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mercoledì 15 ottobre 2014

Settimana della Lingua Italiana










LUNEDÌ 20 OTTOBRE
h. 09.30
(FLEX) - Aula 201
Conferenza: Musica e comunicazione. Blog e social networks: un nuovo modo di dialogare
Alberto Lentini - Giornalista libero professionista

h. 19.00
Antigua Iglesia de San Francisco de Paula. Ave. del Puerto e San Ignacio
Concerto inaugurale della XIV Settimana della Lingua Italiana nel Mondo:
Moderna fisarmonica. Variazioni linguistiche
Marco Lo Russo, fisarmonicista e compositore. Voce recitante: Sheila Roche


MARTEDÌ 21 OTTOBRE
h. 09.00
 Universidad de La Habana Facultad de Derecho - Sala Polivalente
Conferenza: Integrazione europea e Integrazione latino americana
Prof. Domenico Fracchiolla LUISS, Università Guido Carli, Roma
h. 13.00
Universidad de La Habana - Facultad de Lenguas Extranjeras (FLEX) - Aula 201
Iniziativa di traduzione Chi ben comincia...: scegli l’incipit più bello,
per alunni del III, IV e V anno della FLEX
Traduzione in spagnolo dell’incipit dei dodici libri finalisti del Premio Strega 2014

MERCOLEDÌ 22 OTTOBRE
h. 09.30
Biblioteca Rubén Martínez Villena - Obispo tra Ocios e Baratillo
Presentazione del libro di Giancarlo M. Marroni, Da Enea a O5aviano. Storie romane per ragazzi
Alla presenza dell'autore
h. 10.00
Universidad de las Artes (ISA) - Salón de Actos
Master Class: Bellini incontra Chopin, Gianfranco Pappalardo Fiumara, pianista,
e Roberto Cresca, tenore
h. 11.30
Universidad de La Habana - Facultad de Lenguas Extranjeras (FLEX) Aula 201
Conferenza: Grandattori italiani dell'Ottocento in tournée a Cuba
Prof.ssa Luciana Pasquini Università G. D’Annunzio di Chieti
h. 15.00
Universidad de La Habana - Facultad de Lenguas Extranjeras (FLEX) Aula 201
Conferenza: Editoria digitale: dalla carta stampata all'ebook
Alberto Lentini - Giornalista libero professionista
GIOVEDÌ 23 OTTOBRE
h. 17.00

Dante Alighieri, Casa Garibaldi - Callejón de Jústiz, 21
Conferenza: Editoria digitale: dalla carta stampata all'ebook
Alberto Lentini - Giornalista libero professionista

VENERDÌ 24 OTTOBRE

h. 10.00
 Dante Alighieri, Casa Garibaldi - Callejón de Jústiz, 21
Conferenza: L'umanesimo universale della scena e il rischio della dismissione del sapere umanistico
Prof.ssa Luciana Pasquini Università G. D’Annunzio di Chieti
h. 18.00
Museo del Ron Havana Club - Ave. del Puerto, 262 e Sol
Presentazione del libro di Alessandro Zarlatti, Alcune strade per Cuba
Alla presenza dell'autore e con Alberto Lentini, moderatore, e il Marco Lo Russo alla fisarmonica

SABATO 25 OTTOBRE

h. 10.00
Dante Alighieri, Casa Garibaldi - Callejón de Jústiz, 21
Primo Seminario Storico: Emigrazione e Presenza Italiana a Cuba
Dott. D. Capolongo, moderatore e conduttore; Dott. E. Marziota, Presidente Comitato Organizzatore
h. 20.30
Teatro Martí
Concerto di chiusura: Io amo l'opera: W V.E.R.D.I.
Gianfranco Pappalardo Fiumara, pianista e Roberto Cresca, tenore


DOMENICA 26 OTTOBRE
h. 19.00
Teatro Las Coralinas Amargura, 61 tra San Ignacio e Mercaderes
Spe5acolo: Incontri, Danza Teatro Retazos, con il Marco Lo Russo alla sarmonica







Mattonata

MATTONATA: venuta al mondo con problemi psichici

martedì 14 ottobre 2014

Mattina

MATTINA: piccola squilibrata

lunedì 13 ottobre 2014

Avanza il privato nel settore turistico/gastronomico

Punto di vista: Cuba privatizzerà più di 7.000 ristoranti
Pubblicato da Redazione TTC 


Cuba ha attualmente 8.984 unità gestite da imprese commerciali statali (2769 appartenenti al sistema turistico).
Il governo di Cuba prevede che i servizi gastronomici, attualmente di amministrazione statale per il 68% degli stabilimenti, passeranno gradualmente al settore privato, hanno detto alcuni dirigenti del settore.
Ora solo l’11% delle 11.000 unità gastronomiche del paese è gestito da “privati”, secondo quanto riferito nel corso di un forum regionale sulla qualità e sicurezza alimentare che si svolge a L’Avana.
Il processo di privatizzazione graduale per il 68% degli stabilimenti nelle mani dello Stato, interesserà dunque 7.480 stabilimenti.
Il Vice Ministro del Commercio Interno dell’isola, Ada Chávez, ha spiegato ai delegati la nuova politica adottata dal governo per estendere la gestione culinaria gestita da enti non statali in tutto il paese, secondo un rapporto dei media ufficiali.
Ha detto che l’attuazione della nuova politica disciplinerà il mantenimento della proprietà statale dei mezzi di produzione, come gli immobili, ma potranno essere affittati o venduti le attrezzature, forniture e strumenti.
Cuba ha attualmente 8.984 unità gestite da imprese commerciali statali (2769 appartenenti al sistema turistico) 1.261 gestite da lavoratori autonomi e 215 cooperative.
Il numero di lavoratori del settore privato a Cuba ha raggiunto alla la fine di luglio scorso i 471.085 professionisti in proprio in alcuni dei 201 mestieri autorizzati, secondo i dati ufficiali.
la trasformazione dei prodotti alimentari, una categoria che comprende i caffè e ristoranti popolarmente noti come “paladares” riunisce assieme al trasporto di merci e passeggeri, e agli alloggi in affitto il maggior numero di lavoratori autonomi.
L’espansione dell’occupazione nel settore privato è una delle principali riforme avviate dal presidente Raul Castro per “aggiornare” il modello socialista dell’isola e compensare la graduale eliminazione di alcuni posti di lavoro statali, 500.000 tra il 2011 e il 2015.


