Questa settimana lo scriba è stato a Kuquine, la tenuta di svago del dittatore Fulgencio Batista, convertita oggi in un centro di riposo e ricreazione. Dopo la vittoria della Rivoluzione, il complesso, col nome di Libertà passò al Ministero dell’Educazione e il suo edificio principale fu sede di un istituto tecnologico, una scuola elementare e una scuola speciale e pure per non lasciare niente indietro, servì come alloggio a famiglie rimaste senza tetto. Un bel giorno, la direzione provinciale dell’Alloggio decise di convertirla in un luogo di ricreazione e divertimento. Per un prezzo modico, in moneta nazionale, il cubano può utilizzare le sue installazioni, compresa la sua piscina favolosa.
Chi scrive non sa quando Batista acquisì questa tenuta di 17 cavallerie di estensione (oltre 400 ha., n.d.t.) racchiusa tra la Carretera Central, la carretera de Cantarranas all’Incrocio del Guatao e la strada che corre tra San Pedro e Punta Brava. Deve averla comprata alla fine del suo primo periodo di governo (1940-1944), forse quando aveva una relazione extraconiugale con Martha Fernández Miranda ed era sul punto di divorziare da Elisa Godínez, la donna che lo aveva accompagnato dalla metà degli anni ’20, quando non era che un modesto soldato e con la quale ebbe tre figli: Mírta de la Carídad, Fulgencio Rubén e Elísa Aleída.
Il divorzio da Elisa per la suddivisione di beni costò a Batista 11 milioni di pesos, con i quali la signora si convertì – così assicurava la cronaca sociale – in una delle donne con una delle fortune più cospicue dell’America Latina. Subito dopo, - 28 novembre 1945 – e nella medesima cappella della tenuta, il presidente contrae matrimonio con Martha, una ragazza umile, di Buenavista a Marianao, alla quale raddoppiava tranquillamente l’età. Le circostanze in cui si conobbero non sono precisate. Una versione su questo incontro assicura che lai andava in bicicletta, fu investita dall’automobile presidenziale che portava a bordo Batista. Il presidente assunse le spese di ricovero e visitò la ragazza in clinica. Simpatizzarono e cominciarono a vedersi segretamente. Ma questa storia non è verosimile, se lo fosse Roberto Fernández Miranda, fratello di Martha, l’avrebbe riferita nelle sue memorie, nella quali non offre nessuna spiegazione sull’inizio del romanzo. In ogni modo Martha, nell’intimità chiamava Kuqui Batista, da lì Kuquine. Lei sarà la signora e padrona della tenuta e con la sua ambizione scatenata e smisurata eserciterà un influsso nefasto nella vita pubblica di suo marito come se Batista, carente di ogni freno etico, necessitasse influenza nella sua cattiveria.
A Kuquine si fece la gestione del colpo di stato del 10 marzo 1952. Da lì uscì Batista quel giorno per mettersi nel campo militare di Columbia e impadronisrsi, così, della Repubblica. Fu nella biblioteca di Kuquine dove, il 17 dicembre 1958, l’ambasciatore nordamericano comunicò formalmente al dittatore che Washingtono gli ritirava il suo appoggio e gli chiese che lasciasse il paese quanto prima. E nella stessa biblioteca, già nella sera del 31 dicembre del 1958, ebbe luogo l’ ultima intervista tra il governante, che era già in procinto di non esserlo più, e il maggior generale Eulogio Cantillo col fine di orchestrare la manovra con la quale si voleva frustrare la vittoria della Rivoluzione.
I peggiori piani che si forgiarono nell’ambiente bucolico e tranquillo di Kuquine. Fra i molti altri busti e statue, l’immagine del fagotto di una gru con la zampa di legno si ergeva nei giardini della tenuta su un piedistallo d’onore. L’innocente palmipede, sacrificato – diceva Batista – al revanscismo dei suoi avversari, fu il simbolo dei batistiani nella farsa elettorale del 1954. Il grido di “la gru non morirà” esprimeva chiaramente l’intenzione del dittatore di rimanere al potere per tempo indefinito o fino che il popolo non lo avesse espulso.
Complesso di Napoleone
Il visitatore passa il portone d’ingresso con le sue pareti di mattoni, cammina pochi metri e si trova con uno specchio d’acqua, adesso in via di recupero, e il piccolo edificio dove aveva sede la cappella. Più lontano, si trova la residenza con le sue tegole rosse, portici e terrazze con tetti di legno pregiato e colonne di caoba lavorata.
