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martedì 27 ottobre 2015

Votazione (quasi) unanime all'Assemblea ONU

Dopo le incoraggianti premesse, oggi gli Stati Uniti e Israele hanno votato contro la risoluzione presentata da Cuba per porre fine all'embargo economico, commerciale e finanziario.

191 Paesi l'hanno appoggiata, 2 hanno votato contro. Nessuna astensione.

La votazione in sé, come tutte le altre che l'hanno preceduta, non ha nessun valore pratico, solo morale e di solidarietà, quindi...come scrivere sulla sabbia o sul ghiaccio.

Certo che dopo i passi sostenuti per un riavvicinamento, gli Stati Uniti e il loro fedele alleato, potevano almeno astenersi, in attesa di quello che potrebbe decidere il congresso.

lunedì 26 ottobre 2015

Napoleone ha cucinato all'Avana, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 25/10/15

Il lettore Gustavo Muñoz Ricardo chiede informazioni sullo scomparso zuccherificio Toledo e sul suo proprietario. Secondo The Gilmore; Manual azucarero de Cuba (1954), a questa data questa industria aveva una capacità di raffinazione  di 450.000 “arrobas” di canna da terreni propri e controllati, raccoglieva il 60% di quello che raffinava. Il suo proprietario era Manuel Aspuru San Pedro, presidente della Compaña Azucarera central Toledo. Aspuru era padrone di più di una fabbrica di zucchero, fra di esse il Central Fajardo (150.000 arrobas) in Gabriel, antica provincia de La Habana e il Providencia a Güines con una macinatura quotidiana di 220.000 arrobas (1 arroba = 14.7 kg., n.d.t.).  Lo zuccherificio Providencia si fondò nel 1800 da don Francisco de Arango y Parreño, il cosiddetto “statista senza stato” ed eminenza grigia della saccarocrazia creola.
Gli uffici di questa fabbrica risiedevano in Mercaderes 113 nell’Avana Vecchia. Tutte sotto la guida di Aspuru, direttore dell’Associazione Nazionale dei Possidenti Agricoli di Cuba edell’Istituto Cubano di stabilizzazione dello Zucchero che giunse a presiedere e portavoce della direzione dell’Associazione Cubana di Raffinatori di Zucchero. Inoltre possedeva negozi di ferramenta e la Compaa Licorera Cubana, produttrice di liquori e rum. Pioniere nella fabbrica di carta a partire dagli scarti della canna, era azionista della Antillana de Acero e di Cabillas Cubanas, padrone di varie imprese di assicurazione e secondo maggior azionista del Banco Financiero, di propriet di Julio Lobo.
Era anche proprietario di Hotelera del Oeste che costruir a Barlovento (attuale Marina Hemingway) un hotel destinato a turisti di maggior potere acquisitivo. Fu membro della giunta direttiva dell’Istituto Culturale Cubano Nordamericano, benefattore dell’Accademia della Storia di Cuba e manteneva quasi totalmente la Scuola Elettromeccanica del collegio di Belén, con circa 600 alunni. Appassionato di yacht, sotto la sua presidenza l’Havana Yacht Club liquidò la totalità dei suoi debiti e divvenne vincitore di tutte le regate e gare sportive a cui partecipò. Guillermo Jiménez, nel suo libro Los propietarios de Cuba, mette Manuel Aspuru San Pedro fra gli uomini più ricchi del Paese.
Lo zuccherificio Toledo era l’unica fabbrica di zucchero che si trovava nel perimetro della capitale, esattamente a Marianao e nel 1958, si considerava come il più antico degli zuccherifici conosciuti, come dice il già citato Guillermo Jiménez, “c’è costanza dell’esistenza in luogo di uno zuccherificio dal 2 dicembre del 1675”. Diego Franco de Castro, direttore del coro ecclesiastico, lo fondò con il nome di San Andrés. Nel 1762, Juana Sotolongo comprò la tenuta e vi stabilì lo zuccherificio Nuestra Señora del Carmen che nel 1783 apparve come proprietà di Gabriel González de Álamo, i cui eredi lo mantennero fino al XIX secolo.
Poi fu proprietà del conte di Santovenia. Passsò per altre mani e nel 1858 lo acquisirono Francisco Durañona, José Pascual de Goicochea e Antonio Tuero, ma questa societò si dissolse nel 1865 e Durañon rimase come proprietario unico. Fu lui a dargli il nome Toledo che è il suo luogo di nascita. Gli eredi di Durañona lo vendettero nel 1909 a Juan Aspuru, ferramenta – uno dei proprietari della sinistrata ferramenta Isasi – che prima aveva comprato il 51% delle azioni dello zuccherificio Providencia. Alla morte di Aspuru padre, nel 1917, i suoi beni passarono alla vedova e ai suoi quattro figli, ma fu Manuel ad assumere l’amministrazione della fortuna di famiglia. Acquisisce, allora, la totalità delle azioni dello zuccherificio Providencia e nel 1934 compra lo zuccherificio Fajardo. Nel 1940 installa uno dei primi impianti per la carta dai residui della canna e una fabbrica di caramelle.
Nel febbraio del 1955, in occasione della sua venuta a Cuba, Richard Nixon allora vice presidente degli USA, visita lo zuccherificio su invito di Aspuru che fu il suo anfitrione per diversi giorni. Dopo la vittoria della Rivoluzione, il Toledo passerà a chiamarsi Manuel Martínez Prieto, nome di un dirigente operaio di questa fabbrica detenuto dalle forze repressive della dittatura batistiana il 5 marzo del 1958 e assassinato dopo essere stato sottoposto a orribili torture.

Madrecita sì, ma di chi?

Il dottor Rafael Borroto Chao discrepa dallo scriba quando disse che Osvaldo Farrés compose Madrecita in omaggio a sua madre che non ha potuto mai ascoltarla in quanto sorda come una campana. Nell’opinione dell’attento corrispondente, Farrés dedicò questa melodia, nel 1950, a Regla Socarrás, madre di Carlos Prío, allora presidente della nazione. Doña Regla che morì nel 1959 all’Avana e fu tumulata nel pantehon di famiglia nel cimitero di Colón, ostentava i gradi di capitana dell’Esercito Liberatore. Era sorella del colonnello Carlos Socarrás, la cui morte nel 1896, fu motivo di una sentita lettera di condoglianze del maggior generale Antonio Maceo.
Non è questo, quello che afferma Cristóbal Díaz Ayala, musicografo cubano residente a Portorico, autore de La música cubana; del areito al rap e Si te quieres por el pico divertir, fra altri titoli. Consultato al rispetto dallo scriba rispose:
“In un’intervista, Farrés mi ha raccontato che glie la ispirò sua madre. Lei non poteva goderne, essendo sorda, ma leggeva il testo e commentava a suo figlio che doveva essere molto bella, perché vedeva l’espressione delle persone che l’ascoltavano...”.

