Pubblicato su Juventud Rebelde dell' 8/5/16
Lo
sapevate che il giornale “della domenica” si ideò nella Plaza de la Catedral
quando il giornale La Discusión si installò in quello che fu il palazzo dei
Conti di casa Bayona? Che fu la prima volta che a Cuba si utilizzò la linotype
che rese possibile “comporre” i giornali in meno tempo e potessero aumentare il
numero delle pagine?
Sapevate
che il 20 gennaio del 1804 la cassaforte della Tesoreria Reale, installata
nella casa del marchese di Arcos, pure nella Plaza de la Catedral fu scassinata
dalla guardia incaricata della sua custodia che sottrasse il denaro contenuto,
cosa che mise i Tesoriere della Industria Reale nella disgiuntiva di riporre,
coi propri soldi, quano rubato o finire in carcere?
Un
altro scandalo ebbe luogo in questa casa quando Sebastián Calvo de la Puerta y
O’ Farrill rapì, col consenso della giovane, la figlia del Tesoriere Reale
dvanti al rifiuto di dargliela in sposa.
Nella
casa d’angolo del Callejón del Chorro, dove si può vedere la targa
commemorativa della Zanja Real si installarono, verso il 1840, i bagni pubblici
di Guiliasti, i primi del loro tipo che esistettero all’Avana, aprofittavano
l’antico scarico della Zanja. Non sarà fino alle decadi della fine del XIX
secolo quando i principali alberghi e pensioni cominciarono a includere quello
che si chiamava “il lusso del bagno”. Gli esercizi che non lo avevano si
limitavano a indicare ai loro clienti dove potevano lavarsi per un prezzo di
circa 30 centesimi.
Già che
si è alluso alla Zanja, diciamo rapidamente che fu l’opera di ingegneria più
importante del XVI secolo.
La sua
sorgente si prese dal río Almendares e le acque si fecero scendere dolcemente
per gravità, fino a quella che sarà la Plaza de la Catedral, la zona più bassa
della città. La vecchia lapide ricorda la costruzione del primo acquedotto
avanero.
Dice:
“Quest’acqua la portò il maresciallo di campo Juan de Tejada nell’anno 1592”.
Quello
che rende attraente questa casa senza portici e meno “palazzo” delle su vicine,
è la sua cattiva ombra. Come ha già detto lo scriba nella pagina corrispondente
alla settimana anteriore, due dei suoi proprietari finirono, in momenti
diversi, in carcere e vi morirono senza che la loro fortuna ed enorme prestigio
sociale si salvasse. Nel 1740, Antonio Palacín y Gatica, tenente governatore e
auditore di guerra – il secondo al comando nella difesa dell’Avana – che creò
inoltre una cattedra di Legge nell’Università avanera. Ebbene, questo soggetto,
in compagnia di Gabriel Beltrán de Santa Cruz, altro abitante importante della
città, presentò una denuncia contro il Capitano Generale Francisco Güemes de
Horcasitas, conte di Revillagigedo che processato dal governatore interinale,
fu a mettere le sue ossa nell’oscuro castello-prigione di san Juan de Ulúa, in
Messico, dove morì.
Nel
1571 la casa fu acquistata dal colonnello Sebastian Peñalver y Calvo de la
Puerta, reggente, tenente di capo di polizia maggiore e sindaco dell’Avana in
diverse occasioni. Si distinse nella difesa della città durante l’attacco
britannico del 1762, ma una volta che gli inglesi abbandonarono la città l’anno
seguente, le autorità spagnole lo accusarono di collaborazione col nemico e fu
recluso a Ceuta, da dove non tornò.
La
settimana scorsa abbiamo detto che il Plazzo di Lombillo ha due facciate. Una
guarda la Plaza de la catedral e l’altra a Empedrado.
Il 27
settembre del 1932, il dottor Ricardo Dolz, avvocato con studio e residenza in
questo immobile, salvò miracolosamente la vita peché, avvisato a tempo, uscì da
una porta mentre i sicari entravano da un’altra. Erano i giorni del Governo
dispotico di Gerardo Machado e il dittatore volle vendicare Clemente Vázquez
Bello, presidente del senato e massima figura del Partito Liberale, mnorto in
un attentato, con l’assassinio di vari oppositori.
Come
venne a sapere Dolz di cosa stava succedendo?Nello sparire il giornale La
Discusión, si mantenne nell’edificio che era occupato da un museo giornalistico
che passò opportunamente all’Associazione dei Reporters, in calle Zulueta, a
fianco della caserma dei pompieri, quando la casa de la Discusión fu comprata
dalla fabbrica di rum Arechabala. In questo immobile della casa Zulueta
funzionò, inoltre a partire dagli anni ’40, il Collegio Nazionale dei
Giornalisti, entità che scomparvero poco dopo la vittoria dell Rivoluzione.
