Pubblicato su Juventud Rebelde del 13/9/15
All’inizio fu una discarica.
E prima una grande palude. Il terreno che occupa il Capitoliofu il luogo o
almeno uno dei luoghi dove si gettava la spazzatura della città Così fu fino al
1817, quando l’eminente Ramón de la Sagra, col concorso di altri avaneri
entusiasti, riuscì a trasformaro in un giardino botanico, in quello spazio
contenuto fra quello che sarebbe stato il Paseo del Prado. Il Campo di Marte
–attuale piazza dell Fraternità Americana – e la porta in terra della Muraglia.
Alejandor Ramírez,
intendente generale per l’Industria dell’Isola. Cedette questi terreni alla
Società Economica degli Amici del Paese e questa corporazione detinò. Non poche
risorse, all’accondizionamento di quello che gli avaneri cominciarono a partire
da allora, come passeggiata pubblica.
Arriva
la ferrovia
Il giardino e il Paseo,
comunque, scomparvero nel 1834. La ferrovia arrivava a Cuba. Si stabilì il
tragitto Habana-Güines e il Ministero dell’Industria alienava i terreni al fine
di stabilirvi una stazione di treni. La svendita non trascorse senza proteste.
Protestò iul comune dell’Avana per aver ignorato la sua opinione in merito al
fatto, si lamentarono gli Amici del Paese a difesa di quello che era o pensavano
fosse loro: protesta che si estese nel tempo, ebbene in una memoria di Leonardo
Santos Suárez si manteneva aperta la pratica.
La stazione avrebbe portato
il nome di Villanueva in onore di Claudio Martínez de Pinillos, già allora
Intendente Generale dell’Industria dell’Isola; il cubano a cui la Corona
spagnola a parte di concedergli il titolo di Conte di Villanueva come Grande di
Spagna, lo esaltò come Cavaliere col grado della Gran Croce del Regio Ordine di
Carlos III e dell’Americana di Isabella la Cattolica; lo fece membro degli
ordini militari di San Fernando di Calatrava e del Consiglio di Stato;
Gentiluomo della Camera di Sua Maestà, Maestrante di Ronda, colonnello e
Intendente dell’Esercito spagnolo, fra gli altri titoli come quello di Presidente
della Giunta delle Forniture, Agricoltura e Commercio.
Nel 1834, per ordine del Re,
Villanueva assumeva, come Presidente del Consiglio della Ferrovia, la
costruzione del citato cammino di ferro fino a Güines. Per farlo possibile lo
si autorizzava a negoziare con l’Inghilterra un prestito di due milioni di
pesos forti. Questo debito si sarebbe pagato
con la aprte corrispondente di quello che avrebbe reso la ferrovia e con
ciò che la Giunta delle Forniture avrebbe dedotto dalle sue rendite e che
doveva essere ammortizzta il 1° gennaio del 1860.
Già per allora il Conte di
Villanuova era morto. La sua acerrima difesa degli interessi dell’oligarchia
creola gli valse non pochi scontri con i dispotici capitani generali spagnoli e
che, in definitiva, gli costarono il posto. Cessò come Intendente Generale nel
1851, dopo aver effettuato un lavoro formidabile a favore dell’espansione
dell’economia dell’Isola e della fondazionendi non poche opere di pubblica
utilità, come case di salute, strade vicinali e l’acquedotto di Fernando VII.
Morì due anni più tardi, nella stessa sede del Consiglio di Oltremare, a
Madrid, mentre discuteva calorosamente in difesa degli interessi di Cuba.
Si
privatizza l’azienda
Nel 1835 cominciava la
costruzione della stazione di Villanuova. Avaneri potenti donarono grandi estensioni di terreno per il tracciato delle parallele della ferrovia. Nel 1837
il nuovo mezzo di trasporto arrivava a Bejucal e l’anno seguente a Güines ciò
che grazie alla derivazione di San Felipe, permise di stabilire una linea di
vaporetti tra Surgidero di Batabanò e l’Isola dei Pini. Nel 1840 la ferrovia
arrivava a Cárdenas e due anni dopo si privatizzava, all’essere venduta in un
asta pubblica a una compagnia anonima formata da Miguel Aldama, Juan Poey e
altri cubani di solvenza illimitata. La comprano con tre milioni e mezzo di
pesos e pagano quasi 170.000 per i terreni dell’attiguo giardino botanico.
Sorgerà, con gli anni, la Compagnia delle Ferrovie Unite dell’Avana; i suoi
azionisti conseguono che l’impresa si riorganizzi a Londra e alla fine della
Guerra d’Indipendenza, le ferrovie erano già prevalentemente inglesi.