José Díaz, il maggiordomo, nel gennaio 1959, dichiarò che questa residenza non giunse a inaugurarsi e che non era nemmeno stata completamente ammobiliata. Alcuni oggetti originali della casa – molto pochi – sono tornati alla residenza. I dipendenti di Kuquinebparlano delle sue 12 camere da letto, tutte con stanza da bagno individuale e segnalano senza vacillare la camera privata di Batista e Martha, l’unica col balcone e segnata col numero 8.
Purtroppo nessuno di loro può indicare come i primi inquilini si introducevano nell’immobile, anche se parlano del passaggio sotterraneo che collegava la residenza con la casa del cognatissimo Roberto Fernàndez Miranda a circa un kilometro di distanza, nello stesso perimetro della tenuta e di un altro tunnel, ancora più improbabile, che conduceva alla sede dello Stato Maggiore Congiunto alla Città Militare di Columbia. Gallerie che nessuno ha mai visto e che sembrano esistere solo nell’immaginazione.
Kuquine contava di una sala di musica e un’altra per le proiezioni cinematografiche. La sala principale era decorata in stile Luigi XV. Lo scriba, desiste della sua presunta guida e vaga da solo, senza meta, per la casa. Ricorda fotografie originali della residenza che vennero date a conoscere dalla stampa all’inizio della Rivoluzione e crede di indovinare lo spazio che occupò il cosiddetto Patio degli Eroi, dove in occasioni vennero innalzate le statue di José Martí, Simón Bolívar, Máximo Gómez, Abramo Lincoln e altri eroi americani, mentre sopra uno degli scaffali della biblioteca si distinguevano, fra gli altri, i busti di Gandhi, Churchill, Giovanna d’Arco, Dante, Rommel e Stalin.
Questo patio si trovava fra le due ali della biblioteca che si utilizzava inoltre come sala di conferenze e riunioni. Una ben nutrita collezione di libri dove non mancavano titoli dei poeti della rivista Orígenes e della generazione degli anni ’50, anche se è molto probabile che non furono mai letti dal loro proprietario e dopo la vittoria del gennaio furono destinati alla Biblioteca Nazionale. In una vetrina, sempre nella biblioteca, Batista conservava le decorazioni e insegne militari dei suoi giorni di capo dell’Esercito (1933-1939). Uno scaffale posto dietro la sua scrivania e sotto una foto che lo mostrava nellla sua epoca di oscuro sergente, conservava decine di esemplari del libro intitolato Un sergente chiamato Batista, di Edmond Chester e un’altro, Batista e Cuba, di Ulpiano Vega Cobielles.
In un posto d’onore si mostrava un esemplare di Vie Politique et Militaire de Napoleón, di A. V. Arnault, edizione del 1822, un astuccio col telescopio che usò l’imperatore nella sua prigionia di Sant Elena e due pistole che appartennero al vincitore di Austerlitz. Batista aveva – si dice – complesso di Napoleone. Nelle sue conversazioni intime si riferiva al 4 settembre come a un 18 Brumaio e alludeva al golpe del 10 marzo come ad un ritorno dall’Isola d’Elba
Un piccolo spazio della casa di Kuquine fu battezzato come la stanza del tesoro. Lì si conservavano oggetti d’argento e porcellana, orologi, posate, vasellame e vassoi, statuine e oggetti d’arte di ogni epoca e stile valutati oltre 300.000 pesos, equivalenti a dollari.
Mancava ancora il meglio. In una stanza di disimpegno sepolte da montagne di libri vecchi e polverosi, apparvero nel gennaio del 1959 cinque casse di legno. Contenevano 800 gioielli valutati due milioni di pesos; collier di diamanti, crocefissi d’argento, braccialetti d’oro puro, orologi delle migliori marche, alcuni di essi disegnati espressamente per Batista con incrostazioni di brillanti nelle lancette, spille, porta reliquie, ventagli d’avorio...L’indio fu il simbolo di Batista. Un’anello d’oro puro con l’effige di un indio, apparve fra i gioielli nascosti. Pietre preziose adornavano la testa della figura che inoltre mostrava i colori della bandiera del 4 di Settembre. Gioie che a dire di una domestica della casa, “la Signora teneva come di meno valore perché le più valorose le aveva portate a New York molto tempo prima”.
