Pubblicato su Juventude Rebelde del 4/1/15
Erano diversi i politici del
Partido Revolucionario Cubano (Auténtico) che aspiravano alla propria elezione
per la Presidenza della Repubblica in viste delle elezioni generali del 1948.
Assieme al dottor Carlos
Prío Socarrás, che alla fine fu eletto, si credevano probabili eletti il dottor
Luis Pérez Espinó e l’ingegnere José San Martín. Il primo, autore di libri per
le scuole elementari, era stato ministro dell’Educazione del presidente Grau e
dette impulso, da questo incarico a una campagna positiva a favore dell’infanzia
cubana che sintetizzò con la frase, senza dubbio felice, di “Tutto per il
Bambino”.
Il secondo fu un buon inistro delle Opere Pubbliche nel gabinetto
di suo cugino. Fu durante la sua gestione che si iniziò la costruzione della
Via Blanca e si tracciò la calle 26 dalla Calzada di Boyeros fino alla 23; si
inaugurarono il Giardino Zoologico e il Giardino Botanico, si edificò il Barrio
Obrero e fra le molte altre cose si costruì l’edificio dell’Instituto de
Segunda Enseñanza de la Vibora. Senza dubbio, i suoi avversari, per sminuirlo
lo soprannominarono “Pepe Plazoleta”, per le tante che costruì e fra queste,
quella di Agua Dulce.
Aspirava, inoltre, alla
nomina presidenziale per il Partido Auténtico, Miguél Suárez Fernández, allora
presidente del Senato. Lo chiamavano lo zar della provincia di Las Villas e si
calcolava che contasse di 5000 bottiglie, questo era, in posti statali,
municipali o dove si era retribuiti senza lavorare, denaro che ingrossava le sue entrate mensili
con le quali beneficiava amici e compagni e corrompeva i suoi rivali.
Un altro personaggio
appariva nella lista: José Miguel Alemán, soprannominato “el Bicho”
(L’Animaletto, n.d.t.). Occupò il Ministero dell’Educazione e a partire da lì
ammassò una fortuna che non si poté mai calcolare esattamente. Secondo alcuni
200 milioni di dollari, secondo altri 600. Denaro che rubò al tesoro della
nazione senza che apparisse un solo foglietto che potesse incriminarlo. Tutto
quello che rubà, lo portò via in contanti e in contanti effetuò tutte le sue
transazioni. Portava sempre addosso 30 o 40 mila pesos. Soleva dire: “per me
dare un’elemosina di mille pesos è come, prima, dare dieci centesimi”. Ed
effettivamente dava i mille pesos.
I circoli di potere dentro
all’Autenticismo, sottovalutavano Pérez Espinó: non lo prendevano in
considerazione. Suárez Fernández, nonostante la sua influenza, non godeva il
favore del Presidente e nemmeno della Prima Dama, Paulina Alsina, cognata di
Grau che era un fattore di peso nelle decisioni del Governo. Paulina non
beneficiava nemmeno l’ingegnere San Martín che per il vero fu il creatore del
quartiere di Altahabana.
Alemán, in cambio, aveva
l’appoggio del Presidente e contava con le simpatie di Paulina. Così ci furono
momenti in cui parve che Alemán sarebbe stato il candidato, anche se le forze
“autentiche” fecero alla fine la miglior scelta e si decisero per Prío
Socarrás, un uomo preparato alla lotta politica – senatore, ministro, delegato
alla Convenzione Costituente del 1940 – dai giorni della rivoluzione del ’30
della qiale fu partecipante attivo.
Per quanto fosse il suo
valore politico e influenza, le aspirazioni di un politico rimanevano tronche
se non lo nominava l’assemblea municipale del suo partito. Vale a dire doveva
essere proposto ed eletto come candidato nell’assemblea del municipio dove
aveva effettuato la sua affiliazione politica.
Altrimento non c’era denaro
o spinta che potesse candidarlo.
In questo senso, Alemán
contava con l’appoggio di Nicolás Castellanos, sindaco dell’Avana dal 1946 quando
gli toccò sostituire, causa il suo suicidio, Manuel Fernández Supervielle.
Castellanos, inoltre, era il
presidente dell’Assemblea del Partido Auténtico
in termini municipali e poteva controllare, pensava Alemán, l’assemblea
a suo favore.
Per questo invitò
Castellanos alla sua residenza all’ingresso del reparto Kohly. Voleva ottenere
in privato il suo appoggio. Affrontò il tema in modo diretto, senza giri di
parole.