Scuola di giornalismo

Jossie, firma così semplicemente il suo messaggio elettronico, è confusa.
Ha letto nella mia pagina del 4 di ottobre scorso che Rafael Pegudo, fotografo del giornale El Mundo, era stato professore della Scuola di Giornalismo Manuel Márquez Sterling e si è trovata sconcertata leggendo, in quegli stessi giorni che la Sacuola di Giornalismo dell’Università dell’Avana compiva 50 anni di fondazione. Scrive: “Mi domandavo dove studiò quella moltitudine di buoni giornalisti che visse e lavorò prima del ’59...Adesso lei mi torna a seminare lo stesso dubbio, dove studiavano i giornalisti prima del ’59 se la Scuola ha 50 anni?”.
La risposta è ovvia. Sono due scuole e una lunga storia che cercherò di semplificare. L’Associazione dei Reporters dell’Avana fu fondata il 14 aprile del 1902. Naque poverissima, in Gloria 44, in questa capitale e con soli 23 membri. Crebbe poco a poco grazie allo sforzo dei suoi componenti, la spinta della sua direzione e anche grazie all’appoggio statale all’iniziativa privata. Ebbe il suo edificio sociale, una vera palazzina, nella calle Zulueta, vicino alla caserma di pompieri, gestì con singolare successo le leggi che regolavano il riposo domenicale, la pnesione e il salario minimo, così come procurò l’assistenza medica e il ricovero ospedaliero a chi la necessitasse. Fra il 1941 e 1943 toccò la presidenza a Lisandro Otero Masdeu, redattore del giornale El País che aprí una nuova tappa nella vita delle istituzioni giornalistiche cubane. Organizzò il primo Congresso Nazionale dei Giornalisti, creò la la Scuola Nazionale di Giornalismo Manuel Márquez Sterling e lavorò nella congregazione giornalistica, quella di Otero fu un’epoca molto fruttifera per il giornalismo nazionale. Al cessare la presidenza dei Reporters, Otero assunse il decanato del Collegio nazionale dei Giornalisti che aveva creato egli stesso. C’erano, allora, molte intrusioni e improvvisazione nel settore. Si cercò di ponergli fine mediante la collegialità e due rami nutrirono le iscrizioni alla Scuola: quello dei diplomati al liceo e quello dei giornalisti in servizio che furono costretti a studiare.
A figure dell’intellettualità cubana, come Jorge Mañach che erano collaboratori abituali della stampa, li si riconobbe come collegiati e altri dovettero passare esami. Non pochi rimasero fuori del settore. Successerò così fatti curiosi. Elio Constantín che sarà vice direttore del giornale Granma fu, negli anni ’50, delegato del collegio nella rivista Carteles e in tale veste comunicò a Raúl Corrales, allora collaboratore di detta pubblicazione, il suo obbligo di iscriversi alla Scuola, se non lo avesse fatto cessava il suo impegno di lavoro con la rivista. Corrale che era già il grande fotografo che avrebbe continuato ad essere anche dopo ebbe, come alunno, la soddisfazione di vedere che i suoi reportages si utilizzavano lì come materiale di studio e riferimento.
Circa la Márquez Sterling, dove perfino i professori di stenografia dovevano essere giornalisti in servizio, ci sono opinioni contrastanti non sono pochi quelli che la glorificano e non sono meno quelli che gli negano l’utilità. Non è questa la Scuola che ha compiuto da poco i 50 anni, ma quella dell’Università che fu poi la Facoltà di Giornalismo e oggi è la Facoltà di Comunicazione che i noi vecchi, continuiamo a chiamare Scuola di Giornalismo.

A Prado e Neptuno

Le pagine sul Paseo del Prado (11 e 18 di ottobre) aprirono la valvola della memoria alla lettrice Alina Delgado Valdés, nipote di uno dei padroni del ristorante Miami di Prado e Neptuno. Alina ricorda che da bambina accompagnava suo nonno nelle visite ai proprietari di altri esercizi della zona, come il galiziano José dello Sloppy Joe’s e a José María Pertierra, del ristorante El Ariete, in Consulado e San Miguel dove, ricordava Eduardo Robreño, si elaborava il miglior pollo con riso dell’Avana.
“Ho percorso di frequente il Paseo del Prado, mi impressionavano i suoi leoni e i suo grandi alberi. Andavo con mia madre e mia nonna alla profumeria Guerlain e con i miei genitori al Palazzo dell’Associazione dei Dipendenti del Commercio dell’Avana e al Club dei Barmen”, riferisce Alina.
In Prado e Neptuno – vicino al marciapiede di destra quando si cammina verso Galiano – ebbe sede il famoso Bodegón de Alonso, proprietà di Alonso Álvarez de la Campa. Il soggetto era colonnello dei Volontari e uno dei maggiori integralisti dell’epoca. Suo figlio si trovò coinvolto nel processo degli studenti di Medicina, accusati di aver profanato nel cimitero di Espada, la tomba del giornalista spagnolo Gonzalo Castañon e fu condannato a morte con la fucilazione. Il padre volle salvargli la vita. Offrì, a costo di restare in miseria, di dare tanto oro quanto pesasse suo figlio. Non poté salvarlo. Lì si stabilì, successivamente il caffè Las Columnas dove, nell’estate del 1930 il poeta García Lorca si entusiasmò con la spremuta di guanabana (frutto tropicale, n.d.t.). Anni dopo, il 16 gennaio, il 16 gennaio del 1939, aprì le sue porte in questo luogo un esercizio con funzione di ristorante, bar, cantina-caffè e fonte di acqua effervescente. Si chiamerà Miami e la sua proprietà fu stabilita definitivamente il 30 aprile del 1949 a nome di Manuel Menéndez, Manuel Moreno e Antonio Valdés, il nonno materno di Alina. Antonio Valdés che giunse all’Avana nel 1905, a 14 anni di età, lo istruì uno chéf francese e lo si considerò, ai suoi tempi, fra i migliori per ciò che si riferisce alla cucina internazionale. Non si sa perché, se per la sua statura o perché a suo modo era un imperatore, ma il caso è vuole che colleghi e clienti lo chiamavano Napoleone. Un Napoleone che non è quello dei francesi, né fu politico o guerriero, ma lasciò la sua traccia nella cronaca gastronomica avanera.

