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lunedì 3 agosto 2015

Dal Fructuoso mi hanno dato un messaggio, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 2/8/15

 Il dottor Diego Artiles, medico specialista in Ortopedia e Traumatologia, trasmette una nota interessante  sull’Ospedale Ortopedico Docente Fructuoso Rodríguez. Succede che questa importante istituzione della salute che si affaccia all’Avenida de los Presidentes, di fronte al monumento del maggior generale José Miguel Gómez, all’Avana, ha compiuto 70 anni dalla sua fondazione. Aprì le sue porte il 30 giugno del 1945, con il nome di Istituto di Chirurgia Ortopedica ed aveva l’obbiettivo di lottare contro la diffusione della poliomelite e altre malattie invalidanti o deformanti.
I giovani cubani di oggi, sono vaccinati alla nascita contro non poche malattie, non conoscono qual’è il terribile flagello della poliomelite, il cui solo nome creava angustia ai nostri genitori e nonni. Si tratta di una malattia contagiosa provocata da un virus che si immette nei centri nervosi, particolarmente nel midollo spinale, provoca paralisi e risulta mortale se attacca i muscoli respiratori. Si chiamò proprio paralisi infantile, ma in realtà assaliva persone di qualsiasi età.
Il dottor Artiles scrive: “Durante l’estate del 1934, la capitale fu flagellata da un’epidemia di poliomelite che seminò paura, costernazione e dolore in molte case e che per l’alta mortalità che l’accompagnava, riempì di lutto molte famiglie”.
La malattia appariva con maggiore o minor forza ogni anno e causava danni maggiori o minori. All’inizio della decade del ’40, il Governo si fece eco del giusto clamore delle madri cubane e creò con il Decreto 3312, del 12 novembre del 1942, il “Patronato per la Prevenzione e l’Assistenza alla Poliomelite e altre malattie che producano deformità e invalidità”. Lo presiedeva un eminente ortopedico, il dottor Alberto Inclán Costa e lo integravano in qualità di assistenti figure notevolissime della Medicina, come il clinico Luis Ortega Bolaño e i pediatri Ángel Arturo Aballí e Clemente Inclán Costa che col tempo assumerà il rettorato dell’Università dell’Avana, dove gli studenti lo distingueranno con il titolo di “Magnifico Rettore”.
Sottolinea nella sua nota, il dottor Diego Artiles che il citato decreto stabiliva che il Patronato avrebbe assunto la costruzione del progettato Istituto di Chirurgia Ortopedica con i fondi che apportava lo Stato per mezzo di sovvenzioni, contribuzioni e aiuti, così come proventi da riffe e sorteggi organizzati allo scopo, oltre a donazioni e lasciti dell’iniziativa privata.
Il Patronato presieduto dal dottor Alberto Inclán, si riunì per la prima volta il 20 novembre del 1942 nella sede del Consiglio Nazionale della Tubercolosi in calle 31 e 76 a Marianao. Gli Statuti che avrebbero retto i suoi atti furono dati a conoscere nella Gazzetta Ufficiale del 5 gennaio del 1943. Venti giorni più tardi, il Governo aggiudicava il terreno necessario all’edificazione dell’Istituto. La Giunta dei Patroni aveva accordato che la costruzione dell’edificio si svolgesse in una zona urbanizzata e vicino ad altri ospedali come il Calixto García, il Pediatrico e la Mercedes, al fine che risultasse facilmente accessibile agli infermi. L’opera si sarebbe eseguita in un terreno che fino ad allora apparteneva al Castillo del Principe, enclave del Carcere dell’Avana.
Non senza tribulazioni per l’insufficienza dei fondi, mancanza di materiale idoneo e cause legali, l’opera si concluse. Occupò un’area di 7.208 metri quadrati. Il suo costo fu di quasi 750.000 pesos. Contava, al momento della sua apertura, di numerosi servizi specializzati e 94 letti di degenza.
Il suo primo direttore fu il dottor Raúl Rodríguez Gutiérrez. Un ridotto gruppo di specialisti formò il suo corpo volontario iniziale, fra di loro i dottori Antonio Ponce de León, Francisco Tejera Lorenzo, Mario Stone e Julio César Caravia. Nella parte infermieristica debuttarono Elsa Jiménez, Aida Amor e Rafaela Sánchez.