Dall’inizio della Guerra
Grande, nel 1868, la Spagna utilizzò Villanueva per imbarcare truppe che
avrebbero affrontao i mambises’ Si
trasportavano in treno fino al Surgidero de Batabanó e da lì, per mare,
sarebbero giunti a destinazione. Quello che le autorità spagnole non seppero
mai, è che la stazione ferroviaria era un centro di cospiratori e amici
dell’indipendenza. Un’idea audace fu conecepita da un gruppo di operai e
impiegati nella contesa del 95: si valsero di un gran tronco di legno,
abilmente preparato, per far giungere armi e munizioni, denaro e lettere con
notizie di interesse agli insurretti.
Perfino l’amministratore
delle Ferrovie Unite, ingegner Alberto de Ximeno, sapeva di questa ingegnosa
operazione a cui non pose mai termine. Quello che è veramente curioso, è che
militari e funzionari civili spagnoli sospettarono di quel tronco che arrivava
in treno con allarmante frequenza.
Onesto,
severo e inflessibile
Il 13 marzo 1889, assumeva
il Governo dell’Isola il tenente generale Manuel de Salamanca y Negrete. Era un
uomo onesto, ma severo e inflessibile. Si propose di terminare col banditismo e
annunciò dal primo momento che sotto il suo mandato, il vil garrote non avrebbe avuto riposo. E
compì la sua promessa. Presto si vide Valentín Ruiz, così si chiamava il
“ministro esecutore” – pomposo nome che si dava al boia – con quella macchina di
morte che era itinerante, tanto a Jovellanos come a Guanajay, Santa Clara,
Matanzas, Colón, Remedios...Mentre si trattava di banditelli, la giustizia
andava liscia. Altra cosa fu quando rimase sul tappeto, per l’epoca, la
gigantesca malversazione di 14 milioni di pesos nel Dipartimento di Guerra
della Colonia. Erano delinquenti dal collo bianco, come si chiamano adesso e il
generale Salamanca non poté con loro. Morì misteriosamente, dalla sera alla
mattina, il 6 febbraio 1890, mentre trattava che si istruissero le accuse ai
colpevoli. Nella sua agonia finale ebbe un momento di lucidità e avvertì il
generale Cavada, suo sostituto interinale: “I ladri sono deboli davanti
all’integrità di un governante...Possono più in apparenza che nella realtà”.
Che relazione ha questo
fatto con Villanueva e i terreni del Capitolio, si domandarà il lettore? Molto
semplice. Il generale Salamanca – che dettò serie disposizioni sulla raccolta
della spazzatura e all’orario in cui gli abitanti potevano metterla in strada e
perseguì i bottegai che alteravano i prezzi – volle togliere Villanueva
dall’isolato che delimitavano le calli Prado, Industria, San José e Dragones –
con fronte su quest’ultima via. Di fatto la chiuse. Dispose che molti treni non
entrasssero nella città. Non potveano passare l’angolo di Cristina e Jesús del
Monte, nel cosiddetto ponte de Agua Dulce, dove si costruì una casupola che si
chiamò stazione o capolinea di Salamanca, mentre altri potevano discendere il
passaggio di Zanja fra Hospital e Espada. I treni militari carichi di feriti o
malati, terminavano il viaggio di fronte alla caserma di Dragones.
Diciamolo senza giri di
parole: lo scriba sta per passare i 70 anni e non ha mai visto – o non ricorda
– tale ponte. Però esistì. Sussistette fino agli anni ’40, quando il presidente
Grau fece incanalare il fiume che passava di lì e costruì la piazzetta cheb si
chiamò anche di Agua Dulce, nome che mantiene ancora. La caserma menzionata
occupava lo spazio della stazione di Polizia della calle Dragones fra Escobar e
Lealtad.
Pescecane
Togliere Villanueva dalla
sua area era un vecchio desiderio degli avaneri. Con l costruzione del
quartiere Las Murallas, la zona si stava convertendo in una delle migliori e
più quotate dell’Avana. L’andirivieni dei treni sporcava gli edifici,
complicava la vita quotidiana e provocava alcuni incidenti. Non era ozioso che
l’uscita dei treni fosse inevitabilmente preceduta da un fantino che ad alta
voce, avvertiva agli sprovveduti avaneri la prossimità del convoglio.
Morto Salamanca, Villanueva
tornò ad essere Villanueva. Sopraggiunsero successivamente la Guerra
d’Indipendenza, il primo intervento militare nordamericaano; don Tomás, il
nostro primopresidente, con la sua taccagneria; il secondo intervento
nordamericano...