300 milioni
Quanto rubò quest’uomo che nel 1933, come sergente stenografo dell’Esercito riceveva un compenso di 19 pesos mensili e che poi, come generale a riposo riceveva una pensione di 400? Bastano per formare la sua fortuna i 12.500 pesos mensili che nel suo secondo mandato guadagnava come Presidente della Repubblica? Quanto riuscì a portare via dall’Isola nella sua fuga? Nel 1969 una rivista britannica lo classificò come l’uomo più ricco di Spagna, dove risiedeva allora.
Gli specialisti calcolano che nel 1958 la fortuna di Fulgencio Batista era di circa 300 milioni di pesos equivalenti a dollari, capitale che – dice Guillermo Jímenez – nel suo libro Los propietarios de Cuba – si ramificava in una settantina di aziende, alcune delle quali non apparivano a suo nome ma si mascheravano – puntualizza Jímenez – dietro una spessa fragnatela di prestanome, intermediari, complici, soci e avvocati. Era proprietario unico o azionista di nove zuccherifici, del Banco Hispano Cubano, di una cartiera, di imprese immobiliari e costruttrici, di industrie per il materiale da costruzione...Padrone di giornali e riviste del Canale 12 della TV, di diverse stazioni radio Anche del motel Oasis di Varadero, dell’hotel Colony dell’Isola dei Pini e del centro turistico Marina de Barlovento (attuale Marina Hemingway). Era il maggior azionista privato di Cubana de Aviación e proprietario di altre due imprese di trasporto aereo. Volle e quasi ci riuscì, monopolizzare il trasporto su strada e controllava in buona misura il trasporto urbano nella capitale...
Jímenez afferma, nel suo citato libro, che sopratutto nel suo secondo governo che costò migliaia di morti, Batista si convertì in uno degli uomini più ricchi di Cuba e nel maggior ladro, asserisce per conto suo lo storico Newton Briones Montoto. Soddisfaceva la sua ambizione sfrenata in detrimento all’attenzione che doveva prestare agli affari di Stato. Approfittava in modo stupefacente della politica di finanziamento di istituzioni bancarie statali, riceveva soldi dal gioco clandestino e “multava” gli imprenditori che svolgevano qualunque opera pubblica col 30 per cento dei soldi che ricevevano dallo Stato.
Con parte di questi soldi Kuquine si ingrandì, la tenuta di Batista convertita, adesso, in centro di ricreazione e riposo ad uso della popolazione.
Una tarde en Kuquine
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
11 de Octubre del 2014 22:53:33 CDT
Esta semana el escribidor estuvo en Kuquine, la finca de recreo del dictador Fulgencio Batista, convertida ahora en un centro de descanso y recreación. Tras el triunfo de la Revolución, el predio, con el nombre de Libertad, pasó al Ministerio de Educación, y su casa principal fue sede, sucesivamente, de un instituto tecnológico, una escuela primaria y una escuela especial y también, por no dejar de
ser, sirvió como albergue a familias que quedaron sin techo. Un buen día, la dirección provincial de Alojamiento decidió convertirla en un sitio de recreo y esparcimiento. Por un precio módico en moneda nacional puede el cubano disfrutar de sus instalaciones, incluida su fabulosa piscina.
Desconoce quien esto escribe cuándo Batista adquirió esta finca de 17 caballerías de extensión enclavada al borde de la Autopista del Mediodía y que queda encerrada entre la Carretera Central, la carretera de Cantarranas a Entronque del Guatao y la vía que corre de San Pedro a Punta Brava. Debe haberla comprado a fines de su primer período de gobierno (1940-1944), tal vez cuando llevaba ya relaciones
extramaritales con Martha Fernández Miranda y estaba a punto de divorciarse de Elisa Godínez, la mujer que lo había acompañado desde mediados de los años 20, cuando no era más que un modesto soldado, y con la que tenía tres hijos: Mirta de la Caridad, Fulgencio Rubén y Elisa Aleida.