Sorgeva, quindi, l’unione dei Giornalisti di Cuba che si installà nella magione
che fu del senatore liberale (e machadista) Agustín García Osuna, ampia e
confortevole come casa di abitazione, ma poco pratica per la sua nuova funzione.
Si era lasciato, dietro, un edificio costruito espressamente per il settore,
dotato di sale di riunione, biblioteca, ristorante, bar, barbiere, sala da
scherma, palestra...tutto quello che la sede
della UPEC (Unión de Periodistas y Escritores Cubanos, n.d.t.) Lo scriba
non vuole andare oltre nel pronunciarsi sulla convenienza del cambio, vuole
solo fare una domanda. Dove sono andati a finire i pezzi che conformavano il
Museo della Stampa?
La più bella
Ci fu
un epoca in cui i giornali si componevano a mano. Un operaio abile ed esperto –
il tipografo – univa velocemente una lettera con l’altra in unione
obbligatoria, così come fanno i muratori coi mattoni, fino a creare la
muraglia. Allora, i giornalisti consegnavano alle redazioni i loro lavori
scritti a mano, a volte con calligrafia infernale e le prime pagine si
riservavavno per annunci commerciali e di navigazione, perfino per annunci
funebri.
La
linotype è una macchina per comporre provvista di matrici e che fonde le
lettere per righe intere fino a comporre un solo blocco, si introdusse a Cuba,
nel giornale La Discusión – nel 1899 – e si impose non senza resistenza, fra
l’altro perché eliminava il tipografo che era l’anima del periodo classico. Non
tardarono a scoprirsi i suoi vantaggi: i giornali potevano aumentara la loro
impaginazione, si componevano in minor tempo e ammettevano maggior quantità di
testo.
Con la
linotype si instaurò l’uso della macchina da scrivere e su acordo del sindacato
dei linotipisti si decise che questi non lavorassero su originali che non gli
giungessero fra le mani scritti a macchian con doppia spaziatura.
Manuel
Márquez Sterling – ultimo romantico – fu l’unico giornalista che si negò a
utilizzare la macchina da scrivere. Continuò a scrivere a mano i suoi articoli
fino al 1934, quando morì.
Adesso
andiamo alla casa del marchese di Arcos.
Nel
1871, Ignacio de Peñalver y Cárdenas, tesoriere generale dell’Industria Reale e
dell’Esercito, si oppose alla richiesta di matrimonio di Sebastián Calvo de la
Puerta y O’ Farril con sua figlia Maria Luisa, considerata la più bella donna
della città.
Sebastián
decise di rapirla e portarla in altro luogo. Così. La marchesa di Jústiz e sua
figlia María Josefa, questa cognata del pretendente, pianificarono e portarono
a termine l’audace azione, nella chiesa di San Francesco, contando con la
complicità della ragazza che fu condotta alla residenza delle Jústiz.
Lo
scandaloso affronto del Tesoriere Reale contro la Marchesa, ciascuno col potere
dei suoi titoli e l’inviolabilità dei suoi spazi privati, dette motivo
all’intervento del Capitano Generale che affidò la custodia della giovane al
convento di Santa Teresafino a che si riuscì a portare a termine il matrimonio
senza il consenso del padre, poco prima che il contraente pertisse per una
campagna militare in Luisiana.
Entrato
il XIX secolo, il figlio di Ignacio Peñalver de Cárdenas, marchese di Arcos, fu
nominato tesoriere dell’Industria Reale, rimanendo installata la medesima, come da costume dell’epoca, nella stessa
residenza del responsabile.
Nella
notte del 20 gennaio del 1804, la guardia incaricata della custodia della
cassaforte del Real Tesoro, la scassinò e sottrasse i 150.000 pesos che vi si
trovavano. A Cuba esisteva, allora, la disposizione che stabiliva che il
funzionario pubblico a cui si sottraevano benefici a suo carico, aveva due
alternative: li rimetteva immediatamente dai suoi propri averi, anche se non
fosse responsabile della perdita, o finiva in carcere.
Il
Governatore Generale, marchese di Someruelos, venuto a conoscenza dell’atto
vandalico e senza sapere se il tesoriere potesse riporre il denaro, mandò un
messaggio a Peñalver. Gli offriva un prestito in contanti al fine che riponesse
quanto rubato.