Napoleón cocinó en La Habana
Ciro Bianchi Ross 
digital@juventudrebelde.cu
24 de Octubre del 2015 20:25:05 CDT

El lector Gustavo Muñoz Ricardo inquiere información sobre el
desaparecido central Toledo y su propietario. Según The Gilmore;
Manual azucarero de Cuba (1954), en esa fecha tenía dicha industria
una capacidad de molida diaria de 450 000 arrobas de caña y, en
terrenos propios y controlados,  cosechaba el 60 por ciento de lo que
molía. Su propietario era Manuel Aspuru San Pedro, presidente de la
Compañía Azucarera Central Toledo. Aspuru era dueño de más de una
fábrica de azúcar, entre ellas, el central Fajardo (150 000 arrobas)
en Gabriel, antigua provincia de La Habana, y el Providencia, en
Güines, con una molida diaria de 220 000 arrobas. El central
Providencia se fundó en 1800 por don Francisco de Arango y Parreño, el
llamado «estadista sin Estado» y eminencia gris de la sacarocracia
criolla.
Las oficinas de esas fábricas radicaban en Mercaderes 113, La Habana
Vieja. Todas bajo la dirección de Aspuru, ejecutivo  de la Asociación
Nacional de Hacendados de Cuba y del Instituto Cubano de
Estabilización del Azúcar, que llegó a presidir, y vocal de la
directiva de la Asociación Cubana de Refinadores de Azúcar. Poseía
además negocios de ferretería y la Compañía Licorera Cubana,
productora de licores y rones. Pionero en la fabricación de papel a
partir del bagazo de caña, era accionista de la Antillana de Acero y
de Cabillas Cubanas, dueño de varias firmas de seguro, y el segundo
mayor accionista del Banco Financiero, propiedad de Julio Lobo.
Propietario asimismo de Hotelera del Oeste, que construiría en
Barlovento (actual Marina Hemingway) un hotel destinado a turistas de
mayor poder adquisitivo. Fue miembro de la junta directiva del
Instituto Cultural Cubano Norteamericano y benefactor de la Academia
de la Historia de Cuba, y costeaba casi en su totalidad la Escuela
Electromecánica del Colegio de Belén, con unos 600 alumnos. Entusiasta
yatista, bajo su presidencia el Havana Yacht Club liquidó la totalidad
de sus deudas y salió triunfador en todas las regatas y competencias
deportivas en las que participó. Guillermo Jiménez, en su libro Los
propietarios de Cuba, ubica a Manuel Aspuru San Pedro entre los
hombres más ricos del país.
El central Toledo era la única fábrica de azúcar que se encontraba en
el perímetro de la capital, justamente en Marianao, y en 1958 se le
tenía como el más antiguo de los centrales conocidos pues, dice el ya
aludido Guillermo Jiménez, «hay constancia de la existencia en el
lugar de un ingenio desde el 2 de diciembre de 1675». Diego Franco de
Castro, director del coro eclesiástico, lo funda con el nombre de San
Andrés. En 1762, Juana Sotolongo compra la finca y establece en ella
el ingenio Nuestra Señora el Carmen, que en 1783 aparece como
propiedad de Gabriel González del Álamo, cuyos herederos lo mantienen
hasta el siglo XIX.
Luego fue propiedad del conde de Santovenia. Pasa por otras manos y en
1858 lo adquieren Francisco Durañona, José Pascual de Goicochea y
Antonio Tuero, pero esa sociedad se disuelve en 1865 y queda Durañona
como propietario único. Es él  quien le da el nombre de Toledo, que es
el del lugar donde nació. Los herederos de Durañona lo venden en 1909
a Juan Aspuru, ferretero —uno de los propietarios de la siniestrada
ferretería de Isasi— que antes había comprado el 51 por ciento de las
acciones del central Providencia. Al fallecer Aspuru padre en 1917,
sus bienes pasan a la viuda y sus cuatro hijos, pero es Manuel quien
asume la administración de la fortuna familiar. Adquiere entonces la
totalidad de las acciones del Providencia y en 1934 compra el central
Fajardo. En 1940 establece una de las primeras plantas de papel de
bagazo, y en 1940 una fábrica de caramelos.
En febrero de 1955, en ocasión  de su venida a Cuba, Richard Nixon,
entonces vicepresidente de EE.UU., visita el central  por invitación
de Aspuru, que fue su anfitrión durante varios días. Tras el triunfo
de la Revolución, el Toledo pasa a llamarse Manuel Martínez Prieto,
nombre de un dirigente obrero de esa fábrica detenido por las fuerzas
represivas de la dictadura batistiana el 5 de marzo de 1958 y
asesinado tras ser sometido a horribles torturas.

Madrecita sí, pero ¿de quién?

El doctor Rafael Borroto Chao discrepa del escribidor cuando dijo que
Osvaldo Farrés compuso Madrecita en homenaje a su madre, que nunca
pudo escucharla porque era sorda como una tapia. En opinión del atento
corresponsal, dicha melodía la dedicó Farrés, en 1950, a Regla
Socarrás, madre de Carlos Prío, entonces presidente de la nación. Doña
Regla, que falleció en 1959 en La Habana y fue inhumada en el panteón
familiar en el cementerio de Colón, ostentaba los grados de capitana
del Ejército Libertador. Era hermana del coronel Carlos Socarrás, cuya
muerte en 1896, motivó una sentida carta de pésame del mayor general
Antonio Maceo.
No es eso lo que afirma Cristóbal Díaz Ayala, musicógrafo cubano
radicado en Puerto Rico, autor de La música cubana; del areito al rap
y Si te quieres por el pico divertir, entre otros títulos. Consultado
al respecto por el escribidor, respondió:
«En entrevista, Farrés me contó que se la inspiró su madre. Ella no
podía disfrutarla, por ser sorda, pero leía la letra y le comentaba a
su hijo que debía ser muy linda, porque veía la expresión de las
personas que la escuchaban...».