El divorcio de Elisa, por división de gananciales, costó a Batista 11 millones de pesos, con lo que la señora se convirtió --aseguraba la crónica social-- en una de las mujeres, con fortuna propia, más acaudaladas de América Latina. Enseguida --28 de noviembre de 1945-- y en la propia capilla de la finca contrae el ex presidente matrimonio
con Martha, una muchacha humilde de Buenavista, en Marianao, a la que doblaba tranquilamente la edad. Las circunstancias en que se conocieron no están precisadas. Una versión sobre ese encuentro asegura que ella, que iba en bicicleta, fue atropellada por el automóvil presidencial que llevaba a Batista a bordo. Asumió el Presidente los gastos de hospitalización y visitó a la muchacha en la clínica. Simpatizaron y empezaron a verse en secreto. Pero esa
historia no es cierta. Si lo fuera, Roberto Fernández Miranda, hermano de Martha, la habría referido en sus memorias, en las que no ofrece explicación alguna sobre el inicio del romance. De cualquier manera, Martha, en la intimidad, llamaba Kuqui a Batista y de ahí Kuquine. Ella sería la dueña y señora de la finca y con su ambición desatada y desmedida ejercería un influjo nefasto en la ejecutoria pública de su marido, como si Batista, carente de cualquier freno ético, necesitara de influencias en su maldad.
En Kuquine se gestó el golpe de Estado del 10 de marzo de 1952. De allí salió Batista ese día para meterse en el campamento militar de Columbia y apoderarse así de la República. Fue en la biblioteca de Kuquine donde, el 17 de diciembre de 1958, el embajador norteamericano
comunicó formalmente al dictador que Washington le retiraba su apoyo y le pidió que saliera del país cuanto antes. Y en la propia biblioteca, ya en la noche del 31 de diciembre de 1958, tuvo lugar la última de las entrevistas entre el mandatario, que ya empezaba a dejar de serlo, y el mayor general Eulogio Cantillo con el fin de orquestar la maniobra con la que se pretendió frustrar el triunfo de la Revolución.
Los peores planes se fraguaron en el ambiente bucólico y tranquilo de Kuquine. Entre otros muchos bustos y estatuas, la imagen de bulto de una grulla con la pata de palo se alzaba en los jardines de la finca sobre un pedestal de honor. El inocente palmípedo, sacrificado --decía Batista-- al revanchismo de sus adversarios, fue el símbolo de los batistianos en la farsa electoral de 1954. El grito de “la grulla no morirá” expresaba claramente la intención del dictador de permanecer en el poder por tiempo indefinido o hasta que el pueblo lo expulsara.
Complejo de Napoleón
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
11 de Octubre del 2014 22:53:33 CDT
Esta semana el escribidor estuvo en Kuquine, la finca de recreo del dictador Fulgencio Batista, convertida ahora en un centro de descanso y recreación. Tras el triunfo de la Revolución, el predio, con el nombre de Libertad, pasó al Ministerio de Educación, y su casa principal fue sede, sucesivamente, de un instituto tecnológico, una escuela primaria y una escuela especial y también, por no dejar de
ser, sirvió como albergue a familias que quedaron sin techo. Un buen día, la dirección provincial de Alojamiento decidió convertirla en un sitio de recreo y esparcimiento. Por un precio módico en moneda nacional puede el cubano disfrutar de sus instalaciones, incluida su fabulosa piscina.
Desconoce quien esto escribe cuándo Batista adquirió esta finca de 17 caballerías de extensión enclavada al borde de la Autopista del Mediodía y que queda encerrada entre la Carretera Central, la carretera de Cantarranas a Entronque del Guatao y la vía que corre de San Pedro a Punta Brava. Debe haberla comprado a fines de su primer período de gobierno (1940-1944), tal vez cuando llevaba ya relaciones
extramaritales con Martha Fernández Miranda y estaba a punto de divorciarse de Elisa Godínez, la mujer que lo había acompañado desde mediados de los años 20, cuando no era más que un modesto soldado, y con la que tenía tres hijos: Mirta de la Caridad, Fulgencio Rubén y Elisa Aleida.
El divorcio de Elisa, por división de gananciales, costó a Batista 11 millones de pesos, con lo que la señora se convirtió --aseguraba la crónica social-- en una de las mujeres, con fortuna propia, más acaudaladas de América Latina. Enseguida --28 de noviembre de 1945-- y en la propia capilla de la finca contrae el ex presidente matrimonio
con Martha, una muchacha humilde de Buenavista, en Marianao, a la que doblaba tranquilamente la edad. Las circunstancias en que se conocieron no están precisadas. Una versión sobre ese encuentro asegura que ella, que iba en bicicleta, fue atropellada por el automóvil presidencial que llevaba a Batista a bordo. Asumió el Presidente los gastos de hospitalización y visitó a la muchacha en la clínica. Simpatizaron y empezaron a verse en secreto. Pero esa
historia no es cierta. Si lo fuera, Roberto Fernández Miranda, hermano de Martha, la habría referido en sus memorias, en las que no ofrece explicación alguna sobre el inicio del romance. De cualquier manera, Martha, en la intimidad, llamaba Kuqui a Batista y de ahí Kuquine. Ella sería la dueña y señora de la finca y con su ambición desatada y desmedida ejercería un influjo nefasto en la ejecutoria pública de su marido, como si Batista, carente de cualquier freno ético, necesitara de influencias en su maldad.