Nella seconda metà del 1909,
il presidente liberale José Miguel Gómez decise di prendere il toro per le
corna. Avrebbe cambiato i terreni di Villanueva per quelli dell’antico arsenale
– dov’è adesso la stazione centrale delle ferrovie. Sebbene fosse una misura
che avrebbe contribuito al miglioramento della città e contava con la simpatia
degli avaneri, si faceva evidente il fatto fraudolento. Lo Stato consegnava a
una compagnia straniera – Ferrocarriles Unidos – i terreni dell’arsenale,
valutati in oltre 5 milioni di pesos e riceveva in cambio quelli di Villanueva
che valevano appena due milioni. Il denaro che si muoveva sotto il tappeto, per
commissioni e corruzioni, avrebbe macchiato José Miguel che il popolo
soprannominava “Pescecane”e avrebbe
sfiorato i suoi commilitoni a costo degli interessi della nazione,
Nel gennaio del 1910, la
commissione d’Industria e Bilancio del Senato dava al progetto di legge un
parere favorevole e raccomandava la sua approvazione in toto di questo ramo.
Nella Camera dei Rappresentanti, con maggioranza liberale, l’approvazione della
legge era senza dubbio improbabile, gli si opponevano tanto i conservatori come
i liberali capitanati da Alfredo Zayas. Fu allora che i michelisti cucinarono una strategia infallibile: decisero che il
fatto si prendesse come una questione di “partito”, cosa che obbligava tutti i
parlamentari liberali, tanto michelisti
che zaysti a conedergli il voto
favorevole a scanso della pena di alienarsi i privilegi dell’Esecutivo e
rimanere fuori dalla torta.
Per discrepanze davanti alla
legge, due rappresentanti della Camera si batterono a duello irreglare
all’angolon di O’Reilly e San Ignacio e uno di loro morì a conseguenza degli
spari. La legge fu approvata e il cambio di Villanueva con l’arsenale si portò
a termine. José Miguel Gómez ambiva a un nuovo Palazzo Presidenziale.
(Con la documentazione
dell’ingegnere Luis Díaz. Continua)
Los terrenos del Capitolio (I)
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
12 de Septiembre del 2015 20:45:08 CDT
En un comienzo fue un basurero. Y antes, una gran
ciénaga. Los
terrenos que ocupa el Capitolio fueron el lugar
o, al menos, uno de
los lugares donde se arrojaba la basura de la
ciudad. Así sucedió
hasta 1817, cuando el eminente Ramón de la
Sagra, con el concurso de
otros habaneros entusiastas, logró que se
fomentara un jardín botánico
en aquel espacio enmarcado entre lo que sería el
Paseo del Prado, el
Campo de Marte —actual Plaza de la Fraternidad
Americana— y la puerta
de tierra de la Muralla.
Alejandro Ramírez, intendente general de
Hacienda de la Isla, cedió
esos terrenos a la Sociedad Económica de Amigos
del País, y esa
corporación destinó no pocos recursos al
acondicionamiento de lo que
los habaneros empezaron a tener a partir de
entonces como paseo
público.
Llega el
ferrocarril
El jardín y el paseo, sin embargo,
desaparecieron en 1834. El
ferrocarril llegaba a Cuba. Se establecería el
itinerario
Habana-Güines, y Hacienda enajenaba los terrenos
a fin de emplazar en
ellos una estación de trenes. El despojo
transcurrió no sin protesta.
Protestó el Ayuntamiento habanero por haberse
ignorado su opinión
acerca del asunto, y se quejaron los Amigos del
País en defensa de lo
que era o tenían como suyo; reclamo que se
extendió en el tiempo, pues
todavía en 1842 una memoria de Leonardo Santos
Suárez mantenía abierto
el expediente.
La estación llevaría el nombre de Villanueva en
honor de Claudio
Martínez de Pinillos, ya entonces Intendente
General de Hacienda de la
Isla; el cubano a quien la Corona española concedió
mayores honores a
lo largo de toda la Colonia, pues aparte de
concederle el título de
Conde de Villanueva con grandeza de España, lo
exaltó como Caballero,
con el grado de Gran Cruz, de la Real Orden de
Carlos III y de la
Americana de Isabel la Católica; lo hizo miembro
de las órdenes
militares de San Fernando y de Calatrava y del
Consejo de Estado;
Gentilhombre de Cámara de Su Majestad,
Maestrante de Ronda, Coronel e
Intendente del Ejército español, entre otros
títulos como el de
Presidente de la Junta de Fomento, Agricultura y
Comercio.