Un pomeriggio a Kiquine, di Ciro bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 12/10/14


Questa settimana lo scriba è stato a Kuquine, la tenuta di svago del dittatore Fulgencio Batista, convertita oggi in un centro di riposo e ricreazione. Dopo la vittoria della Rivoluzione, il complesso, col nome di Libertà passò al Ministero dell’Educazione e il suo edificio principale fu sede di un istituto tecnologico, una scuola elementare e una scuola speciale e pure per non lasciare niente indietro, servì come alloggio a famiglie rimaste senza tetto. Un bel giorno, la direzione provinciale dell’Alloggio decise di convertirla in un luogo di ricreazione e divertimento. Per un prezzo modico, in moneta nazionale, il cubano può utilizzare le sue installazioni, compresa la sua piscina favolosa.
Chi scrive non sa quando Batista  acquisì questa tenuta di 17 cavallerie di estensione (oltre 400 ha., n.d.t.) racchiusa tra la Carretera Central, la carretera  de Cantarranas all’Incrocio del Guatao e la strada che corre tra San Pedro e Punta Brava. Deve averla comprata alla fine del suo primo periodo di governo (1940-1944), forse quando aveva una relazione extraconiugale con Martha Fernández Miranda ed era sul punto di divorziare  da Elisa Godínez, la donna che lo aveva accompagnato dalla metà degli anni ’20, quando non era che un modesto soldato e con la quale ebbe tre figli: Mírta de la Carídad, Fulgencio Rubén e Elísa Aleída.
Il divorzio da Elisa per la suddivisione di beni costò a Batista 11 milioni di pesos, con i quali la signora si convertì – così assicurava la cronaca sociale – in una delle donne con una delle fortune più cospicue dell’America Latina. Subito dopo, - 28 novembre 1945 – e nella medesima cappella della tenuta, il presidente contrae matrimonio  con Martha, una ragazza umile, di Buenavista a Marianao, alla quale raddoppiava tranquillamente l’età. Le circostanze in cui si conobbero non sono precisate. Una versione su questo incontro assicura che lai andava in bicicletta, fu investita dall’automobile presidenziale che portava a bordo Batista. Il presidente assunse le spese di ricovero e visitò la ragazza in clinica. Simpatizzarono e cominciarono a vedersi segretamente. Ma questa storia non è verosimile, se lo fosse Roberto Fernández Miranda, fratello di Martha, l’avrebbe riferita nelle sue memorie, nella quali non offre nessuna spiegazione sull’inizio del romanzo. In ogni modo Martha, nell’intimità chiamava Kuqui Batista, da lì Kuquine. Lei sarà la signora e padrona della tenuta e con la sua ambizione scatenata e smisurata eserciterà un influsso nefasto nella vita pubblica di suo marito come se Batista, carente di ogni freno etico, necessitasse influenza nella sua cattiveria.
A Kuquine si fece la gestione del colpo di stato del 10 marzo 1952. Da lì uscì Batista quel giorno per mettersi nel campo militare di Columbia e impadronisrsi, così, della Repubblica. Fu nella biblioteca di Kuquine dove, il 17 dicembre 1958, l’ambasciatore nordamericano comunicò formalmente al dittatore che Washingtono gli ritirava il suo appoggio e gli chiese che lasciasse il paese quanto prima. E nella stessa biblioteca, già nella sera del 31 dicembre del 1958, ebbe luogo l’ ultima intervista tra il governante, che era già in procinto di non esserlo più, e il maggior generale Eulogio Cantillo col fine di orchestrare la manovra con la quale si voleva frustrare la vittoria della Rivoluzione.
I peggiori piani che si forgiarono nell’ambiente bucolico e tranquillo di Kuquine. Fra i molti altri busti  e statue, l’immagine del fagotto di una gru con la zampa di legno si ergeva nei giardini della tenuta su un piedistallo d’onore. L’innocente palmipede, sacrificato – diceva Batista – al revanscismo dei suoi avversari, fu il simbolo dei batistiani nella farsa elettorale del 1954. Il grido di “la gru non morirà” esprimeva chiaramente l’intenzione del dittatore di rimanere al potere per tempo indefinito o fino che il popolo non lo avesse espulso.

Complesso di Napoleone

Il visitatore passa il portone d’ingresso con le sue pareti di mattoni, cammina pochi metri e si trova con uno specchio d’acqua, adesso in via di recupero, e il piccolo edificio dove aveva sede la cappella. Più lontano, si trova la residenza con le sue tegole rosse, portici e terrazze con tetti di legno pregiato e colonne di caoba lavorata.
José Díaz, il maggiordomo, nel gennaio 1959, dichiarò che questa residenza non giunse a inaugurarsi e che non era nemmeno stata completamente ammobiliata. Alcuni oggetti originali della casa – molto pochi – sono tornati alla residenza. I dipendenti di Kuquinebparlano delle sue 12 camere da letto, tutte con stanza da bagno individuale e segnalano senza vacillare la camera privata di Batista e Martha, l’unica col balcone e segnata col numero 8.
Purtroppo nessuno di loro può indicare come i primi inquilini si introducevano nell’immobile, anche se parlano del passaggio sotterraneo che collegava la residenza con la casa del cognatissimo Roberto Fernàndez Miranda a circa un kilometro di distanza, nello stesso perimetro della tenuta e di un altro tunnel, ancora più improbabile, che conduceva alla sede dello Stato Maggiore Congiunto alla Città Militare di Columbia. Gallerie che nessuno ha mai visto e che sembrano esistere solo nell’immaginazione.
Kuquine contava di una sala di musica e un’altra per le proiezioni cinematografiche. La sala principale era decorata in stile Luigi XV. Lo scriba, desiste della sua presunta guida e vaga da solo, senza meta, per la casa. Ricorda fotografie originali della residenza che vennero date a conoscere dalla stampa all’inizio della Rivoluzione e crede di indovinare lo spazio che occupò il cosiddetto Patio degli Eroi, dove in occasioni vennero innalzate le statue di José Martí, Simón Bolívar, Máximo Gómez, Abramo Lincoln e altri eroi americani, mentre sopra uno degli scaffali della biblioteca si distinguevano, fra gli altri, i busti di Gandhi, Churchill, Giovanna d’Arco, Dante, Rommel e Stalin.
Questo patio si trovava fra le due ali della biblioteca che si utilizzava inoltre come sala di conferenze e riunioni. Una ben nutrita collezione di libri dove non mancavano titoli dei poeti della rivista Orígenes e della generazione degli anni ’50, anche se è molto probabile che non furono mai letti dal loro proprietario e dopo la vittoria del gennaio furono destinati alla Biblioteca Nazionale. In una vetrina, sempre nella biblioteca, Batista conservava le decorazioni e insegne militari dei suoi giorni di capo dell’Esercito (1933-1939). Uno scaffale posto dietro la sua scrivania e sotto una foto che lo mostrava nellla sua epoca di oscuro sergente, conservava decine di esemplari del libro intitolato Un sergente chiamato Batista, di Edmond Chester e un’altro, Batista e Cuba, di Ulpiano Vega Cobielles.
In un posto d’onore si mostrava un esemplare di Vie Politique et Militaire de Napoleón, di A. V. Arnault, edizione del 1822, un astuccio col telescopio che usò l’imperatore nella sua prigionia di Sant Elena e due pistole che appartennero al vincitore di Austerlitz. Batista aveva – si dice – complesso di Napoleone. Nelle sue conversazioni intime si riferiva al 4 settembre come a un 18 Brumaio e alludeva al golpe del 10 marzo come ad un ritorno dall’Isola d’Elba
Un piccolo spazio della casa di Kuquine fu battezzato come la stanza del tesoro. Lì si conservavano oggetti d’argento e porcellana, orologi, posate, vasellame e vassoi, statuine e oggetti d’arte di ogni epoca e stile valutati oltre 300.000 pesos, equivalenti a dollari.
Mancava ancora il meglio. In una stanza di disimpegno sepolte da montagne di libri vecchi e polverosi, apparvero nel gennaio del 1959 cinque casse di legno. Contenevano 800 gioielli valutati due milioni di pesos; collier di diamanti, crocefissi d’argento, braccialetti d’oro puro, orologi delle migliori marche, alcuni di essi disegnati espressamente per Batista con incrostazioni di brillanti nelle lancette, spille, porta reliquie, ventagli d’avorio...L’indio fu il simbolo di Batista. Un’anello d’oro puro con l’effige di un indio, apparve fra i gioielli nascosti. Pietre preziose adornavano la testa della figura che inoltre mostrava i colori della bandiera del 4 di Settembre. Gioie che a dire di una domestica della casa, “la Signora teneva come di meno valore perché le più valorose le aveva portate a New York molto tempo prima”.