En Kuquine se gestó el golpe de Estado del 10 de marzo de 1952. De allí salió Batista ese día para meterse en el campamento militar de Columbia y apoderarse así de la República. Fue en la biblioteca de Kuquine donde, el 17 de diciembre de 1958, el embajador norteamericano
comunicó formalmente al dictador que Washington le retiraba su apoyo y le pidió que saliera del país cuanto antes. Y en la propia biblioteca, ya en la noche del 31 de diciembre de 1958, tuvo lugar la última de las entrevistas entre el mandatario, que ya empezaba a dejar de serlo, y el mayor general Eulogio Cantillo con el fin de orquestar la maniobra con la que se pretendió frustrar el triunfo de la Revolución.
Los peores planes se fraguaron en el ambiente bucólico y tranquilo de Kuquine. Entre otros muchos bustos y estatuas, la imagen de bulto de una grulla con la pata de palo se alzaba en los jardines de la finca sobre un pedestal de honor. El inocente palmípedo, sacrificado --decía Batista-- al revanchismo de sus adversarios, fue el símbolo de los batistianos en la farsa electoral de 1954. El grito de “la grulla no morirá” expresaba claramente la intención del dictador de permanecer en el poder por tiempo indefinido o hasta que el pueblo lo expulsara.
Complejo de Napoleón
El visitante traspasa el portón de entrada, con sus muros de cantería, camina unos pocos metros y se topa con un espejo de agua, ahora en proceso de recuperación y el pequeño edificio donde radicó la capilla.
Más alejada se halla la casa de vivienda con sus tejas rojas y portales y terrazas con techos de maderas preciosas y columnas de caoba labradas.
José Díaz, el mayordomo, declaró en enero de 1959 que esa mansión no llegó a inaugurarse y que tampoco se amuebló completa. Algunos objetos originales de la casa --muy pocos-- han vuelto a la residencia. Los empleados de Kuquine hablan de sus 12 dormitorios, todos con cuarto de
baño individual, y señalan sin vacilaciones la habitación privada de Batista y Martha --la única con balcón, y marcada hoy con el número 8.
Lamentablemente ninguno de ellos puede indicar al visitante cómo los primitivos inquilinos distribuían el inmueble, aunque hablan del pasadizo subterráneo que conectaba la mansión con la casa delcuñadísimo Roberto Fernández Miranda, a un kilómetro aproximado de distancia, en el propio perímetro de la finca, y de otro túnel, más improbable aun, que conducía a la sede del Estado Mayor Conjunto en la Ciudad Militar de Columbia. Galerías que, por supuesto, nadie ha visto y que no parecen existir sino en la imaginación.
Contaba Kuquine con una sala de música y otra para proyecciones cinematográficas. La sala de estar estaba amueblada y decorada al estilo Luis XV. Desiste el escribidor de su pretendido guía y vaga solo y sin rumbo por la casa. Recuerda fotografías originales de la mansión que dio a conocer la prensa a comienzos de la Revolución y cree adivinar el espacio que ocupó el llamado Patio de los Héroes, donde alguna vez se alzaron las estatuas de José Martí, Simón Bolívar, Máximo Gómez, Abraham Lincoln y otros próceres americanos, mientras que sobre una de las estanterías de la biblioteca sobresalían entre otros los bustos de Ghandi y Churchill, Juana de Arco y Dante, Rommel
y Stalin.
Ese patio se ubicaba entre las dos alas de la biblioteca que se utilizaba además como sala de conferencias y reuniones. Una bien nutrida colección de libros donde no faltaban títulos de los poetas de la revista Orígenes y de la generación de los años 50, aunque lo más probable es que nunca fueran leídos por su propietario, tras el triunfo de enero fue a parar a la Biblioteca Nacional. En una vitrina, también en la biblioteca, Batista conservaba las condecoraciones e insignias militares de sus días de jefe del Ejército (1933-1939). Un estante, situado tras su escritorio y bajo una foto que lo mostraba en su época de oscuro sargento, guardaba decenas de ejemplares del libro titulado Un sargento llamado Batista, de Edmond Chester, y de otro, Batista y Cuba, de Ulpiano Vega Cobielles.