Escuela de periodismo

Jossie, firma así, a secas, su mensaje electrónico, está confundida.
Leyó en mi página de 4 de octubre pasado que Rafael Pegudo, fotógrafo
del periódico El Mundo, había sido profesor de la Escuela del
Periodismo Manuel Márquez Sterling, y se desconcertó al leer en esos
mismos días que la Escuela de Periodismo de la Universidad de La
Habana cumplía 50 años de fundada. Escribe: «Me preguntaba dónde
estudió aquella pléyade de buenos periodistas que vivió y trabajó
antes del 59… Ahora usted me vuelve a sembrar la misma duda, ¿dónde
estudiaban los periodistas antes del 59, si la Escuela tiene 50
años?».
La respuesta es obvia. Son dos escuelas, y una larga historia que
trataré de simplificar. La Asociación de Reporteros de La Habana fue
fundada el 14 de abril de 1902. Nació pobrísima, en Gloria 44, en esta
capital, y solo con 23 miembros. Creció poco a poco gracias al tesón
de sus componentes y el empuje de su directiva, y también gracias al
apoyo estatal y a la iniciativa privada. Tuvo su edificio social, un
verdadero palacete, en la calle Zulueta, aledaño al cuartel de
bomberos, y gestionó con singular éxito las leyes que regularon el
descanso dominical, la jubilación y el sueldo mínimo, así como procuró
la asistencia médica y la hospitalización al que las necesitara. Entre
1941 y 1943 tocó presidirla a Lisandro Otero Masdeu, redactor del
periódico El País, que abrió una nueva etapa en la vida de las
instituciones periodísticas cubanas. Organizó el primer Congreso
Nacional de Periodistas, creó la Escuela Profesional de Periodismo
Manuel Márquez Sterling y trabajó en la colegiación periodística. Fue
la de Otero una etapa muy fructífera para el periodismo nacional. Al
cesar en la presidencia de los Reporters, Otero asumió el decanato del
Colegio Nacional de Periodistas que él mismo creara. Había hasta
entonces mucho intrusismo e improvisación en el sector. Se le trató de
poner fin mediante la colegiación, y dos vertientes nutrieron la
matrícula de la Escuela: la de los egresados de Bachillerato y la de
periodistas en ejercicio a los que se les obligó a estudiar.
A figuras de la intelectualidad cubana, como Jorge Mañach, que eran
colaboradores habituales de la prensa, se les reconoció como
colegiados, y otros tuvieron que evaluarse. No pocos quedaron fuera
del sector. Sucedieron asimismo cosas curiosas. Elio Constantín, que
sería subdirector del diario Granma, fue en los años 50 delegado del
Colegio en la revista Carteles, y en calidad de tal comunicó a Raúl
Corrales, colaborador entonces de dicha publicación, su obligación de
matricular en la Escuela, pues si no lo hacía cesaba su compromiso de
trabajo con la revista. Corrales, que era ya el gran fotógrafo que
seguiría siendo después, tuvo, como alumno, la satisfacción de ver que
sus reportajes se utilizaban allí como material de estudio y
referencia.
Acerca de la Márquez Sterling, donde hasta los profesores de
taquigrafía debían ser periodistas en ejercicio, hay opiniones
encontradas. No son pocos quienes la glorifican y no son menos los que
le niegan el pan y la sal. No es esa la Escuela que recién cumplió 50
años, sino la de la Universidad, que fue después la Facultad de
Periodismo y hoy es la Facultad de Comunicación, a la que los más
viejos seguimos llamándole Escuela de Periodismo.

A Prado Y Neptuno

Las páginas sobre el Paseo del Prado (11 y 18 de octubre) abrieron la
válvula de la memoria de la lectora Alina Delgado Valdés, nieta de uno
de los dueños del restaurante Miami, en Prado y Neptuno. Recuerda
Alina que de niña acompañaba al abuelo en sus visitas a propietarios
de otros establecimientos de la zona, como al gallego José, del Sloppy
Joe’s, y a José María Pertierra, del restaurante El Ariete, en
Consulado y San Miguel, donde, recordaba Eduardo Robreño, se elaboraba
el mejor arroz con pollo de La Habana.
«Recorrí a menudo el Paseo del Prado, me impresionaban sus leones y su
gran arbolado. A la perfumería Guerlain iba con mi madre y abuela, y
con mis padres al palacio de la Asociación de Dependientes del
Comercio de la Habana y al Club de Cantineros», refiere Alina.
En Prado y Neptuno —acera de la derecha cuando se camina rumbo a
Galiano— radicó el célebre Bodegón de Alonso, propiedad de Alonso
Álvarez de la Campa. Era el sujeto coronel de Voluntarios y uno de los
más furibundos integristas de su tiempo. Su hijo se vio enredado en el
proceso de los estudiantes de Medicina, acusados de haber profanado en
el cementerio de Espada la tumba del periodista español Gonzalo
Castañón, y fue condenado a la pena de muerte por fusilamiento. El
padre quiso salvarle la vida. Ofreció, aunque quedara en la miseria,
dar a cambio de ella tanto oro como pesara su hijo. No pudo salvarlo.
Allí se estableció luego el café Las Columnas, donde, en el verano de
1930, el poeta García Lorca se entusiasmó con la champola de
guanábana. Años más tarde, el 16 de enero de 1939, abrió sus puertas
en ese sitio un establecimiento con funciones de restauración, bar,
café-cantina y fuente de soda. Se llamaría Miami y su propiedad fue
asentada  definitivamente el 30 de abril de 1949 a nombre de Manuel
Menéndez, Manuel Moreno y Antonio Valdés, el abuelo materno de Alina.
A Antonio Valdés, que llegó a La Habana en 1905, con 14 años de edad,
lo entrenó un chef francés y se le consideró en su tiempo entre los
mejores en lo que a cocina internacional se refería. No se sabe ya por
qué, si por su estatura o porque era un emperador en lo suyo, pero el
caso es que colegas y clientes le llamaban Napoleón. Un Napoleón que
no es el de los franceses, ni fue político ni guerrero, pero dejó su
huella en la crónica gastronómica habanera.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/


16° Festival Internazionale del Teatro dell'Avana

Anche in questa edizione del Festival, la Fundarte di Miami é stata presente con un doppio spettacolo: quello principale, era un monologo scritto da Griselda Ortiz e diretto da Carlos Miguel Caballero, interpretato da Mabel Roch con la partecipazione della ballerina e mimo brasiliana Lucia Aratanha e la cantante e percussionista haitiana Inez Barlatier, dal titolo "Scrivendo nella sabbia".
Questa opera era preceduta dalla performance dell'attrice statunitense Elizabeth Doud che nel ridotto del teatro Trianon, si è esibita ne "La Fabrica de lágrimas de Sirena".
Il monologo tratta sulla condizione degli emigrati negli Stati Uniti con le loro gioie e dolori, i ricordi del Paese d'origine e della vita lasciata dietro di sé, spesso con parte (o tutta) della famiglia. Una conquista economica e in qualche caso di libertà di essere apolitici e anonimi, pagata col sentirsi comunque stranieri, sia nella nuova terra che in quella natale quando si rientra per una visita famigliare o per lavoro.
Tre vite, provenienti da tre paesi diversi: Cuba, Brasile e Haiti, ma un unico comune denominatore in una città nordamericana dove l'1% della popolazione parla in "creolo", il 5% in portoghese e il 75% in spagnolo.
"Rimpatriata" con molta nostalgia.




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Proiettato al teatro Flavio di Roma il documentario sulla vita di Tomás Milián


Giuseppe Sansonna
 ha condiviso il suo evento.