300 milioni

Quanto rubò quest’uomo che nel 1933, come sergente stenografo dell’Esercito riceveva un compenso di 19 pesos mensili e che poi, come generale a riposo riceveva una pensione di 400? Bastano per formare la sua fortuna i 12.500 pesos mensili che nel suo secondo mandato guadagnava come Presidente della Repubblica? Quanto riuscì a portare via dall’Isola nella sua fuga? Nel 1969 una rivista britannica lo classificò come l’uomo più ricco di Spagna, dove risiedeva allora.
Gli specialisti calcolano che nel 1958 la fortuna di Fulgencio Batista era di circa 300 milioni di pesos equivalenti a dollari, capitale che – dice Guillermo Jímenez – nel suo libro Los propietarios de Cuba – si ramificava in una settantina di aziende, alcune delle quali non apparivano a suo nome ma si mascheravano – puntualizza Jímenez – dietro una spessa fragnatela di prestanome, intermediari, complici, soci e avvocati. Era proprietario unico o azionista di nove zuccherifici, del Banco Hispano Cubano, di una cartiera, di imprese immobiliari e costruttrici, di industrie per il materiale da costruzione...Padrone di giornali e riviste del Canale 12 della TV, di diverse stazioni radio Anche del motel Oasis di Varadero,  dell’hotel Colony dell’Isola dei Pini e del centro turistico Marina de Barlovento (attuale Marina Hemingway). Era il maggior azionista privato di Cubana de Aviación e proprietario di altre due imprese di trasporto aereo. Volle e quasi ci riuscì, monopolizzare il trasporto su strada e controllava in buona misura il trasporto urbano nella capitale...
Jímenez afferma,  nel suo citato libro, che sopratutto nel suo secondo governo che costò migliaia di morti, Batista si convertì in uno degli uomini più ricchi di Cuba e nel maggior ladro, asserisce per conto suo lo storico Newton Briones Montoto. Soddisfaceva la sua ambizione sfrenata in detrimento all’attenzione che doveva prestare agli affari di Stato. Approfittava in modo stupefacente della politica di finanziamento di istituzioni bancarie statali, riceveva soldi dal gioco clandestino e “multava” gli imprenditori che svolgevano qualunque opera pubblica col 30 per cento dei soldi che ricevevano dallo Stato.


Con parte di questi soldi Kuquine si ingrandì, la tenuta di Batista convertita, adesso, in centro di ricreazione e riposo ad uso della popolazione.


Una tarde en Kuquine
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
11 de Octubre del 2014 22:53:33 CDT

Esta semana el escribidor estuvo en Kuquine, la finca de recreo del dictador Fulgencio Batista, convertida ahora en un centro de descanso y recreación. Tras el triunfo de la Revolución, el predio, con el nombre de Libertad, pasó al Ministerio de Educación, y su casa principal fue sede, sucesivamente, de un instituto tecnológico, una escuela primaria y una escuela especial y también, por no dejar de
ser, sirvió como albergue a familias que quedaron sin techo. Un buen día, la dirección provincial de Alojamiento decidió convertirla en un sitio de recreo y esparcimiento. Por un precio módico en moneda nacional puede el cubano disfrutar de sus instalaciones, incluida su fabulosa piscina.
Desconoce quien esto escribe cuándo Batista adquirió esta finca de 17 caballerías de extensión enclavada al borde de la Autopista del Mediodía y que queda encerrada entre la Carretera Central, la carretera de Cantarranas a Entronque del Guatao y la vía que corre de San Pedro a Punta Brava. Debe haberla comprado a fines de su primer período de gobierno (1940-1944), tal vez cuando llevaba ya relaciones
extramaritales con Martha Fernández Miranda y estaba a punto de divorciarse de Elisa Godínez, la mujer que lo había acompañado desde mediados de los años 20, cuando no era más que un modesto soldado, y con la que tenía tres hijos: Mirta de la Caridad, Fulgencio Rubén y Elisa Aleida.
El divorcio de Elisa, por división de gananciales, costó a Batista 11 millones de pesos, con lo que la señora se convirtió --aseguraba la crónica social-- en una de las mujeres, con fortuna propia, más acaudaladas de América Latina. Enseguida --28 de noviembre de 1945-- y en la propia capilla de la finca contrae el ex presidente matrimonio
con Martha, una muchacha humilde de Buenavista, en Marianao, a la que doblaba tranquilamente la edad. Las circunstancias en que se conocieron no están precisadas. Una versión sobre ese encuentro asegura que ella, que iba en bicicleta, fue atropellada por el automóvil presidencial que llevaba a Batista a bordo. Asumió el Presidente los gastos de hospitalización y visitó a la muchacha en la clínica. Simpatizaron y empezaron a verse en secreto. Pero esa
historia no es cierta. Si lo fuera, Roberto Fernández Miranda, hermano de Martha, la habría referido en sus memorias, en las que no ofrece explicación alguna sobre el inicio del romance. De cualquier manera, Martha, en la intimidad, llamaba Kuqui a Batista y de ahí Kuquine. Ella sería la dueña y señora de la finca y con su ambición desatada y desmedida ejercería un influjo nefasto en la ejecutoria pública de su marido, como si Batista, carente de cualquier freno ético, necesitara de influencias en su maldad.
En Kuquine se gestó el golpe de Estado del 10 de marzo de 1952. De allí salió Batista ese día para meterse en el campamento militar de Columbia y apoderarse así de la República. Fue en la biblioteca de Kuquine donde, el 17 de diciembre de 1958, el embajador norteamericano
comunicó formalmente al dictador que Washington le retiraba su apoyo y le pidió que saliera del país cuanto antes. Y en la propia biblioteca, ya en la noche del 31 de diciembre de 1958, tuvo lugar la última de las entrevistas entre el mandatario, que ya empezaba a dejar de serlo, y el mayor general Eulogio Cantillo con el fin de orquestar la maniobra con la que se pretendió frustrar el triunfo de la Revolución.
Los peores planes se fraguaron en el ambiente bucólico y tranquilo de Kuquine. Entre otros muchos bustos y estatuas, la imagen de bulto de una grulla con la pata de palo se alzaba en los jardines de la finca sobre un pedestal de honor. El inocente palmípedo, sacrificado --decía Batista-- al revanchismo de sus adversarios, fue el símbolo de los batistianos en la farsa electoral de 1954. El grito de “la grulla no morirá” expresaba claramente la intención del dictador de permanecer en el poder por tiempo indefinido o hasta que el pueblo lo expulsara.

