L’amante di Lansky ed altre risposte.
Diversi lettori hanno scritto al giornale o hanno abbordato questo scriba per la strada con l’interesse di sapere dove fosse ubicato esattamente il cabaret Sans Soucì, lo scomparso centro notturno a cui ho dedicato le pagine corrispondenti alla domeniche 11 e 18 agosto. Altri, certamente non pochi, hanno chiesto che cercassi di precisare quando questo locale chiuse definitivamente le sue porte; ovvero se la sua ultima funzione fu il 31 dicembre del 1958 o se i suoi spettacoli, come si evince da annunci apparsi sulla stampa, si protrassero durante il gennaio e febbraio del 1959. Non mancano coloro che, in relazione alla pagina intitolata “Baroni della mafia” (5 maggio, 2013), chiedono che racconti cosa ho potuto verificare sull’amante cubana di Meyer Lansky e sono diversi coloro che insistono perché completi l’informazione su Amletto Battisti e Lora, proprietario dell’hotel Sevilla e Amedeo Barletta, proprietario del giornale El Mundo e rappresentante, a Cuba, della General Motors, che presentai in “Altri uomini della mafia” apparso la settimana scorsa, nel quale non fui più esplicito per mancanza di spazio.
Cercherò, nel limite del possibile, di accontentare tutti.
Come me lo hanno raccontato.
L’elenco del telefono dell’Avana, corrispondente al 1958, riporta l’indirizzo del cabaret Sans Soucì. Dice: Strada di Arroyo Arenas, kilometro 15, Si potrebbe anche dire: Avenida 51 tra 220 e 222. Alla sinistra del viale si proviene dall’Avana. Nonostante le trasformazioni, il luogo richiama ancora l’attenzione per la sua facciata di pietra, coronata da tegole spagnole, dove si leggeva il nome del locale. Una volta chiuso il cabaret si è dato luogo a differenti usi. All’angolo della 220 funziona un’agenzia di vendita auto.
Il cabaret ha chiuso in modo definitivo l’ultimo giorno del 1958? E’ almeno quello che mi dice adesso regino Manuel Lòpez Rodrìguez che, con 11 anni d’età, cominciò a lavorare nel Sans Soucì come tuttofare – cameriere, fattorino, inserviente -. Suo padre era il capo elettricista dell’azienda, un posto chiave in una installazione di questo tipo, e la considerazione che si aveva per il genitore aprì al ragazzo le porte del posto.
Correva, allora, l’anno 1956 e Regino Manuel, soprannominato Manolo, compì non pochi compiti colà per potersi conservare il lavoro che, per la sua età, non poteva disimpegnare ufficialmente. Alla caduta della dittatura aveva 13 anni.
Racconta che il 1° gennaio, dopo le tre del mattino, si seppe nel Sans Soucì della fuga di Batista. Dice che al conoscere la notizia, alte cariche del Governo che erano li in attesa dell’anno nuovo, si misero a correre come volgari passeggeri a cui scappava il treno. A quell’ora Manolo si diresse a casa per riposare assieme a suo padre. Tornarono al cabaret verso mezzogiorno, informati di quello che successe prima dell’alba o alle prime ore del mattino. Già di ritorno al locale videro più di 20 macchinette mangiasoldi, distrutte, nell’area del parcheggio.
Chiarisce che il casinò e il locale non erano stati saccheggiati, però siccome chi era intervenuto poteva tornare, suo padre e sua madre che lavorava a sua volta nel Sans Soucì, oltre a sei o sette dipendenti che si erano uniti un po’ per rischio, decisero di rimanere sul posto per difenderlo se fosse stato necessario. Il ragazzo volle aggiungersi al gruppo. Ricorda che suo padre estrasse una pistola calibro 45 e una rivoltella calibro 38 che teneva nascoste, per farne uso in caso di bisogno.
Il giorno 2, i custodi improvvisati, videro un’auto che attraversava la porta del cabaret e avanzava per un vialetto interno fino a fermarsi davanti al bar caffetteria “El Popular”. Serviva bevande e spuntini e doveva il suo nome al aftto che dava adito a un casinò destinato essenzialmente ai taxisti e autisti che potevano guadagnare, ma sopratutto perdere, un po’ di soldi mentre aspettavano i loro passeggeri o “padroni”. Un casinò destinato, ad ogni modo, a gente di poche risorse economiche. Una gran parete di cristallo separava il bar dal casinò.
Cinque o sei uomini armati di fucile scesero dall’automobile entrando nel locale de “El Popular”. Nel vedere la manovra, gli improvvisati guardiani, si diressero a loro volta verso il luogo. Arrivando li, “el Gallego”, uno dei dipendenti sevì nervosamente l’ordinazione di gassose che fecero i nuovi arrivati e preparava i panini che avevano richiesto.
Ci fu un confronto fra i “custodi” e le persone dell’auto che erano intenti a distruggere, a fucilate, la vetrata. Il padre di manolo con la pistola in vista sotto la camicia all’altezza della cintura, li richiamò all’ordine ed ebbe risultato quando uno degli occupanti del veicolo, un falegname che lo conosceva per essere un vicino di casa, disse al suo gruppo che era meglio andarsene e questo fecero, dopo aver mangiato in pace i loro panini.
Santo Trafficante, racconta Manolo; non tornò più al Sans Soucì. Nemmeno Raúl González Jerez, proprietario del club 21 che Trafficante portò al cabaret come una specie di gerente. Nemmeno Tommy, il contabile, un soggetto che Manolo non seppe mai se fosse cubano o nordamericano, tornò. Abbandonato dai suoi dirigenti il Sans Soucì rimase allo sbando. I suoi lavoratori volevano mantenerlo a galla. Crearono una commissione che si intervistò con il capitano Otero, capo militare de “La Lisa”. Erano disposti a lavorare senza stipendio finché il Governo si facesse carico del cabaret. Manolo dice che tutto sembrava filare dritto, ma i musicisti si rifiutarono di lavorare senza stipendio.
Una donna “fatta a mano”.
È molto scarsa l’informazione di cui dispone lo scriba rispetto a Carmen, l’amante cubana di Meyer Lansky. Qualcuno che la conobbe, disse a un giornalista nordamericano che era la donna più bella che avesse visto in vita sua. Aveva, allora, 20 anni, buone maniere e voce dolce. Andatura lieve. La pelle olivastra e i capelli neri e crespi le scendevano sulla schiena fino alla vita. Il suo era un corpo ben proporzionato, con seni rotondi e dita lunghe. Una peluria sottile, appena percettibile, le copriva totalmente le cosce e le braccia.
Lansky divideva con lei un piano alto nel Paseo del Prado, dove viveva anche la madre di Carmen. “Un pasaje de Almendra”, il romanzo di Mayra Montero, si svolge in quell’appartamento. Lansky e Carmen si conobbero ne “El Encanto” il grande magazzino di Galiano e San Rafael. Quella relazione fu qualcosa di insolito per il capoccia mafioso, che non si permetteva certe libertà. Lansky mantenne Carmen all’oscuro e con l’ostracismo più profondo, non solo perché temeva che sua moglie Terry potesse venire a sapere di quell’amore clandestino, ma anche perchè aveva sempre criticato i suoi soci per questi amori segreti, che classificava come una debolezza.
Lansky uscì da Cuba nel gennaio del 1959, dopo l’ingresso all’Avana del Comandante en Jefe Fidel Castro. Tornò nel marzo dello stesso anno per portare via Carmen dall’Isola. Non trovò la ragazza “fatta a mano”, si era volatilizzata, sparita. Mai nessuno seppe più niente di lei.
Giunto alla vecchiaia, Lansky, parlava dei 17 milioni di dollari in contanti che “per un pelo” non potè portar via dall’Avana nel gennaio del ’59 e che non poté recuperare mai più.
Li aveva nascosti nell’appartamento di Carmen nel Paseo del Prado? Quei 17 milioni sono spariti con lei?
Soldi sottobanco.
Santo Trafficante era socio di Amletto Battisti nel contrabbando di narcotici. Lansky simpatizzava col proprietario dell’hotel Sevilla. Utilizzava la Banca di Credito e Investimenti, di Battisti per lavare i soldi non dichiarati dei casinò. Amadeo Barletta, proprietario anche di Tele Mundo - il canale 2 della televisione nazionale - era anche padrone del Banco Atlantico. Banche che ricevevano, clandestinamente, i soldi dei casinò e mantenevano legami occulti con un insieme di compagnie fantasma.
Dice uno storico: “Il tipo di struttura finanziaria che Lansky, Trafficante e altri malavitosi nordamericani avevano bisogno per la loro espansione a Cuba...le banche che erano proprietà o erano controllate da Battisti, Barletta e, in seguito, una creata dallo stesso presidente Batista rivestivano la maggior importanza per la mafia dell’Avana. Si era già cominciato a riscuotere molti soldi dagli alberghi, dai casinò, cabaret e altri affari relazionati al turismo, ma se tutto andava secondo i piani, quello sarebbe stato solo l’inizio”.
Molte delle attività di Barletta erano sotto il controllo di una misteriosa Santo Domingo Motors Company, i cui proprietari erano sconosciuti anche al Banco Nacional de Cuba, afferma Guillermo Jíménez nel suo libro “Los proprietarios de Cuba. 1958” oltre il 50% del Banco Atlantico era controllato da questa compagnia e il direttore generale, il banchiere italiano Leonardo Masoni, venne espressamente da Milano per occuparsene in rappresentanza di 1.150 azionisti italiani sconosciuti. Barletta rappresentava la Santo Domingo Motors Company, ma non la controllava. La controllavano capitali italiani mascherati.
Battisti era - dice Guillermo Jiménez nel suo citato libro - il più potente dei banchieri dei giochi d’azzardo e degli strozzini o prestasoldi. Tramite la sua banca faceva grossi prestiti ai politici. Controllava una lotteria privata. Dal suo arrivo a Cuba nel 1936, mantenne stretti vincoli con l’allora colonnello Fulgencio Batista, e quasi subito dopo il suo arrivo, divenne presidente del Jockey Club della Compagnia Cubano-Uruguaya per lo Sviluppo del Turismo che operava nell’ippodromo oriental park, di Marianao, dove aveva forti interessi nel casinò.
Trafficante diceva che a Cuba i veri mafiosi vestivano le uniformi militari e usavano portafogli da ministro. La mafia utilizzava i politici cubani, ma li disprezzava. Lansky non si stancava di dimostrare che non era in debito con loro; solo con Batista.
Una sera Lansky aveva un appuntamento con Battisti al Sevilla. Giunse all’hotel, scese dalla sua auto e già nel vestibolo si imbatté con Santiago Rey, ministro degli interni della dittatura. Rei stese la mano per salutare Lansky, ma questi lo guardò con sdegno e proseguì. Il ministro rimase con la mano sospesa, mentre Lansky proseguiva il suo cammino verso l’ufficio di Battisti.
La amante de Lansky y otras respuestas
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
1 de Septiembre del 2013 13:53:21 CDT
Varios lectores se dirigieron al periódico o abordaron a este
escribidor en la calle con el interés de conocer dónde estaba situado
exactamente el cabaré Sans Souci, el desaparecido centro nocturno al
que dediqué las páginas correspondientes a los domingos 11 y 18 de
agosto. Otros, no pocos por cierto, solicitaron que tratara de
precisar cuándo ese establecimiento cerró sus puertas de manera
definitiva; esto es, si su última función fue la del 31 de diciembre
de 1958 o si sus espectáculos, como se infiere por anuncios aparecidos
en la prensa, se prolongaron durante enero y febrero de 1959. No
faltan los que con relación a la página titulada Barones de la mafia
(5 de mayo, 2013) piden que cuente lo que haya podido averiguar sobre
la amante cubana de Meyer Lansky, y son varios los que insisten en que
complete la información sobre Amletto Battisti y Lora, propietario del
hotel Sevilla, y Amadeo Barletta, propietario del periódico El Mundo y
representante en Cuba de la General Motor, que ofrecí en Otros hombres
de la mafia, aparecida la pasada semana, en la que no fui más
explícito por falta de espacio.
Trataré hasta donde sea posible de complacerlos a todos.
Como me lo contaron.
El Directorio Telefónico de La Habana correspondiente a 1958 consigna
la dirección del cabaret Sans Souci. Dice: Carretera de Arroyo Arenas,
kilómetro 15. También podría decirse: Avenida 51 entre 220 y 222. A la
izquierda de la vía si se avanza desde La Habana. Pese a las
transformaciones, el lugar llama todavía la atención por su portada de
piedra, coronada por tejas españolas, donde se leía el nombre del
establecimiento. Una vez cerrado el cabaré, se ha dado al lugar
diferentes usos. En la esquina de 220 funciona un expendio de
automóviles.
¿Cerró el cabaré de manera definitiva el último día de 1958? Es al
menos lo que me dice ahora Regino Manuel López Rodríguez que, con 11
años de edad comenzó a trabajar en Sans Souci como botones —servidor,
recadero, ordenanza—. Su padre era el electricista principal de la
empresa, un puesto clave en una instalación de ese tipo, y la
consideración que se tenía a su progenitor abrió al muchacho las
puertas del lugar. Corría entonces el año de 1956 y Regino Manuel, a
quien apodan Manolo, cumplió allí no pocas tareas con tal de conservar
un empleo que, por su edad de entonces, no podía desempeñar de manera
oficial. Al derrumbarse la dictadura tenía 13 años de edad.
Refiere que el 1ro. de enero, pasadas las tres de la mañana, se supo
en Sans Souci de la fuga de Batista. Dice que al conocerse la noticia,
altas figuras del Gobierno que allí esperaron el año, corrieron como
vulgares viajeros a los que se les va el tren. A esa hora Manolo
marchó a descansar a su casa junto con su padre. Regresarían al cabaré
sobre las 12 del día, avisados de lo que había sucedido durante la
madrugada o las primeras horas de la mañana. Ya de vuelta en el
establecimiento vieron más de 20 máquinas tragaperras destrozadas en
el área del parqueo.
Precisa que el casino no había sido saqueado ni el cabaré tampoco,
pero como quienes antes habían irrumpido podrían volver, el padre y la
madre de Manolo, que trabajaba también en Sans Souci, y seis o siete
empleados más que se habían juntado un poco por azar, decidieron
permanecer en el lugar para defenderlo si era preciso. Quiso el
muchacho sumarse al grupo. Recuerda que su padre sacó una pistola
calibre 45 y un revólver 38, que mantenía ocultos, para hacer uso de
ellos en caso necesario.
El día 2 los improvisados custodios vieron cómo un automóvil
atravesaba la portada del cabaré y avanzaba por una calle interior
hasta detenerse frente al bar-cafetería El Popular. Expedía bebidas y
alimentos ligeros y debía su nombre a que daba asiento a un casino de
juego destinado en lo esencial a taxistas y choferes que podían ganar
y, sobre todo, perder algún dinero mientras esperaban por sus
patrones. Un casino destinado, de cualquier manera, a gente de pocos
recursos. Una gran pared de cristal separaba el bar del casino.
Cinco o seis hombres armados con fusiles descendieron del automóvil y
penetraron en el local de El Popular. Al ver la maniobra, los
espontáneos guardianes se dirigieron también hacia el lugar. Al llegar
allí, el Gallego, uno de los dependientes, atendía, muy nervioso, el
pedido de gaseosas que hicieron los recién llegados y se disponía a
prepararles los entrepanes que habían solicitado.
Hubo una confrontación entre los custodios y la gente del automóvil,
empeñados en destrozar a tiros la vidriera. El padre de Manolo, con la
pistola insinuándosele debajo de la camisa a la altura de la cintura,
los llamó al orden y primó el buen tino cuando uno de los tripulantes
del vehículo, un carpintero que conocía al padre de Manolo, de quien
era vecino, dijo a los de su grupo que lo más oportuno era marcharse.
Eso hicieron luego de comer sus emparedados en paz.
Santo Trafficante, precisa Manolo, no volvió más por Sans Souci.
Tampoco Raúl González Jerez, propietario del Club 21 y a quien
Trafficante llevó al cabaré como una especie de gerente. Tampoco
volvió Tommy, el contador, un sujeto del que Manolo nunca supo si era
cubano o norteamericano. Abandonado por sus ejecutivos, Sans Souci
quedó al garete. Quisieron sus empleados mantenerlo a flote. Crearon
una comisión que se entrevistó con el capitán Otero, jefe del cuartel
de La Lisa. Estaban dispuestos a laborar sin recibir remuneración
alguna hasta que el Gobierno se hiciera cargo del cabaré. Dice Manolo
que todo parecía marchar de la mejor manera, pero que los músicos se
negaron a trabajar si no recibían salario.
Una mujer «hecha a mano».
Es muy poca la información de que dispone el escribidor sobre Carmen,
la amante cubana de Meyer Lansky. Alguien que la conoció dijo a un
periodista norteamericano que era la mujer más bella que había visto
en su vida. Tenía unos 20 años entonces, buenos modales y voz suave.
De andar grácil. Su piel era aceitunada y el cabello, negro y crespo,
se le escurría por la espalda hasta la cintura. Era el suyo un cuerpo
bien proporcionado, con pechos rotundos y dedos largos. Un vello muy
fino, apenas perceptible, le cubría totalmente los muslos y los
brazos.
Lansky compartía con ella un piso alto en el Paseo del Prado, donde
vivía además, la madre de Carmen. Un pasaje de Almendra, la novela de
Mayra Montero, se desarrolla en ese apartamento. Lansky y Carmen se
conocieron en El Encanto, la lujosa tienda por departamentos de
Galiano y San Rafael. Aquella relación fue algo insólito en el
cabecilla mafioso, que no se permitía esas libertades. Lansky mantuvo
a Carmen en el ostracismo y la oscuridad más profundos, no solo porque
le aterrorizaba que su esposa Teddy pudiera enterarse de aquel amor
clandestino, sino porque siempre criticó en sus socios esos amoríos
secretos, que calificaba como una debilidad.
Lansky salió de Cuba en enero de 1959, luego de la entrada en La
Habana del Comandante en Jefe Fidel Castro. Volvió en marzo del mismo
año para sacar a Carmen de la Isla. No la encontró. La muchacha «hecha
a mano» se volatilizó, se esfumó. Nadie más volvió a saber de ella.
Ya en su vejez, Lansky hablaba de los 17 millones de dólares, en
efectivo, que «por un pelito» no pudo sacar de La Habana en enero del
59, y que nunca pudo recuperar.
¿Los dejó guardados en el piso de Carmen, en el Paseo del Prado?
¿Desaparecieron con ella aquellos 17 millones?
Dinero bajo el tapete.
Santo Trafficante estaba asociado con Amletto Battisti en el
contrabando de narcóticos. Lansky simpatizaba con el propietario del
hotel Sevilla. Utilizaba el Banco de Créditos e Inversiones, de
Battisti, para blanquear dinero no declarado de los casinos de juego.
Amadeo Barletta, propietario también de Tele Mundo —el canal 2 de la
TV nacional— era dueño asimismo del banco Atlántico. Bancos que
recibían, bajo cuerda, el dinero de los casinos y que mantenían nexos
ocultos con un conjunto de compañías ficticias.
Dice un historiador: «El tipo de estructura financiera que Lansky,
Trafficante y otros hampones norteamericanos necesitaban para llevar a
cabo la expansión de su imperio criminal en Cuba… Los bancos que eran
propiedad o estaban controlados por Battisti, Barletta y más adelante
uno creado por el mismo presidente Batista revestían la mayor
importancia para la mafia de La Habana. Ya se había empezado a
recaudar mucho dinero de los hoteles, casinos, cabarés y otros
negocios relacionados con el turismo, pero si todo salía de acuerdo
con el plan, eso sería solo el comienzo».
Muchas de las empresas de Barletta estaban bajo el control de una
misteriosa Santo Domingo Motors Company, cuyos propietarios eran
desconocidos incluso para el Banco Nacional de Cuba, afirma Guillermo
Jiménez en su libro Los propietarios de Cuba. 1958. Más del 50 por
ciento del banco Atlántico era controlado por esa compañía, y el
director general de la entidad, el banquero italiano Leonardo Masoni,
vino expresamente de Milán a ocuparse en este de la representación de
1 150 acciones de propietarios italianos desconocidos. Barletta
representaba la Santo Domingo Motors Company, pero no la controlaba.
La controlaban capitales italianos enmascarados.
Battisti era —dice Guillermo Jiménez en su libro citado— el más
poderoso de los banqueros de los juegos de azar y de los prestamistas
o garroteros. A través de su banco hacía fuertes préstamos a los
políticos. Controlaba una lotería particular. Desde su llegada a Cuba,
en 1936, mantuvo vínculos estrechos con el entonces coronel Fulgencio
Batista, y casi de inmediato, luego de su arribo, se hizo con la
presidencia del Jockey Club y de la Compañía Cubano Uruguaya para el
Fomento del Turismo, que operaba el hipódromo Oriental Park, de
Marianao, donde tenía fuertes intereses en su casino de juego.
Trafficante decía que en Cuba los verdaderos mafiosos vestían
uniformes militares y usaban carteras de ministros. La mafia utilizaba
a los políticos cubanos, pero los despreciaba. Lansky no se cansaba de
demostrar que no estaba en deuda con ellos; solo con Batista.
Una noche Lansky tenía cita con Battisti en el Sevilla. Llegó al
hotel, descendió de su automóvil y, ya en el vestíbulo, se topó con
Santiago Rey, ministro del Interior de la dictadura. Rey alargó la
mano para saludar a Lansky, pero este lo miró con desdén y no se
detuvo. El Ministro quedó con la mano en el aire mientras Lansky
seguía su camino hacia el despacho de Battisti.