Con la vittoria della Rivoluzione, un gruppo di studenti dell’Università, su ordine della FEU (Federazione Studentesca Universitaria, n.d.t.), occupa l’ospedale. È da allora che gli si da il nome di Fructuoso Rodríguez, a ricordo del segretario generale del Directorio Revolucionario assassinato, con altri tre giovani, nell’edificio di Humboldt 7, il 20 aprile del 1957. Il dottor Ponce de León assunse la direzione del centro e i dottori Machín e Pascau si disimpegnarono come chirurghi generali. Un ortopedico di grande prestigio, il dottor Julio Martínez Páez venne designato come direttore del Fructuoso nel 1962. Aveva avuto una partecipazione notevole nella lotta clandestina contro Batista e nel giugno del 1957 si fece carico, sulla Sierra Maestra, della direzione dei servizi di Sanità Militare dell’Esercito Rebelde. Anche se il Che che pure era medico, era sulle montagne già dall’inizio, il comandante Martínez Páez si considera il primo medico della guerriglia. Vinse la Rivoluzione ed è Ministro della Salute Pubblica. L’importante incarico non gli fece abbandonare le sue responsabilità, nell’ospedale Calixto García, dove si disimpegnava come specialista prima di recarsi sulla Sierra e pur essendo Ministro non tralasciò di andare al suo ambulatorio né trascorse un giorno senza che passasse la visita nella sua sala.
“Il professor dottor Martínez Páez diresse l’istituzione fino all’anno 2000 e l’ospedale continuò ad essere una prestigiosa scuola formatrice di ortopedici e traumatologi, riconosciuta dal Sistema Nazionale della Salute, così come in generale dalla popolazione. Il 31 marzo di quell’anno, morì”, afferma il dottor Artiles.
Puntualizza:
“A partire dall’anno 2004, l’Ospedale Ortopedico Docente Fructuoso Rodríguez è stato sottoposto a vari processi di ristrutturazione. Ha aumentato il numero dei suoi letti, si è cercato un maggior comfort per i pazienti ricoverati e lo si è dotato di nuove tecnologie che rendono possibile un’asssistenza più efficace e nuove vie d’investigazione”.
Il pacchettino di Haydée
Lo scriba conobbe personalmente il dottor Julio Martínez Páez nel maggio del 1991 quando, per la rivista Cuba, lo intervistò con motivo della pubblicazione del suo libro Un médico en la Sierra che apparve con il marchio dell’Editrice Gente Nueva e con prologo del poeta Roberto Fernández Retamar. Un libro nel quale il medico, divenuto scrittore, si scopre come osservatore sagace e mostra al lettore una faccia poco conosciuta della lotta guerrigliera sulla montagna: quella della vita quotidiana dei combattenti. Ricordi, impressioni, valutazioni accertate, rimangono plasmati negli aneddoti che raccoglie nelle sue pagine il primo medico che, come si è detto, si inserì nell’Esercito Rebelde e vi raggiunse il grado di comandante.
Nacque a Bolondrón, Matanzas, nel 1908 e lì studiò Medicina, non senza grandi sforzi. Era un ortopedico di molto prestigio e ben remunerato quando, con quasi 50 anni, si aggiunse alla guerriglia. Prima, dagli inizi dell’anno 1957, si occupava di trasportare in automobile, una spyder Pontiac, Haydée Santamaria e Armando Hart, severamente ricercati, allora, dalla polizia batistiana per portarli dove fosse necessario, spesso a casa sua o al suo ambulatorio privato, 19 e C nel Vedado, dove si riunivano con altri combattenti clandestini. Se doveva andare all’ospedale – prestava servizio nella sala Gálvez del Calixto García -, il medico si manteneva costantemente in contatto telefonico nel caso la coppia avesse bisogno di un’altro spostamento o sollecitassero qualsiasi altro servizio.
Un giorno in cui erano riuniti vari combattenti, Haydée gli chiese un favore. “Raccoglimi un pacchettino che mi hanno lasciato nella farmacia di L tra 21 e 23. Aspetta che non ci siano clienti e dì alla farmacista che vai da parte mia a raccogliere il pacchettino”.