Complejo de Napoleón

El visitante traspasa el portón de entrada, con sus muros de cantería, camina unos pocos metros y se topa con un espejo de agua, ahora en proceso de recuperación y el pequeño edificio donde radicó la capilla.
Más alejada se halla la casa de vivienda con sus tejas rojas y portales y terrazas con techos de maderas preciosas y columnas de caoba labradas.
José Díaz, el mayordomo, declaró en enero de 1959 que esa mansión no llegó a inaugurarse y que tampoco se amuebló completa. Algunos objetos originales de la casa --muy pocos-- han vuelto a la residencia. Los empleados de Kuquine hablan de sus 12 dormitorios, todos con cuarto de
baño individual, y señalan sin vacilaciones la habitación privada de Batista y Martha --la única con balcón, y marcada hoy con el número 8.
Lamentablemente ninguno de ellos puede indicar al visitante cómo los primitivos inquilinos distribuían el inmueble, aunque hablan del pasadizo subterráneo que conectaba la mansión con la casa delcuñadísimo Roberto Fernández Miranda, a un kilómetro aproximado de distancia, en el propio perímetro de la finca, y de otro túnel, más improbable aun, que conducía a la sede del Estado Mayor Conjunto en la Ciudad Militar de Columbia. Galerías que, por supuesto, nadie ha visto y que no parecen existir sino en la imaginación.
Contaba Kuquine con una sala de música y otra para proyecciones cinematográficas. La sala de estar estaba amueblada y decorada al estilo Luis XV. Desiste el escribidor de su pretendido guía y vaga solo y sin rumbo por la casa. Recuerda fotografías originales de la mansión que dio a conocer la prensa a comienzos de la Revolución y cree adivinar el espacio que ocupó el llamado Patio de los Héroes, donde alguna vez se alzaron las estatuas de José Martí, Simón Bolívar, Máximo Gómez, Abraham Lincoln y otros próceres americanos, mientras que sobre una de las estanterías de la biblioteca sobresalían entre otros los bustos de Ghandi y Churchill, Juana de Arco y Dante, Rommel
y Stalin.
Ese patio se ubicaba entre las dos alas de la biblioteca que se utilizaba además como sala de conferencias y reuniones. Una bien nutrida colección de libros donde no faltaban títulos de los poetas de la revista Orígenes y de la generación de los años 50, aunque lo más probable es que nunca fueran leídos por su propietario, tras el triunfo de enero fue a parar a la Biblioteca Nacional. En una vitrina, también en la biblioteca, Batista conservaba las condecoraciones e insignias militares de sus días de jefe del Ejército (1933-1939). Un estante, situado tras su escritorio y bajo una foto que lo mostraba en su época de oscuro sargento, guardaba decenas de ejemplares del libro titulado Un sargento llamado Batista, de Edmond Chester, y de otro, Batista y Cuba, de Ulpiano Vega Cobielles.
En un lugar de honor se mostraba un ejemplar de ViePolitique et Militaire de Napoleón, de A. V. Arnault, edición de 1822, un estuche con el telescopio que usó el Emperador en su cautiverio de Santa Elena y dos pistolas que pertenecieron al vencedor de Austerlitz. Batista tenía --se dice-- complejo de Napoleón. En sus charlas íntimas se
refería al 4 de septiembre como un 18 Brumario y aludía al golpe del 10 de marzo como un regreso de la isla de Elba.
Un pequeño espacio de la casa de Kuquine fue bautizado como el cuarto de los tesoros. Allí se guardaban objetos de plata y porcelana, relojes, cuchillería, vajillas y bandejas, estatuillas y objetos dearte de todos los estilos y épocas valorados en más de 300 000 pesos equivalentes a dólares.
Faltaba aún lo mejor. En un cuarto de desahogo, sepultadas por una montaña de libros viejos y empolvados, aparecieron en enero de 1959 cinco cajas de madera. Contenían 800 alhajas valoradas en dos millones de pesos; gargantillas de diamantes, crucifijos de plata, brazaletes de oro puro, relojes de las mejores marcas, algunos de ellos diseñados
especialmente para Batista con incrustaciones de brillantes en las esferas, broches, relicarios, abanicos de marfil... El indio fue elsímbolo de Batista. Una sortija de oro puro, con la efigie de un indio, apareció entre las joyas escondidas. Piedras preciosas adornaban la cabeza de la figura que lucía además los colores de la bandera del 4 de Septiembre. Joyas que, al decir de una de las sirvientes de la casa, “la Señora tenía como de menos valor porque las más valiosas las llevó a Nueva York mucho antes”.