En 1834, por orden del Rey, Villanueva asumía,
como presidente del
Consejo Directivo del Ferrocarril, la
construcción del aludido camino
de hierro hasta Güines. Para hacerlo posible se
le autorizaba a
concertar con Inglaterra un empréstito de dos
millones de pesos
fuertes. Esta deuda se pagaría con la parte
correspondiente de lo que
produjera el propio ferrocarril y con lo que la
Junta de Fomento
deduciría de sus rentas y que debía quedar
amortizada el 1ro. de enero
de 1860.
Ya para entonces había muerto el Conde de
Villanueva. Su defensa
acérrima de los intereses de la oligarquía
criolla le valió no pocos
encontronazos con los despóticos capitanes
generales españoles que, en
definitiva, le costaron el puesto. Cesó como
Intendente General en
1851, luego de haber acometido una labor
formidable en favor de la
expansión de la economía de la Isla y del
fomento de no pocas obras de
utilidad pública, como casas de salud, caminos
vecinales y el
acueducto de Femando VII. Murió dos años más
tarde, en la propia sede
del Consejo de Ultramar, en Madrid, mientras
discutía acaloradamente
en defensa de los intereses de Cuba.
Se
privatiza la empresa
En 1835 comenzaba la construcción de la estación
de Villanueva.
Habaneros pudientes donaron grandes extensiones
de terreno para el
trazado de las paralelas del ferrocarril. En
1837 el nuevo medio de
transporte llegaba a Bejucal, y al año siguiente
a Güines, lo que,
gracias al ramal de San Felipe, posibilitó el
establecimiento de una
línea de vapores entre Surgidero de Batabanó e
Isla de Pinos. En 1840
el ferrocarril llegaba a Cárdenas, y dos años
después se privatizaba
al ser vendido en subasta pública a una compañía
anónima conformada
por Miguel Aldama, Juan Poey y otros cubanos de
ilimitada solvencia.
Lo compran en tres millones y medio de pesos y
abonan casi 170 000 por
los terrenos del antiguo jardín botánico.
Surgiría, con los años, la
Compañía de los Ferrocarriles Unidos de La
Habana; consiguen sus
accionistas que la empresa se reorganice en
Londres, y al finalizar la
Guerra de Independencia, ya los Ferrocarriles
Unidos eran
eminentemente ingleses.
Desde comienzos de la Guerra Grande, en 1868,
España utilizó
Villanueva para embarcar las tropas que
enfrentarían a los mambises.
Se transportaban en tren hasta el Surgidero de
Batabanó y, desde allí,
por mar, llegaban a su destino. Lo que nunca
supieron las autoridades
españolas es que la estación ferroviaria era un
foco de conspiradores
y amigos de la independencia. Una idea atrevida concibió
durante la
contienda del 95 un grupo de obreros y
empleados: se valieron de una
gran toza de madera, hábilmente preparada, para
hacer llegar a los
insurrectos armas, municiones, dinero, cartas y
noticias de interés.
Hasta el administrador de los Ferrocarriles
Unidos, ingeniero Alberto
de Ximeno, sabía de esa ingeniosa operación a la
que jamás puso
reparo. Lo verdaderamente curioso es que
militares y funcionarios
civiles españoles jamás sospecharan de aquel
tocón que iba y venía en
el tren con alarmante frecuencia.
Honesto,
severo e inflexible
El 13 de marzo de 1889 asumía el gobierno de la Isla el teniente
general Manuel de Salamanca y Negrete. Era un
hombre honesto, pero
severo e inflexible. Se propuso acabar con el
bandolerismo y anunció
desde el primer momento que, bajo su mandato, el
garrote vil no
conocería descanso. Y cumplió su promesa. Pronto
se vio a Valentín
Ruiz, que así se llamaba al “ministro ejecutor”
—pomposo nombre que se
daba al verdugo— con aquella máquina de muerte,
que era itinerante,
tanto en Jovellanos como en Guanajay, en Santa
Clara, Matanzas, Colón,
Remedios… Mientras se trató de bandidos de a
pie, la justicia marchó
sobre ruedas. Otra cosa ocurrió cuando quedó
sobre el tapete, para la
época, la gigantesca malversación de 14 millones
de pesos en el
Departamento de Guerra de la Colonia. Eran
delincuentes de cuello
blanco, como se les llama ahora, y el general
Salamanca no pudo con
ellos. Murió misteriosamente de la noche a la
mañana, el 6 de febrero
de 1890, cuando trataba de que se instruyera de
cargos a los
culpables. En su agonía final tuvo un momento de
lucidez y advirtió al
general Cavada, que sería su sustituto interino:
“Los ladrones son
débiles ante la entereza de un gobernante…
Pueden más en apariencia
que en la realidad”.