Martínez Páez giunge alla farmacia. Diversi clienti aspettano al banco e lui fa passare il tempo davanti alla vetrina dei profumi. Per due volte gli si avvicina un commesso che gentilmente, gli chiede cosa vorrebbe comprare. Il medico gli risponde che voleva qualche profumo, ma non sa quale e lo avviserà quando si sarà deciso. L’esercizio rimane vuoto e Martínez Páez riesce a eludere il solerte commesso, dicendo alla farmacista che lo manda Haydée e che viene per il pacchettino.
Sono passati anni, ma Martínez Páez non si è dimenticato il sorriso tra lo stupito e l’ironico della farmacista. Il pacchettino? Sì, come no, adesso glie lo porto disse scomparendo nel retro della farmacia portando ancora negli occhi una scintilla di furbizia.
Martínez Páez ricorda nel suo libro: “Quando torna, porta sottobraccio una donna alta, bella ed elegante. È questa donna il pacchettino che aspetto. Nascondo la mia sorpresa. Prendo sottobraccio la ragazza e restituisco il sorriso ironico alla farmacista. Adesso capisco lo sguardo che mi ha indirizzato quando le ho parlato di un pacchettino. (...) Al gingere dov’era Haydée ci presentano. Lei è Aida Santamaria, la sorella di Haydée. Allora non posso trattenere un’amabile ironia che risulta ilare: {Haydée tu mi hai detto di portarti un pacchettino e quasi non mi entra nella cesta}”.
Fidel invia una lettera ad Haydée nella quale dice che sulla Sierra si necessita un chirurgo. Martínez Páez vede il cielo aperto. Questo chirurgo sarà lui.
Fa il viaggio fino all’oriente del Paese. Si trova sulla Sierra da un mese e non si è ancora imbattuto col Che. Una sera è nella sua amaca. C’è ordine di parlare sottovoce nell’accampamento, ma improvvisamente sente un rumore inaspettato. È il Che e Martínez Páez si affretta per conoscerlo. “Che bello che sei arrivato! Aspetta, ti porto un piccolo regalo”. Il medico non nasconde la sua sorpresa. Un piccolo regalo? Ebbene sì. Si tratta di una cassetta dove il Che conserva i suoi strumenti da chirurgo. Dice: “Da oggi smetto di essere medico per essere guerrigliero. Tu non sai come aspettavo il tuo arrivo!”
Un abbraccio suggellò l’amicizia fra i due uomini.


Del Fructuoso me han dado un recado        
 Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
1 de Agosto del 2015 21:00:39 CDT

El doctor Diego Artiles, médico especialista en Ortopedia y
Traumatología, remite una interesante nota sobre el Hospital
Ortopédico Docente Fructuoso Rodríguez. Sucede que esa importante casa
de salud que se asoma a la Avenida de los Presidentes, frente al
monumento al mayor general José Miguel Gómez, en La Habana, cumplió 70
años de fundada. Con el nombre de Instituto de Cirugía Ortopédica
abrió sus puertas el 30 de junio de 1945 con el objetivo de luchar
contra las secuelas de la poliomielitis y otras afecciones
invalidantes o deformantes.
Los jóvenes cubanos de hoy, que son vacunados al nacer contra no pocas
enfermedades, desconocen lo que es el terrible flagelo de la
poliomielitis, cuya simple mención tanto angustiaba a nuestros padres
y abuelos. Se trata de una enfermedad contagiosa provocada por un
virus que se fija sobre los centros nerviosos, en particular sobre la
médula espinal, provoca parálisis, y resulta mortal si ataca los
músculos respiratorios. Se le llamó asimismo parálisis infantil, pero
en verdad atacaba a personas de cualquier edad.
Escribe el doctor Artiles: “Durante el verano de 1934, la capital del
país fue azotada por una epidemia de poliomielitis que sembró espanto,
consternación y dolor en muchos hogares y que por la alta mortalidad
que llevó aparejada, llenó de luto y desesperación a numerosas
familias».
La enfermedad aparecía con mayor o menor fuerza todos los años y
causaba mayores o menores estragos. A comienzos de la década de los
40, el Gobierno se hizo eco del justo clamor de las madres cubanas y
creó, mediante el Decreto 3312, del 12 de noviembre de 1942, el
«Patronato de la Prevención y  Asistencia de la Poliomielitis y demás
afecciones que produzcan deformidades e invalidez». Lo presidía un
ortopédico eminente, el doctor Alberto Inclán Costa, y lo integraban,
en calidad de vocales, figuras notabilísimas de la Medicina, como el
clínico Luis Ortega Bolaño, y los pediatras Ángel Arturo Aballí y
Clemente Inclán Costa, que con el tiempo asumiría el rectorado de la
Universidad de La Habana, donde los estudiantes lo distinguirían con
el título de “Rector Magnífico”el”.