300 millones

¿Cuánto robó ese hombre que en 1933, como sargento taquígrafo del Ejército, devengaba un sueldo de 19 pesos mensuales y que luego, como general retirado recibía una pensión de 400? ¿Bastaban para cimentar su fortuna los 12 500 pesos mensuales que en su segundo mandato (1952-1958) ganaba como Presidente de la República? ¿Cuánto logró sacar de la Isla en su huida? En 1969, una revista británica lo conceptuó como el hombre más rico de España, donde residía entonces.
Especialistas calculan que en 1958 la fortuna de Fulgencio Batista rondaba los 300 millones de pesos equivalentes a dólares, capital que --dice Guillermo Jiménez en su libro 
Los propietarios de Cuba-- seramificaba por unas 70 empresas, algunas de las cuales no aparecían a su nombre pues se enmascaraban --puntualiza Jiménez-- tras una tupida telaraña de testaferros, intermediarios, cómplices, socios y abogados.
Era propietario único o accionista de nueve centrales azucareros, del Banco Hispano Cubano, de una papelera, de empresas inmobiliarias, de empresas constructoras, de industrias de materiales de la construcción... Dueño de periódicos y revistas, del Canal 12 de la TV, de varias emisoras de radio. También del motel Oasis, en Varadero, y
el hotel Colony, de Isla de Pinos, y del centro turístico de
Barlovento (actual Marina Hemingway). Era el mayor accionista privado de Cubana de Aviación y propietario de otras dos empresas de transporte aéreo. Quiso y casi logró monopolizar el transporte por carreteras y controlaba en buena medida el transporte urbano en la capital...
Afirma Jiménez en su libro aludido que, sobre todo, en su segundo gobierno, que costó miles de muertos, Batista se convirtió en uno de los hombres más ricos de Cuba, y en el mayor ladrón, asegura, por su cuenta, el historiador Newton Briones Montoto. Satisfacía su desenfrenada ambición en detrimento de la atención que debía prestar a los asuntos de Estado. Se aprovechaba de manera asombrosa de la política de financiamiento de instituciones bancarias estatales, recibía dinero del juego prohibido y “multaba” a los empresarios queacometerían alguna obra pública con el 30 por ciento del dinero que recibían del Estado.
Con parte de ese dinero se engrandeció Kuquine, la finca de Batista convertida ahora en un centro de recreación y descanso para disfrute de la población.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com

domenica 12 ottobre 2014

Maschiaccio

MASCHIACCIO: ma comprimo, calpesto

sabato 11 ottobre 2014

Marasma

MARASMA: affezione respiratoria di Mara

venerdì 10 ottobre 2014

10 ottobre, giorno dell'indipendenza di Cuba

Sono passati 146 anni da quando i rintocchi dell'azienda La Demajagua, proprietà di Carlos Manuel de Céspedes chiamavano i cubani a ribellarsi alla rivolta contro il potere coloniale spagnolo e iniziavano il processo di liberazione dalla schiavitù, ancora presente nell'Isola. L'annuncio era stato lanciato con il "Grito de Yara" del precedente giorno 8. Il resto...è Storia.

Maramaldo

MARAMALDO: Mara è innamorata di Aldo

giovedì 9 ottobre 2014

Maramaglia

MARAMAGLIA: golf di Mara

mercoledì 8 ottobre 2014

Da Mandello con onore...


Una veterana che si fa ancora onore...

8 ottobre 1967, scompare un mito, nasce un mito

In questa di data di 47 anni or sono è terminata l'avventura utopica di Ernesto Guevara de la Serna soprannominato "Che" dai compagni cubani per il suo tipico intercalare argentino. Caduto in un imboscata dell'esercito boliviano alla quebrada del Yuro, grazie a una delazione di ex compagni disertori, ferito, venne trasferito a una piccola scuola rurale in località Higueras dove fu ucciso a sangue freddo. Per anni non si seppe dove fosse stato sepolto fino a che i suoi resti vennero ritrovati, nel 1997, nella stessa provincia di Vallegrande, su indicazioni di un ex ufficiale in pensione che aveva partecipato all'inumazione clandestina. Dopo il ritrovamento vennero trasferiti a Cuba e si trovano nel mausoleo dedicato a lui e ai suoi compagni di lotta, nella città di Santa Clara dove nel 1958 dette il colpo di grazia alle truppe di Fulgenzio Batista.
La sua immagine, particolarmente ricordata con la eccezionale foto di Alberto Diaz "Korda" continua ad essere un simbolo per moltissime persone, anche giovani che non sanno nulla di lui e lo idealizzano come "pacifista". Un po' in contraddizione con la definizione più in uso di "Guerrillero Heroico".

Mantenere

MANTENERE: sorreggere con arto superiore

martedì 7 ottobre 2014

Manovella

MANOVELLA: romanzo scritto a mano

lunedì 6 ottobre 2014

6 ottobre 1976 l'attentato di Barbados

Sono passati 38 anni da quel giorno in cui il volo di Cubana de Aviación che partiva da Maiquetía in Venezuela , per arrivare via Barbados e Giamaica all'Avana, dopo lo scalo a Barbados e il successivo decollo è esploso in volo lasciando un saldo di 73 morti, di cui 57 cubani 11 guyanesi e 5 nordcoreani. Tra i cubani si trovava la squadra giovanile di scherma reduce da vittorie in tutti gli incontri effettuati in una competizione internazionale.
L'attentato non è rimasto avvolto nel mistero, i suoi autori: Luís Posada Carriles e Orlando Bosch hanno pubblicamente ammesso di esserne i responsabili. Il primo è morto nel suo letto a Miami, mentre il secondo passeggia tranquillamente per le strade della stessa città e avendo continuato fino ad oggi a perpetrare e realizzare attentati terroristici.
Intanto nelle carceri statunitensi ci sono ancore tre dei cinque agenti cubani che si erano infiltrati nelle organizzazioni estremiste dell'opposizione armata, con sede in Florida, allo scopo di allertare sia Cuba che gli stessi Stati Uniti onde evitare, appunto, atti terroristici. Proprio la "cortesia" di allertare gli Stati Uniti è costata loro la detenzione, un processo sicuramente non chiaro e delle condanne sproporzionate a quanto commesso in forma, necessariamente, clandestina.
Ma gli Stati Uniti si arrogano, fra gli altri "diritti" quello di stabilire chi è "terrorista" e chi no, lasciando impuniti, anzi proteggendo e foraggiando il "terrorismo buono". Si passi l'eufemismo.