Ciro Bianchi Ross
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lunedì 2 settembre 2013
domenica 1 settembre 2013
sabato 31 agosto 2013
venerdì 30 agosto 2013
Linee elettriche e misteri di posa
Leggo nell'ultma pagina del Granma di ieri sull'epica posa di una linea elettrica nella provincia di Guantanamo che dovrebbe migliorare l'erogazione in diverse località. Benissimo, ci mancherebbe. Quello che mi domando e dico, guardando anche le foto...ma è possibile che in località dove non esiste niente di costruito, non ci sono strade o marciapiedi da rompere, gli addetti ai lavori non abbiano previsto di sotterrare la linea, dal momento che (credo) ci sono i seguenti vantaggi: economia, rispetto dell'ambiente e paesaggio, ma specialmente il riparo di danni conseguenti a cicloni, uragani e tormente elettriche che sono tanto frequenti a Cuba. Nei 5 km. in cui si sta lavorando verranno utilizzati 50 piloni che vanno da circa 15 a circa 18 metri di altezza. Costano meno che dei tubi in pvc da interrare coi cavi? O ci sono altre ragioni che fanno evitare questa soluzione? Misteri dell'elettricità e le sue linee...
giovedì 29 agosto 2013
mercoledì 28 agosto 2013
Voli complicati e disavventure abbastanza insolite
Tra le notizie di agenzia di "spalla" leggo che un noto commercialista di Treviso è stato trattenuto a Cuba per 5 giorni in quanto non c'erano posti su nessun volo, nonostante avesse la prenotazione per il ritorno. Il malcapitato viaggiatore, secondo la notizia, è riuscito a partire per la Giamaica e da li per l'Italia, via Germania. Lo stesso si è dichiarato meravigliato che "nonostante la crisi" i voli fossero pieni. Considerando che siamo in agosto, che le frequenze dei voli su Cuba sono state drasticamente ridotte, è abbastanza comprensibile che i voli siano pieni. E' comunque incomprensibile che una compagnia aerea, sulla quale era prenotato (assieme alla moglie) non lo abbia "riprotetto" per ben 5 giorni e lo abbia costretto a ricorrere ad un volo alternativo di quel genere...sarebbe bello conoscere la compagnia aerea...giusto per evitarla, se i fatti sono proprio andati così...
martedì 27 agosto 2013
Traduzione della storia perduta del Sans Soucì
Per facilitarne la lettura, ho pubblicato la traduzione della prima parte della storia perduta del Sans Soucì, a breve seguirà anche la seconda parte.
lunedì 26 agosto 2013
Altri uomini della mafia, di Ciro Bianchi Ross (pubblicato su Juventud Rebelde il 25/08/13)
Per facilitare la lettura del testo a chi non conosce lo spagnolo e non costringerlo a ricerche di traduttori, ho pensato di proporlo direttamente tradotto.
Nelle pagine precedenti, nell’affrontare il tema della mafia a Cuba, questo scriba alluse, essenzialmente alle figure di Meyer Lansky e Santo Trafficante. Il primo era il capo dei capi nell’Isola, il numero uno, grazie alle sue relazioni col Governo cubano, nei circoli del gioco d’azzardo all’Avana. Lansky si era messo nel taschino Fulgencio Batista. Trafficante non giungeva a tanto però era, dopo Lansky, il più potente.
Non erano, naturalmente, gli unici: Enrique Cirules nel suo libro L’IMPERO DELL’AVANA, che ha meritato il Premio Casa de las Americas, fa menzione anche ad Amadeo Barletta e Amletto Battisti Lora come capoccia delle rispettive famiglie. Barletta nacque in Calabria, nel sud Italia, nel 1896 e tre anni prima nasceva Battisti a El Salto, Uruguay. Barletta arrivò all’Avana nel 1939. Battisti nel 1936. In una scala che va da 1 a 5, Guillermo Jiménez, nel suo libro LOS PROPRIETARIOS DE CUBA; 1958, assegna a entrambi la categoria 2.
Palmeti vicino all’Almendares
Attorno a Lansky e trafficante si muovevano malavitosi di maggiore o minor calibro, tutti nordamericani. Solevano riunirsi, normalmente una volta alla settimana, i giovedì o i venerdì pomeriggio, nellla casa di Joe Stassi, residenza circondata da una esuberante vegetazione tropicale nella strada sinuosa che corre parallela al fiume Almendares. Stassi presiedeva quegli incontri a cui non partecipavano Barletta né Battisti, e che accentravano le discussioni sulla situazione a Cuba, la marcia degli affari negli Stati uniti e il modo in cui si potessero ripercuotere nelle operazioni nell’Isola.
Nella biblioteca o la terrazza della casa, prendevano posto Meyer Lansky, a volte suo fratello Jake, e Santo Trafficante. Anche i fratelli Dino e Eddy Cellini, nativi dell’Ohio e uomini della massima fiducia di Lansky. Entrambi dirigevano la scuola di croupiers che questi aveva organizzato all’hotel Riviera, e Dino inoltre era socio di Jake nel casinò hotel Nacional. Norman Rothman, del casinò del cabaret Sans Soucì, era a sua volta fra gli abitudinari delle riunioni con Stassi, e lo era anche Wilbur Clark, direttore generale dell’hotel Nacional di Cuba. Era l’uomo che aveva portato avanti, a Las Vegas, la costruzione del famoso hotel casinò Desert Inn, finanziato in parte da Lansky e i suoi soci di Cleveland; tutto un maestro della promozione di esercizi di questo tipo.
Altre figure partecipavano a quegli incontri. Fra loro, Thomas Mc Ginthy, alias Blackjack, vecchio contrabbandiere di liquori e proprietario di uno dei tuguri più celebri di Cleveland, socio di Lansky e proprietario della concessione del gioco nel Nacional. Anche Charles Tourine, conosciuto all’Avana come Charles White, ex proprietario di un club nel New Jersey e vincolato al casinò dell’hotel Capri. Fu l’uomo che nelle prime ore del 1959 trovò Lansky all’hotel Plaza e lo informò sulla fuga di Batista.
In casa di Stassi, inoltre, si riunivano Nicholas di Costanzo, corpulento di quasi due metri di statura, carattere imprevedibile e violento che, nel Capri, ebbe problemi con quasi tutti. Eddie Levinson, della chiamata mafia ebrea, amico di Lansky e gestore del casinò dell’hotel Riviera. Joe Silesi, alias Joe River, chiamato per dirigere i casinò dell’hotel Deauville e Habana Hilton cuando entrambi erano ancora in costruzione. Amico di Trafficante, giunse a essere unoa delle facce più visibili della mafia all’Avana. Partecipava anche William Bischoff, alias Lefty Clark, del casinò San Soucì, que lavorava indifferentemente per Trafficante che per Lansky.
Appare Anastasia
Si supponeva che Stassi fosse neutrale. Una specie di intermediario fra Lansky e il resto del gruppo, in particolara tra l’ebreo newyorkino del Lower East Side e Trafficante, però Stassi rispondeva sotto il tappeto agli interessi di Lansky. Si conoscevano fin da bambini e strinsero legami al tempo del proibizionismo, quando Stassi si distinse nel contrabbando di liquori agli ordini di Longy Zwillman, un malavitoso che faceva parte della banda di Lucky Luciano. Ed è allora (1928) che Stassi arriva la prima volta a Cuba. Anche se col tempo si era spostato verso il lato commerciale del crimine organizzato, fu un sicario temuto, partecipante nei crimini più eclatanti della mafia.
Albert Anastasia - al secolo, Umberto Anastasio – era una preoccupazione crescente per Lansky. Il capo dell’Anonima Assassini – braccio esecutivo della mafia – era insoddisfatto con la suddivisione del bottino dell’Avana; credeva o era sicuro di non ricevere quello che gli spettava, e non nascondeva la sua insoddisfazione. Era in testa alla lista dei mafiosi che potevano creare problemi al capoccia ebreo, cosa che in certo modo inquietava ai principali malavitosi che si riunivano in casa di Stassi. Tutti, meno Trafficante.
Nel maggio 1957 Anastasia si recò in Italia in segreto e si incontrò con Lucky Luciano. La creazione di quello che si chiamò l’impero dell’Avana era stata idea di Luciano, però egli, per decisione del Governo nordamericano, viveva confinato nel suo paese natìo, informato da terzi sullo splendore dell’impresa lontana. Lansky, suo vecchio subordinato, già non gli tributava il rispetto dovuto e lo emarginava sempre più dai progetti ed essenzialmente, dai guadagni. Anastasia conosceva Luciano dal 1931 e aveva partecipato a tutti i vertici della mafia, compreso quello dell’Avana nel 1946, pertanto si considerava un dei fondatori dell’organizzazione. Si suppone che Luciano lo avvelenò nei confronti di Lansky e lo spronò perché insistesse nel suo reclamo.
Ecco quanto fece al suo ritorno a new York. Su sua richiesta, si riunì con i capi della mafia a Cuba y disse che tutti si stavano arricchendo all’Avana, meno lui. Quando gli risposero che riceveva la “fetta” dell’ippodromo Oriental Park di Marianao, Anastasia addusse che i soldi veri venivano dalle sale da gioco e che lui non li vedeva nemmeno passare. L’Habana Hilton – oggi Habana Libre – è tuo, disse Lansky allora sigillando la partita con maestria. Aveva neutralizzato il temibile Anastasia senza ricorrere alla violenza. Dopo alcuni mesi Trafficante, col nome di B. Hill, che utilizzava con frequenza, volò a New York per incontrarsi con Anastasia. Alla riunione parteciparono, fra gli altri, il menzionato Joe Rivers e il cubano Roberto “Chiri” Mendoza, appaltatore di lavori dell’Hilton e socio del presidente Batista. Chiri aveva molte probabilità di avere in subappalto il casinò dell’albergo. La conversazione girò attorno alla concessione del casinò in questione. Per questa, bisognava pagare alla Hilton un milione di dollari e passare, sottobanco, altri due milioni a Batista.
Trafficante sperava che Anastasia apportasse parte del capitale. Vecchia volpe, Anastasia si rese conto delle vere intenzioni del giocatore di dadi di Tampa: voleva lasciare da parte Meyer Lansky.
Quello che Trafficante e Anastasia non sapevano era che Joe Stassi, sotto il falso nome di Joe Rogers, si trovava anche lui a New York. Fece il viaggio perché il suo vecchio amico Meyer richiese i suoi servigi professionali e con lui arrivava alla grande città la lunga mano della mafia dell’Avana. Albert Anastasia non rimase vivo per raccontare la storia. La mattina del 25 ottobre del 1957 entrò a tagliarsi i capelli e in quel barbiere lo crivellarono di colpi. Joe Stassi, si era appartato dal lavoro sporco, ma era rimasto un assassino.
La connessione cubana
Roberto Fernàndez Miranda, il supercognato di Batista, era il legame tra Lansky e il dittatore.
Uno degli ultimi atti esecutivi di Batista prima di abbandonare la presidenza della Repubblica il 10 ottobre del 1944, fu quello di concedere il grado di Capitano della Riserva Militare a Fernàndez Miranda. Uno dei primi atti esecutivi di Grau, ad assumere la prima magistratura, alla data indicata, fu quello di lasciare senza effetto quella promozione e licenziare il beneficiato. Con il colpo di stato del 10 marzo (del 1952 n.d.t.), Batista reintegrò nell’esercito suo cognato, stavolta col grado di colonnello. Lo nominò inoltre Direttore Generale dello Sport. Più avanti, senza perdere questo incarico, Fernàndez Miranda fu asceso a Generale di Brigata e designato come capodel reggimento n° 7 “Màximo Gòmez”, con sede nella Fortezza della Cabaña.
Al margine di queste occupazioni, il cognato assolveva altri compiti, raccoglieva ogni settimana i 10 mila pesos che Martin Fox, proprietario del cabaret Tropicana pagava a Batista per la “protezione” del casinò. Aveva anche il molto lucrativo controllo delle macchinette mangiasoldi installate nella case da gioco, ma anche in bar, postribolie perfino in alcuni negozi di alimentari. Erano importate da Chicago e qui, Fernàndez Miranda le affittava. I benefici erano notevoli e la mafia li divideva metà e metà col supercognato che, per decisione di Batista, si occupava anche degli incassi dei parchimetri.
Un uomo di Mussolini
Amadeo Barletta era proprietario del quotidiano El Mundo e del canale 2 della televisione nazionale oltre a rappresentare e distribuire i veicoli della General Motors. Quindici delle sue aziende avevano un valore stimato di 40 milioni di pesos, equivalenti ai dollari, e si trovavano sotto il controllo della Santo Domingo Motors Company, con sede a Ciudad Trujillo, Repubblica Dominicana, y cui proprietari erano sconosciuti anche al Banco Nacional, che trattò di verificare invano.
Guillermo Jiménez afferma, nel suo citato libro, che capitali italiani mascherati stavano dietro alla Santo Domingo Motors Company, e manifesta che si diceva che Barletta “era rappresentante della mafia italiana per gli affari di facciata legale a Cuba, però non si è mai trovato niente che lo ratificasse”. Fu uomo di fiducia di Mussolini e rappresentante del fascismo italiano nell’area dei Caraibi. Nei giorni della seconda guerra mondiale venne espulso dall’Isola. Tornò a guerra finita. Punto e a capo, gli venne perdonato tutto. Riassunse la rappresentanza della General Motors per la vendita di automobili marca Cadillac, Chevrolet e Oldsmobile e costruì, nel 1949, un edificio di 11 piani a forma triangolare ll’angolo di 23 e Infanta, - sede oggi del Ministero del Commercio Estero – che assieme al Radio centro di 23 entre L y M, dette origine alla “Rampa” avanera. Anteriormente aveva chiesto la licenza per la costruzione dell’edificio del Terminal degli Autobus, inaugurato nel 1951 e che giunse ad amministrare. I suoi molteplici affari, coprivano quelli del commercio di droga e pietre preziose.
Amletto Battisti era il proprietario dell’hotel Sevilla, e come Barletta, aveva la sua propria Banca. In società con Batista, gestiva una lotteria privata con biglietti numerati dall’uno al 999. I suoi interessi si estendevano alla prostituzione e alla droga. Ogni settimana riceveva al Sevilla prostitute nuove, ragazze selezionate che “affittava” a prezzo d’oro come dame di compagnia. Inoltre sempre settimanalmente riceveva pacchetti di cocaina che, in boccette o tubi, si vendeva tra i 15 e i 50 dollari al grammo, secondo la disponibilità della merce. Fu deputato alla Camera tra il 1954 e il 1958.
Lo scrittore potrebbe raccontare molto di più, circa questi personaggi. Ma lo spazio a disposizione è finito. Alla prossima.
Otros hombres de la mafia
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
24 de Agosto del 2013 19:54:55 CDT
En páginas precedentes, al abordar el tema de la mafia en Cuba, este
escribidor aludió, en lo esencial, a las figuras de Meyer Lansky y
Santo Trafficante. El primero era el capo de los capos en la Isla, el
número uno, gracias a sus relaciones con el Gobierno cubano, en los
círculos del juego de azar en La Habana. Lansky tenía metido en el
bolsillo al dictador Fulgencio Batista. Trafficante no llegaba a
tanto, pero era, después de Lansky, el más poderoso.
No eran, por supuesto, los únicos. Enrique Cirules, en su libro El
imperio de La Habana, que mereció premio Casa de las Américas,
menciona asimismo a Amadeo Barletta y a Amletto Battisti Lora como
cabecillas de sus propias familias. Barletta había nacido en Calabria,
sur de Italia, en 1896, y tres años antes nacía Battisti, en El Salto,
Uruguay. Barletta llegó a La Habana en 1939. Battisti, en 1936. En una
escala que, en orden descendente, va del 1 al 5, Guillermo Jiménez, en
su libro Los propietarios de Cuba; 1958, otorga a ambos sujetos la
categoría 2.
Palmeras junto al Almendares
En torno a Lansky y a Trafficante se movían hampones de mayor o menor
cuantía, todos norteamericanos. Solían reunirse, generalmente una vez
por semana, los jueves o los viernes por la tarde, en el domicilio de
Joe Stassi, residencia rodeada de una vegetación tropical exuberante
en la sinuosa carretera que corre paralela al río Almendares. Stassi
presidía aquellos encuentros, a los que no asistían Barletta ni
Battisti, y que centraban sus discusiones sobre la situación en Cuba,
la marcha de los negocios en Estados Unidos y la forma en que pudieran
repercutir en las operaciones en la Isla.
En la biblioteca o en la terraza de la casa, tomaban asiento Meyer
Lansky y, a veces, su hermano Jake, y Santo Trafficante. También los
hermanos Dino y Eddy Cellini, nativos de Ohio y hombres de toda la
confianza de Lansky. Ambos dirigían la escuela de crupieres que este
organizara en el hotel Riviera, y Dino además, era socio de Jake en el
casino del hotel Nacional. Norman Rothman, del casino del cabaret Sans
Souci, era asimismo de los habituales en las reuniones con Stassi, y
lo era además Wilbur Clark, director general del Hotel Nacional de
Cuba. Era el hombre que había llevado adelante, en Las Vegas, la
construcción del famoso hotel-casino Desert Inn, financiado en parte
por Lansky y sus socios de Cleveland; todo un maestro en la promoción
de establecimientos de ese tipo.
Otras figuras acudían a aquellos encuentros. Entre ellas, Thomas
McGinty, alias Blackjack, antiguo contrabandista de licores y
propietario de uno de los tugurios más célebres de Cleveland, socio de
Lansky y copropietario de la concesión del juego en el Nacional.
También Charles Tourine, conocido en La Habana como Charles White, ex
propietario de un club en New Jersey y vinculado al casino del hotel
Capri. Fue el hombre que en las primeras horas del día de año nuevo de
1959 localizó a Lansky en el hotel Plaza y le informó de la fuga de
Batista.
En casa de Stassi se reunían además Nicholas di Costanzo, corpulento y
de casi dos metros de estatura, carácter imprevisible y violento que,
en el Capri, buscó líos con casi todo el mundo. Eddie Levinson, de la
llamada mafia judía, amigo de Lansky y gerente del casino del hotel
Riviera. Joe Silesi, alias Joe Rivers, llamado para dirigir los
casinos del hotel Deauville y del Havana Hilton, cuando ambos todavía
se hallaban en construcción. Amigo de Trafficante, llegaría a ser uno
de los rostros más visibles de la mafia en La Habana. Acudía además
William Bischoff, alias Lefty Clark, del casino del Sans Souci, que lo
mismo trabajaba para Trafficante que para Lansky.
Aparece anastasia
A Stassi se le suponía neutral. Una especie de intermediario entre
Lansky y el resto del grupo, en específico, entre el judío neoyorquino
del Lower East Side y Trafficante, pero Stassi respondía bajo cuerda a
los intereses de Lansky. Se conocían desde niños y estrecharon
vínculos en los tiempos de la Ley seca, cuando Stassi se destacó en el
contrabando de licores a las órdenes de Longy Zwillman, un hampón que
formaba parte de la pandilla de Lucky Luciano. Es por entonces (1928)
que Stassi viene por primera vez a Cuba. Aunque con el tiempo se
desplazó hacia la vertiente comercial del crimen organizado, fue un
temido sicario, participante en los crímenes más sonados de la mafia.
Albert Anastasia —en realidad, Umberto Anastasio— era una preocupación
creciente para Lansky. El jefe del Murder Inc. —brazo ejecutor de la
mafia— estaba insatisfecho con el reparto del botín de La Habana;
creía o estaba seguro de no recibir lo que le correspondía, y no
ocultaba su descontento. Encabezaba la lista de los mafiosos que
podían crear problemas al cabecilla judío, lo que en cierta forma
inquietaba a los hampones principales que se reunían en la casa de
Stassi. A todos, menos a Trafficante.
En mayo de 1957, Anastasia viajó a Italia en secreto y se entrevistó
con Luciano. La creación de lo que se ha llamado el imperio de La
Habana había sido idea de Luciano, pero él, por decisión del Gobierno
norteamericano, vivía confinado en su país natal, enterándose por
terceros del esplendor del emporio lejano. Lansky, su antiguo
subordinado, no le tributaba ya el respeto que le debía y cada vez lo
marginaba más de los proyectos y, en lo esencial, de las ganancias.
Anastasia conocía a Luciano desde 1931 y había asistido a todas las
cumbres de la mafia, incluida la de La Habana, en 1946, por lo que se
consideraba uno de los fundadores de la organización. Se supone que
Luciano lo envenenó contra Lansky y lo azuzó para que insistiera en su
reclamo.
Eso hizo en cuanto regresó a Nueva York. A pedido suyo, se reunió allí
con los jefes de la mafia en Cuba y les dijo que todo el mundo se
hacía rico en La Habana, menos él. Cuando le respondieron que recibía
la tajada del hipódromo Oriental Park, de Marianao, Anastasia adujo
que la pasta verdadera salía de los casinos y que él no la veía pasar.
El Havana Hilton —hoy Habana Libre— es tuyo, repuso Lansky entonces y
selló la partida de mano maestra. Había neutralizado al temible
Anastasia sin violencia.
Meses después Trafficante, con el nombre de B. Hill, que utilizaba con
frecuencia, voló a Nueva York para encontrarse con Anastasia. En la
reunión participarían, entre otros, el ya mencionado Joe Rivers y el
cubano Roberto, «Chiri», Mendoza, contratista de la obra del Hilton y
socio del presidente Batista. Chiri tenía muchas posibilidades de
obtener en subarriendo el casino del hotel. La conversación giró en
torno a la concesión del mencionado casino. Había que pagar por ella,
a la Hilton, un millón de dólares y, pasar, por debajo del tapete,
otros dos millones a Batista.