Il
marchese di raco espresse il suo ringraziamento all’emissario del Governatore
Generale e nel rifiutare l’offerta gli mostrò le 9.500 once d’oro, tolte dalle
sue tasche con cui aveva già coperto l’ammanco.
Casa di due porte
Casa di
due porte, è cattiva da conservare, dice il refrain. Ma queste due porte furono
la salvezza di Ricardo Dolz.
L’avvocato
Carlos Manuel de la Cruz fermò la sua automobile e comprò l’Heraldo de Cuba,
giornale che serviva da portavoce al regime di Machado. In prima pagina si
rendeva conto della morte del senatore Vázquez Bello. Si diceva inoltre che per
mano di sconosciuti erano morti Dolz, Il rappresentante della Camera Miguel
Ángel Aguiar, i fratelli Gonzalo, Guillermo e Leopoldo Freire de Andrade e lo
stesso Carlos Manuel de la Cruz. Questi capì al volo che non c’era errore nella
redazione della notizia. Già nel suo studio della calle O’ Reilly, chiamò per
telefono Dolz che dallo stesso giornale aveva appena appreso della sua morte.
De la Cruz uscì dal retro dell’edificio e non si fermò fino all’Ambasciata
uruguayana, ubicata nell’appartamento 245 della Manzana de Gómez, mentre Dolz
trovava rifugio nell’Ambasciata del Brasile in 17 e A, nel Vedado.
Poterono
sfuggire a tempo gli avvocati Pedro Cue, Juan Marinello e Mayito García
Menocal, figlio dell’ex presidente che doveva essere eliminato “per dispetto a
suo padre”. Ad Aguiar i sicari lo fulminarono sulla porta del suo domicilio, in
19 angolo B, nel Vedado. Poco prima arrivarono alla casa di B numero 13, quasi
angolo a Calzada. Chiesero di Gonzalo Freire de Andrade che nella lista che avevano
era l’unico compromesso con l’opposizione. Ma già dentro alla residenza gli
assassini, non potendo identificarlo, ebbero eccesso di zelo ultimando tutti e
tre.
Lo que no dije de la Catedral
Ciro Bianchi
Ross • digital@juventudrebelde.cu
7 de Mayo del 2016 20:57:01 CDT
¿Sabía usted que el periódico «del
domingo» se ideó en la Plaza de la Catedral cuando el periódico La Discusión se
instaló en el que fue el palacio de los condes de Casa Bayona? ¿Que fue en ese
diario donde se utilizó por primera vez en Cuba el linotipo que posibilitó que
los periódicos se «compusieran» en menos tiempo y pudieran aumentar el número
de sus páginas?
¿Sabía que el 20 de enero de 1804 la
caja fuerte de la Real Tesorería, instalada en el palacio del marqués de Arcos,
también en la Plaza de la Catedral, fue violentada por la guardia encargada de
su custodia que sustrajo el dinero que había en ella, lo que situó al Tesorero
de la Real Hacienda en la disyuntiva de reponer de su peculio lo robado o ir
preso?
Otro escándalo tendría lugar en esta
casa cuando Sebastián Calvo de la Puerta y O’Farrill raptó, con el
consentimiento de la joven, a la hija del Tesorero Real ante la negativa de
este de dársela en matrimonio.
En la casa de la esquina del
Callejón del Chorro, donde puede verse la tarja conmemorativa de la
construcción de la Zanja Real, se instalaron, alrededor de 1840, los baños públicos
de Guiliasti, los primeros en su clase que existieron en La Habana;
aprovechaban el antiguo desagüe de la Zanja. No sería hasta las décadas finales
del siglo XIX cuando los principales hoteles y casas de huéspedes empezaron a
incluir lo que entonces se llamaba «el lujo del baño». Los establecimientos que
carecían de ese servicio se limitaban a indicar a sus clientes dónde podían
bañarse por un precio que giraba en torno a los 30 centavos.
Ya que se aludió a la Zanja, digamos
de paso que fue la obra ingeniera más importante del siglo XVI. Su fuente se
buscó en el río Almendares y las aguas se hicieron descender suavemente, por
gravedad, hasta lo que sería la Plaza de la Catedral, la cota más baja de la
villa. La vieja lápida consigna la construcción del primer acueducto habanero.
Dice: «Esta agua la trajo el maese
de campo Juan de Tejada en el año de 1592».