- Sai che sono un uomo di
poche parole – disse e in realltà non lo era, il panico di scena gli impediva
di articolare più di quattro parole in pubblico. Era un timore strano, quasi
patologico. – Ti ho mandato a cercare perché, come sai, voglio essere
presidente e per questo ho bisogno che controlli e manovri l’assemble in mio
favore. Naturalmente avrai la tua ricompensa. Dimmi tu il numero e io gli metto
sei zeri dietro.
A questo punto è impossibile
precisare se Nicolás Castellános si aspettava una proposta come questa.
Aspettandola o no, non tardò a rispondere.
- Io non posso farlo –
rispose -. Non contare su di me per una cosa simile.
-Se è così, non abbiamo più
niente da dirci -. Disse Alemán dando per concluso l’incontro.
Sono
un uomo povero
Nel 1960, già a Funchal,
l’ex dittatore Fulgencio Batista decise di disfarsi della sua guardia del corpo
cubana. Uno di questi uomini il capitano Joaquín Sadulé, capo della scorta, lo
accompagnava dal 1934, quando assunse il comando della residenza del capo
dell’Esercito – luogo di residenza del Capo di Stato – nella Ciudad Militar de
Columbia. Altri, come lo stesso Sadulé, furono al suo fianco il 10 marzo del
1952 e tutti lo accompagnarono alla sua uscita da Cuba all’albe del 1° gennaio
del 1959.
Giunta l’ora del commiato,
Batista li riunì e disse:
- Mi è completamente
impossibile continuare ad avervi al mio fianco.
Credetemi, mi dispiace, ma
la mia situazione economica si è deteriorata nel trascorso dell’ultimo anno.
Sono un uomo povero...adsso vivo dei piccoli risparmi di Martha, mia moglie.
Lo scriba conversa, in un
ristorante di Miami, col l’ex capitano Alfredo J. Sadulé, figlio di Joaquin che
fu guardia del corpo di Batista, capo della Sicurezza della Prima Dama e
aiyatnte del Presidente. A 82 anni è l’unico collaboratore vivo dell’ex
presidente. Dice:
- Il problema era molto
semplice. Batista pagava 250 dollari mensili alla sua scorta cubana fino a che
trovò una serie di agenti portoghesi che gli facevano il lavoro per 60.
Niente, come diceva molti
anni fa in questa stessa pagina, il giornalista Mario Kuchilán, doleva al
Generale come il portafoglio.
Nel
cortile della cubanìa
Nella sua residenza della Quinta
Avenida, angolo 14 a Miramar, c’è uno spazio che il proprietario dell’immobile,
Ramón Grau San Martín, battezzò come “il Cortile della Cubanìa”. L’uomo che
occupò il primo Magistero della nazione
in due occasioni e che nonostante l’età e i problemi di salute si impegnava a
volerlo occupare di nuovo, si riuniva periodicamente con antichi collaboratori,
giornalisti e simpatizzanti.
Un giorno, attrverso
l’avvocato Ricardo Linares, una specie di incaricato delle relazioni pubbliche
dell’anziano ex presidente, un gruppo di giovani chiede udienza a Grau col
pretesto di essere suoi ammiratori e che vogliono sentire i suoi consigli e
orientamenti. Grau da il consenso all’incontro, ma prima dell’orario della
visita si rende conto che quei giovani sarebbero andati per “la picada” (la puntura,
n.d.t.): volevano succhiargli un po’ di pesos. Non trova il modo di fare marcia
indietro, non ha modo di comunicarsi con loro e nemmeno può fingere un
malessere improvviso, altre persone sarebbero andate più tardi al “Cortile
della Cubanìa”. I giovani arrivano e Grau non gli da spazio. Chiama Quevedo,
suo segretario particolare e gli chiede di portargli l’apparecchio insetticida.
Quando Quevedo lo fa, prende
l’apparecchio nelle sue mani e lo aziona in direzione dei postulanti perché,
disse, “qua ci sono zanzare che vogliono
farci le loro punture”.
I giovani, con faccia da
innocente, dissero quante banalità gli venissero in mente r nessuno osò parlare
di denaro che era, in realtà, lo scopo della loro visita.
Questo
non ha proteine
Blas Roca, segretario
generale del Partido Socialista Popular (Comunista) e Rappresentante alla
Camera, visita al palazzo il presidente Grau.