Trafficante esperaba que Anastasia aportara parte del dinero. Hueso
viejo, Anastasia se percató de las verdaderas intenciones del bolitero
de Tampa. Quería dejar a un lado a Meyer Lansky.
Lo que Trafficante y Anastasia desconocían era que Joe Stassi, bajo el
nombre de Joe Rogers, estaba también en Nueva York. Había hecho el
viaje porque su viejo amigo Meyer solicitó sus servicios
profesionales, y con él llegaba a la gran ciudad el brazo largo de la
mafia de La Habana. Albert Anastasia no quedaría vivo para contar la
historia. En la mañana del 25 de octubre de 1957 entró a cortarse el
cabello y en aquella barbería lo acribillaron a balazos. Joe Stassi se
había apartado del trabajo sucio, pero seguía siendo un asesino.
El enlace cubano
Roberto Fernández Miranda, el cuñadísimo de Batista, era enlace entre
Lansky y el dictador.
Uno de los últimos actos ejecutivos de Batista antes de abandonar la
presidencia de la República el 10 de octubre de 1944, fue el de
conceder, por el Servicio Militar de Reserva, el grado de capitán a
Fernández Miranda. Uno de los primeros actos ejecutivos de Grau, al
asumir la primera magistratura en la fecha señalada fue el de dejar
sin efecto aquel ascenso y licenciar al beneficiado. Con el cuartelazo
del 10 de marzo, Batista reinsertó en el Ejército a su cuñado, esta
vez con el grado de coronel. Lo nombraría además Director General de
Deportes. Con el tiempo, sin perder ese cargo, Fernández Miranda sería
ascendido a general de brigada y designado jefe del regimiento número
7, Máximo Gómez, con sede en la fortaleza de La Cabaña.
Al margen de esas ocupaciones, el cuñado cumplía otras tareas. Recogía
semana tras semana los diez mil pesos que Martín Fox, propietario del
cabaré Tropicana, pagaba a Batista por la «protección» del casino.
Tenía además el control del muy lucrativo negocio de las máquinas
traganíqueles o tragaperras. Estaban instaladas en las casas de juego,
pero también en bares, prostíbulos, cafés y cabarés y hasta en algunas
bodegas. Se importaban de Chicago y aquí Fernández Miranda las
alquilaba. Los beneficios eran cuantiosos y la mafia los dividía,
mitad por mitad, con el cuñadísimo que, por decisión de Batista, se
beneficiaba también con la recaudación de los parquímetros.
Un hombre de Mussolini
Amadeo Barletta era propietario del periódico El Mundo y del canal 2
de la TV nacional y representaba y distribuía los vehículos de la
General Motors. Quince de sus empresas estaban valoradas en 40
millones de pesos, equivalentes a dólares, y se hallaban bajo el
control de la Santo Domingo Motors Company, radicada en Ciudad
Trujillo, República Dominicana, y cuyos propietarios eran desconocidos
incluso para el Banco Nacional, que en vano trató de averiguarlo.
Guillermo Jiménez afirma en su libro aludido que capitales italianos
enmascarados estaban detrás de la Santo Domingo Motors Company, y
expresa que se decía que Barletta «era representante de la mafia
italiana para los negocios de fachada legal en Cuba, pero no se ha
encontrado nada que lo ratifique». Fue hombre de confianza de Benito
Mussolini y representante del fascismo italiano en el área del Caribe.
En los días de la Segunda Guerra Mundial se le expulsó de la Isla.
Regresó a Cuba finalizada la contienda bélica. Borrón y cuenta nueva.
Todo le fue perdonado. Reasumió la representación de la General Motors
para la venta de automóviles marcas Cadillac, Chevrolet y Oldsmobile y
construyó, en 1949, el edificio de 11 plantas y forma triangular de la
esquina de 23 e Infanta, —sede hoy del Ministerio del Comercio
Exterior— que, junto con Radio Centro, en 23 entre L y M, dio origen a
La Rampa habanera. Antes, había pedido licencia para la construcción
del edificio de la Terminal de Ómnibus, inaugurada en 1951 y que llegó
a administrar. Sus múltiples empresas tapaban sus negocios de tráfico
de drogas y piedras preciosas.
Amletto Battisti era el propietario del hotel Sevilla y, al igual que
Barletta, tenía su propio banco. En sociedad con Batista, mantenía una
lotería particular con bonos numerados entre el uno y el 999. Sus
intereses se extendían a la prostitución y a las drogas. Todas las
semanas recibía en el Sevilla nuevas prostitutas, muchachas escogidas
que alquilaba a precio de oro como damas de compañía. También
semanalmente recibía envíos de cocaína que, en pomos o en tubos, se
vendía entre 15 y 50 dólares el gramo, según la disponibilidad de la
mercancía. Fue representante a la Cámara entre 1954 y 1958.
Mucho más pudiera el escribidor decir acerca de estos personajes. Pero
se acabó el espacio. ¡Chirrín!
Nelle pagine precedenti, nell’affrontare il tema della mafia a Cuba, questo scriba alluse, essenzialmente alle figure di Meyer Lansky e Santo Trafficante. Il primo era il capo dei capi nell’Isola, il numero uno, grazie alle sue relazioni col Governo cubano, nei circoli del gioco d’azzardo all’Avana. Lansky si era messo nel taschino Fulgencio Batista. Trafficante non giungeva a tanto però era, dopo Lansky, il più potente.
Non erano, naturalmente, gli unici: Enrique Cirules nel suo libro L’IMPERO DELL’AVANA, che ha meritato il Premio Casa de las Americas, fa menzione anche ad Amadeo Barletta e Amletto Battisti Lora come capoccia delle rispettive famiglie. Barletta nacque in Calabria, nel sud Italia, nel 1896 e tre anni prima nasceva Battisti a El Salto, Uruguay. Barletta arrivò all’Avana nel 1939. Battisti nel 1936. In una scala che va da 1 a 5, Guillermo Jiménez, nel suo libro LOS PROPRIETARIOS DE CUBA; 1958, assegna a entrambi la categoria 2.
Palmeti vicino all’Almendares
Attorno a Lansky e trafficante si muovevano malavitosi di maggiore o minor calibro, tutti nordamericani. Solevano riunirsi, normalmente una volta alla settimana, i giovedì o i venerdì pomeriggio, nellla casa di Joe Stassi, residenza circondata da una esuberante vegetazione tropicale nella strada sinuosa che corre parallela al fiume Almendares. Stassi presiedeva quegli incontri a cui non partecipavano Barletta né Battisti, e che accentravano le discussioni sulla situazione a Cuba, la marcia degli affari negli Stati uniti e il modo in cui si potessero ripercuotere nelle operazioni nell’Isola.
Nella biblioteca o la terrazza della casa, prendevano posto Meyer Lansky, a volte suo fratello Jake, e Santo Trafficante. Anche i fratelli Dino e Eddy Cellini, nativi dell’Ohio e uomini della massima fiducia di Lansky. Entrambi dirigevano la scuola di croupiers che questi aveva organizzato all’hotel Riviera, e Dino inoltre era socio di Jake nel casinò hotel Nacional. Norman Rothman, del casinò del cabaret Sans Soucì, era a sua volta fra gli abitudinari delle riunioni con Stassi, e lo era anche Wilbur Clark, direttore generale dell’hotel Nacional di Cuba. Era l’uomo che aveva portato avanti, a Las Vegas, la costruzione del famoso hotel casinò Desert Inn, finanziato in parte da Lansky e i suoi soci di Cleveland; tutto un maestro della promozione di esercizi di questo tipo.
Altre figure partecipavano a quegli incontri. Fra loro, Thomas Mc Ginthy, alias Blackjack, vecchio contrabbandiere di liquori e proprietario di uno dei tuguri più celebri di Cleveland, socio di Lansky e proprietario della concessione del gioco nel Nacional. Anche Charles Tourine, conosciuto all’Avana come Charles White, ex proprietario di un club nel New Jersey e vincolato al casinò dell’hotel Capri. Fu l’uomo che nelle prime ore del 1959 trovò Lansky all’hotel Plaza e lo informò sulla fuga di Batista.
In casa di Stassi, inoltre, si riunivano Nicholas di Costanzo, corpulento di quasi due metri di statura, carattere imprevedibile e violento che, nel Capri, ebbe problemi con quasi tutti. Eddie Levinson, della chiamata mafia ebrea, amico di Lansky e gestore del casinò dell’hotel Riviera. Joe Silesi, alias Joe River, chiamato per dirigere i casinò dell’hotel Deauville e Habana Hilton cuando entrambi erano ancora in costruzione. Amico di Trafficante, giunse a essere unoa delle facce più visibili della mafia all’Avana. Partecipava anche William Bischoff, alias Lefty Clark, del casinò San Soucì, que lavorava indifferentemente per Trafficante che per Lansky.
Appare Anastasia
Si supponeva che Stassi fosse neutrale. Una specie di intermediario fra Lansky e il resto del gruppo, in particolara tra l’ebreo newyorkino del Lower East Side e Trafficante, però Stassi rispondeva sotto il tappeto agli interessi di Lansky. Si conoscevano fin da bambini e strinsero legami al tempo del proibizionismo, quando Stassi si distinse nel contrabbando di liquori agli ordini di Longy Zwillman, un malavitoso che faceva parte della banda di Lucky Luciano. Ed è allora (1928) che Stassi arriva la prima volta a Cuba. Anche se col tempo si era spostato verso il lato commerciale del crimine organizzato, fu un sicario temuto, partecipante nei crimini più eclatanti della mafia.
Albert Anastasia - al secolo, Umberto Anastasio – era una preoccupazione crescente per Lansky. Il capo dell’Anonima Assassini – braccio esecutivo della mafia – era insoddisfatto con la suddivisione del bottino dell’Avana; credeva o era sicuro di non ricevere quello che gli spettava, e non nascondeva la sua insoddisfazione. Era in testa alla lista dei mafiosi che potevano creare problemi al capoccia ebreo, cosa che in certo modo inquietava ai principali malavitosi che si riunivano in casa di Stassi. Tutti, meno Trafficante.
Nel maggio 1957 Anastasia si recò in Italia in segreto e si incontrò con Lucky Luciano. La creazione di quello che si chiamò l’impero dell’Avana era stata idea di Luciano, però egli, per decisione del Governo nordamericano, viveva confinato nel suo paese natìo, informato da terzi sullo splendore dell’impresa lontana. Lansky, suo vecchio subordinato, già non gli tributava il rispetto dovuto e lo emarginava sempre più dai progetti ed essenzialmente, dai guadagni. Anastasia conosceva Luciano dal 1931 e aveva partecipato a tutti i vertici della mafia, compreso quello dell’Avana nel 1946, pertanto si considerava un dei fondatori dell’organizzazione. Si suppone che Luciano lo avvelenò nei confronti di Lansky e lo spronò perché insistesse nel suo reclamo.
Ecco quanto fece al suo ritorno a new York. Su sua richiesta, si riunì con i capi della mafia a Cuba y disse che tutti si stavano arricchendo all’Avana, meno lui. Quando gli risposero che riceveva la “fetta” dell’ippodromo Oriental Park di Marianao, Anastasia addusse che i soldi veri venivano dalle sale da gioco e che lui non li vedeva nemmeno passare. L’Habana Hilton – oggi Habana Libre – è tuo, disse Lansky allora sigillando la partita con maestria. Aveva neutralizzato il temibile Anastasia senza ricorrere alla violenza. Dopo alcuni mesi Trafficante, col nome di B. Hill, che utilizzava con frequenza, volò a New York per incontrarsi con Anastasia. Alla riunione parteciparono, fra gli altri, il menzionato Joe Rivers e il cubano Roberto “Chiri” Mendoza, appaltatore di lavori dell’Hilton e socio del presidente Batista. Chiri aveva molte probabilità di avere in subappalto il casinò dell’albergo. La conversazione girò attorno alla concessione del casinò in questione. Per questa, bisognava pagare alla Hilton un milione di dollari e passare, sottobanco, altri due milioni a Batista.
Trafficante sperava che Anastasia apportasse parte del capitale. Vecchia volpe, Anastasia si rese conto delle vere intenzioni del giocatore di dadi di Tampa: voleva lasciare da parte Meyer Lansky.
Quello che Trafficante e Anastasia non sapevano era che Joe Stassi, sotto il falso nome di Joe Rogers, si trovava anche lui a New York. Fece il viaggio perché il suo vecchio amico Meyer richiese i suoi servigi professionali e con lui arrivava alla grande città la lunga mano della mafia dell’Avana. Albert Anastasia non rimase vivo per raccontare la storia. La mattina del 25 ottobre del 1957 entrò a tagliarsi i capelli e in quel barbiere lo crivellarono di colpi. Joe Stassi, si era appartato dal lavoro sporco, ma era rimasto un assassino.
La connessione cubana
Roberto Fernàndez Miranda, il supercognato di Batista, era il legame tra Lansky e il dittatore.
Uno degli ultimi atti esecutivi di Batista prima di abbandonare la presidenza della Repubblica il 10 ottobre del 1944, fu quello di concedere il grado di Capitano della Riserva Militare a Fernàndez Miranda. Uno dei primi atti esecutivi di Grau, ad assumere la prima magistratura, alla data indicata, fu quello di lasciare senza effetto quella promozione e licenziare il beneficiato. Con il colpo di stato del 10 marzo (del 1952 n.d.t.), Batista reintegrò nell’esercito suo cognato, stavolta col grado di colonnello. Lo nominò inoltre Direttore Generale dello Sport. Più avanti, senza perdere questo incarico, Fernàndez Miranda fu asceso a Generale di Brigata e designato come capodel reggimento n° 7 “Màximo Gòmez”, con sede nella Fortezza della Cabaña.
Al margine di queste occupazioni, il cognato assolveva altri compiti, raccoglieva ogni settimana i 10 mila pesos che Martin Fox, proprietario del cabaret Tropicana pagava a Batista per la “protezione” del casinò. Aveva anche il molto lucrativo controllo delle macchinette mangiasoldi installate nella case da gioco, ma anche in bar, postribolie perfino in alcuni negozi di alimentari. Erano importate da Chicago e qui, Fernàndez Miranda le affittava. I benefici erano notevoli e la mafia li divideva metà e metà col supercognato che, per decisione di Batista, si occupava anche degli incassi dei parchimetri.
Un uomo di Mussolini
Amadeo Barletta era proprietario del quotidiano El Mundo e del canale 2 della televisione nazionale oltre a rappresentare e distribuire i veicoli della General Motors. Quindici delle sue aziende avevano un valore stimato di 40 milioni di pesos, equivalenti ai dollari, e si trovavano sotto il controllo della Santo Domingo Motors Company, con sede a Ciudad Trujillo, Repubblica Dominicana, y cui proprietari erano sconosciuti anche al Banco Nacional, che trattò di verificare invano.
Guillermo Jiménez afferma, nel suo citato libro, che capitali italiani mascherati stavano dietro alla Santo Domingo Motors Company, e manifesta che si diceva che Barletta “era rappresentante della mafia italiana per gli affari di facciata legale a Cuba, però non si è mai trovato niente che lo ratificasse”. Fu uomo di fiducia di Mussolini e rappresentante del fascismo italiano nell’area dei Caraibi. Nei giorni della seconda guerra mondiale venne espulso dall’Isola. Tornò a guerra finita. Punto e a capo, gli venne perdonato tutto. Riassunse la rappresentanza della General Motors per la vendita di automobili marca Cadillac, Chevrolet e Oldsmobile e costruì, nel 1949, un edificio di 11 piani a forma triangolare ll’angolo di 23 e Infanta, - sede oggi del Ministero del Commercio Estero – che assieme al Radio centro di 23 entre L y M, dette origine alla “Rampa” avanera. Anteriormente aveva chiesto la licenza per la costruzione dell’edificio del Terminal degli Autobus, inaugurato nel 1951 e che giunse ad amministrare. I suoi molteplici affari, coprivano quelli del commercio di droga e pietre preziose.
Amletto Battisti era il proprietario dell’hotel Sevilla, e come Barletta, aveva la sua propria Banca. In società con Batista, gestiva una lotteria privata con biglietti numerati dall’uno al 999. I suoi interessi si estendevano alla prostituzione e alla droga. Ogni settimana riceveva al Sevilla prostitute nuove, ragazze selezionate che “affittava” a prezzo d’oro come dame di compagnia. Inoltre sempre settimanalmente riceveva pacchetti di cocaina che, in boccette o tubi, si vendeva tra i 15 e i 50 dollari al grammo, secondo la disponibilità della merce. Fu deputato alla Camera tra il 1954 e il 1958.
Lo scrittore potrebbe raccontare molto di più, circa questi personaggi. Ma lo spazio a disposizione è finito. Alla prossima.
Otros hombres de la mafia
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
24 de Agosto del 2013 19:54:55 CDT
En páginas precedentes, al abordar el tema de la mafia en Cuba, este
escribidor aludió, en lo esencial, a las figuras de Meyer Lansky y
Santo Trafficante. El primero era el capo de los capos en la Isla, el
número uno, gracias a sus relaciones con el Gobierno cubano, en los
círculos del juego de azar en La Habana. Lansky tenía metido en el
bolsillo al dictador Fulgencio Batista. Trafficante no llegaba a
tanto, pero era, después de Lansky, el más poderoso.
No eran, por supuesto, los únicos. Enrique Cirules, en su libro El
imperio de La Habana, que mereció premio Casa de las Américas,
menciona asimismo a Amadeo Barletta y a Amletto Battisti Lora como
cabecillas de sus propias familias. Barletta había nacido en Calabria,
sur de Italia, en 1896, y tres años antes nacía Battisti, en El Salto,
Uruguay. Barletta llegó a La Habana en 1939. Battisti, en 1936. En una
escala que, en orden descendente, va del 1 al 5, Guillermo Jiménez, en
su libro Los propietarios de Cuba; 1958, otorga a ambos sujetos la
categoría 2.
Palmeras junto al Almendares
En torno a Lansky y a Trafficante se movían hampones de mayor o menor
cuantía, todos norteamericanos. Solían reunirse, generalmente una vez
por semana, los jueves o los viernes por la tarde, en el domicilio de
Joe Stassi, residencia rodeada de una vegetación tropical exuberante
en la sinuosa carretera que corre paralela al río Almendares. Stassi
presidía aquellos encuentros, a los que no asistían Barletta ni
Battisti, y que centraban sus discusiones sobre la situación en Cuba,
la marcha de los negocios en Estados Unidos y la forma en que pudieran
repercutir en las operaciones en la Isla.
En la biblioteca o en la terraza de la casa, tomaban asiento Meyer
Lansky y, a veces, su hermano Jake, y Santo Trafficante. También los
hermanos Dino y Eddy Cellini, nativos de Ohio y hombres de toda la
confianza de Lansky. Ambos dirigían la escuela de crupieres que este
organizara en el hotel Riviera, y Dino además, era socio de Jake en el
casino del hotel Nacional. Norman Rothman, del casino del cabaret Sans
Souci, era asimismo de los habituales en las reuniones con Stassi, y
lo era además Wilbur Clark, director general del Hotel Nacional de
Cuba. Era el hombre que había llevado adelante, en Las Vegas, la
construcción del famoso hotel-casino Desert Inn, financiado en parte
por Lansky y sus socios de Cleveland; todo un maestro en la promoción
de establecimientos de ese tipo.
Otras figuras acudían a aquellos encuentros. Entre ellas, Thomas
McGinty, alias Blackjack, antiguo contrabandista de licores y
propietario de uno de los tugurios más célebres de Cleveland, socio de
Lansky y copropietario de la concesión del juego en el Nacional.
También Charles Tourine, conocido en La Habana como Charles White, ex
propietario de un club en New Jersey y vinculado al casino del hotel
Capri. Fue el hombre que en las primeras horas del día de año nuevo de
1959 localizó a Lansky en el hotel Plaza y le informó de la fuga de
Batista.
En casa de Stassi se reunían además Nicholas di Costanzo, corpulento y
de casi dos metros de estatura, carácter imprevisible y violento que,
en el Capri, buscó líos con casi todo el mundo. Eddie Levinson, de la
llamada mafia judía, amigo de Lansky y gerente del casino del hotel
Riviera. Joe Silesi, alias Joe Rivers, llamado para dirigir los
casinos del hotel Deauville y del Havana Hilton, cuando ambos todavía
se hallaban en construcción. Amigo de Trafficante, llegaría a ser uno
de los rostros más visibles de la mafia en La Habana. Acudía además
William Bischoff, alias Lefty Clark, del casino del Sans Souci, que lo
mismo trabajaba para Trafficante que para Lansky.
Aparece anastasia
A Stassi se le suponía neutral. Una especie de intermediario entre
Lansky y el resto del grupo, en específico, entre el judío neoyorquino
del Lower East Side y Trafficante, pero Stassi respondía bajo cuerda a
los intereses de Lansky. Se conocían desde niños y estrecharon
vínculos en los tiempos de la Ley seca, cuando Stassi se destacó en el
contrabando de licores a las órdenes de Longy Zwillman, un hampón que
formaba parte de la pandilla de Lucky Luciano. Es por entonces (1928)
que Stassi viene por primera vez a Cuba. Aunque con el tiempo se
desplazó hacia la vertiente comercial del crimen organizado, fue un
temido sicario, participante en los crímenes más sonados de la mafia.
Albert Anastasia —en realidad, Umberto Anastasio— era una preocupación
creciente para Lansky. El jefe del Murder Inc. —brazo ejecutor de la
mafia— estaba insatisfecho con el reparto del botín de La Habana;
creía o estaba seguro de no recibir lo que le correspondía, y no
ocultaba su descontento. Encabezaba la lista de los mafiosos que
podían crear problemas al cabecilla judío, lo que en cierta forma
inquietaba a los hampones principales que se reunían en la casa de
Stassi. A todos, menos a Trafficante.