En un lugar de honor se mostraba un ejemplar de ViePolitique et Militaire de Napoleón, de A. V. Arnault, edición de 1822, un estuche con el telescopio que usó el Emperador en su cautiverio de Santa Elena y dos pistolas que pertenecieron al vencedor de Austerlitz. Batista tenía --se dice-- complejo de Napoleón. En sus charlas íntimas se
refería al 4 de septiembre como un 18 Brumario y aludía al golpe del 10 de marzo como un regreso de la isla de Elba.
Un pequeño espacio de la casa de Kuquine fue bautizado como el cuarto de los tesoros. Allí se guardaban objetos de plata y porcelana, relojes, cuchillería, vajillas y bandejas, estatuillas y objetos dearte de todos los estilos y épocas valorados en más de 300 000 pesos equivalentes a dólares.
Faltaba aún lo mejor. En un cuarto de desahogo, sepultadas por una montaña de libros viejos y empolvados, aparecieron en enero de 1959 cinco cajas de madera. Contenían 800 alhajas valoradas en dos millones de pesos; gargantillas de diamantes, crucifijos de plata, brazaletes de oro puro, relojes de las mejores marcas, algunos de ellos diseñados
especialmente para Batista con incrustaciones de brillantes en las esferas, broches, relicarios, abanicos de marfil... El indio fue elsímbolo de Batista. Una sortija de oro puro, con la efigie de un indio, apareció entre las joyas escondidas. Piedras preciosas adornaban la cabeza de la figura que lucía además los colores de la bandera del 4 de Septiembre. Joyas que, al decir de una de las sirvientes de la casa, “la Señora tenía como de menos valor porque las más valiosas las llevó a Nueva York mucho antes”.
300 millones
¿Cuánto robó ese hombre que en 1933, como sargento taquígrafo del Ejército, devengaba un sueldo de 19 pesos mensuales y que luego, como general retirado recibía una pensión de 400? ¿Bastaban para cimentar su fortuna los 12 500 pesos mensuales que en su segundo mandato (1952-1958) ganaba como Presidente de la República? ¿Cuánto logró sacar de la Isla en su huida? En 1969, una revista británica lo conceptuó como el hombre más rico de España, donde residía entonces.
Especialistas calculan que en 1958 la fortuna de Fulgencio Batista rondaba los 300 millones de pesos equivalentes a dólares, capital que --dice Guillermo Jiménez en su libro Los propietarios de Cuba-- seramificaba por unas 70 empresas, algunas de las cuales no aparecían a su nombre pues se enmascaraban --puntualiza Jiménez-- tras una tupida telaraña de testaferros, intermediarios, cómplices, socios y abogados.
Era propietario único o accionista de nueve centrales azucareros, del Banco Hispano Cubano, de una papelera, de empresas inmobiliarias, de empresas constructoras, de industrias de materiales de la construcción... Dueño de periódicos y revistas, del Canal 12 de la TV, de varias emisoras de radio. También del motel Oasis, en Varadero, y
el hotel Colony, de Isla de Pinos, y del centro turístico de
Barlovento (actual Marina Hemingway). Era el mayor accionista privado de Cubana de Aviación y propietario de otras dos empresas de transporte aéreo. Quiso y casi logró monopolizar el transporte por carreteras y controlaba en buena medida el transporte urbano en la capital...
Afirma Jiménez en su libro aludido que, sobre todo, en su segundo gobierno, que costó miles de muertos, Batista se convirtió en uno de los hombres más ricos de Cuba, y en el mayor ladrón, asegura, por su cuenta, el historiador Newton Briones Montoto. Satisfacía su desenfrenada ambición en detrimento de la atención que debía prestar a los asuntos de Estado. Se aprovechaba de manera asombrosa de la política de financiamiento de instituciones bancarias estatales, recibía dinero del juego prohibido y “multaba” a los empresarios queacometerían alguna obra pública con el 30 por ciento del dinero que recibían del Estado.
Con parte de ese dinero se engrandeció Kuquine, la finca de Batista convertida ahora en un centro de recreación y descanso para disfrute de la población.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
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http://cbianchiross.blogia.com
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