Mojica e altre questioni, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 5/9/14

La pagina sulla visita a Cuba, nel 1931, del tenore messicano José Mojica ha motivato diversi messaggi elettronici e non poche chiamate. In generale criticano lo scriba per non aver accennato nella sua cronaca a una seconda visita all’Isola dell’uomo che alla morte i sua madre prenderà gli abiti religiosi col nome di José Francisco de Guadalupe r dopo aver fato il voto di povertà si internerà in un convento delle Ande peruviane.
La disegnatrice Piedad Subiráts, fedele lettrice di questa colonna, ha riferito ricordi famigliari su quel secondo viaggio di Mojica a Cuba ed ha avuto la delicatezza di rimettere all’autore di questa pagina il biglietto da visita che conserva del frate messicano, così come la foto, probabilmente scattata all’Avana, che il cantante ossequiò a sua madre o a sua nonna. Ha anche inviato un’immaginetta della Vergine di Fatima che Mojica aveva firmato prima di consegnarla.
Correva il mese di dicembre del 1953, allora Piedad aveva nove anni d’età. Ringrazia, adesso, lo scriba che le ha fatto rivivere tanti bei ricordi. Un altro lettore, Il Dottor Diego A. Artiles Granda,ha a sua volta i ricordi di Mojica nella sua seconda visita. Lo vide nel concerto che il tenore dette in un pomeriggio al teatro Payret per gli alunni del Collegio de La Salle, dove allora Artiles frequentava la scuola elementare e fu lì dove ascoltò per la prima volta la canzone intitolata Corazón mexicano e  da allora, nello spazio di 50 anni si è impegnato senza successo per poterla riascoltare. In questo periodo chiese molte volte ad amici messicani di questa melodia. Nessuno la conosceva o ricordava fino a che, lo scorso mese di gennaio toccò il tema durante una sua visita in Messico e qualcuno, tramite il suo telefono cercó e scaricò da Youtube un video dove Mojica la interpreta. Il dottor Artiles lo copiò e lo conserva come uno dei suoi tesori più preziosi.
Mojica offriva concerti e recitava nel cine con la dispensa ecclesiastica. Di fatto lo fece fin quasi alla fine dei suoi giorni. Piedad Subiràts afferma che in quella visita, Mojica cantò in alcune chiese e crede di ricordare che lo fece anche nel teatro Auditorium, invitato dalla Società Pro Arte Musicale. La sua famiglia, in quel momento, aveva molte amicizie con sacerdoti francescani sopratutto con la chiesa di Sant’Antonio, sita nella Quinta Avenida e 60 a Miramar e fu attraverso di loro che invitarono Mojica ad offrire un concerto nel teatro del paese di Minas de Matahambre, a Pínar del Río, dove suo padre era medico.
“Pertanto ci toccò ricevere il padre Mojica e rendergli gli onori”, dice la eccellente disegnatrice. Il concerto si tenne con ingresso libero, ma non ottenne, per ragioni che Piedad non conosce, la risposta di pubblico che c’era da aspettarsi. “Il giorno seguente si offrì un pranzo in suo onore nella nostra piccola casa. Ci stringemmo attorno al tavolo, non ricordo se i miei nonno vennero dall’Avana per l’occasione; frate Serafín Ajuria, pure francescano; il padre Manuel Zaldúa, cappellano di Las Minas; i miei genitori e io. Mio padre che aveva un gran senso dell’umorismo diceva di aver preso una ‘minestra benedetta’, perché siccome eravamo tanto stretti, le maniche dell’abito di Mojica finirono nella sua minestra”.
Piedad Subiràts ricorda oggi Mujica come uomo “semplice e affettuoso” che a Matahambre l’accompagnò nei suoi giochi infantili. “Anni dopo, mia madre mi conseguì il libro Yo pecador, la sua autobiografia pubblicata nel 1956 e su questo testo, negli anni ’60 si filmò una pellicola dallo stesso nome che si proiettò, qui all’Avana nel 1962. La vidi in un cinema del Vedado. Ricordo che la parte di Doña Virginia, sua madre, lo interpretò Libertad Lamarque”.
Per finire, Piedad ringrazia lo scriba di averle portato, come in altre occasioni, questi “ricordi lontani” che continuano vivi nella sua memoria.

Si tratta di alberghi

Il dottor Arquímedes Sedeño Argílagos ha interesse di sapere se gli alberghi Victoria e Vedado furono un tempo la stessa installazione e se apartennero allo stesso proprietario.
Per ispondergli mi rimetto all’informazione che offre, su questi esercizi, Guillermo Jímenez nel suo libro Las Empresas de Cuba; 1958, pubblicato dall’editrice Ciencias Sociales dell’Avana nell’anno 2004.
Il menzionato investigatore diche che l’hotel Vedado, con 120 camere e due attici per i suoi proprietari, si inaugurò nel dicembre 1952 al costo di un milione e mezzo di pesos.
Un hotel dalloa stesso nome, ma piccolo, era sito all’angolo di 19 e M. Lo aveva affittato e lo amministrava Bernardo Navarro Godinez e procurava utilità nette di 25.000 pesos annuali. Navarro che presiedeva l’Asociación Cubana de Hoteles e la Junta Cubana de Desarrollo Turístico, convinse l’architetto José Alberto Prieto di associarsi alla costruzione di un nuovo hotel che si ubicherà nella calle O fra 23 e 25 e che si chiamerà Vedado, mentre l’alberghetto di 19 e M prenderà il nome di Victoria; nomi che conservano entrambe le installazioni. Prieto elaborò il progetto architettonico e procurò il finanziamento del Collegio degli Architetti.
Fin qua l’informazione di Jimenez. Da parte nostra aggiungiamo che il Victoria, con 31 camere è attualmente il più antico del Vedado e all’Avana lo superano in antichità solo tre installazioni di quel tipo. Una lbergo con “classe” fin dalla sua apertura, già da oltre 80 anni, durante i quali consolidò una veste di prestigio.
Sono stati molti i cambi che soffrì dalla sua apertura, ma l’impegno di mantenere un segno di prima classe è sempre stato lo stesso. Un hotel con tradizione e marchio proprio che con distinzione ed eleganza conserva l’atmosfera di un’epoca.
Un uomo tanto aspro e difficile come lo spagnolo Juan Ramón Jiménez, premio Nobel per la Letteratura, lo scelse per il suo soggiorno avanero tra il 1936 e 1939 e lì Lezama Lima raccolse allora il materiale per il suo celebre Colloquio con il poeta di Platero y yo. Un’altra premio Nobel, la cilena Gabriela Mistral, fu a sua volta ospite. Il grande compositore russo Sergiej Prokofiev alloggiò al Victoria e la sua terrazza fu lo scenario dell’ardua intervista che sostenne con Federico García Lorca, impressionato dalla musica trepidante di ritmi incisivi e vivi spunti dell’autore di Visiones fugitivas, che solo poté ascoltare dal vivo all’Avana.
Più in qua nel tempo si ospitarono lì non pochi famosi, come il cantante portoricano Danny Rivera, il cineasta brasiliano Walter Salles, il giornalista italiano Gianni Minà, gli scrittori cubani Fina García Marruz e Cintio Vitier che lo dichiarò l’albergo dei poeti.