En mayo de 1957, Anastasia viajó a Italia en secreto y se entrevistó
con Luciano. La creación de lo que se ha llamado el imperio de La
Habana había sido idea de Luciano, pero él, por decisión del Gobierno
norteamericano, vivía confinado en su país natal, enterándose por
terceros del esplendor del emporio lejano. Lansky, su antiguo
subordinado, no le tributaba ya el respeto que le debía y cada vez lo
marginaba más de los proyectos y, en lo esencial, de las ganancias.
Anastasia conocía a Luciano desde 1931 y había asistido a todas las
cumbres de la mafia, incluida la de La Habana, en 1946, por lo que se
consideraba uno de los fundadores de la organización. Se supone que
Luciano lo envenenó contra Lansky y lo azuzó para que insistiera en su
reclamo.
Eso hizo en cuanto regresó a Nueva York. A pedido suyo, se reunió allí
con los jefes de la mafia en Cuba y les dijo que todo el mundo se
hacía rico en La Habana, menos él. Cuando le respondieron que recibía
la tajada del hipódromo Oriental Park, de Marianao, Anastasia adujo
que la pasta verdadera salía de los casinos y que él no la veía pasar.
El Havana Hilton —hoy Habana Libre— es tuyo, repuso Lansky entonces y
selló la partida de mano maestra. Había neutralizado al temible
Anastasia sin violencia.
Meses después Trafficante, con el nombre de B. Hill, que utilizaba con
frecuencia, voló a Nueva York para encontrarse con Anastasia. En la
reunión participarían, entre otros, el ya mencionado Joe Rivers y el
cubano Roberto, «Chiri», Mendoza, contratista de la obra del Hilton y
socio del presidente Batista. Chiri tenía muchas posibilidades de
obtener en subarriendo el casino del hotel. La conversación giró en
torno a la concesión del mencionado casino. Había que pagar por ella,
a la Hilton, un millón de dólares y, pasar, por debajo del tapete,
otros dos millones a Batista.
Trafficante esperaba que Anastasia aportara parte del dinero. Hueso
viejo, Anastasia se percató de las verdaderas intenciones del bolitero
de Tampa. Quería dejar a un lado a Meyer Lansky.
Lo que Trafficante y Anastasia desconocían era que Joe Stassi, bajo el
nombre de Joe Rogers, estaba también en Nueva York. Había hecho el
viaje porque su viejo amigo Meyer solicitó sus servicios
profesionales, y con él llegaba a la gran ciudad el brazo largo de la
mafia de La Habana. Albert Anastasia no quedaría vivo para contar la
historia. En la mañana del 25 de octubre de 1957 entró a cortarse el
cabello y en aquella barbería lo acribillaron a balazos. Joe Stassi se
había apartado del trabajo sucio, pero seguía siendo un asesino.
El enlace cubano
Roberto Fernández Miranda, el cuñadísimo de Batista, era enlace entre
Lansky y el dictador.
Uno de los últimos actos ejecutivos de Batista antes de abandonar la
presidencia de la República el 10 de octubre de 1944, fue el de
conceder, por el Servicio Militar de Reserva, el grado de capitán a
Fernández Miranda. Uno de los primeros actos ejecutivos de Grau, al
asumir la primera magistratura en la fecha señalada fue el de dejar
sin efecto aquel ascenso y licenciar al beneficiado. Con el cuartelazo
del 10 de marzo, Batista reinsertó en el Ejército a su cuñado, esta
vez con el grado de coronel. Lo nombraría además Director General de
Deportes. Con el tiempo, sin perder ese cargo, Fernández Miranda sería
ascendido a general de brigada y designado jefe del regimiento número
7, Máximo Gómez, con sede en la fortaleza de La Cabaña.
Al margen de esas ocupaciones, el cuñado cumplía otras tareas. Recogía
semana tras semana los diez mil pesos que Martín Fox, propietario del
cabaré Tropicana, pagaba a Batista por la «protección» del casino.
Tenía además el control del muy lucrativo negocio de las máquinas
traganíqueles o tragaperras. Estaban instaladas en las casas de juego,
pero también en bares, prostíbulos, cafés y cabarés y hasta en algunas
bodegas. Se importaban de Chicago y aquí Fernández Miranda las
alquilaba. Los beneficios eran cuantiosos y la mafia los dividía,
mitad por mitad, con el cuñadísimo que, por decisión de Batista, se
beneficiaba también con la recaudación de los parquímetros.
Un hombre de Mussolini
Amadeo Barletta era propietario del periódico El Mundo y del canal 2
de la TV nacional y representaba y distribuía los vehículos de la
General Motors. Quince de sus empresas estaban valoradas en 40
millones de pesos, equivalentes a dólares, y se hallaban bajo el
control de la Santo Domingo Motors Company, radicada en Ciudad
Trujillo, República Dominicana, y cuyos propietarios eran desconocidos
incluso para el Banco Nacional, que en vano trató de averiguarlo.
Guillermo Jiménez afirma en su libro aludido que capitales italianos
enmascarados estaban detrás de la Santo Domingo Motors Company, y
expresa que se decía que Barletta «era representante de la mafia
italiana para los negocios de fachada legal en Cuba, pero no se ha
encontrado nada que lo ratifique». Fue hombre de confianza de Benito
Mussolini y representante del fascismo italiano en el área del Caribe.
En los días de la Segunda Guerra Mundial se le expulsó de la Isla.
Regresó a Cuba finalizada la contienda bélica. Borrón y cuenta nueva.
Todo le fue perdonado. Reasumió la representación de la General Motors
para la venta de automóviles marcas Cadillac, Chevrolet y Oldsmobile y
construyó, en 1949, el edificio de 11 plantas y forma triangular de la
esquina de 23 e Infanta, —sede hoy del Ministerio del Comercio
Exterior— que, junto con Radio Centro, en 23 entre L y M, dio origen a
La Rampa habanera. Antes, había pedido licencia para la construcción
del edificio de la Terminal de Ómnibus, inaugurada en 1951 y que llegó
a administrar. Sus múltiples empresas tapaban sus negocios de tráfico
de drogas y piedras preciosas.
Amletto Battisti era el propietario del hotel Sevilla y, al igual que
Barletta, tenía su propio banco. En sociedad con Batista, mantenía una
lotería particular con bonos numerados entre el uno y el 999. Sus
intereses se extendían a la prostitución y a las drogas. Todas las
semanas recibía en el Sevilla nuevas prostitutas, muchachas escogidas
que alquilaba a precio de oro como damas de compañía. También
semanalmente recibía envíos de cocaína que, en pomos o en tubos, se
vendía entre 15 y 50 dólares el gramo, según la disponibilidad de la
mercancía. Fue representante a la Cámara entre 1954 y 1958.
Mucho más pudiera el escribidor decir acerca de estos personajes. Pero
se acabó el espacio. ¡Chirrín!
domenica 25 agosto 2013
sabato 24 agosto 2013
venerdì 23 agosto 2013
Humour cubano
Una viejecita fue un día al Banco del Comercio "Bancomer" llevando un bolso
lleno hasta el tope de dinero...
Insistía ante la ventanilla, solicitando que quería hablar única y
exclusivamente con el Presidente del Banco para abrir una cuenta de
ahorros, para lo cual decía: "Comprenda Ud., es mucho dinero".
Después de mucho discutir, la llevaron ante el Presidente del Banco,
respetando el concepto de que el cliente tiene siempre la razón.
El Presidente del Banco inquirió: -¿Cuál es la cantidad que Ud. desea
ingresar?
Ella dijo: USD$165.000,00 -y automáticamente vació su bolso encima de la
mesa.
El Presidente, naturalmente, sintió una gran curiosidad por saber de dónde
habría sacado la viejita tanto dinero y le preguntó:
-Señora, me sorprende que lleve tanto dinero encima, realmente es mucha
cantidad... -y acto seguido le preguntó: -¿Cómo lo ha conseguido?
La viejecita contestó: -"Es simple, hago apuestas".
-Apuestas? -preguntó el Presidente- ¿qué tipo de apuestas?
La viejecita contestó: -"Bueno, todo tipo de apuestas; por ejemplo le
apuesto a Ud., USD$25.000,00 a que sus pelotas son cuadradas!"
El Presidente soltó una carcajada y dijo: -"Esa es una apuesta estúpida...
Ud., nunca podrá ganar una apuesta de ese tipo".
La viejecita lo desafió.
-Bueno ya le dije que hago apuestas; está Ud., dispuesto a aceptar mi
apuesta...?
-Por supuesto -respondió el Presidente: -Apuesto USD$25.000,00 a que mis
pelotas no son cuadradas...
La viejecita dijo: -"De acuerdo, pero como hay mucho dinero en juego...,
¿puedo venir mañana a las 10:00 AM con mi abogado para que nos sirva de
testigo?
-Por supuesto -respondió el Presidente, teniendo en cuenta que se apostaba
dinero.
Aquella noche, el Presidente estaba muy nervioso por la apuesta. Pasó largo
tiempo mirándose sus pelotas en el espejo; volviéndose de un lado para
otro, una y otra vez. Se hizo un riguroso examen y quedó absolutamente
convencido de que sus pelotas no eran cuadradas y que ganaría la apuesta.
A la mañana siguiente a las 10:00 en punto, la viejecita apareció con su
Abogado en la Oficina del Presidente. Hizo las pertinentes presentaciones y
repitió la apuesta de USD$25.000,00 a que las pelotas del Presidente son
cuadradas.
El Presidente aceptó nuevamente la apuesta y la viejecita le pidió que se
bajara los pantalones para mostrar sus pelotas.
El Presidente se bajó sus pantalones y la viejita s e acercó y miró sus
pelotas detenidamente y le preguntó tímidamente si las podía tocar;
expresando: -Tenga Ud., en cuenta que es mucho dinero y debo cerciorarme.
-Bien, de acuerdo -dijo el Presidente convencido que USD$25.000,00 es mucho
dinero: -y comprendo que quiera estar absolutamente segura.
La viejita se acercó al Presidente y agarrándole empezó a palpar sus bolas;
paralelo a lo cual el Presidente se dio cuenta de que el Abogado estaba
golpeándose la cabeza contra la pared.
El Presidente preguntó a la viejita: -Y ahora que le pasa a su Abogado?
Ella contestó: -"Nada, sólo que he apostado con él USD$100.000,00 a que hoy
a las 10:00 de la mañana tendría las pelotas del Presidente de Bancomer en
mis manos".
lleno hasta el tope de dinero...
Insistía ante la ventanilla, solicitando que quería hablar única y
exclusivamente con el Presidente del Banco para abrir una cuenta de
ahorros, para lo cual decía: "Comprenda Ud., es mucho dinero".
Después de mucho discutir, la llevaron ante el Presidente del Banco,
respetando el concepto de que el cliente tiene siempre la razón.
El Presidente del Banco inquirió: -¿Cuál es la cantidad que Ud. desea
ingresar?
Ella dijo: USD$165.000,00 -y automáticamente vació su bolso encima de la
mesa.
El Presidente, naturalmente, sintió una gran curiosidad por saber de dónde
habría sacado la viejita tanto dinero y le preguntó:
-Señora, me sorprende que lleve tanto dinero encima, realmente es mucha
cantidad... -y acto seguido le preguntó: -¿Cómo lo ha conseguido?
La viejecita contestó: -"Es simple, hago apuestas".
-Apuestas? -preguntó el Presidente- ¿qué tipo de apuestas?
La viejecita contestó: -"Bueno, todo tipo de apuestas; por ejemplo le
apuesto a Ud., USD$25.000,00 a que sus pelotas son cuadradas!"
El Presidente soltó una carcajada y dijo: -"Esa es una apuesta estúpida...
Ud., nunca podrá ganar una apuesta de ese tipo".
La viejecita lo desafió.
-Bueno ya le dije que hago apuestas; está Ud., dispuesto a aceptar mi
apuesta...?
-Por supuesto -respondió el Presidente: -Apuesto USD$25.000,00 a que mis
pelotas no son cuadradas...
La viejecita dijo: -"De acuerdo, pero como hay mucho dinero en juego...,
¿puedo venir mañana a las 10:00 AM con mi abogado para que nos sirva de
testigo?
-Por supuesto -respondió el Presidente, teniendo en cuenta que se apostaba
dinero.
Aquella noche, el Presidente estaba muy nervioso por la apuesta. Pasó largo
tiempo mirándose sus pelotas en el espejo; volviéndose de un lado para
otro, una y otra vez. Se hizo un riguroso examen y quedó absolutamente
convencido de que sus pelotas no eran cuadradas y que ganaría la apuesta.
A la mañana siguiente a las 10:00 en punto, la viejecita apareció con su
Abogado en la Oficina del Presidente. Hizo las pertinentes presentaciones y
repitió la apuesta de USD$25.000,00 a que las pelotas del Presidente son
cuadradas.
El Presidente aceptó nuevamente la apuesta y la viejecita le pidió que se
bajara los pantalones para mostrar sus pelotas.
El Presidente se bajó sus pantalones y la viejita s e acercó y miró sus
pelotas detenidamente y le preguntó tímidamente si las podía tocar;
expresando: -Tenga Ud., en cuenta que es mucho dinero y debo cerciorarme.
-Bien, de acuerdo -dijo el Presidente convencido que USD$25.000,00 es mucho
dinero: -y comprendo que quiera estar absolutamente segura.
La viejita se acercó al Presidente y agarrándole empezó a palpar sus bolas;
paralelo a lo cual el Presidente se dio cuenta de que el Abogado estaba
golpeándose la cabeza contra la pared.
El Presidente preguntó a la viejita: -Y ahora que le pasa a su Abogado?
Ella contestó: -"Nada, sólo que he apostado con él USD$100.000,00 a que hoy
a las 10:00 de la mañana tendría las pelotas del Presidente de Bancomer en
mis manos".
giovedì 22 agosto 2013
mercoledì 21 agosto 2013
lunedì 19 agosto 2013
Sans Souci, seconda e ultima parte
Historia perdida del Sans Souci (II y final)
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
17 de Agosto del 2013 20:48:55 CDT
Tan desfavorable fue para el cabaré la propaganda que se hizo con
motivo del razzle-dazzle —aquel extraño y apenas comprensible juego de
ocho dados en el que los incautos creían tener asegurado el triunfo
siempre que no dejaran de doblar la apuesta—, que en 1953 su nuevo
administrador pensó en cambiar el nombre del establecimiento.
«Copahabana» pareció en un primer momento un buen término, pero al
final se decidió que el nightclub-casino siguiera llamándose como
hasta entonces, pues su nombre era un hito bien consolidado en la vida
nocturna habanera y una referencia más allá de los límites de la Isla.
El cambio sería más profundo. De entrada, la clientela debía
convencerse de que el establecimiento ofrecía un juego «limpio».
Corría el año de 1955 cuando la administración dispuso la ampliación y
reconstrucción del lugar. Dos años después concluirían las obras, que
contemplaron la remodelación del casino y la instalación de nuevas
máquinas tragamonedas —las llamadas «ladronas de un solo brazo»— y la
construcción de un salón provisto de techo de cristal para que en
noches de lluvia pudiera disfrutarse tranquilamente del espectáculo
que de manera habitual se ofrecía a cielo abierto. Mil cien visitantes
pudieron sentarse entonces de una vez en las áreas de Sans Souci, que
reservó un espacio privado para grandes apostadores quienes, sin
límite de horario, jugaban contra ellos mismos y no contra la casa,
que recaudaba al final un porcentaje de las ganancias. El Nevada
Cocktail Lounge regalaba, en el casino, agradables momentos musicales
independientes de los del espectáculo que se brindaba fuera.
Fue en ese bar donde Santo Trafficante cogió delirio con Tú, mi
delirio, contó a este cronista, en el año 2001, César Portillo de la
Luz, autor del mencionado bolero. El compositor formaba parte de un
grupo musical en el que también figuraba Frank Domínguez, que
amenizaba la noche en el Nevada. Recordó Portillo en aquella
entrevista que, siempre que llegaba al bar, el cabecilla mafioso que
ya para entonces controlaba el cabaré-casino, decía a un cantinero al
que apodaban el Guajiro, y que después trabajó en El Mandarín, que
pidiera al grupo que interpretara Tú, mi delirio para él. Después, en
agradecimiento, les hacía llegar por la misma vía una botella de
champán o un billete de cien dólares que los músicos se repartían a
partes iguales.
El gorrión de París.
El consumo mínimo en el cabaré pasó de tres pesos con cincuenta
centavos a cinco pesos, sin que fuera necesario abonar cantidad alguna
para acceder al casino. Había una cocina de altura en Sans Souci y su
carta-menú era de las más completas entre los centros nocturnos. Los
espectáculos contaban con la participación de un coro de 14 voces,
algo inédito en establecimientos de ese tipo.
Tras su reinauguración, en diciembre de 1957, grandes figuras
internacionales alternaron en su pista con los mejores valores
locales. Vino, entre otros muchos artistas, Edith Piaf, el llamado
gorrión de París. La prensa la presentaba como una grande de Francia,
pero los productores del Sans Souci, luego de contratarla, no estaban
seguros del todo de cómo la acogería un público que, entre whiskys y
caderas en ebullición, apenas tenía otra pretensión que la de pasar el
rato y divertirse. Dio la Piaf instrucciones a los luminotécnicos de
cómo manejar las luces durante su actuación y rechazó el pedido de que
saliera a escena vistiendo un modelo de Patou o de Dior. Lo haría con
su sencillo vestido negro de siempre, una ropa que, por su color
—decía— resaltaba mejor sus gestos y los movimientos de las manos.
Llegó la noche del debut y había de todo entre los espectadores. Desde
admiradores legítimos hasta los que auguraban un fracaso rotundo a la
cancionera, pasando por los que, sin conocerla, agradecían la
posibilidad de poder valorarla de cerca. Fue todo un éxito. Abrió la
Piaf con La vida en rosa y, con su voz raída, continuó sus
interpretaciones para meterse al público en el bolsillo.
Dos grandes producciones presentadas en la pista de Sans Souci
consigna la crónica. Sun Sun Babae, de Rodney, e Iroko Bamba Bamba, de
Alberto Alonso, que se tiene como el espectáculo «más grande y
costoso» que se presentara en un cabaré habanero. Contó con cien
participantes.
En la primera, un grupo de bailarines negros desciende del escenario,
seguido por los reflectores, y se acerca a la mesa ocupada por una
muchacha rubia que no puede apartar los ojos de los hombres
semidesnudos que la rodean y que la atraen y la asustan al mismo
tiempo. Terminan ellos levantándola de su asiento y llevándola al
escenario, donde la muchacha se embriaga con el sonido de los tambores
y los cantos cada vez más fuertes, mientras que el público,
hipnotizado y confundido, no sabe bien si aquello forma parte o no del
espectáculo.
De pronto, la rubia, enloquecida, se arranca el vestido y cubierta
apenas por su ropa interior, mínima y provocativa, comienza a bailar.
Sus movimientos se vuelven cada vez más frenéticos y lascivos y los
hombres la alzan y pasa ella de unos brazos a otros hasta que, en
medio de una música in crescendo, sale de su trance, profiere un grito
de turbación y recoge apresuradamente su ropa. Todavía semidesnuda
huye del escenario y atraviesa el salón para salir por una puerta
trasera.
A esa altura, confirman ya los espectadores que la muchacha rubia —en
realidad la bailarina norteamericana Skippy, de Nueva Jersey— no es
una clienta más del cabaré, sino que está incluida en el libreto de la
producción de Rodney y, sorprendidos en su ingenuidad, ríen
discretamente primero y enseguida aplauden a rabiar.
Tiene el cabaré en su elenco a bailarinas del calibre de Sonia Calero
y otra que se hace llamar Cara Melo, a quien la crítica define como la
danza hecha mujer y que personifica como pocas —se dice también— el
espíritu de Sans Souci. En ella tienen puestos los ojos productores de
Broadway.
El Chori no tuvo suerte en Sans Souci y no fue culpable de ello la
gerencia del lugar. El famoso percusionista se presentaba en cabarés
de mala muerte de la Playa de Marianao, en la Quinta Avenida, frente
al Coney Island, cuando lo contrataron para que actuara en Sans Souci
junto a Miguelito Valdés. Cuenta el narrador Leonardo Padura que
además de la paga respetable, el centro nocturno garantizaba al
artista la ropa adecuada, una habitación en el hotel Plaza y un auto
con chofer. Pero aquel hechizo duró poco. Chori no era miembro de la
Asociación de Músicos y eso lo invalidaba para actuar en lugares de
aquella categoría. Si no obedecía, le aplicaban la Ley de Estaca. Es
decir, lo apaleaban al final de las funciones. Y Chori volvió a la
Playa, a su vieja existencia pacífica de rones baratos y noches de
música despreocupada.
Sans Souci parecía no escatimar recursos en el empeño de írsele por
arriba a Tropicana y al cabaré Montmartre, del Vedado. Solo que, como
afirmó el maestro Portillo de la Luz en la entrevista aludida, «cuando
Sans Souci comenzó a despegar en grande, ya el prestigio de Tropicana
estaba consolidado».
Además de Edith Piaf, en la temporada 1957-1958 desfilaron por su
pista Denis Darcel, Ilona Massey y Cab Calloway, Dorothy Dandridge,
Joanne Gilbert y Tony Martin, entre otras figuras del mundo del
espectáculo norteamericano y europeo. Y para la temporada siguiente
pensaba la gerencia del cabaré contratar a Marlene Dietrich, Liberace
y Susan Hayward como animadores de sus noches.