Consigna el doctor Diego Artiles en su nota que el mencionado decreto
establecía que el Patronato acometería la construcción  del proyectado
Instituto de Cirugía Ortopédica con los fondos que aportaría el Estado
por medio de subvenciones, contribuciones y auxilios, así como con el
producto de rifas y sorteos organizados al efecto, y las donaciones y
legados de la iniciativa privada.
El Patronato presidido por el doctor Alberto Inclán se reunió por
primera vez el 20 de noviembre de 1942 en la sede del Consejo Nacional
de Tuberculosis, en 31 y 76, Marianao. Los estatutos por los que
regiría sus actos se dieron a conocer en la Gaceta Oficial del 5 de
enero de 1943. Veinte días más tarde el Gobierno adjudicaba los
terrenos necesarios para la edificación del Instituto. La Junta de
Patronos había acordado que la construcción del edificio se llevase a
cabo en zona  urbanizada y cerca de otros hospitales, como el Calixto
García, el Infantil y el Mercedes, a fin de que resultase fácilmente
asequible a los enfermos. La obra se ejecutaría en terrenos que
pertenecieron hasta entonces al Castillo del Príncipe, enclave de la
Cárcel de La Habana.
No sin tribulaciones por insuficiencia de los fondos, falta de
materiales idóneos y querellas legales se concluyó la obra. Ocupó un
área de 7 208 metros cuadrados. Su costo fue de casi 750 000 pesos.
Contaba, en el momento de su apertura, con numerosos servicios
especializados y 94 camas de hospitalización.
Su primer director fue el doctor Raúl Rodríguez Gutiérrez. Un reducido
grupo de especialistas conformó su cuerpo facultativo inicial, entre
ellos los doctores Antonio Ponce de León, Francisco Tejera Lorenzo,
Mario Stone y Julio César Caravia. Por la parte de enfermería
debutaron Elsa Jiménez, Aida Amor y Rafaela Sánchez.
Con el triunfo de la Revolución, un grupo de estudiantes de la
Universidad, por orden de la FEU, ocupa el hospital. Es por entonces
que se le da el nombre de Fructuoso Rodríguez, en recuerdo del
secretario general del Directorio Revolucionario asesinado, junto a
otros tres jóvenes, en el edificio de Humboldt 7, el 20 de abril de
1957. El doctor Ponce de León asumió la dirección del centro y los
doctores Machín y Pascau se desempeñaron como cirujanos generales.
Un ortopédico de gran prestigio, el doctor Julio Martínez Páez, es
designado director del Fructuoso en 1962. Había tenido una
participación destacada en la lucha clandestina contra Batista, y en
junio de 1957 se hizo cargo, en la Sierra Maestra, de la dirección de
los servicios de la Sanidad Militar del Ejército Rebelde. Aunque ya el
Che, que también era médico, estaba desde el comienzo en la montaña,
al comandante Martínez Páez se le considera el primer médico de la
guerrilla. Triunfa la Revolución y es Ministro de Salubridad (Salud
Pública). El importante cargo no lo hizo abandonar sus
responsabilidades en el hospital Calixto García, donde se desempeñaba
como especialista antes de irse a la Sierra, y siendo Ministro no dejó
de acudir a su consulta ni transcurrió un día sin que pasara visita en
su sala.
“El profesor  doctor Martínez Páez dirigió la institución hasta el año
2000 y el hospital siguió siendo una prestigiosa escuela formadora de
ortopédicos y traumatólogos, reconocida tanto por el Sistema Nacional
de Salud como por la población en general. Falleció el 31 de marzo de
ese año”, afirma el doctor Artiles.
        Puntualiza:
        “A partir del año 2004 el Hospital Ortopédico Docente Fructuoso
Rodríguez ha sido sometido a varios procesos de remodelación. Aumentó
el número de sus camas, se buscó un mayor confort para el paciente
hospitalizado y se le dotó de nuevas tecnologías que posibilitan una
asistencia más eficaz y nuevas líneas de investigación».