¿Qué relación guarda este asunto con Villanueva
y los terrenos del
Capitolio?, se preguntará el lector. Muy
sencillo. El general
Salamanca —que dictó serias disposiciones sobre
la recogida de basura
y la hora en que los vecinos debían sacarla a la
calle, y persiguió a
los bodegueros que alteraban los pesos y los
precios— quiso sacar a
Villanueva de la manzana que enmarcaban las
calles Prado, Industria,
San José y Dragones —con frente sobre esta
última vía. De hecho, la
clausuró. Dispuso que muchos trenes no entraran
en la ciudad. No
podían pasar de la esquina de Cristina y Jesús
del Monte, en el
llamado puente de Agua Dulce, donde se construyó
una caseta que se
llamó estación o paradero de Salamanca, mientras
que otros podían
desembarcar el pasaje en Zanja entre Hospital y
Espada. Los trenes
militares, cargados de heridos y enfermos,
rendían viaje frente al
cuartel de Dragones.
Digámoslo sin rodeos: el escribidor va ya para
los 70 años y nunca vio
—o no recuerda— tal puente. Pero existió.
Subsistió hasta los años 40,
cuando el presidente Grau canalizó el río que
por allí pasaba y
construyó la plazoleta que se llamó también de
Agua Dulce, nombre que
mantiene todavía. El cuartel mencionado ocupaba
el espacio de la
estación de Policía de la calle Dragones entre
Escobar y Lealtad.
¡Tiburón!
Sacar a Villanueva de su área era un viejo
anhelo de los habaneros.
Con la construcción del reparto Las Murallas, la
zona se iba
convirtiendo en una de las mejores y más
cotizadas de La Habana. El ir
y venir de los trenes ensuciaba los edificios,
complicaba la vida
cotidiana y provocaba algún que otro accidente.
No resultaba ocioso
que la salida de los trenes fuera
invariablemente precedida por un
jinete que, a viva voz, advertía a los
desprevenidos habaneros de la
proximidad del convoy.
Muerto Salamanca, Villanueva volvió a ser
Villanueva. Sobrevinieron
sucesivamente la Guerra de Independencia, la
primera intervención
militar norteamericana; don Tomás, nuestro
primer presidente, con su
tacañería; la segunda intervención
norteamericana…
En la segunda mitad de 1909, el presidente
liberal José Miguel Gómez
decidió tomar el toro por los cuernos. Cambiaría
los terrenos de
Villanueva por los del antiguo arsenal —donde
está ahora la estación
central de ferrocarriles. Si bien era una medida
que contribuiría al
mejoramiento de la ciudad y contaba con la
simpatía de los habaneros,
se hacía evidente lo fraudulento del asunto. El
Estado entregaba a
una compañía extranjera —Ferrocarriles Unidos—
los terrenos del
arsenal, valorados en más de cinco millones de
pesos, y recibía a
cambio los de Villanueva, que apenas valían dos
millones. El dinero
que se movería bajo cuerda, por comisiones y
sobornos, empaparía a
José Miguel, a quien el pueblo apodaba “Tiburón”
y salpicaría a sus
conmilitones a costa de los intereses de la
nación.
En enero de 1910, la Comisión de Hacienda y
Presupuesto del Senado
daba al proyecto de ley un dictamen favorable y
recomendaba su
aprobación al pleno de ese cuerpo. En la Cámara
de Representantes, con
mayoría liberal, la aprobación de la ley, sin
embargo, era improbable,
pues se le oponían tanto los conservadores como
los liberales que
capitaneaba Alfredo Zayas. Fue entonces que los
miguelistas cocinaron
una estrategia infalible: decidieron que el
asunto se tomara como una
cuestión de «partido», lo que obligaba a todos
los parlamentarios
liberales, tanto miguelistas como zayistas, a
concederle voto
favorable so pena de enajenarse los privilegios
del Ejecutivo y quedar
fuera del jamón.
Por discrepancias ante la ley, dos
representantes a la Cámara se
batieron en duelo irregular en la esquina de
O’Reilly y San Ignacio, y
uno de ellos murió a consecuencia de los
disparos. La ley fue aprobada
y el canje de Villanueva por el arsenal se llevó
a cabo. José Miguel
Gómez ambicionaba un nuevo Palacio Presidencial.
(Con documentación del ingeniero Luis Díaz. Continuará)
Ciro Bianchi Ross
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