Por otra parte, el cabaré ofreció a Rocky Marciano, campeón mundial de
boxeo de los pesos completos que se había retirado invicto, 350 000
dólares si aceptaba enfrentarse, en la propia instalación, al Niño
Valdés, su antiguo retador cubano. Pero Marciano no aceptó la
propuesta. El hecho podría dar pie a una sabrosa crónica. Sucedió que,
durante un entrenamiento, el Niño, con intención o sin ella, propinó
un puñetazo al campeón del mundo que lo envió a la lona. De más está
decir que hasta ahí llegó el cubano como esparring del campeón, pero
se convirtió en su retador. Marciano nunca le dio la pelea.
La última noche.
El año de 1957 fue bueno para Santo Trafficante. El 12 de marzo pidió
permiso de residencia permanente en Cuba a fin de vigilar de cerca sus
intereses en La Habana. A esa altura, además de Sans Souci, controlaba
una agencia de contratación de artistas y, se asegura, llegaría a ser
propietario o tendría intereses mayoritarios en el hotel Deauville, un
edificio de 140 habitaciones situado en la esquina de Galiano y
Malecón, y era completamente suya la concesión del juego en esa
instalación. Controlaba asimismo el hotel Comodoro, con su casino, y
tenía una participación en la concesión del juego en Tropicana. Sus
intereses se extendían también —se dice—, al casino del hotel Capri.
Frank Ragano, que fue abogado de Trafficante durante la estancia del
gánster en Cuba, y después, dijo en un libro que publicó tras la
muerte de su jefe y en el que reveló no pocos de sus peores delitos,
que una noche Trafficante lo hizo pasar a través de uno de los
servicios sanitarios para caballeros de Sans Souci a una habitación
que permanecía cerrada con llave. La pared del fondo estaba llena de
cajas de seguridad. En esas cajas, explicó Trafficante a su abogado,
cubanos ricos guardaban cocaína para consumo propio.
Llegó así el 31 de diciembre de 1958. El último día de ese año no
parecía que sería distinto a los demás, pese a que el Ejército Rebelde
tendía un cerco elástico en torno a la ciudad de Santiago de Cuba, y
Santa Clara estaba a punto de caer en manos de la guerrilla, mientras
que la dictadura de Batista ahogaba a La Habana en un mar de sangre.
Esa noche actuaban en el Sans Souci el cuarteto D’Aida y se presentaba
Sabor y souvenir de Haití, producción del coreógrafo Víctor Álvarez,
con Martha Jean-Claude, Míriam Barrera, Nancy Álvarez y los bailarines
Ana Gloria y Ferrán.
Había concluido ya el show cuando Meyer Lansky llegó a la instalación.
Se enteró en el hotel Plaza de la huida de Batista y al igual que lo
había hecho ya en otros casinos, recomendó a Trafficante que recogiera
todo el dinero y cerrara el local. Trafficante sacó el dinero, pero
demoró en cerrar el establecimiento. A la vuelta de pocas horas el
casino de Sans Souci, invadido por el pueblo, estaba destrozado.
¿También destrozó la multitud el cabaré? Viejos trabajadores
gastronómicos contaron a este escribidor que en la madrugada del 1ro.
de enero grupos airados quisieron penetrar en Tropicana y que los
empleados del lugar lo impidieron, lo que no sucedió en Sans Souci,
que quedó totalmente destruido, por lo que también el cabaré, y no
solo el casino, cerró sus puertas a partir de entonces. Sin embargo,
la prensa inserta los anuncios de los espectáculos que allí se
exhibieron en los dos meses iniciales de 1959. Tangolandia, en enero,
con Rolando Laserie, Nancy Álvarez y Ana Gloria, y Sabor, en febrero,
también con Nancy Álvarez. ¿Se presentaron allí esos espectáculos o se
trata de anuncios pagados de antemano y que no respondían ya a la
realidad? Otro punto oscuro en la historia de este famoso centro
nocturno habanero.
Ciro Bianchi Ross
ciro@jrebelde.cip.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
Storia perduta del Sans Soucì (II parte e fine)
Fu tanto sfavorevole la propaganda che si fece al cabaret con mira al “razzle-dazzle” - quello strano e incomprensibile gioco con otto dadi nel quale gli ingenui credevano da ever assicurato il successo sempre che raddoppiassero la posta – che nel 1953 il nuovo amministratore pensò di cambiare nome al locale. “Copahabana” sembrava all'inizio una buona scelta, ma alla fine si decise che il night club-casinò continuasse a chiamarsi come prima, il suo nome era un fatto ben consolidato nella vita notturna avanera e un riferimento che andava oltre i limiti dell'Isola. Il cambio sarebbe stato più profondo. D'acchito la clientela doveva essere convinta che il locale offriva un gioco “pulito”. Correva l'anno 1955, quando l'amministrazione dispose l'ampliamento e ristrutturazione del luogo. Due anni dopo si conclusero i lavori che contemplavano il rinnovamento del casinò e l'installazione di nuove macchinette mangiasoldi – le cosiddette “ladre con un solo braccio” - e la costruzione di un salone provvisto di tetto di vetro perché nelle serate di pioggia si potesse godere tranquillamente dello spettacolo che normalmente si svolgeva all'aperto. Mille e cento visitatori potevano, quindi sedersi contemporaneamente nel Sans Soucì, que aveva riservato uno spazio privato per i grandi giocatori che, senza limite di orario, giocavano fra di loro e non contro la casa che incassava, alla fine, una percentuale sui guadagni. Il Nevada Cocktail Lounge regalava, nel casinò, gradevoli momenti musicali indipendenti dallo spettacolo che si offriva fuori. Fu in questo bar dove Santo Trafficante si innamoro di “Tú mi delirio”, raccontò a questo cronista nell'anno 2001, César Portillo de la Luz, autore del citato bolero. Il compositore faceva parte di un gruppo musicale nel quale figurava anche Frank Domínguez, che amenizzava la sera nel Nevada. Portillo, ricordò, in quell'intervista, che quando arrivava al bar il capoccia mafioso che già da allora controllava il cabaret-casinò, diceva a un barista che chiamavano el guajiro, che poi lavorò nel Mandarín, che chiedesse al gruppo di interpretare “Tú mi delirio” per lui. Dopo, come ringraziamento, gli faceva arrivare per la stessa via una bottiglia di champagne o un biglietto da cento dollari che i musicisti si dividevano in parti uguali.
L'usignolo di Parigi.
La consumazione minima dl cabaret passò da tre pesos e cinquanta centesimi a cinque pesos, senza che fosse necessario lasciare altro per accedere al casinò. C'era un'alta cucina nel Sans Soucì e il suo menù era fra i più completi dei centri notturni. Gli spettacoli contavano con la partecipazione di un coro di 14 voci, qualcosa di inedito in locali di questo tipo.
Dopo la sua inaugurazione, nel dicembre 1957, garndi figure internazionali si alternarono nel suo palco con i migliori artisti locali. Venne, tra molti altri artisti Edith Piaf, soprannominata l'usignolo di Parigi. La stampa la presentò come una grande di Francia, ma i produttori del Sans Soucì, dopo averla contrattata non erano del tutto sicuri di come l'avrebbe accolta un pubblico che, tra whisky e anche traboccanti, aveva solo la pretesa di passare il tempo e divertirsi un po'. La Piaf diede istruzioni ai tecnici delle luci di come manovrare i riflettori durante il suo numero e respinse la richiesta di entrare in scena vestendo un abito di Patou o di Dior. Lo fece col suo vestito nero di sempre, un capo che – diceva – risaltava meglio i suoi gesti e i movimenti delle mani. Giunse la sera del debutto e tra il pubblico c'era di tutto. Da ammiratori legittimi a coloro che auguravano un fiasco alla cantante, passando per quelli che senza conoscerla, ringraziavano la possibilità di poterla valutare da vicino. Fu un grande successo. La Piaf aprì con “La vie en rose” e con la sua voce roca, continuò le sue interpretazioni per mettersi in tasca il pubblico.
La cronaca segnala altre due grandi produzioni presentate sul palco del Sans Soucì. Sun Sun Babae, di Rodney, e Iroko Bamba Bamba di Alberto Alonso che si tennero come lo “spettacolo più grande e costoso” che si presentasse in un cabaret avanero e contavano con cento partecipanti in scena.
Nella prima, un gruppo di ballerini negri scende dallo scenario, seguito dai riflettori e si avvicina al tavolo occupato da una ragazza bionda che non riesce a distogliere lo sguardo dagli uomini seminudi che la circondano, la attraggono e la spaventano allo stesso tempo. Poi terminano sollevandola dalla sua sedia e portandola sullo scenario, dove la ragazza si ubriaca col ritmo dei tamburi e i canti sempre più forti, mentre il pubblico, ipnotizzato e confuso, non sa bene se quello fa parte dello spettacolo o no.
Improvvisamente la bionda, impazzita si strappa il vestito e coperta solo con l'intimo, ridotto al minimo e provocante, comincia a ballare. I suoi movimenti diventano sempre più frenetici e lascivi, gli uomini la sollevano e lei passa da un abbraccio all'altro finoa che in mezzo a un crescendo di musica, esce dalla trance, lancia un grido di perturbazione e raccoglie in fretta la sua roba. Ancora seminuda fugge dallo scenario e attraversa il salone per uscire da una porta posteriore.
A questo punto, gli spettatori hanno la conferma che la ragazza bionda – in realtà la ballerina nordamericana Skippy, del New jersey – non è una cliente del cabaret, ma fa parte della coreografia della produzione di Rodney e sorpresi per la propria ingenuità, dapprima ridono discretamente per poi prorompere in un applauso frenetico.
Il cabaret aveva nel suo cast un elenco di ballerine del calibro di Sonia Calero
e un'altra che si faceva chiamare Cara Melo (cara mella n.d.t.) che la critica definiva come la danza fatta donna e che impersona come poche – si dice anche – lo spirito del sans Soucì. In lei sono posti gli occhi dei produttori di Broadway.
El Chori non ebbe fortuna nel Sans Soucì e di questo non ebe colpa la gestione del luogo. Il famoso percussionista si presentava in cabaret di quart'ordine della playa di Marianao, nella Quinta Avenida, di fronte al Coney Island, quando lo contrattarono perché attuasse al Sans Soucì assieme a Miguelito Valdés. Il narratore Leonardo Padura racconta che oltre a un compenso rispettabile, il centro notturno garantiva all'artista i vestiti adeguati, una camera all'hotel Plaza e un'auto con autista. Però quell'incantesimo durò poco. Chori non era membro dell'Associazione dei Musicisti e questo gli vietava di lavorare in locali di quella categoria. Se non avesse obbedito gli avrebbero applicato la Legge del Bastone. Ovvero lo avrebbero bastonato alla fine degli spettacoli. Così Chori tornò alla Playa, alla sua vecchia esistenza tranquilla di rum economico e serate di musica senza pensieri.
Sans Soucì sembrava non risparmiare risorse nell'impegno di superare il Tropicana e il cabaret Montmartre del Vedado. Solo che, come affermò il maestro Portillo de la Luz nella citata intervista, “quando Sans Soucì cominciò a decollare alla grande, il prestigio del Tropicana era già consolidato”.
Oltre a Edith Piaf, nella stagione 1957-1958, sono passati per il suo palco Denis Darcel, Ilona Massey e Cab calloway, Dorothy Dandridge, Joanne Gilbert e Tony Martin, far le altre figure del mondo dello spettacolo nordamericano e europeo. Per la stagione seguente la gerenza del cabaret pensava di contrattare Marlene Dietrich, Liberace e Susan Hayward come animatori delle serate.
Inoltre il cabaret offrì a Rocky Marciano, campione mondiale dei pesi massimi che si era ritirato imbattuto, 350.000 dollari se accettava incontrare, in quella installazione, il Niño Valdés, suo antico sfidante cubano. Marciano però non accettò la proposta. Il fatto poteva dar piede a una cronaca saporita. Successe che durante un allenamento, il Niño, con intenzione o senza, dette un cazzotto al campione del mondo che lo mise al tappeto. Inutile dire che terminò li la carriera del cubano come sparring partner del campione, però si convertì nel suo sfidante. Marciano non accettò mai l'incontro.
L'ultima notte.
L'anno 1957 fu buono per Santo Trafficante. Il 12 marzo chiese il permesso di residenza permanente a Cuba al fine di sorvegliare da vicino i suoi interessi all'Avana. A questo punto,oltre a Sans Soucì, controllava un'agenzia di contrattazione di artisti e, si dava per certo, sarebbe giunto a essere proprietario o avere la maggioranza nell'hotel Deauville, un edificio di 140 camere sito all'angolo di Galiano e Malecón ed era completamente sua la concessione del gioco in questa installazione. Controllava anche l'hotel Comodoro, col suo casinò e aveva una partecipazione nel gioco al Tropicana. I suoi interssi si estendevano anche – si dice – al casinò dell'hotel Capri.
Frank ragano, che fu avvocato di Trafficante durante il soggiorno del gangster a Cuba, e anche dopo, in un libro che scrisse e pubblicò dopo la morte del suo capo e nel quale rivelò non pochi dei suoi peggiori delitti, che una sera Trafficante lo fece passare attraverso uno dei servizi sanitari per uomini del Sans Soucì a una stanza che rimaneva chiusa a chiave. La parete di fondo era piena di cassette di sicurezza. In queste cassette, spiegò Trafficante, al suo avvocato, alcuni cubani ricchi tenevano la cocaina per proprio uso.
Giunse così il 31 dicembre del 1958. L'ultimo giorno di quell'anno non sembrava diverso agli altri, nonostante l'Esercito Rebelde tendese un cerchio elastico attorno alle città di Santiago de Cuba, e Santa Clara stesse per cadere in mano alla guerriglia, mentre la dittatura di Batista affogava l'Avana in un mare di sangue. Quella sera era di scena al Sans Soucì il quartetto D'Aida e si presentava Sapore e souvenir di Haiti, produzione del coreografo Victor Álvarez, con Martha Jean-Claude, Miriam Barrera, Nancy Álvarez e i ballerini Ana Gloria e Ferrán.
Lo spettacolo si era già concluso quando Meyer lansky giunse al locale. Aveva saputo all'hotel Plaza della fuga di Batista e allo stesso modo che aveva fatto in altri casinò, raccomandò a Trafficante di raccogliere tutti i soldi e chiudere il locale. Trafficante prese i soldi, ma ritardò nella chiusura del locale. Nel giro di poche ore il casinò del Sans Soucì, invaso dal popolo venne distrutto. La moltitudine distrusse anche il cabaret? Vecchi lavoratori del settore raccontarono a questo scriba che all'alba del 1° gennaio, gruppi agitati vollero penetrare nel Tropicana e che i lavoratori del posto lo impedirono, cosa che non successe al Sans Soucì che rimase completamente distrutto, pertanto non solo il casinò, ma anche il cabaret chiuse le sue porte da allora. Senza dubbio, la stampa includeva gli annunci degli spettacoli che si tenevano li anche nei due mesi iniziali del 1959. “Tangolandia” in gennaio, con Rolando Laserie, Nancy, Álvarez e Ana Gloria, e “Sabor” in febbraio anche questo con Nancy Álvarez. Si presentarono questi spettacoli o si trattava di annunci pagati in precedenza e che in realtà non si tennero? Altro punto oscuro di questo famoso centro notturno avanero.
(Nota del Traduttore: immagino che se il locale venne distrutto, non si poterono tenere gli spettacoli, ma io non c'ero...)
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
17 de Agosto del 2013 20:48:55 CDT
Tan desfavorable fue para el cabaré la propaganda que se hizo con
motivo del razzle-dazzle —aquel extraño y apenas comprensible juego de
ocho dados en el que los incautos creían tener asegurado el triunfo
siempre que no dejaran de doblar la apuesta—, que en 1953 su nuevo
administrador pensó en cambiar el nombre del establecimiento.
«Copahabana» pareció en un primer momento un buen término, pero al
final se decidió que el nightclub-casino siguiera llamándose como
hasta entonces, pues su nombre era un hito bien consolidado en la vida
nocturna habanera y una referencia más allá de los límites de la Isla.
El cambio sería más profundo. De entrada, la clientela debía
convencerse de que el establecimiento ofrecía un juego «limpio».
Corría el año de 1955 cuando la administración dispuso la ampliación y
reconstrucción del lugar. Dos años después concluirían las obras, que
contemplaron la remodelación del casino y la instalación de nuevas
máquinas tragamonedas —las llamadas «ladronas de un solo brazo»— y la
construcción de un salón provisto de techo de cristal para que en
noches de lluvia pudiera disfrutarse tranquilamente del espectáculo
que de manera habitual se ofrecía a cielo abierto. Mil cien visitantes
pudieron sentarse entonces de una vez en las áreas de Sans Souci, que
reservó un espacio privado para grandes apostadores quienes, sin
límite de horario, jugaban contra ellos mismos y no contra la casa,
que recaudaba al final un porcentaje de las ganancias. El Nevada
Cocktail Lounge regalaba, en el casino, agradables momentos musicales
independientes de los del espectáculo que se brindaba fuera.
Fue en ese bar donde Santo Trafficante cogió delirio con Tú, mi
delirio, contó a este cronista, en el año 2001, César Portillo de la
Luz, autor del mencionado bolero. El compositor formaba parte de un
grupo musical en el que también figuraba Frank Domínguez, que
amenizaba la noche en el Nevada. Recordó Portillo en aquella
entrevista que, siempre que llegaba al bar, el cabecilla mafioso que
ya para entonces controlaba el cabaré-casino, decía a un cantinero al
que apodaban el Guajiro, y que después trabajó en El Mandarín, que
pidiera al grupo que interpretara Tú, mi delirio para él. Después, en
agradecimiento, les hacía llegar por la misma vía una botella de
champán o un billete de cien dólares que los músicos se repartían a
partes iguales.
El gorrión de París.
El consumo mínimo en el cabaré pasó de tres pesos con cincuenta
centavos a cinco pesos, sin que fuera necesario abonar cantidad alguna
para acceder al casino. Había una cocina de altura en Sans Souci y su
carta-menú era de las más completas entre los centros nocturnos. Los
espectáculos contaban con la participación de un coro de 14 voces,
algo inédito en establecimientos de ese tipo.
Tras su reinauguración, en diciembre de 1957, grandes figuras
internacionales alternaron en su pista con los mejores valores
locales. Vino, entre otros muchos artistas, Edith Piaf, el llamado
gorrión de París. La prensa la presentaba como una grande de Francia,
pero los productores del Sans Souci, luego de contratarla, no estaban
seguros del todo de cómo la acogería un público que, entre whiskys y
caderas en ebullición, apenas tenía otra pretensión que la de pasar el
rato y divertirse. Dio la Piaf instrucciones a los luminotécnicos de
cómo manejar las luces durante su actuación y rechazó el pedido de que
saliera a escena vistiendo un modelo de Patou o de Dior. Lo haría con
su sencillo vestido negro de siempre, una ropa que, por su color
—decía— resaltaba mejor sus gestos y los movimientos de las manos.
Llegó la noche del debut y había de todo entre los espectadores. Desde
admiradores legítimos hasta los que auguraban un fracaso rotundo a la
cancionera, pasando por los que, sin conocerla, agradecían la
posibilidad de poder valorarla de cerca. Fue todo un éxito. Abrió la
Piaf con La vida en rosa y, con su voz raída, continuó sus
interpretaciones para meterse al público en el bolsillo.
Dos grandes producciones presentadas en la pista de Sans Souci
consigna la crónica. Sun Sun Babae, de Rodney, e Iroko Bamba Bamba, de
Alberto Alonso, que se tiene como el espectáculo «más grande y
costoso» que se presentara en un cabaré habanero. Contó con cien
participantes.
En la primera, un grupo de bailarines negros desciende del escenario,
seguido por los reflectores, y se acerca a la mesa ocupada por una
muchacha rubia que no puede apartar los ojos de los hombres
semidesnudos que la rodean y que la atraen y la asustan al mismo
tiempo. Terminan ellos levantándola de su asiento y llevándola al
escenario, donde la muchacha se embriaga con el sonido de los tambores
y los cantos cada vez más fuertes, mientras que el público,
hipnotizado y confundido, no sabe bien si aquello forma parte o no del
espectáculo.
De pronto, la rubia, enloquecida, se arranca el vestido y cubierta
apenas por su ropa interior, mínima y provocativa, comienza a bailar.
Sus movimientos se vuelven cada vez más frenéticos y lascivos y los
hombres la alzan y pasa ella de unos brazos a otros hasta que, en
medio de una música in crescendo, sale de su trance, profiere un grito
de turbación y recoge apresuradamente su ropa. Todavía semidesnuda
huye del escenario y atraviesa el salón para salir por una puerta
trasera.
A esa altura, confirman ya los espectadores que la muchacha rubia —en
realidad la bailarina norteamericana Skippy, de Nueva Jersey— no es
una clienta más del cabaré, sino que está incluida en el libreto de la
producción de Rodney y, sorprendidos en su ingenuidad, ríen
discretamente primero y enseguida aplauden a rabiar.
Tiene el cabaré en su elenco a bailarinas del calibre de Sonia Calero
y otra que se hace llamar Cara Melo, a quien la crítica define como la
danza hecha mujer y que personifica como pocas —se dice también— el
espíritu de Sans Souci. En ella tienen puestos los ojos productores de
Broadway.