- Dottore, - gli dice –
quello del ministro Alemán è intollerabile.
- Cos’ha fatto adesso José
Manuel? – chiede il presidente.
- Che nella sua smania di
rubare – risponde Blas – adesso ruba i soldi delle colazioni scolastiche.
- Che prove ha, lei, per
fare simili accuse?
- Ha sospeso la colazione in
tutte le nostre scuole pubbliche...vuole una proba maggiore?
- Lasci che le spieghi. José
Manuel ha sospeso le colazioni perché sta preparando un magnifico piano
dietetico per l’infanzia cubana.
Blas avvertì una scintilla
maliziosa negli occhi di Grau e comprese che, come faceva sempre, se ne sarebbe
andato per la tangente. Lo assalì:
- Guardi Dottore, mentre
arriva il piano potrebbe almeno distribuire pana con guava-
- Amico, il fatto è che il
pane con guava non ha proteine...Glie lo assicuro io che sono medico – affermò
Grau e dette per conclusa l’intervista.
Quest’uomo
fu mio amico
È fallita la cosiddetta
“rivoluzione del lecca, lecca” – febbraio 1917 – e il generale José Miguel
Gómez, capoccia dei liberali e capo della rivolta, cade prigioniero. Lo portano
all’Avana in treno e la banda che circonda il presidente Menocal vuole
accanirsi col prigioniero. Per questo propongono al presidente di farlo
camminare, ammanettato, lungo il Paseo del Prado da Neptuno fino alla Punta e
poi obbligarlo a tornare sui suoi passi per montarlo, in Neptuno, nel carro
gabbia che lo porterebbe alla prigione del Príncipe. Felici della loro
iniziativa corsero a commentarla a Menocal. Il Presidente li ascoltò senza
guardarli e pulendo gli occhiali con un panno commentò:
- Voi dimenticate che
quest’uomo che viene prigioniero e che oggi è mio nemico, fu mio amico. Dimenticate
che fu mio compagno nella guerra, un generale dell’Indipendenza che si è
coperto di gloria in combattimento.
Voi dimenticate che
quest’uomo che fu presidente di questo Paese, ha la sua casa nel Paseo del
Prado e io non posso permettere che sua moglie Doña América, una grande cubana,
contempli uno spettacolo come questo.
Tutto fu detto, la banda
lasciò, aulicamente, lo studio presidenziale con la coda fra le gambe.
Los ahorritos
del General
3 de Enero del
2015 21:19:23 CDT
Varios eran los
políticos del Partido Revolucionario Cubano
(Auténtico) que
ansiaban su nominación a la Presidencia de la República con vistas a las
elecciones generales de 1948.
Junto al doctor
Carlos Prío Socarrás, que a la postre fue el elegido, se creían presidenciales
el doctor Luis Pérez Espinó y el ingeniero José San Martín. El primero, autor
de libros para la enseñanza primaria, había sido ministro de Educación del
presidente Grau e impulsó desde ese cargo una positiva campaña a favor de la
niñez cubana que sintetizó en la frase, sin duda feliz, de Todo por el Niño.
El segundo fue
un buen ministro de Obras Públicas en el gabinete de su primo. Fue durante su
gestión que se inició la construcción de la Vía Blanca y se trazó la avenida 26
desde la Calzada de Boyeros hasta 23; se inauguraron el Parque Zoológico y el
Jardín Botánico, se edificó el Barrio Obrero y entre otras muchas otras obras
se construyó el edificio del Instituto de Segunda Enseñanza de la Víbora. Sin
embargo, sus adversarios, para ningunearlo, lo apodaron “Pepe Plazoleta”, por
las muchas que acometió, entre esas la de Agua Dulce.
Aspiraban
asimismo a la nominación presidencial por el Partido Auténtico, Miguel Suárez
Fernández, entonces presidente del Senado. Le llamaban el zar de la provincia
de Las Villas y se calculaba que disfrutaba de unas 5 000 botellas, esto es,
puestos estatales o municipales en los que se cobraba sin trabajar; dinero que
engrosaba sus entradas mensuales y con el que beneficiaba a correligionarios y
amigos y sobornaba a sus contrarios.
Otro personaje
aparecía en la lista. José Manuel Alemán, a quien apodaban “el Bicho”. Ocupó la
cartera de Educación y a partir de ahí amasó una fortuna que nunca se pudo
calcular del todo: 200 millones de dólares, según unos; 600, según otros.