Un cubano presidente  di Spagna

Un lettore che firma solo come Boris il suo messaggio, domanda se qualcuno nato a Cuba all’epoca della colonia occupò la presidenza del Governo spagnolo.
Ebbene sì. Si chiamò Dámaso Berenguer e nacque a San Juan de los Remedios, località cubana appartenente all’attuale provincia di Villa Clara, nel 1878, data - già il lettore si sarà reso conto – nella quale l’Isola era ancora sotto la sovranità spagnola.
La sua carriera militare fu vincolata strettamente con la guerra del Marocco, nella quale cominciò a partecipare nel 1909 e giunse, tre anni più tardi, ad ascendere a generale. Nel novembre 1918 fu nominato Ministro della Guerra dal presidente del Governo liberale di Manuel García Prieto, incarico che tornò a disimpegnare fino al gennaio del 1919 nel gabinetto seguente, condotto dal pure liberale Alvaro de Figueroa y Torres, conte di Romanones.
Lasciò questo governo essendo designato, in quel mese, alto commissario del Marocco (la più alta rappresentanza spagnola nel protettorato), ma fu dimesso dopo il cosiddetto disastro di Annual, del luglio 1921, e affrontò le responsabilità conseguenti.
Separato dall’Esercito, fu subito riabilitato all’inizio della dittatura del generale Miguel Primo de Rivera, nel 1923. Un anno più tardi passò al comando della Casa Militare del re Alfonso XIII che il 30 gennaio del 1930, dopo le dimissioni di Primo de Rivera e nonostante l’opposizione di ampi settori, gli incaricò in extremis la presidenza del Governo. Davanti alla forte contestazione sociale e politica, oltre alla congintura economica negativa, dovette abbandonare la presidenza il 18 febbraio del 1931, dopo aver attuato con durezza nella reppressione della sollevazione repubblicana che ebbe luogo specialmente in Jaca (Huesca) alla fine del 1930.
Sostituito dall’ammiraglio Juan Bautista Aznar, formò parte del Governo di questi come ministro dell’Esercito.
L’avvento della II Repubblica, il 14 aprile del 1931, significò la fine del gabinetto monarchico e l’inizio di un processo giudiziario contro Berenguer per la sua attuazione nei fatti di Jaca che lo condusse in prigione.
In una congiuntura molto diversa, nel 1934, venne amnistiato dal Governo conservatore capeggiato dal Partito Radicale. Nel 1946 pubblicò una delle migliori opere di memorie spagnole del periodo finale della Restaurazione: De la dictadura a la república.

Morì sette anni più tardi a Madrid.

Mojica y otras cuestiones
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
4 de Octubre del 2014 19:08:58 CDT

Varios mensajes electrónicos y no pocas llamadas motivó la página
sobre la visita a Cuba, en 1931, del tenor mexicano José Mojica. En
general, reprochan al escribidor no haber aludido en su crónica a una
segunda visita a la Isla  del hombre que, a la muerte de su madre,
tomara los hábitos religiosos y, con el nombre de José Francisco de
Guadalupe y luego de hacer voto de pobreza, se internara en un
convento de los Andes peruanos.
La diseñadora Piedad Subiráts, lectora fiel de esta columna, refirió
en su mensaje recuerdos familiares sobre aquel segundo viaje de Mojica
a Cuba y tuvo la delicadeza de remitir al autor de esta página una
tarjeta de visita que conserva del fraile mexicano, así como la foto,
posiblemente tomada en La Habana, que el cantante obsequió a su madre
o a su abuela. También envió una estampita de la Virgen de Fátima, que
Mojica firmó antes de entregársela.
Corría el mes de diciembre de 1953, y entonces Piedad tenía nueve años
de edad. Agradece ahora que el escribidor le hiciera revivir tantos
bellos recuerdos. Otro lector, el doctor Diego A. Artiles Granda,
tiene asimismo sus recuerdos de Mojica en su segunda visita. Lo vio en
el concierto que el tenor ofreció una tarde en el teatro Payret para
los alumnos del Colegio de La Salle, donde Artiles cursaba entonces la
enseñanza primaria, y fue allí que escuchó por primera vez la canción
titulada Corazón mexicano, que desde entonces y a lo largo de más de
50 años se empeñó sin éxito en volver a oír. En ese tiempo preguntó
muchas veces por esa melodía a amigos mexicanos. Ninguno la conocía o
recordaba hasta que en el pasado mes de enero movió el tema durante
una visita a México y alguien desde su teléfono buscó y bajó de
Youtube un video donde Mojica la interpreta. El doctor Artiles Granda
lo copió y lo conserva como uno de sus más preciados tesoros.
Mojica ofrecía conciertos y actuaba en el cine con licencia
eclesiástica. De hecho, lo hizo casi hasta el fin de sus días. Afirma
Piedad Subiráts que en aquella visita Mojica cantó en algunas iglesias
y cree recordar que lo hizo asimismo en el teatro  Auditórium,
invitado por la Sociedad Pro Arte Musical. Su familia tenía en ese
momento mucha amistad con varios sacerdotes franciscanos, sobre todo
con los de la iglesia de San Antonio, sita en Quinta Avenida y 60, en
Miramar, y fue a través de ellos que invitaron a Mojica a que
ofreciera un concierto en el teatro del pueblo de las Minas de
Matahambre, en Pinar del Río, donde su padre era médico.
<<Nos tocó por tanto recibir al padre Mojica y hacerle los honores>>,
dice la destacada diseñadora. El concierto se dio y con entrada
gratis, pero no tuvo, por razones que Piedad desconoce, la repuesta
del público que era de esperar. “Al otro día se ofreció un almuerzo en
su honor en nuestra pequeña casa. Nos apretamos en torno a la mesa, no
recuerdo si mis abuelos que habrían ido desde La Habana para el
acontecimiento; fray Serafín Ajuria, también franciscano; el padre
Manuel Zaldúa, capellán de las Minas; mis padres y yo. Mi padre que
tenía un gran sentido del humor decía que había tomado ‘sopa bendita’,
porque como estábamos tan apretados, las mangas del hábito de Mojica
se le metieron en su sopa”.
Piedad Subiráts evoca hoy a José Mojica como un hombre “sencillo y
cariñoso”, que en Matahambre la acompañó en sus juegos infantiles.
“Años después, mi madre consiguió el libro Yo Pecador, su
autobiografía publicada en 1956, y por este texto en los años 60 se
filmó la película del mismo nombre, que se puso aquí en La Habana en
1962. La vi en un cine del Vedado. Recuerdo que el papel de doña
Virginia, su madre, lo interpretó Libertad Lamarque”.
Finalmente, Piedad agradece al escribidor el haberle llevado, como en
otras ocasiones, estos “recuerdos lejanos” que siguen vivos en su
memoria.