El Chori no tuvo suerte en Sans Souci y no fue culpable de ello la
gerencia del lugar. El famoso percusionista se presentaba en cabarés
de mala muerte de la Playa de Marianao, en la Quinta Avenida, frente
al Coney Island, cuando lo contrataron para que actuara en Sans Souci
junto a Miguelito Valdés. Cuenta el narrador Leonardo Padura que
además de la paga respetable, el centro nocturno garantizaba al
artista la ropa adecuada, una habitación en el hotel Plaza y un auto
con chofer. Pero aquel hechizo duró poco. Chori no era miembro de la
Asociación de Músicos y eso lo invalidaba para actuar en lugares de
aquella categoría. Si no obedecía, le aplicaban la Ley de Estaca. Es
decir, lo apaleaban al final de las funciones. Y Chori volvió a la
Playa, a su vieja existencia pacífica de rones baratos y noches de
música despreocupada.
Sans Souci parecía no escatimar recursos en el empeño de írsele por
arriba a Tropicana y al cabaré Montmartre, del Vedado. Solo que, como
afirmó el maestro Portillo de la Luz en la entrevista aludida, «cuando
Sans Souci comenzó a despegar en grande, ya el prestigio de Tropicana
estaba consolidado».
Además de Edith Piaf, en la temporada 1957-1958 desfilaron por su
pista Denis Darcel, Ilona Massey y Cab Calloway, Dorothy Dandridge,
Joanne Gilbert y Tony Martin, entre otras figuras del mundo del
espectáculo norteamericano y europeo. Y para la temporada siguiente
pensaba la gerencia del cabaré contratar a Marlene Dietrich, Liberace
y Susan Hayward como animadores de sus noches.
Por otra parte, el cabaré ofreció a Rocky Marciano, campeón mundial de
boxeo de los pesos completos que se había retirado invicto, 350 000
dólares si aceptaba enfrentarse, en la propia instalación, al Niño
Valdés, su antiguo retador cubano. Pero Marciano no aceptó la
propuesta. El hecho podría dar pie a una sabrosa crónica. Sucedió que,
durante un entrenamiento, el Niño, con intención o sin ella, propinó
un puñetazo al campeón del mundo que lo envió a la lona. De más está
decir que hasta ahí llegó el cubano como esparring del campeón, pero
se convirtió en su retador. Marciano nunca le dio la pelea.
La última noche.
El año de 1957 fue bueno para Santo Trafficante. El 12 de marzo pidió
permiso de residencia permanente en Cuba a fin de vigilar de cerca sus
intereses en La Habana. A esa altura, además de Sans Souci, controlaba
una agencia de contratación de artistas y, se asegura, llegaría a ser
propietario o tendría intereses mayoritarios en el hotel Deauville, un
edificio de 140 habitaciones situado en la esquina de Galiano y
Malecón, y era completamente suya la concesión del juego en esa
instalación. Controlaba asimismo el hotel Comodoro, con su casino, y
tenía una participación en la concesión del juego en Tropicana. Sus
intereses se extendían también —se dice—, al casino del hotel Capri.
Frank Ragano, que fue abogado de Trafficante durante la estancia del
gánster en Cuba, y después, dijo en un libro que publicó tras la
muerte de su jefe y en el que reveló no pocos de sus peores delitos,
que una noche Trafficante lo hizo pasar a través de uno de los
servicios sanitarios para caballeros de Sans Souci a una habitación
que permanecía cerrada con llave. La pared del fondo estaba llena de
cajas de seguridad. En esas cajas, explicó Trafficante a su abogado,
cubanos ricos guardaban cocaína para consumo propio.
Llegó así el 31 de diciembre de 1958. El último día de ese año no
parecía que sería distinto a los demás, pese a que el Ejército Rebelde
tendía un cerco elástico en torno a la ciudad de Santiago de Cuba, y
Santa Clara estaba a punto de caer en manos de la guerrilla, mientras
que la dictadura de Batista ahogaba a La Habana en un mar de sangre.
Esa noche actuaban en el Sans Souci el cuarteto D’Aida y se presentaba
Sabor y souvenir de Haití, producción del coreógrafo Víctor Álvarez,
con Martha Jean-Claude, Míriam Barrera, Nancy Álvarez y los bailarines
Ana Gloria y Ferrán.
Había concluido ya el show cuando Meyer Lansky llegó a la instalación.
Se enteró en el hotel Plaza de la huida de Batista y al igual que lo
había hecho ya en otros casinos, recomendó a Trafficante que recogiera
todo el dinero y cerrara el local. Trafficante sacó el dinero, pero
demoró en cerrar el establecimiento. A la vuelta de pocas horas el
casino de Sans Souci, invadido por el pueblo, estaba destrozado.
¿También destrozó la multitud el cabaré? Viejos trabajadores
gastronómicos contaron a este escribidor que en la madrugada del 1ro.
de enero grupos airados quisieron penetrar en Tropicana y que los
empleados del lugar lo impidieron, lo que no sucedió en Sans Souci,
que quedó totalmente destruido, por lo que también el cabaré, y no
solo el casino, cerró sus puertas a partir de entonces. Sin embargo,
la prensa inserta los anuncios de los espectáculos que allí se
exhibieron en los dos meses iniciales de 1959. Tangolandia, en enero,
con Rolando Laserie, Nancy Álvarez y Ana Gloria, y Sabor, en febrero,
también con Nancy Álvarez. ¿Se presentaron allí esos espectáculos o se
trata de anuncios pagados de antemano y que no respondían ya a la
realidad? Otro punto oscuro en la historia de este famoso centro
nocturno habanero.
Ciro Bianchi Ross
ciro@jrebelde.cip.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
Storia perduta del Sans Soucì (II parte e fine)
Fu tanto sfavorevole la propaganda che si fece al cabaret con mira al “razzle-dazzle” - quello strano e incomprensibile gioco con otto dadi nel quale gli ingenui credevano da ever assicurato il successo sempre che raddoppiassero la posta – che nel 1953 il nuovo amministratore pensò di cambiare nome al locale. “Copahabana” sembrava all'inizio una buona scelta, ma alla fine si decise che il night club-casinò continuasse a chiamarsi come prima, il suo nome era un fatto ben consolidato nella vita notturna avanera e un riferimento che andava oltre i limiti dell'Isola. Il cambio sarebbe stato più profondo. D'acchito la clientela doveva essere convinta che il locale offriva un gioco “pulito”. Correva l'anno 1955, quando l'amministrazione dispose l'ampliamento e ristrutturazione del luogo. Due anni dopo si conclusero i lavori che contemplavano il rinnovamento del casinò e l'installazione di nuove macchinette mangiasoldi – le cosiddette “ladre con un solo braccio” - e la costruzione di un salone provvisto di tetto di vetro perché nelle serate di pioggia si potesse godere tranquillamente dello spettacolo che normalmente si svolgeva all'aperto. Mille e cento visitatori potevano, quindi sedersi contemporaneamente nel Sans Soucì, que aveva riservato uno spazio privato per i grandi giocatori che, senza limite di orario, giocavano fra di loro e non contro la casa che incassava, alla fine, una percentuale sui guadagni. Il Nevada Cocktail Lounge regalava, nel casinò, gradevoli momenti musicali indipendenti dallo spettacolo che si offriva fuori. Fu in questo bar dove Santo Trafficante si innamoro di “Tú mi delirio”, raccontò a questo cronista nell'anno 2001, César Portillo de la Luz, autore del citato bolero. Il compositore faceva parte di un gruppo musicale nel quale figurava anche Frank Domínguez, che amenizzava la sera nel Nevada. Portillo, ricordò, in quell'intervista, che quando arrivava al bar il capoccia mafioso che già da allora controllava il cabaret-casinò, diceva a un barista che chiamavano el guajiro, che poi lavorò nel Mandarín, che chiedesse al gruppo di interpretare “Tú mi delirio” per lui. Dopo, come ringraziamento, gli faceva arrivare per la stessa via una bottiglia di champagne o un biglietto da cento dollari che i musicisti si dividevano in parti uguali.
L'usignolo di Parigi.
La consumazione minima dl cabaret passò da tre pesos e cinquanta centesimi a cinque pesos, senza che fosse necessario lasciare altro per accedere al casinò. C'era un'alta cucina nel Sans Soucì e il suo menù era fra i più completi dei centri notturni. Gli spettacoli contavano con la partecipazione di un coro di 14 voci, qualcosa di inedito in locali di questo tipo.
Dopo la sua inaugurazione, nel dicembre 1957, garndi figure internazionali si alternarono nel suo palco con i migliori artisti locali. Venne, tra molti altri artisti Edith Piaf, soprannominata l'usignolo di Parigi. La stampa la presentò come una grande di Francia, ma i produttori del Sans Soucì, dopo averla contrattata non erano del tutto sicuri di come l'avrebbe accolta un pubblico che, tra whisky e anche traboccanti, aveva solo la pretesa di passare il tempo e divertirsi un po'. La Piaf diede istruzioni ai tecnici delle luci di come manovrare i riflettori durante il suo numero e respinse la richiesta di entrare in scena vestendo un abito di Patou o di Dior. Lo fece col suo vestito nero di sempre, un capo che – diceva – risaltava meglio i suoi gesti e i movimenti delle mani. Giunse la sera del debutto e tra il pubblico c'era di tutto. Da ammiratori legittimi a coloro che auguravano un fiasco alla cantante, passando per quelli che senza conoscerla, ringraziavano la possibilità di poterla valutare da vicino. Fu un grande successo. La Piaf aprì con “La vie en rose” e con la sua voce roca, continuò le sue interpretazioni per mettersi in tasca il pubblico.
La cronaca segnala altre due grandi produzioni presentate sul palco del Sans Soucì. Sun Sun Babae, di Rodney, e Iroko Bamba Bamba di Alberto Alonso che si tennero come lo “spettacolo più grande e costoso” che si presentasse in un cabaret avanero e contavano con cento partecipanti in scena.
Nella prima, un gruppo di ballerini negri scende dallo scenario, seguito dai riflettori e si avvicina al tavolo occupato da una ragazza bionda che non riesce a distogliere lo sguardo dagli uomini seminudi che la circondano, la attraggono e la spaventano allo stesso tempo. Poi terminano sollevandola dalla sua sedia e portandola sullo scenario, dove la ragazza si ubriaca col ritmo dei tamburi e i canti sempre più forti, mentre il pubblico, ipnotizzato e confuso, non sa bene se quello fa parte dello spettacolo o no.
Improvvisamente la bionda, impazzita si strappa il vestito e coperta solo con l'intimo, ridotto al minimo e provocante, comincia a ballare. I suoi movimenti diventano sempre più frenetici e lascivi, gli uomini la sollevano e lei passa da un abbraccio all'altro finoa che in mezzo a un crescendo di musica, esce dalla trance, lancia un grido di perturbazione e raccoglie in fretta la sua roba. Ancora seminuda fugge dallo scenario e attraversa il salone per uscire da una porta posteriore.
A questo punto, gli spettatori hanno la conferma che la ragazza bionda – in realtà la ballerina nordamericana Skippy, del New jersey – non è una cliente del cabaret, ma fa parte della coreografia della produzione di Rodney e sorpresi per la propria ingenuità, dapprima ridono discretamente per poi prorompere in un applauso frenetico.
Il cabaret aveva nel suo cast un elenco di ballerine del calibro di Sonia Calero
e un'altra che si faceva chiamare Cara Melo (cara mella n.d.t.) che la critica definiva come la danza fatta donna e che impersona come poche – si dice anche – lo spirito del sans Soucì. In lei sono posti gli occhi dei produttori di Broadway.
El Chori non ebbe fortuna nel Sans Soucì e di questo non ebe colpa la gestione del luogo. Il famoso percussionista si presentava in cabaret di quart'ordine della playa di Marianao, nella Quinta Avenida, di fronte al Coney Island, quando lo contrattarono perché attuasse al Sans Soucì assieme a Miguelito Valdés. Il narratore Leonardo Padura racconta che oltre a un compenso rispettabile, il centro notturno garantiva all'artista i vestiti adeguati, una camera all'hotel Plaza e un'auto con autista. Però quell'incantesimo durò poco. Chori non era membro dell'Associazione dei Musicisti e questo gli vietava di lavorare in locali di quella categoria. Se non avesse obbedito gli avrebbero applicato la Legge del Bastone. Ovvero lo avrebbero bastonato alla fine degli spettacoli. Così Chori tornò alla Playa, alla sua vecchia esistenza tranquilla di rum economico e serate di musica senza pensieri.
Sans Soucì sembrava non risparmiare risorse nell'impegno di superare il Tropicana e il cabaret Montmartre del Vedado. Solo che, come affermò il maestro Portillo de la Luz nella citata intervista, “quando Sans Soucì cominciò a decollare alla grande, il prestigio del Tropicana era già consolidato”.
Oltre a Edith Piaf, nella stagione 1957-1958, sono passati per il suo palco Denis Darcel, Ilona Massey e Cab calloway, Dorothy Dandridge, Joanne Gilbert e Tony Martin, far le altre figure del mondo dello spettacolo nordamericano e europeo. Per la stagione seguente la gerenza del cabaret pensava di contrattare Marlene Dietrich, Liberace e Susan Hayward come animatori delle serate.
Inoltre il cabaret offrì a Rocky Marciano, campione mondiale dei pesi massimi che si era ritirato imbattuto, 350.000 dollari se accettava incontrare, in quella installazione, il Niño Valdés, suo antico sfidante cubano. Marciano però non accettò la proposta. Il fatto poteva dar piede a una cronaca saporita. Successe che durante un allenamento, il Niño, con intenzione o senza, dette un cazzotto al campione del mondo che lo mise al tappeto. Inutile dire che terminò li la carriera del cubano come sparring partner del campione, però si convertì nel suo sfidante. Marciano non accettò mai l'incontro.
L'ultima notte.
L'anno 1957 fu buono per Santo Trafficante. Il 12 marzo chiese il permesso di residenza permanente a Cuba al fine di sorvegliare da vicino i suoi interessi all'Avana. A questo punto,oltre a Sans Soucì, controllava un'agenzia di contrattazione di artisti e, si dava per certo, sarebbe giunto a essere proprietario o avere la maggioranza nell'hotel Deauville, un edificio di 140 camere sito all'angolo di Galiano e Malecón ed era completamente sua la concessione del gioco in questa installazione. Controllava anche l'hotel Comodoro, col suo casinò e aveva una partecipazione nel gioco al Tropicana. I suoi interssi si estendevano anche – si dice – al casinò dell'hotel Capri.
Frank ragano, che fu avvocato di Trafficante durante il soggiorno del gangster a Cuba, e anche dopo, in un libro che scrisse e pubblicò dopo la morte del suo capo e nel quale rivelò non pochi dei suoi peggiori delitti, che una sera Trafficante lo fece passare attraverso uno dei servizi sanitari per uomini del Sans Soucì a una stanza che rimaneva chiusa a chiave. La parete di fondo era piena di cassette di sicurezza. In queste cassette, spiegò Trafficante, al suo avvocato, alcuni cubani ricchi tenevano la cocaina per proprio uso.
Giunse così il 31 dicembre del 1958. L'ultimo giorno di quell'anno non sembrava diverso agli altri, nonostante l'Esercito Rebelde tendese un cerchio elastico attorno alle città di Santiago de Cuba, e Santa Clara stesse per cadere in mano alla guerriglia, mentre la dittatura di Batista affogava l'Avana in un mare di sangue. Quella sera era di scena al Sans Soucì il quartetto D'Aida e si presentava Sapore e souvenir di Haiti, produzione del coreografo Victor Álvarez, con Martha Jean-Claude, Miriam Barrera, Nancy Álvarez e i ballerini Ana Gloria e Ferrán.
Lo spettacolo si era già concluso quando Meyer lansky giunse al locale. Aveva saputo all'hotel Plaza della fuga di Batista e allo stesso modo che aveva fatto in altri casinò, raccomandò a Trafficante di raccogliere tutti i soldi e chiudere il locale. Trafficante prese i soldi, ma ritardò nella chiusura del locale. Nel giro di poche ore il casinò del Sans Soucì, invaso dal popolo venne distrutto. La moltitudine distrusse anche il cabaret? Vecchi lavoratori del settore raccontarono a questo scriba che all'alba del 1° gennaio, gruppi agitati vollero penetrare nel Tropicana e che i lavoratori del posto lo impedirono, cosa che non successe al Sans Soucì che rimase completamente distrutto, pertanto non solo il casinò, ma anche il cabaret chiuse le sue porte da allora. Senza dubbio, la stampa includeva gli annunci degli spettacoli che si tenevano li anche nei due mesi iniziali del 1959. “Tangolandia” in gennaio, con Rolando Laserie, Nancy, Álvarez e Ana Gloria, e “Sabor” in febbraio anche questo con Nancy Álvarez. Si presentarono questi spettacoli o si trattava di annunci pagati in precedenza e che in realtà non si tennero? Altro punto oscuro di questo famoso centro notturno avanero.
(Nota del Traduttore: immagino che se il locale venne distrutto, non si poterono tenere gli spettacoli, ma io non c'ero...)
domenica 18 agosto 2013
sabato 17 agosto 2013
La mia vita con Umberto Veronesi, di Sultana Razon
E' uscita la autobiografia, annunciata (in famiglia) da anni, di mia cugina Sultana (Susy) Razon, dove racconta la sua vita con riferimento alla deportazione nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, di cui porta ancora il numero tatuato sull'avambraccio, (alla faccia dei negazionisti) i suoi studi da pediatra e il suo lungo matrimonio con il professor Umberto Veronesi che come tutte le storie, è iniziata con un grande amore che è comunque rimasto e poi è proseguita con i suoi alti e bassi, costellata però da due brillanti carriere e sei stupendi figli partoriti, tutti, pur avendo un rene solo.
L'onore e il piacere di avere un grande collaboratore: Ciro Bianchi Ross
Comincia da oggi l'amichevole collaborazione con il Maestro Ciro Bianchi che mi ha inviato, con il permesso di pubblicazione, la storia del cabaret Sans Soucì dell'Avana. Il testo è in lingua spagnola e sotto c'è la traduzione in italiano. Oggi pubblico la prima parte uscita su Juventud Rebelde di domenica scorsa. La seconda parte uscirà domani e dopo la pubblicazione sul giornale sarà riprodotta anche qua. Grazie mille, "Don" Ciro.
Historia perdida del Sans Souci (I)
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
10 de Agosto del 2013 18:49:36 CDT
La historia del cabaré Sans Souci parece haber sido tirada por el
agujero de la memoria. Mientras que investigadores y periodistas,
animados a veces por la propia administración de ese centro nocturno,
se afanan por reconstruir el decursar de Tropicana y discuten hasta el
cansancio el porqué del nombre de la afamada casa de fiestas y cuándo
y dónde se compuso la canción que sirve allí de opening a sus
espectáculos, se va perdiendo la historia de otros cabarés. Sans Souci
no es el único caso.
Por su ambiente exclusivo y su refinada elegancia, Sans Souci llegó a
ser tan famoso como Tropicana. César Portillo de la Luz, el célebre
compositor de Tú, mi delirio y Contigo en la distancia, que trabajó
como músico en el bar de ese establecimiento, dijo a este escribidor
que mientras Tropicana era preferido por extranjeros que visitaban la
Isla, Sans Souci era más de los cubanos. Connotadas figuras
internacionales se hicieron aplaudir en su pista como estrellas de
producciones fastuosas en las que coristas norteamericanas se
convertían en un atractivo añadido. Durante un tiempo, Roderico Neyra,
aquel mulato deformado por la lepra, de baja estatura y sonrisa pícara
que hizo famoso el seudónimo de Rodney, se encargó de sus
coreografías, marcando con estas una forma de hacer y concebir el
espectáculo. Cuando en marzo de 1952 Rodney pasó a Tropicana, ocuparía
su lugar un artista de la talla de Alberto Alonso.
El cabaré habanero tomó su nombre del palacio que Federico II, el
Grande, se hizo construir en Postdam a partir de 1745. Rivalizaba con
el palacio de Versalles de la monarquía francesa, aunque era bastante
más pequeño. Ese edificio fue para el rey de Prusia un lugar de
descanso más que un centro de poder. De ahí su nombre, Sans Souci, que
puede traducirse como «sin preocupaciones». La misma idea animó a los
fundadores del Sans Souci habanero. Querían que la visita de su
clientela transcurriera libre de inquietudes y desvelos en aquella
villa de estilo español situada en la carretera de Arroyo Arenas y que
ofrecía sus espectáculos bajo las estrellas.
El centro nocturno habanero abrió sus puertas tras el fin de la I
Guerra Mundial y el gallego Arsenio Mariño, avecindado en La Habana
desde 1914, fue uno de sus propietarios originales. Allí conoció a la
que sería su esposa, una bailarina alemana que, con el nombre de Las
hermanas Farry, haría con el tiempo pareja con su melliza. De esa
unión nació la excelente actriz, cantante y bailarina cubana Yolanda
Farr, que así lo contó en sus memorias. Se supone que Mariño vendió su
parte a comienzos de los años 30 y se fue a Sudamérica de gira con las
Farry.
Explota el escándalo.
Desconoce el cronista quién o quiénes quedaron como dueños del
establecimiento a la salida de Mariño. Sabe que con el tiempo Sans
Souci pasó a manos de Sammy Mannarino, un gángster de Pittsburg que lo
regenteó en sociedad con su hermano Kelly y hampones de Chicago y
Detroit. Y es con ellos precisamente que se relaciona uno de los
escándalos más sonados del devenir de los juegos de azar en La Habana.
Mannarino y sus socios vendieron a Muscles Martin el derecho a
explotar en su establecimiento el llamado razzle-dazzle, término
comodín que encubría varios juegos de dados y, en especial, una
variante llamada cubolo; un robo a mano armada, pues desplumaba sin
remedio a los incautos —los llamados «primos»— que impelidos por guías
y señuelos —las llamadas «palas»— se sentaban a la mesa con el
convencimiento de que no perderían siempre que no pararan de doblar su
apuesta. El razzle-dazzle, en sus variantes, reportaba a Martin entre
diez mil y treinta mil dólares por noche, de los que entregaba la
mitad a la casa.