Stasera, alle 20, al Teatro Flavio, a due passi dal Colosseo, si proietta "The Cuban Hamlet". Ovvero un pezzo di cuore e di vita, diluito in immagini. Dedicato a quello stralunato, meraviglioso Don Chisciotte che è diventato Tomas Milian, dopo una vita passata a usurare troppe pelli e troppe maschere.
A realizzarlo hanno contribuito il ceruleo Sergio Grillo alla fotografia, il titanico Enrico Grammaroli al suono, il chirurgico Domenico De Orsi al montaggio, la sensibilità di Pasquale Mollo e Pippo Foglianese alle musiche, la premura implacabile di Stefano Donati di IXCO all'organizzazione, con Aldo Abuaf, nostro risolutivo uomo all'Havana. Ringrazio loro e tanti altri, e spero di vedervi stasera
Proiezione di "The Cuban Hamlet- Storia di Tomas Milian"
Oggi alle ore 20 · Teatro Flavio · Roma






sabato 24 ottobre 2015

Ultimare

ULTIMARE: finire fuori bordo

giovedì 22 ottobre 2015

La Habana no aguanta más e magie del turismo

Uno dei grandi successi degli anni '70/80 dei Van Van fu: La Habana no aguanta más, in pratica l'Avana non ne può più (ricevere), una bonaria satira musicale sulla massiccia emigrazione interna che portava "los palestinos" (gli abitanti dell'oriente del Paese) all'Avana, in cerca di migliori condizioni di vita.
Anche oggi "La Habana no aguanta más", ma si tratta dell'ingente flusso di visitatori stranieri concentrato dalla metà di ottobre alla metà di gennaio. a causa dei numerosi eventi che si sovrappongono in questo periodo. Seminari e congressi internazionali, appuntamenti economici e culturali.
Fra i più notevoli la Fiera Internazionale dell'Avana, il Festival del Teatro, quello del Cinema, il Congresso della Caricom (mercato comune dei Caraibi) giusto per citarne alcuni. Ma sono molti e richiamano protagonisti e visitatori. A metà dicembre inizia l'alta stagione turistica e il turismo "people to people" allargato dai provvedimenti di Barak Obama ha incrementato notevolmente l'ingresso di nordamericani.
In questo periodo è quasi impossibile trovare un alloggio o auto a noleggio, pertanto mi chiedo se si aprissero le porte ai normali voli commerciali, cosa succederebbe? E non solo in questo periodo di concentrazione di eventi e manifestazioni.
Naturalmente,  riallacciandomi al post ispiratomi da Alex Castro debbo aggiungere che qualche camera o qualche auto, potrebbe apparire se pagata in modo adeguato alla eventuale persona "giusta". Magie del turismo.

lunedì 19 ottobre 2015

Esplorando Prado (II e fine), di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 18/10/15

Il Paseo del Prado a di Martí come lo conosciamo oggi con la sua corsia centrale a terrazza, le sue panchine di pietra e marmo, fanali, coppe, mensole e i suoi allori, venne inaugurato il 10 ottobre del 1928. Poco dopo, il 1°gennaio dell’anno seguente, si installavano gli otto leoni sui loro piedestalli. Al contrario di quello che pensavano non poche persone, nessuno di essi venne mai rubato.
Alla fine del XIX secolo, forse un poco prima, o all’inizio del XX, aristocratici, borghesi e professionisti furono ad abitare al Prado. Dalla cronaca avanera emerge, come abitante della zona, il dottor Manuel Piedra, eminente clinico che diagnosticò il primo caso di colera all’Avana che si salvò miracolosamente la vita al contrarre questa malattia. Anche i medici Miguel Franca, Benigno Souza e Joaquín Lebredo, di cui porta il nome la maternità municipale di Arroyo Naranjo. L’ingegner José Toraya e il magistrato Antonio Barrera che bisognerà sempre ringraziare per le sue notti insonni, date per mantenere viva l’opera del narratore Alfonso Hernández Catá. Il giornalista José María Gálvez che presiedette il Partito Autonomista. In Prado 9, in casa della sua nonna materna visse, parte della sua infanzia, il gran poeta José Lezama Lima. Prima, in Prado entre  Ánimas y Trocadero, ebbe la sua residenza don Pancho Marty, famoso negriero, padrone del Teatro Tacón e del monopolio del pesce nella capitale.
All’angolo di Trocadero si ergono sul marciapiede di sinistra, andando da Neptuno verso il mare. La prima di esse che ancora all’inizio del XX secolo si considerava la più lussuosa dell’Avana, fu costruita per una signora francese di cognome Scull e poi comprata, dopo averci vissuto, da Felipe Romero, conte di Casa Romero, sposato con la figlia maggiore del conte di Fernandina, della quale si dice che sia l’avanera più bella di tutti i tempi.
Attraversando Trocadero, appare la casa che fu del maggior generale José Miguel Gómez, oggi sede dell’Alianza Francesa. Prima, in questo stesso luogo si ergeva la casa di Marta Abreu che il capoccia liberale demolì per costruire la sua.
Le due case attigue a questa, furono pure di proprietà di Marta; non è come si insiste ada affermare, quella di Prado e Refugio, sullo stesso marciapiedi. Quest’altra grande residenza la edificò Frank Steinhart, un nordamericano che giunse a Cuba come sergente e che col tempo arrivò ad essere console generale del suo Paese nell’Isola oltre che un agiato uomo d’affari, padrone dell’azienda dei tram.
Sul finale del XIX secolo ci fu in questo spazio una casa che si distaccava in modo notevole dal resto del quartiere. Era una casa il cui pavimento era un paio di metri più basso di quello del Paseo del Prado per cui, dalla strada si vedevano fuoruscire dall’edificio, gli alberi da frutta e per l’ombreggiamento che aveva nel suo giardino la famiglia che l’abitava.
Questa casa si demolì e lì Steinhart costruì la sua secondo i suoi gusti. Dopo diversi anni della vittoria della Rivoluzione, la’abitava ancora sua figlia. Rimase sola con un cuoco cinese. Non si parlavano e non si vedevano nemmeno. Lei  era invalida e occupava il piano superiore e non poteva scendere. Lui, pure invalido, era limitato al pianterreno e non poteva salire. Chi li visitò allora, ricorda l’ambiente surreale della casa dove sembrava che il tempo si fosse fermato e la figlia di Steinhart pallidissima, nel suo letto antico, in una camera chiusa, dove tendaggi di velluto impedivano il passaggio della luce.