El paquetico de Haydée

El escribidor conoció personalmente al doctor Julio Martínez Páez en
mayo de 1991 cuando, para la revista Cuba, lo entrevistó con motivo de
la publicación de su libro Un médico en la Sierra, que apareció con el
sello de la editorial Gente Nueva y prólogo del poeta Roberto
Fernández Retamar. Un libro en que el médico devenido escritor se
descubre como observador sagaz y muestra al lector una cara poco
conocida de la lucha guerrillera en la montaña: la de la vida
cotidiana de los combatientes. Recuerdos, impresiones y certeras
valoraciones quedan plasmados en las anécdotas que recoge en sus
páginas el primer  médico que, como ya se dijo,  se incorporó a las
filas del Ejército Rebelde y alcanzó allí el grado de comandante.
Nació en Bolondrón, Matanzas, en 1908, y estudió Medicina no sin
grandes esfuerzos. Era en La Habana un ortopédico muy prestigioso y
bien remunerado cuando, con casi 50 años, se sumó a la guerrilla.
Antes, desde comienzos del año 1957, se ocupaba de trasladar en su
automóvil, una cuña Pontiac convertible, a Haydée Santamaría y
Armando Hart, severamente buscados entonces por la policía batistiana,
para llevarlos a donde fuera necesario, a menudo a su casa o a su
consulta particular, en 19 y C, en el Vedado, donde se reunían con
otros combatientes clandestinos. Si debía ir al hospital —prestaba
servicios en la sala Gálvez del Calixto García—, el médico se mantenía
 todo el tiempo al tanto del teléfono por si la pareja requería de un
nuevo traslado o solicitaba cualquier otro encargo.
Un día en que están reunidos varios combatientes, Haydée le pide un
favor. «Recógeme un paquetico que me han dejado en la farmacia de L
entre 21 y 23. Espera a que no haya clientes y entonces le dices a la
farmacéutica que vas de mi parte a recoger el paquetico».
Llega Martínez Páez a la botica. Varios clientes aguardan ante el
mostrador y él hace tiempo ante la vidriera de los perfumes. Dos veces
se le acerca un dependiente que, solícito, le pregunta qué va a
llevar. Responde el médico que algún perfume, pero que no sabe cuál,
que le avisaría cuando lo decidiera. Queda vacío el establecimiento,
logra Martínez Páez evadir al atento empleado, y dice a la boticaria
que lo manda Haydée, que viene a lo del paquetico.
Los años pasaron, pero Martínez Páez no olvidó la sonrisa entre
asombrada e irónica de la farmacéutica. ¿El paquetico? Sí, cómo no,
ahora mismo se lo traigo, dijo y se perdió en la trastienda de la
farmacia llevando aún en los ojos una chispa picaresca.
Recuerda Martínez Páez en su libro: «Cuando regresa, trae del brazo a
una mujer alta, bella y elegante. Es esa mujer, precisamente, el
paquetico que yo espero. Escondo mi sorpresa. Tomo del brazo a la
muchacha y le devuelvo la irónica sonrisa a la farmacéutica. Ahora
comprendo la mirada que me dirigió cuando yo le hablé de un paquetico.
(…) Al llegar donde Haydée nos presentan. Ella es Aida Santamaría, la
hermana de Haydée. Entonces no puedo contener una amable ironía que
resulta una hilaridad:
Haydée, tú me dijiste que te trajera un paquetico, y ¡por poco no me
cabe en la cuña”.
Fidel envía a Haydée una carta en la que le dice que en la Sierra
Maestra se necesita  un cirujano. Martínez Páez ve los cielos
abiertos. Ese cirujano sería él.
Hace el viaje hacia el oriente del país. Lleva un mes en la Sierra y
aún no ha topado con el Che. Una noche está ya en su hamaca. Hay en el
campamento la orden de hablar en susurros, pero siente ahora un rumor
inusitado. Es el Che, y Martínez Páez se apresura a conocerlo. “¡Qué
bueno que llegaste! Espera, que te traigo un regalito”. El médico no
sale de su asombro. ¿Un regalito?  Pues sí. Se trata de una pequeña
caja donde el Che guarda su instrumental de cirujano. Dice: “Desde hoy
dejo de ser médico para ser guerrillero. ¡Tú no sabes cómo ansiaba tu
llegada!”
Un abrazo selló la amistad entre los dos hombres.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu

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