Dan C. Smith, abogado norteamericano domiciliado en Los Ángeles, vio,
desde una mesa preferencial, el espectáculo desenfrenado y salvaje que
esa noche ofrecía Sans Souci, y pasó al casino de juego, donde gente
que parecía conocedora le sugirió que jugara al cubolo. Era un juego
incomprensible para él, pero Smith aceptó. Continuó jugando el abogado
y cuando decidió parar había perdido 4 200 dólares de los de entonces.
Cubrió su deuda con un cheque, pero lo embargaba la sensación de haber
sido estafado. Supo que el cubolo no era legal en Cuba y cayó en
cuenta del papel que tenían las «palas» en juegos como ese, azuzando a
apostar al «primo». En cuanto pudo se comunicó con su banco y le pidió
que no hiciese efectivo el documento.
Cuando Norman Rothman, gerente entonces del casino de Sans Souci y
conocido operador de salas de fiesta en Miami Beach —casado con la
explosiva vedette cubana Olga Chaviano— se percató de que Smith no
pagaría la deuda, ordenó a una agencia de California que le reclamase
el dinero. Se mantuvo Smith en sus trece y la agencia contratada para
hacerle pagar lo llevó entonces a juicio. Error. Smith se desempeñaba
como asesor económico del senador Richard M. Nixon, futuro
vicepresidente y, más tarde presidente de Estados Unidos. Suplicó
Smith ayuda a Nixon y el parlamentario pidió al Departamento de Estado
que investigara si era cierto o no si a su consejero lo habían
engañado en un juego de azar fraudulento. El Departamento de Estado se
comunicó con su Embajada en La Habana y se inició una investigación de
las denuncias de Smith y de otros turistas que ponían de relieve que
estafas e ilegalidades abundaban en el mundo del juego. Una campaña
publicitaria, impulsada por Smith, sacaba a flote casos de numerosos
turistas estadounidenses estafados en casinos de la capital de la
Isla.
Aquella propaganda en contra puso al dictador Fulgencio Batista entre
la espada y la pared. Si la cosa seguía como iba, el Gobierno se vería
obligado a poner coto al juego y cerrar los casinos, aunque también
podía suceder que los jugadores, desconfiados, probaran suerte en
Bahamas, México, Puerto Rico, República Dominicana o Haití, que
pugnaban por entrar en el negocio floreciente del juego en el Caribe
de la posguerra.
La cuestión era esta: o Cuba garantizaba un juego «limpio» en los
casinos o la industria del juego desaparecería de la Isla. Batista no
podía recurrir a su propio aparato para buscar remedio al asunto, pues
el gubernamental Instituto Nacional de Turismo estaba penetrado hasta
la médula por dueños y operadores de las casas de juego. El dictador,
sin embargo, tenía un as escondido en la manga. Era Meyer Lansky, el
financiero de la mafia. Llamado por Batista, Lansky regresó a La
Habana a mediados de 1952, y aceptó el puesto de «consejero» para la
reforma del juego que el mandatario cubano le ofrecía, como paso
inicial del saqueo en gran escala que él y Lucky Luciano planearon
para Cuba.
Tendría, eso sí, que hilar fino. El razzle-dazzle, extendido ya a
Tropicana, Jockey Club, Gran Casino Nacional y otros centros
nocturnos, producía mucho dinero, y privar de ese beneficio a los que
los patrocinaban generaría de seguro una respuesta violenta. Lansky no
quiso quedar como el propiciador de esa violencia. De ahí que se
limitara a atizar el fuego sin meter por ello las manos en la candela.
Se empeñó en demostrar que un casino bien llevado era un casino
rentable y que un establecimiento de ese tipo no tenía necesidad de
recurrir a la trampa para conseguir ventaja. Le entró al asunto
lentamente y con manos de seda. Se convirtió en dueño mayoritario del
Montmartre, el importante cabaret-casino del Vedado. Quería aleccionar
a los que explotaban negocios turbios: el casino más eficaz sería el
que funcionara de la forma más limpia y justa. Por otra parte, su mano
pareció estar detrás del artículo aparecido en una publicación de
EE.UU. con el título de Primos en el paraíso; de cómo los
estadounidenses pierden la camisa en los tugurios de juego en el
Caribe. Ese material ponía en evidencia al casino del cabaré Sans
Souci y agregaba que hampones norteamericanos desplazados figuraban
como socios o concesionarios en cuatro de los cinco casinos de La
Habana, mientras que el Montmartre aparecía citado como el único de
esos establecimientos que no permitía el razzle-dazzle.
Con casco y bayoneta calada.
Dos días después de publicado el artículo, Batista hacía público que
había ordenado al Servicio de Inteligencia Militar (SIM) que detuviera
a 13 de los más connotados jugadores profesionales de razzle-dazzle
empleados de Sans Souci y Tropicana. Decía el New York Times:
«Soldados cubanos con casco y bayoneta calada entraron en los tugurios
de juego y ordenaron poner fin a las partidas de razzle-dazzle. Fusil
en mano vigilaron las entradas de los casinos para impedir que
volvieran las partidas». Al día siguiente salían deportados los 13
jugadores detenidos. Fue una jugada maestra. Meyer Lansky había dado a
sus congéneres su propia versión del razzle-dazzle.
Se imponía un cambio de imagen en Sans Souci. En octubre de 1953,
Santo Trafficante, el zar de Tampa, compró su parte en el club
nocturno a Sammy y Kelly Mannarino. Algunos investigadores son de la
opinión de que ese importante negocio se llevó a cabo por mediación de
Lansky, y quizá del mismo Batista, como parte de una operación de
limpieza.
Lansky y Trafficante no se llevaban bien. El bolitero de Tampa tildaba
siempre de «asqueroso cabrón» al judío neoyorquino del Lower East
Side. Era un rencor—se dice— que venía de atrás. Nacía de la
suposición de que Lansky había usurpado los planes que su padre
trazara pacientemente durante años. El viejo Trafficante, siciliano de
nacimiento, había creado en Cuba un dominio que pensó legar a su hijo.
Para muchos, los Trafficante, padre e hijo, eran los jefes mafiosos de
La Habana. Pero llegó Meyer Lansky y tiró los dados de otra manera.
Entonces gente como Indalecio Pertierra y Paco Prío, que hasta ahí
respondieron a los Trafficante, cambiaron de bando. Trafficante hijo
hablaba el español con soltura y conocía bien la cultura cubana.
Aunque estaba casado en EE.UU., tenía una amante habanera, Rita, ex
bailarina y veinte años más joven, con la que vivía en uno de los
pisos altos del edificio marcado con el número 20 de la calle 12, en
el Vedado. Afirma un historiador norteamericano que Santo Trafficante
podía no tener a Batista en el bolsillo, como lo tenía Lansky, pero
era, después de este, el hombre más poderoso de la mafia en La Habana.
Rediseño y restauración.
Trafficante se rodeó de nuevos colaboradores al asumir el control de
Sans Souci, aunque permitió que Norman Rothman, apodado Roughneck
—algo así como «Matón»—, prosiguiera como director de juegos y gerente
del casino. Su hijo Cappy, fruto de un matrimonio anterior a su
relación con Olga Chaviano, colaboraba en el negocio. De un maletín
esposado a una de sus muñecas, sacaba dinero de La Habana con destino
a EE.UU. Con el tiempo, Cappy sería un destacado especialista en
infertilidad y el creador, en California, del primer banco de
espermatozoides que existió en el mundo.
Lefty Clark, reconocida figura del juego en la Florida, asumió la
administración de Sans Souci, y con esta las tareas de rediseño y
restauración del centro nocturno, en las que se invirtió un millón de
dólares. Pero eso lo veremos el próximo domingo.
(Continuará)
--
Ciro Bianchi Ross
ciro@jrebelde.cip.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
Storia perduta del Sans Soucì
La storia del cabaret sans Soucì pare essere stata gettata nei meandri della memoria. Mentre investigatori e giornalisti animati, a volte, per la propria amministrazione di questo centro notturno, si affannano a ricostruire il decorrere del Tropicana e discutono fino lalo sfinimento il perché del nome della famosa casa delle feste e quando e dove si è composta la canzone che serve di apertura ai suoi spettacoli, si va perdendo la storia di altri cabaret. IL Sans Soucì non è l'unico caso.
Per il suo ambiente esclusivo e la sua eleganza raffinata, il Sans Soucì arrivò ad essere tanto famoso come il Tropicana. Il celebre compositore César Portillo de la Luz, autore di “Tú, mi delirio” e “Contigo en la distancia”, che lavorò come musicista nel bar del centro notturno, disse a questo scrittore che mentre il Tropicana era preferito dagli stranieri che visitavano l'Isola, il Sans Soucì era più per i cubani. Notissime figure internazionali si fecero applaudire nel suo scenario come stelle di produzioni fastose in cui le ballerine nordamericane si trasformavano in valore aggiunto. Per un periodo, Roderico Neyra, quel mulatto deformato dalla lebbra, di bassa statura e dal sorriso furbesco che rese famoso lo pseudonimo di Rodney, si incaricò delle sue coreografie, segnando con esse un modo di fare e concepire lo spettacolo. Quando, nel marzo 1952, Rodney passò al Tropicana, il suo posto venne occupato da un artista della grandezza di Alberto Alonso.
Il cabaret avanero prese nome dal palazzo che Federico II, il Grande, si fece costruire a Postdam a partire dal 1745. Rivaleggiava col palazzo di Versalles della monarchia francese, nonostante fosse molto più piccolo. Questo edificio fu, per il re di Prussia, un luogo di riposo più che un centro di potere. Da li il suo nome, Sans Soucì che si può tradurre in “senza preoccupazioni”. La stessa idea animò i fondatori del Sans Soucì avanero. Volevano che le visite dei loro clienti trascorressero libere da pensieri e inquietudini in quella villa di stile spagnolo sita nella strada di Arroyo Arenas e che offriva i suoi spettacoli sotto le stelle.
Il centro notturno avanero aprì le porte dopo la fine della prima Guerra Mondiale e lo spagnolo Arsenio Mariño, domiciliato all'Avana dal 1914, fu uno dei suoi proprietari all'origine. Li conobbe quella che sarebbe stata sua moglie, una ballerina tedesca che col nome di sorelle Farry, avrebbe formato nel tempo una coppia con la sua gemella. Da questa unione nacque la eccellente attrice, cantante e ballerina cubana Yolanda Farr, che lo raccontò nelle sue memorie. Si presume che Mariño vendette la sua parte all'inizio degli anni '30 e andò in Sudamerica in tourneé con le Farry.
Scoppia lo scandalo.
Ignora il cronista chi o coloro che rimasero padroni del locale all'uscita di scena di Mariño. Sa che col tempo, sans Soucì passò nelle mani di Sammy Mannarino, un gangster di Pittsburg che lo rilevò in società con suo fratello Kelly e malavitosi di Chicago e Detroit. Ed è precisamente con loro che si forma uno degli scandali più roboanti del futuro dei giochi d'azzardo all'Avana. Mannarino e i suoi soci vendettero a Muscles Martin il diritto a usare nel locale il cosiddetto “razzle-dazzle” (gioco con 8 dadi. n.d.t.) e finì che questo servì da base per vari giochi con i dadi, specialmente una variante chiamata “cubolo”: un furto a mano armata che spennava senza scampo gli incauti – i soprannominati “cugini” - che forniti di segnali e riconoscimenti – chiamati “palas” - si sedavno ai tavoli con la convinzione che non avrebbero perso sempre che raddoppiassero la loro posta. Il “razzle-dazzle”, nelle sue varianti, apportava a martin tra dieci e trenta mila dollari per sera, dei quali consegnava la metà alla casa.
Dan C. Smith, avvocato nordamericano domiciliato a Los Angeles, vide da un tavolo privilegiato lo spettacolo sfrenato e selvaggio che quella sera offriva il Sans Soucì, e passò alla sala da gioco dove persone che sembravano conoscitrici gli suggerirono che giocasse al “cubolo”. Era un gioco per lui incomprensibile, però Smith accettò. L'avvocato proseguì giocando e quando decise di fermarsi aveva perso 4.200 dollari, di quelli di allora. Coprì il suo debito con un assegno, però aveva la sensazione di essere stato truffato. Seppe che il “cubolo” non era legale a Cuba e si rese conto del ruolo che avevano le “palas” in giochi come questo, incitando il “cugino” a scommettere. Appena poté si mise in contatto con la sua banca per bloccare il documento.
Quando Norman Rothman gestore allora del casinò del Sans Soucì e noto operatore di sale di feste a Miami Beach – spostao con l'esplosiva vedette cubana Olga Chaviano – si rese conto che Smith non avrebbe pagato il debito, ordinò a un'agenzia della California che gli riscuotesse i soldi. Smith si mantenne nella sua posizione e l'agenzia contrattata per riscuotere lo portò a giudizio. Errore. Smith lavorava come consulente economico del senatore Richard M. Nixon, futuro vicepresidente e, più tardi presidente degli Styati Uniti. Smith chiese aiuto a Nixon e il parlamentare chiese al Dipartimento di Stato di investigare se avessero, o no, ingannato il suo consigliere con un gioco d'azzardo illegale fraudolento.
Il Dipartimento di Stato si mise in contatto con l'Ambasciata all'Avana e si cominciò un'indagine in base alla denuncia di Smith e di altri turisti che facevano notare che truffe e illegalità abbondavano nel mondo del gioco d'azzardo. In una campagna pubblicitaria, promossa da Smith, emergevano casi di numerosi statunitensi truffati nei casinò dell'Isola.
Quella pubblicità negativa mise il dittatore Fulgencio Batista tra la spada e la parete. Se la cosa proseguiva allo stesso modo, il Governo si sarebbe visto obbligato a mettere un freno al gioco e chiudere i casinò, inoltre poteva succedere che i giocatori, diffidenti, provassero la fortuna alle Bahamas, Messico, Porto Rico, Repubblica Dominicana o Haiti, che lottavano per entrare nel fiorente affare del gioco nei Caraibi del dopoguerra.
La questione era: o Cuba garantiva un gioco “pulito” nei casinò o l'industria del gioco sarebbe scomparsa dall'isola. Batista non poteva ricorrere al suo apparato per cercare rimedio all'affare, il governativo Istituto Nazionale del Turismo era infiltrato fino al midollo dei proprietari e gestori di case da gioco. Senza dubbio, il dittatore, aveva un asso nella manica. Era Meyer Lansky, il finanziere della mafia. Chiamato da batista, Lansky tornò all'Avana a metà del 1952, e accettò il posto di “consigliere” per la riforma del gioco che il presidente cubano gli offriva come primo passo verso il saccheggio in grande scala che lui e Lucky Luciano avevano pianificato su Cuba.
Questo doveva filare liscio. Il “razzle-dazzle” già esteso al Tropicana, Jockey Club, Gran Casinò Nacional e altri centri notturni, produceva molto denaro e privare di questo beneficio coloro che lo patrocinavano avrebbe generato di certo una risposta violenta. Lansky non volle apparire come propiziatore di quella violenza, perciò si limitò ad attizzare il fuoco senza mettersi tra le fiamme. Si impegnò a dimostrare che un casinò ben condotto era una casinò redditizio e che un locale di questo tipo non aveva necessità di fare imbrogli per conseguirne vantaggi. Entrò nella faccenda col guanto di velluto. Si convertì nel socio di maggioranza del Montmartre, l'importante cabaret-casinò del Vedado. Voleva isolare coloro che sfruttavano affari torbidi: il casinò più efficace sarebbe stato quello che funzionasse nel modo più pulito e corretto. D'altra parte, la sua mano sembrava essere dietro all'articolo apparso in una pubblicazione apparsa negli stati Uniti con il titolo. “Cugini in paradiso”; su come gli statunitensi perdevano la camicia nei tuguri del gioco nei Caraibi. Questo materiale metteva in evidenza il cabaret Sans Soucì e aggiungeva che malavitosi nordamericani trasferiti figuravano come soci o concessionari in quattro o cinque casinò dell'Avana, mentre il Montmartre era citato come l'unico di quei locali che non permetteva il “razzle-dazzle”.
Con elmo e baionetta inastata.
Due giorni dopo della pubblicazione dell'articolo, Batista rendeva pubblico che aveva ordinato al servizio di Intelligenza Militare (SIM) che arrestasse 13 dei più connotati giocatori professionisti di “razzle-dazzle”. Fucile alla mano, vigilarono le entrate dei casinò per impedire che “tornassero alle partite”. Il giorno seguente furono deportati i 13 giocatori arrestati. Fu na colpo da maestro: Meyer Lansky aveva dato ai suoi soci la propria versione del “razzle-dazzle”.
Si imponeva un cambio di immagine del Sans Soucì. Nell'ottobre 1953, Santo trafficante, lo zar di Tampa, comprò la sua quota del club notturno a Sammy e Kelly Mannarino. Alcuni investigatori sono dell'opinione che questo affare importante si portò a termine per mezzo di Lansky e forse, con lo stesso batista, comeparte dell'operazione di pulizia.
Lansky e Trafficante non si amavano. Il giocatore di dadi di Tampa appellava sempre di “caprone schifoso” l'ebreo newyorkino del lower East Side. Era un rancore – si dice – che veniva da lontano. Nasceva dalla supposizione che Lansky aveva usurpato i piani che suo padre aveva tracciato pazientemente per anni. Il vecchio Trafficante, siciliano di nascita, aveva creato a Cuba un regno che pensava lasciare a suo figlio. Per molti, i Trafficante padre e figlio, erano i capi mafiosi dell'Avana. Però arrivò Meyer Lansky e gettò i dadi in un altro modo. Allora, gente come Indalesio Pertierra e Paco Prío, che fino allora rispondevano ai trafficante, cambiarono bandiera. Trafficante figlio parlava lo spagnolo fluentemente e conosceva la cultura cubana. Nonostante fosse spostato negli U.S.A., aveva un'amante avanera: Rita, ex ballerina e più giovane di vent'anni, con la quale viveva in uno dei piani superiori dell'edificio al numero 20 della calle 12, nel Vedado. Uno storico notrdamericano afferma che Santo Trafficante poteva non tenere nel taschino Batista, come lo aveva Lansky, ma era, dopo di lui, l'uomo della mafia più potente dell'Avana.
Ridisegno e restauro.
Trafficante si circondò di nuovi collaboratori nell'assumere il controllo del sans Soucì, anche se permise che Norman Rothman, soprannominato Roughneck – qualcosa come “sicario” - proseguisse come direttore di gioco e gestore del casinò. Suo figlio Cappy, frutto di un matrimonio anteriore alla relazione con Olga Chaviano, collaborava agli affari. Con una valigetta ammanettata al suo polso, portava fuori dall'Avana, con destino U.S.A., i soldi. Col tempo, Cappy diventerà un noto specialista nell'infertilità e creatore della prima banca di sperma al mondo.
Lefty Clarck, conosciuta figura del gioco in Florida. Assunse l'amministrazione del sans Soucì e con questa il compito di ridisegno e restauro del centro notturno, nella quale si investì un milione di dollari. Ma questo lo vedremo nela prossima puntata.
(continua)
.
Historia perdida del Sans Souci (I)
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
10 de Agosto del 2013 18:49:36 CDT
La historia del cabaré Sans Souci parece haber sido tirada por el
agujero de la memoria. Mientras que investigadores y periodistas,
animados a veces por la propia administración de ese centro nocturno,
se afanan por reconstruir el decursar de Tropicana y discuten hasta el
cansancio el porqué del nombre de la afamada casa de fiestas y cuándo
y dónde se compuso la canción que sirve allí de opening a sus
espectáculos, se va perdiendo la historia de otros cabarés. Sans Souci
no es el único caso.
Por su ambiente exclusivo y su refinada elegancia, Sans Souci llegó a
ser tan famoso como Tropicana. César Portillo de la Luz, el célebre
compositor de Tú, mi delirio y Contigo en la distancia, que trabajó
como músico en el bar de ese establecimiento, dijo a este escribidor
que mientras Tropicana era preferido por extranjeros que visitaban la
Isla, Sans Souci era más de los cubanos. Connotadas figuras
internacionales se hicieron aplaudir en su pista como estrellas de
producciones fastuosas en las que coristas norteamericanas se
convertían en un atractivo añadido. Durante un tiempo, Roderico Neyra,
aquel mulato deformado por la lepra, de baja estatura y sonrisa pícara
que hizo famoso el seudónimo de Rodney, se encargó de sus
coreografías, marcando con estas una forma de hacer y concebir el
espectáculo. Cuando en marzo de 1952 Rodney pasó a Tropicana, ocuparía
su lugar un artista de la talla de Alberto Alonso.
El cabaré habanero tomó su nombre del palacio que Federico II, el
Grande, se hizo construir en Postdam a partir de 1745. Rivalizaba con
el palacio de Versalles de la monarquía francesa, aunque era bastante
más pequeño. Ese edificio fue para el rey de Prusia un lugar de
descanso más que un centro de poder. De ahí su nombre, Sans Souci, que
puede traducirse como «sin preocupaciones». La misma idea animó a los
fundadores del Sans Souci habanero. Querían que la visita de su
clientela transcurriera libre de inquietudes y desvelos en aquella
villa de estilo español situada en la carretera de Arroyo Arenas y que
ofrecía sus espectáculos bajo las estrellas.