Spari e cinema sonoro

Il Paseo del Prado conserva molti ricordi. Buoni e cattivi. Tristi e allegri. Fu il 9 giugno del 1913, lo scenario di un duello irregolare dove perse la vita il generale Armando de la Riva, capo della Polizia Nazionale. Vent’anni dopo, il 12 agosto 1933 all’angolo di Virtudes, cadeva fulminato da un colpo preciso, il colonnello Antonio Jiménez, capo della così detta Porra, gruppo paramilitare col quale il dittatore Gerardo Machado perseguiva ed eliminava i suoi oppositori. Sempre in Prado e Virtudes ebbe luogo il duello irregolare fra i legislatori Quiñones e Collado. Discussero aspramente e quando la disputa sembrava verso la fine, Quiñones voltò le spalle al suo compagno di emiciclo, occasione di cui approfittò questi per sparargli a tradimento. Un poco più in la, in Prado fra Ánimas e Trocadero, di fronte agli uffici del Primo Ministro, al numero 257 della strada, l’allora sergente Lutgardo Martín Pérez – giungerà a tenente colonnello e capo della Motorizzata ai tempi della dittatura di Batista – e il parlamentare Rolando Masferrer, dal triste ricordo, ultimarono con pallottole Emilio Grillo Ávila, alias “Pistolita”, uomo dal grilletto facile. Fu in questo agguato che per confusione o errore, trovò pure la morte Francisco Madariaga Mulkay, nel momento in cui cercava di comprare un biglietto per recarsi, in aereo, all’isola di Aruba dove viveva.
Gli avaneri cominciarono a conoscere il cinema sonoro in Prado. Il fatto, di rilievo culturale, successe nel cine Fausto, in Prado e Colón. In Prado e Neptuno, in una sala per le feste nacque, con il titolo La engañadora, il primo chacahachá di cui fu autore Enrique Jorrín. All’angolo di San Miguel l’hotel Telégrafo esibì, nella sua facciata, il primo annuncio luminoso che si sia conosciuto all’Avana. Si trattava di una bandiera cubana fatta con lampadine incandescenti e in movimento, con la quale si promuoveva la birra La Tropical. L’11 di agosto del 1948, verso le tre del pomeriggio, aveva luogo nella succursale di The Royal Bank of Canada, di Prado 307, il maggior furto di contante che si è avuto a Cuba, nel sottrarre oltre mezzo milione di pesos. Nella casa contrassegnata oggi dal numero 309, morì il poeta Julián del Casal.
I migliori alberghi della città aprivano, allora, le loro porte sul Paseo del Prado, luogo dove confluiva la corrente turistica straniera, sopratutto nordamericana, con i visitatori dell’interno. Al momento della sua inaugurazione, nel 1875 all’angolo di San Rafael, l’Inglaterra si annunciava come un hotel completamente illuminato dalla luce elettrica e provvisto di ascensori, stanza da bagno in ogni camera, cantina, barbiere e interpreti in ogni lingua. Il Sevilla, fondato nel 1908, aveva il suo ingresso da Trocadero fino a che negli anni 20, costruì una torre di diversi piani che unì all’edificio originale ed estese i suoi servizi e dipendenze fino a Prado. L’hotel Miramar, all’angolo con Malecón, era il più caro della città. Piccolo, ma confortevole; lussuoso, con chéf di cucina francesi, con un ordine e pulizia estremi. Il Telégrafo disponeva di servizio telegrafico esclusivo e telefono in ogni stanza, cosa che lo rese il preferito dagli uomini d’affari e giornalisti stranieri di passaggio perl’Isola.
Questo esercizio, come l’hotel Miramar, era proprietà di Pilar Somoano de Toro. Entrambi cessarono di essere commercializzati per cause che lo scriba non conosce. Il Miramar cominciò a perdere il favore della clientela verso il 1920 e quell’esercizio preferito dal oindo elegante era, nel 1934, stabile di uffici – lì aveva il suo Sergio Carbó, il giornalista più popolare di Cuba in quel momento – fino a che fu destinato a sala per feste e scenario di combattimenti di boxe.
Era ancora in piedi negli anni ’60: era un caseggiato buio e vuoto. L’hotel Telégrafo, nel 1958, era una triste pensione.

Per mangiare bene

La cronaca riferisce che il ristorante dell’hotel Miramar fu uno dei luoghi dove si mangiava meglio all’Avana. Posti dove mangiare bene e a volte meglio, non sono mai mancati in Prado. Molti ricordano ancora il servizio del Centro Vasco, all’inizio del Paseo, prima del suo trasferimento al Vedado e i cibi de la Tasca Española, al numero 51 della via. Il Frascati, al 537, si innalza ancora nel ricordo di quelli che lo conobbero come una casa insuperabile della cucina italiana, poco diffusa nella Cuba di allora.
Nel ristorante dell’hotel Siboney, in Prado 355, l’allora giovane Gilberto Smith, preparava piatti di cucina ebraica – era presente la Comunità Ebraica Chavet Ahim, al numero 557, - fino a che già con la cucina in palmo di mano, passò a Los Tres Ases, in Prado 356. Questo esercizio godeva già di una clientela scelta: ricchi imprenditori, politici di moda, professionisti dal solido prestigio. Fra di loro c’era il giornalista Enrique de la Osa, capo della sezione En Cuba della rivista Bohemia, sempre con una coppa di Veterano di Osborne in mano, circondato da amici e a caccia di notizie. Era un cliente splendido che ricompensava largamente il buon servizio. Anche l’ex primo ministro Carlos Saladrigas, pieno di sé e taciturno e Bobby Maduro, uno dei padroni del Gran Stadium del Cerro e della Financiera Nacional, loquace e sorridente, soddisfatto della vita. Il senatore eduardo Chibás che non dette mai mance, era innamorato dell costine di maiale Baden che Smith preparava a Los Tres Ases.
Escuela de Televisión, animata da Gaspar Pumarejo, il pioniere della TV a Cuba, trasmetteva tutte le sere dal locale che fu il cine Prado, al numero 210 della via che è dove hanno sede gli studi del sonoro dell’ICAIC. Oltre al menzionato Fausto, in Prado si trovava anche il cinema Negrete, all’angolo di Trocadero, al pianterreno, il Centro dei Lavoratori del Commercio dell’Avana e i cine Lara, al 533 e Capitolio al 563. Il teatro Payret all’angolo di San José, si inaugurò il 23 gennaio del 1877 e nel suo scenario sfilarono famosi cantanti d’opera, attrici come Sarah Bernardt e ballerine come Anna Pavlova. Fu acquistato nel 1948 dagli eredi di Laureano Falla Gutiérrez. I nuovi proprietari decisero di rimodellare l’edificio. Quando si riaprì, nel 1951, si dedicò sopratutto alle pellicole spagnole.

Il piccolo caffè di garcía

Pensioni e alberghetti di seconda categoria, ma con una buona cucina come il Biarritz, in Prado 519, erano diversi nel Paseo. Ci sarebbe da menzionarne altri come Regis, al 163; Areces, nel 106;  Caribbean, al 164; Pasaje, al 515; e Saratoga al 603. I negozi di souvenir per turisti, erano ugualmente numerosi. Lo stesso come i bar come Partagas, al 359; Wonder Bar, al 351 e la Barrita de Don Juan, al 567. Erano abbondanti i piccoli caffè, come il Ninoska, poi chiamato Barón Bar al numero 115, frequentato da Fidel prima dei fatti del Moncada e da Max Lesnik leader della Gioventù Ortodossa. Nell’ingresso dell’edificio segnato dal numero 565, il piccolo caffè del basco Lorenzo García serviva da facciata a un lucroso giro di prestiti a strozzo, nel qual il pittoresco personaggio giocava sempre al sicuro. Lì lavorava il padre dello scriba che nonostante la modestia del suo impiego, ricordò fino all’ultimo con allegria, quella tappa della sua vita.
Diario de la Marina, giornale fondato nel 1932, ebbe non meno di nove domicili fino alla  sua definitiva installazione in Prado e Teniente Rey, edificio costruito al costo di un milione e mezzo di pesos. Il decano della stampa cubana, come si chiamava ancora nel 1960, fu portavoce della borghesia, specialmente degli interessi spagnoli a Cuba e in minor misura, di banchieri e possidenti.