Dinero que robó al Tesoro de la nación sin que aparezca un solo papel que lo
incrimine. Todo lo que se robó, se lo llevó en efectivo y en efectivo hizo
todas sus transacciones. Llevaba siempre encima entre 30 y 40 mil pesos. Solía
decir: Para mí,
dar ahora una limosna de mil pesos es como antes dar diez centavos. Y daba los
mil pesos, realmente.
Los círculos de
poder dentro del Autenticismo pasaban por alto a Pérez
Espinó: no lo
tomaban en cuenta. Suárez Fernández, pese a su influencia, no gozaba del favor
del Presidente ni de la Primera Dama, Paulina Alsina, cuñada de Grau, que era
un factor de peso en las decisiones del Gobierno. Tampoco beneficiaba Paulina
al ingeniero San Martín, que sería, por cierto, el creador del reparto
Altahabana.
Alemán, en
cambio, tenía el apoyo del Presidente y contaba con las simpatías de Paulina.
Así, hubo
momentos en que pareció que Alemán resultaría el candidato, aunque las fuerzas
auténticas hicieron al final la elección mejor y se decidieron por Prío
Socarrás, un hombre curtido en la lucha política --senador, ministro, delegado
a la Convención Constituyente de 1940-- desde los días de la Revolución del 30
de la que fue participante activo.
Por mucho que
fuera su valimiento e influencia, las aspiraciones de un político quedaban
truncas si no lo nominaba la asamblea municipal de su partido. Es decir, debía
ser propuesto y elegido como candidato en la asamblea del municipio donde se
había hecho su afiliación política.
Si no, no había
dinero ni palanca que consiguieran nominarlo.
En ese sentido
Alemán requería del apoyo de Nicolás Castellanos, alcalde de La Habana desde
1946 cuando le tocó sustituir, tras su suicidio, a Manuel Fernández
Supervielle. Castellanos era además el presidente de la Asamblea del Partido
Auténtico en ese término municipal, y podía controlar, pensaba Alemán, la
asamblea a su favor.
Por eso invitó
a Castellanos a su residencia a la entrada del reparto Kohly. Quería, en
privado, recabar su concurso. Abordó el asunto de manera directa, sin rodeos.
--Sabes que soy
hombre de pocas palabras --dijo y en verdad lo era; más aún, el miedo escénico
le impedía articular más de cuatro palabras en público. Era un temor raro,
patológico casi.
--Te mandé
buscar porque, como sabes, quiero ser presidente, y para eso necesito que
controles y manipules la asamblea a mi favor. Tendrás, por supuesto, tu
recompensa. Dime tú el número inicial que yo le pongo seis ceros detrás.
Es imposible
precisar a estas alturas si Nicolás Castellanos esperaba una propuesta como
esa. Esperándola o no, no demoró en contestar.
--Yo no puedo
hacer eso --respondió--. No cuentes conmigo para semejante cosa.
--Si es así,
nada más tenemos que conversar --dijo Alemán y dio por terminada la entrevista.
Soy un hombre pobre
En 1960, ya en
Funchal, el ex dictador Fulgencio Batista determinó deshacerse de su escolta
cubana. Uno de esos hombres, el capitán Joaquín Sadulé, jefe de la escolta, lo
acompañaba desde 1934, cuando asumió la jefatura de la custodia de la
residencia del jefe del Ejército --luego residencia del jefe de Estado-- en la
Ciudad Militar de Columbia. Otros, como el mismo Sadulé, estuvieron a su lado
el 10 de marzo de 1952, y todos lo acompañaron en su salida de Cuba en la
madrugada del 1ro. de enero de 1959.
Tocaba la hora
de la despedida. Batista los reunió y les dijo:
--Me resulta
totalmente imposible continuar manteniéndolos a mi lado.
Créanme que lo
siento, pero mi situación económica se ha deteriorado en el transcurso del
último año. Soy un hombre pobre... vivo ahora de los ahorritos de Martha, mi
esposa.
En un
restaurante de Miami conversa el escribidor con el ex capitán Alfredo J.
Sadulé, hijo de Joaquín, que fue escolta de Batista, jefe de la seguridad de la
Primera Dama y ayudante presidencial. Con 82 años de edad, es el único ayudante
vivo del ex mandatario. Comenta:
--El problema
era bien sencillo. Batista pagaba 250 dólares mensuales a sus escoltas cubanos
cuando consiguió a una serie de ex agentes de la policía portuguesa que le
hacían el trabajo por 60.