De hoteles se trata

El doctor Arquímedes Sedeño Argilagos se interesa por conocer si los
hoteles Vedado y Victoria fueron en un tiempo una misma instalación y
si pertenecieron al mismo dueño.
Para responderle, me remito a la información que sobre esos
establecimientos hoteleros ofrece Guillermo Jiménez en su libro Las
empresas de Cuba; 1958, publicado por la editorial de Ciencias
Sociales, de La Habana, en el año 2004.
Dice el mencionado investigador que el hotel Vedado, con 120
habitaciones y dos penthouses para sus propietarios, se inauguró en
diciembre de 1952, a un costo de millón y medio de pesos.
Un hotel, con igual nombre, pero pequeño, estaba situado en la esquina
de 19 y M. Lo había arrendado y lo administraba Bernardo Navarro
Godínez, y arrojaba utilidades netas de alrededor de 25 000 pesos
anuales. Navarro, que presidía la Asociación Cubana de Hoteles y la
Junta Cubana de Desarrollo Turístico, convenció al arquitecto José
Alberto Prieto de asociarse en la construcción de un nuevo hotel que
se ubicaría en la calle O, entre 23 y 25, y que se llamaría Vedado,
mientras que el hotelito de 19 y M pasaría a llamarse Victoria;
nombres que conservan ambas instalaciones. Prieto elaboró el proyecto
arquitectónico y procuró el financiamiento del Colegio de Arquitectos.
Hasta ahí la información de Jiménez. Añadimos, por nuestra parte, que
el Victoria, con 31 habitaciones en la actualidad, es el hotel más
antiguo de El Vedado, y en La Habana solo lo superan en antigüedad
tres instalaciones de su tipo. Un hotel con “ángel” desde su apertura,
hace más de 80 años, durante los que asentó todo un hábito de
prestigio.
Muchos son los cambios que sufrió desde su apertura, pero siempre fue
similar su empeño por mantener una marca de primera clase. Un hotel
con tradición y sello propios que, con distinción y elegancia,
conserva el aura de una época.
Un hombre tan exquisito, arisco y difícil como el español Juan Ramón
Jiménez, premio Nobel de Literatura, lo escogió para su estancia
habanera entre 1936 y 1939, y allí acopió Lezama Lima entonces el
material para su célebre Coloquio con el poeta de Platero y yo. Otra
premio Nobel, la chilena Gabriela Mistral, fue también su huésped. El
gran compositor ruso Sergio Prokofiev se alojó en el Victoria, y su
terraza fue escenario de la ardua entrevista que sostuviera con
Federico García Lorca, impresionado con la música trepidante, de
ritmos incisivos y vivas aristas del autor de Visiones fugitivas, a
quien solo en La Habana pudo escuchar en vivo.
Más acá en el tiempo se hospedaron allí no pocos famosos, como el
cantante puertorriqueño Danny Rivera, el cineasta brasileño Walter
Salles, el periodista italiano Gianni Miná, los escritores cubanos
Fina García Marruz y Cintio Vitier, que lo declaró el hotel de los
poetas.

Un cubano presidente de España

Un lector que firma solo como Boris su mensaje electrónico, pregunta
si alguien nacido en Cuba en tiempos de la colonia ocupó la
presidencia del Gobierno español.
Pues sí. Se llamó Dámaso Berenguer y nació en San Juan de los
Remedios, localidad cubana perteneciente a la actual provincia de
Villa Clara, en 1878, fecha --ya se habrá percatado el lector-- en que
la Isla estaba aún bajo la soberanía española.
Su carrera militar estuvo vinculada estrechamente con la guerra de
Marruecos, en la cual comenzó a participar en 1909 y logró ascender
tres años más tarde a general. En noviembre de 1918 fue nombrado
ministro de la Guerra por el presidente del Gobierno liberal de Manuel
García Prieto, cargo que volvió a desempeñar hasta enero de 1919 en el
gabinete siguiente, encabezado por el también liberal Álvaro de
Figueroa y Torres, conde de Romanones.
Abandonó ese Gobierno al ser designado en ese mes alto comisario de
Marruecos (la más alta representación española en el Protectorado),
pero fue cesado tras el llamado desastre de Annual, de julio de 1921,
y afrontó las responsabilidades consiguientes.
Apartado del Ejército, fue pronto rehabilitado, al comienzo de la
dictadura del general Miguel Primo de Rivera, en 1923. Un año más
tarde, pasó a la jefatura de la Casa Militar del rey Alfonso XIII,
quien, el 30 de enero de 1930, tras la renuncia de Primo de Rivera y
pese a la oposición de amplios sectores, le encargó in extremis la
presidencia del Gobierno. Ante la fuerte contestación social y
política y la negativa coyuntura económica tuvo que abandonar la
presidencia el 18 de febrero de 1931, después de actuar con dureza en
la represión de la sublevación republicana que tuvo lugar
especialmente en Jaca (Huesca) a finales de 1930.
Sustituido por el almirante Juan Bautista Aznar, formó parte del
Gobierno de este en calidad de ministro del Ejército.
El advenimiento de la II República, el 14 de abril de 1931, significó
el cese del gabinete monárquico y el inicio de un proceso judicial
contra Berenguer por su actuación en los sucesos de Jaca, que lo llevó
a prisión.
En una coyuntura muy distinta, en 1934 resultó amnistiado por el
gobierno conservador encabezado por el Partido Radical. En 1946
publicó una de las mejores obras memorísticas españolas del período
final de la Restauración: De la dictadura a la república.
Falleció siete años más tarde, en Madrid.
 
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

Manometro

MANOMETRO: misuratore di arti superiori

domenica 5 ottobre 2014

Manforte

MANFORTE: arto superiore robusto

sabato 4 ottobre 2014

Santeria: el Toque de Caja




Mi sono trovato a capitare nel mezzo di un “Toque de caja”, una cerimonia rituale che riprende il rito della messa cattolica e lo unisce alle tradizioni animiste dell’Africa centro occidentale. La funzione viene preceduta da una “messa” dedicata ai famigliari defunti e officiata da un sacerdote che non ha preso i voti della Chiesa cristiana, ma riveste un certo livello nel culto afrocubano.
Al termine della messa inizia il vero e proprio “Toque” che significa “suono” o “suonare” dei tamburi accompagnati dalle voci dei canti Yoruba. I partecipanti in genere fanno parte della famiglia o comunque delle amicizie più strette, anche se non vi è nessun divieto per chi si volesse unire.

È difficile capire come si possa resistere un paio d’ore al ritmo assordante dei tamburi e col caldo che viene mitigato molto poco dai ventilatori posti strategicamente. I partecipanti si scatenano nella danza che propizia la vicinanza con i loro defunti. Nel rito vengono effettuate offerte di varia natura e dopo circa un paio d’ore, l’assemblea si scioglie.




Manetta

MANETTE: arti superiori puliti