Quasi all’altro estremo del Paseo, al numero 53, si ergeva il cosiddetto Palacio de la Radio, sede di RHC Cadena Azul e la Cadena Roja, emittenti appartenenti ad Amado Trinidad. Altre emittenti radio della strada erano Radio Mambí (107) e Radio Caribe che dall’edificio del Club dei Baristi si manteneva in onda per le 24 ore. Radio Continental, al 206 e Radio García Serra, al 260. Nel Paseo del Prado avevano sede anche la corrispondenza de la Prensa Unida (158) e le redazioni di Diario de Cuba (412) e la rivista Lux (615).



Explorando Prado (II y final)
Ciro Bianchi Ross 
digital@juventudrebelde.cu
18 de Octubre del 2015 

El Paseo del Prado o de Martí tal como lo conocemos hoy con su senda
central de terrazo, sus bancos de piedra y mármol, farolas, copas y
ménsulas, y sus laureles, quedó inaugurado el 10 de octubre de 1928.
Un poco después, el 1ro. de enero del año siguiente, se emplazaban los
ocho leones sobre sus pedestales. En contra de lo que suponen no pocas
personas, ninguno de ellos fue robado jamás.
A fines del siglo XIX, quizá un poco antes, y comienzos del XX,
aristócratas, burgueses y profesionales se fueron a vivir al Prado. De
la crónica habanera emerge, como vecino del lugar,  el doctor Manuel
Piedra, eminente clínico que diagnosticó el primer caso de cólera en
La Habana y que salvó la vida milagrosamente al contraer dicha
enfermedad. También los médicos Miguel Franca,  Benigno Souza y
Joaquín Lebredo, cuyo nombre lleva la maternidad municipal de Arroyo
Naranjo. El ingeniero José Toraya y el magistrado Antonio Barrera, a
quien siempre habrá que agradecer sus desvelos por mantener viva la
obra del narrador Alfonso Hernández Catá. El periodista José María
Gálvez, que presidió el Partido Autonomista. En Prado 9, en la casa de
su abuela materna, vivió parte de su infancia el gran poeta José
Lezama Lima. Antes, en Prado entre Ánimas y Trocadero, tuvo su
residencia don Pancho Marty, célebre negrero, dueño del Teatro Tacón y
del monopolio del pescado en la capital.
Dos residencias fastuosas se alzan en la esquina de Trocadero, sobre
la acera de la izquierda, según se avanza desde Neptuno hacia el mar.
La primera de ellas, que todavía a comienzos del siglo XX se
consideraba la más lujosa de La Habana, fue construida por una dama
francesa de apellido Scull y adquirida, luego de haberla vivido ella
con su familia, por Felipe Romero, conde de Casa Romero, casado con la
mayor de las hijas del conde de Fernandina, de quien se dice que es la
habanera más bella de todas las épocas.
Cruzando Trocadero aparece la casa que fuera del mayor general José
Miguel Gómez, sede hoy de la Alianza Francesa. Antes, en ese mismo
sitio, se alzó la casa de Marta Abreu, que el caudillo liberal demolió
para construir la suya.
Las dos casas contiguas a esa fueron también propiedad de Marta; no
así, como se insiste en afirmar, la de Prado y Refugio, sobre la misma
acera. Esta otra gran mansión la edificó  Frank Steinhart, un
norteamericano que arribó a Cuba como sargento y que con el tiempo
llegó a ser cónsul general de su país en la Isla  y un acaudalado
hombre de negocios, dueño de la empresa de los tranvías.
En las postrimerías del siglo XIX hubo en ese espacio una vivienda que
se singularizaba de manera notable del resto de los edificios de la
barriada. Era una casa cuyo piso estaba unos dos metros más bajo que
el nivel del Paseo del Prado, por lo que desde la calle se veían,
sobresaliendo de la edificación, los árboles frutales y de sombra que
la familia que la habitaba tenía en su patio.
Esa casa se demolió y allí a su gusto construyó Steinhart la suya.
Años después del triunfo de la Revolución, todavía la vivía su hija.
Quedó sola con un cocinero chino. No se hablaban, ni siquiera se
veían. Ella, inválida, ocupaba el piso superior y no podía bajar. Él,
también inválido, estaba limitado a la planta baja y no podía subir.
Quienes los visitaron entonces recuerdan el ambiente surrealista de la
casa, donde parecía que el tiempo se había detenido, y a la hija de
Steinhart, muy pálida, en su cama antigua, en una habitación cerrada,
donde cortinas de terciopelo impedían el paso de la luz.

Tiros y cine hablado

Muchos recuerdos atesora el Paseo del Prado. Buenos y malos. Tristes y alegres.
Fue, el 9 de junio de 1913, escenario del duelo irregular en que
perdió la vida el general Armando de la Riva, jefe de la Policía
Nacional. Veinte años más tarde, el 12 de agosto de 1933, en la
esquina de Virtudes, caía fulminado por  un disparo certero el coronel
Antonio Jiménez, jefe de la llamada Porra, grupo paramilitar con que
el dictador Machado perseguía y eliminaba a sus opositores.  También
en Prado y Virtudes tuvo lugar el duelo irregular entre los
legisladores Quiñones y Collado. Discutieron con aspereza, y cuando la
disputa pareció tocar a su fin, Quiñones dio la espalda a su compañero
de hemiciclo, ocasión que aprovechó este para balearlo a traición. Un
poco más allá, en Prado entre Ánimas y Trocadero, frente a las
oficinas del Primer Ministro, en el número 257 de la calle, el
entonces sargento Lutgardo Martín Pérez —llegaría a teniente coronel y
jefe de la Motorizada en tiempos de la dictadura de Batista— y el
parlamentario Rolando Masferrer, de triste recordación, ultimaron a
balazos a Emilio Grillo Ávila, alias «Pistolita», caballero de gatillo
alegre. Fue en esta refriega en la que, por confusión o error,
encontró también la muerte Francisco Madariaga Mulkay, en el momento
en que intentaba adquirir un pasaje para trasladarse en avión a la
isla de Aruba, donde vivía.
En Prado comenzaron los habaneros a conocer el cine hablado. El hecho,
de relieve cultural, ocurrió en el cine Fausto, en Prado y Colón. En
Prado y Neptuno, en una sala de fiesta surgió, con el título de La
engañadora y autoría de Enrique Jorrín, el primer chachachá. En la
esquina de San Miguel, el hotel Telégrafo exhibió en su fachada el
primer anuncio lumínico que se conoció en La Habana. Se trataba de una
bandera cubana  hecha con bombillos incandescentes y en movimiento,
con la que se promocionaba la cerveza La Tropical. El 11 de agosto de
1948, sobre las tres de la tarde, tenía lugar en la sucursal de The
Royal Bank of Canadá, de Prado 307, el robo mayor de dinero en
efectivo que haya ocurrido en Cuba, al sustraerse más de medio millón
de pesos. En la casa marcada hoy con el número 309 murió el poeta
Julián del Casal.
Los mejores hoteles de la ciudad abrían entonces sus puertas sobre el
Paseo del Prado, sitio donde confluían la corriente turística
extranjera, sobre todo norteamericana,  y los visitantes del interior.
En el momento de su inauguración, en 1875, en la esquina de San
Rafael, el Inglaterra se anunciaba como un hotel enteramente iluminado
con luz eléctrica y provisto de elevadores, cuarto de baño en cada
habitación, cantina, barbería e intérpretes en todos los idiomas. El
Sevilla, fundado en 1908, tenía su entrada por Trocadero, hasta que en
los años 20 construyó una torre de varios pisos que anexó al edificio
original y extendió sus servicios y dependencias hasta Prado. El hotel
Miramar, en la esquina con Malecón, era el más caro de la ciudad.
Pequeño,  pero muy confortable; lujoso, con chefs de cocina franceses
y un orden y limpieza extremados. El Telégrafo disponía de servicio
telegráfico exclusivo y teléfono en cada habitación, lo que lo hizo el
preferido de hombres de negocio y periodistas extranjeros de paso por
la Isla.
Este establecimiento, al igual que el hotel Miramar, era propiedad de
Pilar Somoano de Toro. Ambos se descomercializaron por causas que
desconoce el escribidor. El Miramar empezó a perder el favor de la
clientela hacia 1920 y aquella instalación preferida por el mundo
elegante era en 1934 edificio de oficinas —allí tenía la suya  Sergio
Carbó, el periodista  más popular de Cuba en ese momento—, hasta que
se destinó a  sala de fiestas y a escenario de peleas de boxeo.
Todavía en los años 60 estaba en pie: era un caserón oscuro y vacío.
El hotel Telégrafo, en 1958, era una triste casa de huéspedes.