Nada, que como
decía hace muchos años, en esta misma página, el periodista Mario Kuchilán, al
General lo que más le dolía era el bolsillo.
En el patio de
la cubanidad
En su
residencia de Quinta Avenida esquina a 14, en Miramar, hay un espacio que el
propietario del inmueble, Ramón Grau San Martín, bautizó como El Patio de la
Cubanidad. El hombre que ocupó la primera magistratura de la nación en dos
ocasiones y que pese a la edad y los quebrantos de salud se empeñaba en volver
a ocuparla, se reunía periódicamente allí con antiguos colaboradores,
periodistas y simpatizantes.
Un día, a
través del abogado Ricardo Linares, una especie de encargado de relaciones
públicas del anciano ex presidente, pide audiencia a Grau un grupo de jóvenes
con el pretexto de que son sus admiradores y quieren oír sus consejos y
orientaciones. Grau accede al encuentro, pero antes de la hora de la visita se
entera de que aquellos jóvenes iban por la “picada”: querían sacarle algunos
pesos. No encuentra forma de dar marcha atrás, pues no tiene forma de
comunicarse con ellos ni tampoco puede fingir una indisposición repentina, pues
otras personas acudirían esa tarde al Patio de la Cubanidad.
Llegan los
jóvenes y Grau no les da chance. Llama a Quevedo, su secretario particular, y
le pide que traiga el aparato de insecticida.
Cuando Quevedo
lo hace, toma el aparato en sus manos y lo acciona en dirección a los
pedigüeños porque, aseguró, hay aquí mosquitos que quieren mortificarnos con
sus picadas.
Los jóvenes,
con caras de Yo-no-fui, dijeron cuantas banalidades vinieron a sus mentes y
ninguno se atrevió a hablar de dinero, que era, en realidad, el móvil de su
visita.
Eso no tiene proteínas
Blas Roca,
secretario general de Partido Socialista Popular
(Comunista) y
Representante a la Cámara, visita en Palacio al presidente Grau.
--Doctor --le
dice-- lo del ministro Alemán es ya intolerable.
--¿Qué hizo
ahora José Manuel? --inquiere el mandatario.
--Que en su
afán de robar--responde Blas-- se roba ahora los dineros del desayuno escolar.
--¿Qué pruebas
tiene usted para hacer una acusación como esa?
--Suspendió el
desayuno escolar en todas nuestras escuelas públicas...
¿Quiere usted
prueba mayor?
--Déjeme
explicarle. José Manuel suspendió el desayuno escolar porque está preparando un
magnífico plan dietético para la niñez cubana.
Blas advirtió
el chispazo malicioso en los ojos de Grau y comprendió que, como solía hacer,
se le iría por la tangente. Lo atajó:
--Mire, Doctor,
mientras el plan dietético llega, por lo menos podía repartir pan con guayaba.
--Es que,
amigo, el pan con guayaba no tiene proteínas... Se lo aseguro yo, que soy
médico --afirmó Grau y dio por concluida
la entrevista.
Ese hombre fue mi amigo
Ha fracasado la
llamada Revolución de la Chambelona --febrero de 1917-- y el general José
Miguel Gómez, caudillo de los liberales y jefe de la revuelta, cae prisionero.
Lo traen a La Habana, en tren, y la camarilla que rodea al presidente Menocal
quiere ensañarse con el caído. Por eso proponen al mandatario hacerlo caminar
esposado a lo largo del Paseo del Prado desde Neptuno hasta La Punta y
obligarlo luego a volver sobre sus pasos para, en Neptuno, montarlo en el
carro-jaula que lo conduciría a la prisión del Príncipe. Felices con su
iniciativa, corrieron a comentarla con Menocal. El Presidente los escuchó sin
mirarlos y limpiando las gafas con un pequeño lienzo,
comentó:
--Ustedes
olvidan que ese hombre que viene preso y que hoy es mi enemigo, fue mi amigo.
Olvidan que fue mi compañero en la guerra, un General de la Independencia que
se cubrió de gloria en el combate.
Ustedes olvidan
que ese hombre, que fue presidente de este país, tiene su casa en el Paseo del
Prado y yo no puedo permitir que su esposa Doña América, una gran cubana,
contemple un espectáculo como ese.
Todo estaba
dicho. La camarilla áulica abandonó el despacho presidencial con el rabo entre
las piernas.
Ciro Bianchi Ross