Lo que hace llamativa esa casa sin
portales y menos palacial que sus vecinas, es su mala sombra. Como ya dijo el
escribidor en la página correspondiente a la semana anterior, dos de sus
propietarios fueron a parar, en diferentes momentos, a la cárcel y murieron en
ella sin que su fortuna y enorme prestigio social los salvara. En 1740, Antonio
Palacín y Gatica, teniente gobernador y auditor de guerra —el segundo al mando
en la defensa de La Habana— que creó además una cátedra de leyes en la
universidad habanera. Pues bien, este sujeto, en compañía de Gabriel Beltrán de
Santa Cruz, otro vecino principal de la ciudad, presentó una denuncia contra el
capitán general Francisco Güemes de Horcasitas, conde de Revillagigedo, y,
procesado por el gobernador interino, fue a dar con sus huesos al sombrío
castillo-presidio de San Juan de Ulúa, en México, donde murió.
En 1751 la casa fue adquirida por el
coronel Sebastián Peñalver y Calvo de la Puerta, regidor, teniente de alguacil
mayor y alcalde de La Habana en diferentes ocasiones. Se destacó en la defensa
de la ciudad cuando el ataque británico de 1762, pero una vez que los ingleses
abandonaron la villa al año siguiente, las autoridades españolas lo acusaron de
colaboración con el enemigo y fue recluido en Ceuta, de donde no volvió.
Dijimos la semana pasada que el
Palacio de Lombillo tiene dos fachadas. Una mira a la Plaza de la Catedral, y
la otra, a Empedrado.
El 27 de septiembre de 1932, el
doctor Ricardo Dolz, abogado con bufete y residencia en ese inmueble, salvó
milagrosamente la vida porque, avisado a tiempo, logró huir por una de las
puertas mientras los porristas entraban por la otra. Eran los días del Gobierno
despótico de Gerardo Machado y el dictador quiso vengar a Clemente Vázquez
Bello, presidente del Senado y máxima figura del Partido Liberal, muerto en un
atentado, con el asesinato de varios opositores.
¿Cómo se enteró Dolz de lo que
sucedería?
Al desaparecer el periódico La
Discusión, se mantuvo en el edificio que ocupaba un museo periodístico que
oportunamente pasó a la Asociación de Reporteros, en la calle Zulueta, al lado
del cuartel de bomberos, cuando la casa de La Discusión fue adquirida por la ronera
Arechabala. En ese inmueble de la calle Zulueta funcionó además, a partir de
los años 40, el Colegio Nacional de Periodistas, entidades que desaparecieron
poco después del triunfo de la Revolución. Surgía entonces la Unión de
Periodistas de Cuba que se instaló en la mansión que fuera del senador liberal
(y machadista) Agustín García Osuna, amplia y confortable como casa de
vivienda, pero poco práctica para su nueva función. Se dejaba atrás un
edificio, construido expresamente por y para el sector, dotado de salas de
reunión, biblioteca, restaurante, bar, barbería, sala de esgrima, gimnasio…
todo lo que la sede de la UPEC no tiene. No quiere el escribidor pronunciarse
sobre la conveniencia del cambio; quiere solo hacer una pregunta. ¿Dónde fueron
a parar las piezas que conformaron el museo de la prensa?
La más hermosa
Tiempo hubo en que los periódicos se
«paraban» a mano. Un operario hábil y experto —el tipógrafo— unía
aceleradamente una letra con otra en obligada familia, al igual que hacen los
albañiles con los ladrillos, hasta formar la galerada. Entonces los periodistas
entregaban a la redacción sus trabajos escritos a mano, a veces con caligrafía
infernal, y las primeras páginas se reservaban para anuncios comerciales y de
navegación y hasta para esquelas mortuorias.
El linotipo, que es una máquina de
componer provista de matrices y que funde las letras por líneas completas hasta
formar un solo bloque, se introdujo en Cuba —en el periódico La Discusión— en
1899 y se impuso no sin resistencia, entre otros motivos, porque eliminaba al
tipógrafo, que era el alma del periódico clásico. No tardaron en descubrirse
sus ventajas: los diarios podían aumentar su paginación, se componían en menos
tiempo y admitían una mayor cantidad de textos.
Con el linotipo se instauró el uso
de la máquina de escribir, y, por acuerdo del gremio de linotipistas, se
decidió que estos no trabajarían originales que no llegasen a sus manos
escritos a máquina y a dos espacios.
Manuel Márquez Sterling —último
romántico— fue el único periodista que se negó a utilizar la máquina de
escribir. Siguió haciendo sus artículos a mano hasta 1934, cuando murió.
Surgió también allí el periódico
«del domingo».
En los albores del siglo XX existía
en Cuba el criterio, generalizado entre los directores de publicaciones, que
los periódicos dominicales no funcionaban. De hecho, los diarios más
importantes de la época —La Discusión y La Lucha— no aparecían los domingos, y
los que lo hacían, aunque a veces daban cabida a folletines, en poco se
diferenciaban en su edición dominical de las del resto de la semana. Pero
Manuel María Coronado, director de La Discusión, tenía una idea opuesta.