Para comer bien

Refiere la crónica que el restaurante del hotel Miramar fue uno de los
lugares donde mejor se comió en La Habana. Sitios donde comer bien, y
a veces mejor,  en Prado nunca faltaron. Muchos recuerdan aún el
servicio del Centro Vasco, a comienzos del Paseo, antes de su traslado
al Vedado, y las comidas de la Tasca Española, en el número 51 de la
calle. El Frascati, en el 357,  se alza todavía en el recuerdo de los
que lo conocieron como una casa insuperable de la cocina italiana,
poco extendida en la Cuba de entonces.
En el restaurante del hotel Siboney, en Prado  355, preparaba el
entonces muy joven Gilberto Smith platos de cocina judía —funcionaba
la Unión Hebrea Chavet Ahim, en el número 557—, hasta que, ya con la
cocina en la palma de su mano,  pasó a Los Tres Ases, en Prado 356.
Gozaba esa instalación de una clientela selecta: ricos empresarios,
políticos de moda, profesionales de sólido prestigio. Entre ellos
estaba el  periodista Enrique de la Osa, jefe de la sección En Cuba,
de la revista Bohemia, siempre con una copa de Veterano de Osborne en
la mano, rodeado de amigos y a la caza de la noticia. Era un cliente
espléndido, que recompensaba con largueza el buen servicio. También el
ex primer ministro Carlos Saladrigas, ensimismado y taciturno, y Bobby
Maduro, uno de los dueños del Gran Stadium del Cerro y de la
Financiera Nacional, locuaz y sonriente, satisfecho de la vida. El
senador Eduardo Chibás, que nunca dio propinas, se desvivía por las
costillas de cerdo Baden, que Smith preparaba para él en Los Tres
Ases.
Escuela de Televisión, animada por Gaspar Pumarejo, el pionero de la
TV en Cuba, transmitía todas las noches desde el local que fuera del
cine Prado, en el número 210 de la calle y que es donde radican los
estudios de sonido del Icaic.  Además del  ya mencionado Fausto, se
encontraba en Prado el cine Negrete, en la esquina de Trocadero, en
los bajos del Centro de Dependientes del Comercio de La Habana, y los
cines Lara, en el 353,  y Capitolio, en el 563. El teatro Payret, en
la esquina de San José,  se inauguró el 23 de enero de 1877 y por su
escenario desfilaron famosos cantantes de ópera, actrices como Sarah
Bernhardt y bailarinas como Anna Pavlova. Fue adquirido en 1948 por
los sucesores de Laureano Falla Gutiérrez. Los nuevos propietarios
decidieron remodelar el edificio. Cuando se reinauguró en 1951 se
dedicó sobre todo a la exhibición de películas españolas.

El cafecito de García

Casas de huéspedes y  hotelitos de segunda, pero con una buena cocina
como el Biarritz, en Prado 519, eran varios en el Paseo. Habría que
mencionar asimismo otros como  Regis, en el 163; Areces, en el 106;
Caribbean, en el 164; Pasaje, en el 515, y Saratoga, en el 603.  Las
tiendas de suvenir para turistas eran igualmente numerosas. Lo mismo
que los bares, como  Partagás, en el 359;  Wonder Bar, en el 351, y la
Barrita de Don Juan, en el 567.  Abundaban los pequeños cafés, como el
Ninoska, llamado después Barón Bar, en el número 115, frecuentado por
Fidel antes de los sucesos del Moncada, y por Max Lesnik, líder de la
Juventud Ortodoxa.  En el zaguán del edificio marcado con el número
565, el cafecito  del vizcaíno Lorenzo García servía de tapadera a un
lucrativo negocio de préstamos al garrote, en el que el pintoresco
sujeto jugaba siempre al seguro. Allí trabajaba el padre del
escribidor que, pese a lo modesto de su empleo, recordó hasta el final
con alegría aquella etapa de su vida.
Diario de la Marina, periódico fundado en 1832, tuvo no  menos de
nueve domicilios hasta su emplazamiento definitivo en Prado y Teniente
Rey, edificio construido a un costo de millón y medio de pesos. El
decano de la prensa cubana, como se le llamaba todavía en 1960, fue
vocero de la burguesía y, en especial, de los intereses españoles en
Cuba y en menor medida de banqueros y hacendados.
Casi en el otro extremo del Paseo, en el número 53,  se alzaba el
llamado Palacio de la Radio, sede de RHC Cadena Azul y la Cadena Roja,
emisoras pertenecientes a Amado Trinidad. Otras radioemisoras  de la
calle eran  Radio Mambí (107)  y Radio Caribe, que desde el edificio
del Club de Cantineros se mantenía 24 horas al aire. Radio
Continental, en el 206, y Radio García Serra, en el 260. En el Paseo
del Prado radicaban asimismo la corresponsalía de la Prensa Unida
(158) y las redacciones de Diario de Cuba (412) y la revista Lux
(615).

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogi

Ulivale

ULIVALE: certo merita quello che costa

domenica 18 ottobre 2015

Udito

UDITO: appendice della mano (Italia meridionale)