el musicógrafo Cristóbal Díaz Ayala.
Tras la huida de Batista, se siente en la Isla animoso y emprendedor, dice su biógrafo Orlando Martínez. Los días 23, 27 y 30 de mayo de 1959 organiza tres conciertos en el Auditórium. Sería su último contacto con el público cubano. Se le acusa de mal manejo de fondos en la Sociedad de Autores y de complicidad con la dictadura batistiana, pero sale ileso de ambos cargos. Hay el proyecto fallido de llevar al cine su vida con el título de Malagueña, y el maestro viaja a Estados Unidos para gestionar el abaratamiento de los derechos musicales. Regresa a la Isla y vuelve a partir el 6 de enero de 1960. Aduce que debe cobrar derechos de autor y pide al Banco Nacional que se le permita extraer 150 dólares de su cuenta bancaria y otros 300 para las personas que lo acompañarán. Sale de La Habana el 6 de enero de 1960. No regresará nunca más.
Desde Tampa escribe a sus amigos que quedaron en Cuba. Está amargado, lo mata la nostalgia, necesita el contacto con su tierra. No escribe y ha perdido sus aristas para la empresa. Enferma de cuidado. Tras ingentes esfuerzos su amiga, la soprano Luisa María Morales, logra contactarlo por teléfono desde La Habana. El maestro está en cámara de oxígeno, pero habla con la amiga inolvidable. Le pide que no divulgue su estado de salud.
Es el mes de mayo de 1963. Mejora su estado físico y en septiembre, aconsejado por su médico, se traslada a España. Quiere visitar Santa Cruz de Tenerife, donde nació y murió su padre. En Málaga le obsequian una bella casa en reconocimiento a su inmortal Malagueña y lo declaran Hijo Adoptivo. Dona a una iglesia una imagen de bulto de la Caridad del Cobre ante la que hace decir misa por las víctimas del ciclón Flora. En Barcelona vuelve a enfermar de gravedad. Se le recomienda que vuelva a Tenerife y hace el viaje con sonda nasal. El capitán de la nave teme que muera a bordo y le ordena que desembarque en Cádiz. Pero al fin puede seguir viaje.
En el lujoso hotel Mencey, de Santa Cruz, las cosas parecen mejorar. Bromea el maestro con sus acompañantes, pero todo no es más que una ilusión. Fallece en la medianoche del 29 de noviembre de 1963. La causa inicial de su muerte fue una bronconeumonía; la directa, una asistolia por fibrilación ventricular.
El 3 de diciembre, ante el cadáver, se le ofreció una misa de corpus insepultus en la iglesia del cementerio de Santa Lastenia, en Santa Cruz. Después el cadáver fue trasladado a Madrid. Allí se le cantó una misa imponente organizada por la Sociedad de Autores de España. Doce sacerdotes oficiaron ante 48 candelabros. Actuó la Orquesta Sinfónica de Madrid con un coro de 200 voces. La bandera cubana cubría el féretro.
Esa misma noche el cuerpo de Lecuona embalsamado con una técnica que garantizaba su eficacia durante 35 años como mínimo, salió en avión con destino a Nueva York. El 13 de diciembre lo inhumaron en el cementerio de Westchester de esa ciudad.
Sobre su creación escribió el musicógrafo Cristóbal Díaz Ayala: “Lecuona fue el paradigma de la fusión de las vertientes españolas y africanas de la música cubana. Nadie mejor que él supo fundir ambos elementos sin perder la autenticidad de las fuentes originales, pero creando un producto nuevo y distinto: música cubana”.

Fuentes: Textos de Radamés Giro, Orlando Martínez, Ramón Fajardo y Cristóbal Díaz Ayala.



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