Pensaba que un periódico elaborado especialmente para ser leído en la calma del
domingo, con temas variados y materiales extensos y bien escritos e
ilustraciones en colores, sería todo un éxito, y puso a su gente a trabajar. Su
idea marcó un paso de progreso en la prensa nacional y fue pronto imitada por
otras publicaciones. Llega hasta hoy.
Vayamos ahora hasta la casa del marqués
de Arcos.
En 1781, Ignacio de Peñalver y
Cárdenas, tesorero general de la Real Hacienda y del Ejército, se opuso a la
solicitud de matrimonio de Sebastián Calvo de la Puerta y O’Farrill con su hija
María Luisa, considerada como la mujer más hermosa de la ciudad.
Sebastián decidió raptarla y
llevarla en depósito a otro lugar. Así, la marquesa de Jústiz y su hija María
Josefa, cuñada esta del pretendiente, planearon y ejecutaron la audaz acción en
la iglesia de San Francisco, contando con la complicidad de la novia, que fue
conducida a la residencia de las Jústiz.
El escandaloso enfrentamiento del
Tesorero Real contra la Marquesa, cada uno con el poder de sus títulos y la
inviolabilidad de sus espacios privados, dio motivo a la intervención del
Capitán General, que confió la custodia de la joven al convento de Santa Teresa
hasta que se logró llevar a cabo el matrimonio sin consentimiento del padre,
poco antes de que el contrayente partiera hacia Luisiana en una campaña
militar.
Entrado el siglo XIX, el hijo de
Ignacio Peñalver y de Cárdenas, marqués de Arcos, fue nombrado tesorero de la
Real Hacienda, quedando instalada la Real Tesorería, como era costumbre en la
época, en la propia residencia de su responsable.
En la noche del 20 de enero de 1804,
la guardia encargada de la custodia de la caja fuerte del Real Tesoro la
violentó y sustrajo los 150 000 pesos que se guardaban en ella.
Existía en la Cuba de entonces una
disposición que establecía que el funcionario público al que se le sustrajesen
caudales a su cargo, tenía dos alternativas: los reponía de inmediato de su
propio peculio, aunque no fuese responsable de la pérdida, o iba preso.
El gobernador general, marqués de
Someruelos, enterado del hecho vandálico y sin saber si el Tesorero podía
reponer el dinero, envió un recado a Peñalver. Le ofrecía un préstamo en
efectivo a fin de que repusiese lo robado.
El marqués de Arcos expresó su
agradecimiento al emisario del Gobernador General y al rehusar el ofrecimiento
le mostró las 9 500 onzas de oro sacadas de su bolsillo con las que había ya cubierto el desfalco.
Casa de dos puertas
Casa de dos puertas, mala es de
guardar, dice el refrán. Pero esas dos puertas fueron la salvación de Ricardo
Dolz.
El abogado Carlos Manuel de la Cruz
detuvo su automóvil y compró el Heraldo de Cuba, diario que servía de vocero al
régimen de Machado. En la primera página se daba cuenta de la muerte del
senador Vázquez Bello. Se decía además que a manos de desconocidos habían
muerto los oposicionistas Dolz, el
representante a la Cámara Miguel Ángel Aguiar, los hermanos Gonzalo, Guillermo
y Leopoldo Freire de Andrade y el propio Carlos Manuel de la Cruz, Este
comprendió de golpe que no había error en la redacción de la noticia. Ya en su
bufete, en la calle O’Reilly, llamó por teléfono a Dolz, que por el mismo
periódico acababa de enterarse de su muerte. De la Cruz salió por el fondo del
edificio y no paró hasta la Embajada uruguaya, sita en el departamento245 de la
Manzana de Gómez, mientras Dolz hallaba refugio en la Embajada de Brasil, en 17
y A, en el Vedado.
Pudieron escabullirse a tiempo los
abogados Pedro Cue y Juan Marinello, y Mayito García Menocal, hijo del
expresidente, que debía ser eliminado «para escarmiento de su padre». A Aguiar
los porristas lo fulminaban en la puerta de su domicilio, en 19 esquina a B, en
el Vedado. Poco antes llegaron a la casa de B número 13 casi esquina a Calzada.
Preguntaron por Gonzalo Freire de Andrade que era el que llevaban en la lista porque de los
tres hermanos, era el único comprometido con la oposición. Pero ya en el
interior de la residencia los asesinos no pudieron identificarlo y extremando
su celo, los ultimaron a los tres.
Ciro Bianchi
Ross