El centro nocturno habanero abrió sus puertas tras el fin de la I
Guerra Mundial y el gallego Arsenio Mariño, avecindado en La Habana
desde 1914, fue uno de sus propietarios originales. Allí conoció a la
que sería su esposa, una bailarina alemana que, con el nombre de Las
hermanas Farry, haría con el tiempo pareja con su melliza. De esa
unión nació la excelente actriz, cantante y bailarina cubana Yolanda
Farr, que así lo contó en sus memorias. Se supone que Mariño vendió su
parte a comienzos de los años 30 y se fue a Sudamérica de gira con las
Farry.
Explota el escándalo.
Desconoce el cronista quién o quiénes quedaron como dueños del
establecimiento a la salida de Mariño. Sabe que con el tiempo Sans
Souci pasó a manos de Sammy Mannarino, un gángster de Pittsburg que lo
regenteó en sociedad con su hermano Kelly y hampones de Chicago y
Detroit. Y es con ellos precisamente que se relaciona uno de los
escándalos más sonados del devenir de los juegos de azar en La Habana.
Mannarino y sus socios vendieron a Muscles Martin el derecho a
explotar en su establecimiento el llamado razzle-dazzle, término
comodín que encubría varios juegos de dados y, en especial, una
variante llamada cubolo; un robo a mano armada, pues desplumaba sin
remedio a los incautos —los llamados «primos»— que impelidos por guías
y señuelos —las llamadas «palas»— se sentaban a la mesa con el
convencimiento de que no perderían siempre que no pararan de doblar su
apuesta. El razzle-dazzle, en sus variantes, reportaba a Martin entre
diez mil y treinta mil dólares por noche, de los que entregaba la
mitad a la casa.
Dan C. Smith, abogado norteamericano domiciliado en Los Ángeles, vio,
desde una mesa preferencial, el espectáculo desenfrenado y salvaje que
esa noche ofrecía Sans Souci, y pasó al casino de juego, donde gente
que parecía conocedora le sugirió que jugara al cubolo. Era un juego
incomprensible para él, pero Smith aceptó. Continuó jugando el abogado
y cuando decidió parar había perdido 4 200 dólares de los de entonces.
Cubrió su deuda con un cheque, pero lo embargaba la sensación de haber
sido estafado. Supo que el cubolo no era legal en Cuba y cayó en
cuenta del papel que tenían las «palas» en juegos como ese, azuzando a
apostar al «primo». En cuanto pudo se comunicó con su banco y le pidió
que no hiciese efectivo el documento.
Cuando Norman Rothman, gerente entonces del casino de Sans Souci y
conocido operador de salas de fiesta en Miami Beach —casado con la
explosiva vedette cubana Olga Chaviano— se percató de que Smith no
pagaría la deuda, ordenó a una agencia de California que le reclamase
el dinero. Se mantuvo Smith en sus trece y la agencia contratada para
hacerle pagar lo llevó entonces a juicio. Error. Smith se desempeñaba
como asesor económico del senador Richard M. Nixon, futuro
vicepresidente y, más tarde presidente de Estados Unidos. Suplicó
Smith ayuda a Nixon y el parlamentario pidió al Departamento de Estado
que investigara si era cierto o no si a su consejero lo habían
engañado en un juego de azar fraudulento. El Departamento de Estado se
comunicó con su Embajada en La Habana y se inició una investigación de
las denuncias de Smith y de otros turistas que ponían de relieve que
estafas e ilegalidades abundaban en el mundo del juego. Una campaña
publicitaria, impulsada por Smith, sacaba a flote casos de numerosos
turistas estadounidenses estafados en casinos de la capital de la
Isla.
Aquella propaganda en contra puso al dictador Fulgencio Batista entre
la espada y la pared. Si la cosa seguía como iba, el Gobierno se vería
obligado a poner coto al juego y cerrar los casinos, aunque también
podía suceder que los jugadores, desconfiados, probaran suerte en
Bahamas, México, Puerto Rico, República Dominicana o Haití, que
pugnaban por entrar en el negocio floreciente del juego en el Caribe
de la posguerra.
La cuestión era esta: o Cuba garantizaba un juego «limpio» en los
casinos o la industria del juego desaparecería de la Isla. Batista no
podía recurrir a su propio aparato para buscar remedio al asunto, pues
el gubernamental Instituto Nacional de Turismo estaba penetrado hasta
la médula por dueños y operadores de las casas de juego. El dictador,
sin embargo, tenía un as escondido en la manga. Era Meyer Lansky, el
financiero de la mafia. Llamado por Batista, Lansky regresó a La
Habana a mediados de 1952, y aceptó el puesto de «consejero» para la
reforma del juego que el mandatario cubano le ofrecía, como paso
inicial del saqueo en gran escala que él y Lucky Luciano planearon
para Cuba.
Tendría, eso sí, que hilar fino. El razzle-dazzle, extendido ya a
Tropicana, Jockey Club, Gran Casino Nacional y otros centros
nocturnos, producía mucho dinero, y privar de ese beneficio a los que
los patrocinaban generaría de seguro una respuesta violenta. Lansky no
quiso quedar como el propiciador de esa violencia. De ahí que se
limitara a atizar el fuego sin meter por ello las manos en la candela.
Se empeñó en demostrar que un casino bien llevado era un casino
rentable y que un establecimiento de ese tipo no tenía necesidad de
recurrir a la trampa para conseguir ventaja. Le entró al asunto
lentamente y con manos de seda. Se convirtió en dueño mayoritario del
Montmartre, el importante cabaret-casino del Vedado. Quería aleccionar
a los que explotaban negocios turbios: el casino más eficaz sería el
que funcionara de la forma más limpia y justa. Por otra parte, su mano
pareció estar detrás del artículo aparecido en una publicación de
EE.UU. con el título de Primos en el paraíso; de cómo los
estadounidenses pierden la camisa en los tugurios de juego en el
Caribe. Ese material ponía en evidencia al casino del cabaré Sans
Souci y agregaba que hampones norteamericanos desplazados figuraban
como socios o concesionarios en cuatro de los cinco casinos de La
Habana, mientras que el Montmartre aparecía citado como el único de
esos establecimientos que no permitía el razzle-dazzle.
Con casco y bayoneta calada.
Dos días después de publicado el artículo, Batista hacía público que
había ordenado al Servicio de Inteligencia Militar (SIM) que detuviera
a 13 de los más connotados jugadores profesionales de razzle-dazzle
empleados de Sans Souci y Tropicana. Decía el New York Times:
«Soldados cubanos con casco y bayoneta calada entraron en los tugurios
de juego y ordenaron poner fin a las partidas de razzle-dazzle. Fusil
en mano vigilaron las entradas de los casinos para impedir que
volvieran las partidas». Al día siguiente salían deportados los 13
jugadores detenidos. Fue una jugada maestra. Meyer Lansky había dado a
sus congéneres su propia versión del razzle-dazzle.
Se imponía un cambio de imagen en Sans Souci. En octubre de 1953,
Santo Trafficante, el zar de Tampa, compró su parte en el club
nocturno a Sammy y Kelly Mannarino. Algunos investigadores son de la
opinión de que ese importante negocio se llevó a cabo por mediación de
Lansky, y quizá del mismo Batista, como parte de una operación de
limpieza.
Lansky y Trafficante no se llevaban bien. El bolitero de Tampa tildaba
siempre de «asqueroso cabrón» al judío neoyorquino del Lower East
Side. Era un rencor—se dice— que venía de atrás. Nacía de la
suposición de que Lansky había usurpado los planes que su padre
trazara pacientemente durante años. El viejo Trafficante, siciliano de
nacimiento, había creado en Cuba un dominio que pensó legar a su hijo.
Para muchos, los Trafficante, padre e hijo, eran los jefes mafiosos de
La Habana. Pero llegó Meyer Lansky y tiró los dados de otra manera.
Entonces gente como Indalecio Pertierra y Paco Prío, que hasta ahí
respondieron a los Trafficante, cambiaron de bando. Trafficante hijo
hablaba el español con soltura y conocía bien la cultura cubana.
Aunque estaba casado en EE.UU., tenía una amante habanera, Rita, ex
bailarina y veinte años más joven, con la que vivía en uno de los
pisos altos del edificio marcado con el número 20 de la calle 12, en
el Vedado. Afirma un historiador norteamericano que Santo Trafficante
podía no tener a Batista en el bolsillo, como lo tenía Lansky, pero
era, después de este, el hombre más poderoso de la mafia en La Habana.
Rediseño y restauración.
Trafficante se rodeó de nuevos colaboradores al asumir el control de
Sans Souci, aunque permitió que Norman Rothman, apodado Roughneck
—algo así como «Matón»—, prosiguiera como director de juegos y gerente
del casino. Su hijo Cappy, fruto de un matrimonio anterior a su
relación con Olga Chaviano, colaboraba en el negocio. De un maletín
esposado a una de sus muñecas, sacaba dinero de La Habana con destino
a EE.UU. Con el tiempo, Cappy sería un destacado especialista en
infertilidad y el creador, en California, del primer banco de
espermatozoides que existió en el mundo.
Lefty Clark, reconocida figura del juego en la Florida, asumió la
administración de Sans Souci, y con esta las tareas de rediseño y
restauración del centro nocturno, en las que se invirtió un millón de
dólares. Pero eso lo veremos el próximo domingo.
(Continuará)
--
Ciro Bianchi Ross
ciro@jrebelde.cip.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
Storia perduta del Sans Soucì
La storia del cabaret sans Soucì pare essere stata gettata nei meandri della memoria. Mentre investigatori e giornalisti animati, a volte, per la propria amministrazione di questo centro notturno, si affannano a ricostruire il decorrere del Tropicana e discutono fino lalo sfinimento il perché del nome della famosa casa delle feste e quando e dove si è composta la canzone che serve di apertura ai suoi spettacoli, si va perdendo la storia di altri cabaret. IL Sans Soucì non è l'unico caso.
Per il suo ambiente esclusivo e la sua eleganza raffinata, il Sans Soucì arrivò ad essere tanto famoso come il Tropicana. Il celebre compositore César Portillo de la Luz, autore di “Tú, mi delirio” e “Contigo en la distancia”, che lavorò come musicista nel bar del centro notturno, disse a questo scrittore che mentre il Tropicana era preferito dagli stranieri che visitavano l'Isola, il Sans Soucì era più per i cubani. Notissime figure internazionali si fecero applaudire nel suo scenario come stelle di produzioni fastose in cui le ballerine nordamericane si trasformavano in valore aggiunto. Per un periodo, Roderico Neyra, quel mulatto deformato dalla lebbra, di bassa statura e dal sorriso furbesco che rese famoso lo pseudonimo di Rodney, si incaricò delle sue coreografie, segnando con esse un modo di fare e concepire lo spettacolo. Quando, nel marzo 1952, Rodney passò al Tropicana, il suo posto venne occupato da un artista della grandezza di Alberto Alonso.
Il cabaret avanero prese nome dal palazzo che Federico II, il Grande, si fece costruire a Postdam a partire dal 1745. Rivaleggiava col palazzo di Versalles della monarchia francese, nonostante fosse molto più piccolo. Questo edificio fu, per il re di Prussia, un luogo di riposo più che un centro di potere. Da li il suo nome, Sans Soucì che si può tradurre in “senza preoccupazioni”. La stessa idea animò i fondatori del Sans Soucì avanero. Volevano che le visite dei loro clienti trascorressero libere da pensieri e inquietudini in quella villa di stile spagnolo sita nella strada di Arroyo Arenas e che offriva i suoi spettacoli sotto le stelle.
Il centro notturno avanero aprì le porte dopo la fine della prima Guerra Mondiale e lo spagnolo Arsenio Mariño, domiciliato all'Avana dal 1914, fu uno dei suoi proprietari all'origine. Li conobbe quella che sarebbe stata sua moglie, una ballerina tedesca che col nome di sorelle Farry, avrebbe formato nel tempo una coppia con la sua gemella. Da questa unione nacque la eccellente attrice, cantante e ballerina cubana Yolanda Farr, che lo raccontò nelle sue memorie. Si presume che Mariño vendette la sua parte all'inizio degli anni '30 e andò in Sudamerica in tourneé con le Farry.
Scoppia lo scandalo.
Ignora il cronista chi o coloro che rimasero padroni del locale all'uscita di scena di Mariño. Sa che col tempo, sans Soucì passò nelle mani di Sammy Mannarino, un gangster di Pittsburg che lo rilevò in società con suo fratello Kelly e malavitosi di Chicago e Detroit. Ed è precisamente con loro che si forma uno degli scandali più roboanti del futuro dei giochi d'azzardo all'Avana. Mannarino e i suoi soci vendettero a Muscles Martin il diritto a usare nel locale il cosiddetto “razzle-dazzle” (gioco con 8 dadi. n.d.t.) e finì che questo servì da base per vari giochi con i dadi, specialmente una variante chiamata “cubolo”: un furto a mano armata che spennava senza scampo gli incauti – i soprannominati “cugini” - che forniti di segnali e riconoscimenti – chiamati “palas” - si sedavno ai tavoli con la convinzione che non avrebbero perso sempre che raddoppiassero la loro posta. Il “razzle-dazzle”, nelle sue varianti, apportava a martin tra dieci e trenta mila dollari per sera, dei quali consegnava la metà alla casa.
Dan C. Smith, avvocato nordamericano domiciliato a Los Angeles, vide da un tavolo privilegiato lo spettacolo sfrenato e selvaggio che quella sera offriva il Sans Soucì, e passò alla sala da gioco dove persone che sembravano conoscitrici gli suggerirono che giocasse al “cubolo”. Era un gioco per lui incomprensibile, però Smith accettò. L'avvocato proseguì giocando e quando decise di fermarsi aveva perso 4.200 dollari, di quelli di allora. Coprì il suo debito con un assegno, però aveva la sensazione di essere stato truffato. Seppe che il “cubolo” non era legale a Cuba e si rese conto del ruolo che avevano le “palas” in giochi come questo, incitando il “cugino” a scommettere. Appena poté si mise in contatto con la sua banca per bloccare il documento.
Quando Norman Rothman gestore allora del casinò del Sans Soucì e noto operatore di sale di feste a Miami Beach – spostao con l'esplosiva vedette cubana Olga Chaviano – si rese conto che Smith non avrebbe pagato il debito, ordinò a un'agenzia della California che gli riscuotesse i soldi. Smith si mantenne nella sua posizione e l'agenzia contrattata per riscuotere lo portò a giudizio. Errore. Smith lavorava come consulente economico del senatore Richard M. Nixon, futuro vicepresidente e, più tardi presidente degli Styati Uniti. Smith chiese aiuto a Nixon e il parlamentare chiese al Dipartimento di Stato di investigare se avessero, o no, ingannato il suo consigliere con un gioco d'azzardo illegale fraudolento.
Il Dipartimento di Stato si mise in contatto con l'Ambasciata all'Avana e si cominciò un'indagine in base alla denuncia di Smith e di altri turisti che facevano notare che truffe e illegalità abbondavano nel mondo del gioco d'azzardo. In una campagna pubblicitaria, promossa da Smith, emergevano casi di numerosi statunitensi truffati nei casinò dell'Isola.
Quella pubblicità negativa mise il dittatore Fulgencio Batista tra la spada e la parete. Se la cosa proseguiva allo stesso modo, il Governo si sarebbe visto obbligato a mettere un freno al gioco e chiudere i casinò, inoltre poteva succedere che i giocatori, diffidenti, provassero la fortuna alle Bahamas, Messico, Porto Rico, Repubblica Dominicana o Haiti, che lottavano per entrare nel fiorente affare del gioco nei Caraibi del dopoguerra.
La questione era: o Cuba garantiva un gioco “pulito” nei casinò o l'industria del gioco sarebbe scomparsa dall'isola. Batista non poteva ricorrere al suo apparato per cercare rimedio all'affare, il governativo Istituto Nazionale del Turismo era infiltrato fino al midollo dei proprietari e gestori di case da gioco. Senza dubbio, il dittatore, aveva un asso nella manica. Era Meyer Lansky, il finanziere della mafia. Chiamato da batista, Lansky tornò all'Avana a metà del 1952, e accettò il posto di “consigliere” per la riforma del gioco che il presidente cubano gli offriva come primo passo verso il saccheggio in grande scala che lui e Lucky Luciano avevano pianificato su Cuba.
Questo doveva filare liscio. Il “razzle-dazzle” già esteso al Tropicana, Jockey Club, Gran Casinò Nacional e altri centri notturni, produceva molto denaro e privare di questo beneficio coloro che lo patrocinavano avrebbe generato di certo una risposta violenta. Lansky non volle apparire come propiziatore di quella violenza, perciò si limitò ad attizzare il fuoco senza mettersi tra le fiamme. Si impegnò a dimostrare che un casinò ben condotto era una casinò redditizio e che un locale di questo tipo non aveva necessità di fare imbrogli per conseguirne vantaggi. Entrò nella faccenda col guanto di velluto. Si convertì nel socio di maggioranza del Montmartre, l'importante cabaret-casinò del Vedado. Voleva isolare coloro che sfruttavano affari torbidi: il casinò più efficace sarebbe stato quello che funzionasse nel modo più pulito e corretto. D'altra parte, la sua mano sembrava essere dietro all'articolo apparso in una pubblicazione apparsa negli stati Uniti con il titolo. “Cugini in paradiso”; su come gli statunitensi perdevano la camicia nei tuguri del gioco nei Caraibi. Questo materiale metteva in evidenza il cabaret Sans Soucì e aggiungeva che malavitosi nordamericani trasferiti figuravano come soci o concessionari in quattro o cinque casinò dell'Avana, mentre il Montmartre era citato come l'unico di quei locali che non permetteva il “razzle-dazzle”.
Con elmo e baionetta inastata.
Due giorni dopo della pubblicazione dell'articolo, Batista rendeva pubblico che aveva ordinato al servizio di Intelligenza Militare (SIM) che arrestasse 13 dei più connotati giocatori professionisti di “razzle-dazzle”. Fucile alla mano, vigilarono le entrate dei casinò per impedire che “tornassero alle partite”. Il giorno seguente furono deportati i 13 giocatori arrestati. Fu na colpo da maestro: Meyer Lansky aveva dato ai suoi soci la propria versione del “razzle-dazzle”.
Si imponeva un cambio di immagine del Sans Soucì. Nell'ottobre 1953, Santo trafficante, lo zar di Tampa, comprò la sua quota del club notturno a Sammy e Kelly Mannarino. Alcuni investigatori sono dell'opinione che questo affare importante si portò a termine per mezzo di Lansky e forse, con lo stesso batista, comeparte dell'operazione di pulizia.
Lansky e Trafficante non si amavano. Il giocatore di dadi di Tampa appellava sempre di “caprone schifoso” l'ebreo newyorkino del lower East Side. Era un rancore – si dice – che veniva da lontano. Nasceva dalla supposizione che Lansky aveva usurpato i piani che suo padre aveva tracciato pazientemente per anni. Il vecchio Trafficante, siciliano di nascita, aveva creato a Cuba un regno che pensava lasciare a suo figlio. Per molti, i Trafficante padre e figlio, erano i capi mafiosi dell'Avana. Però arrivò Meyer Lansky e gettò i dadi in un altro modo. Allora, gente come Indalesio Pertierra e Paco Prío, che fino allora rispondevano ai trafficante, cambiarono bandiera. Trafficante figlio parlava lo spagnolo fluentemente e conosceva la cultura cubana. Nonostante fosse spostato negli U.S.A., aveva un'amante avanera: Rita, ex ballerina e più giovane di vent'anni, con la quale viveva in uno dei piani superiori dell'edificio al numero 20 della calle 12, nel Vedado. Uno storico notrdamericano afferma che Santo Trafficante poteva non tenere nel taschino Batista, come lo aveva Lansky, ma era, dopo di lui, l'uomo della mafia più potente dell'Avana.
Ridisegno e restauro.
Trafficante si circondò di nuovi collaboratori nell'assumere il controllo del sans Soucì, anche se permise che Norman Rothman, soprannominato Roughneck – qualcosa come “sicario” - proseguisse come direttore di gioco e gestore del casinò. Suo figlio Cappy, frutto di un matrimonio anteriore alla relazione con Olga Chaviano, collaborava agli affari. Con una valigetta ammanettata al suo polso, portava fuori dall'Avana, con destino U.S.A., i soldi. Col tempo, Cappy diventerà un noto specialista nell'infertilità e creatore della prima banca di sperma al mondo.
Lefty Clarck, conosciuta figura del gioco in Florida. Assunse l'amministrazione del sans Soucì e con questa il compito di ridisegno e restauro del centro notturno, nella quale si investì un milione di dollari. Ma questo lo vedremo nela prossima puntata.
(continua)
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venerdì 16 agosto 2013
Ciro Bianchi, una memoria storica
Vengo ricevuto da "Don", come lo chiamano qua, Ciro Bianchi: giornalista, saggista, scrittore e uomo di vasta cultura. Autore di diversi libri e con al suo attivo molti riconoscimenti, colonnista di "Juventud Rebelde". Bianchi è conosciuto anche internazionalmente per il programma "Como me lo contaron.." che viene diffuso via satellite da Cubavisión Internacional. Con lui anche la signora Mayra, a sua volta scrittrice e titolare di un blog sulla cucina cubana: e autrice del libro "Las comidas d Lezama Lima", fra gli altri. Ho scoperto anche che Bianchi è cugino di José Antonio Hecheverría, leader del "Directorio Estudiantil.
Pochi sono i nomi più "italiani" di Ciro Bianchi che però è alla quinta generazione di cubani, i suoi antenati arrivarono dall'Italia (Milano, per la precisione) agli inizi del XIX° secolo e si stabilirono nella zona di Santa Clara dove divennero coltivatori di caffè. Il nonno paterno e i suoi tre fratelli si spostarono nella zona di Matanzas e Cárdenas dove però gli affari non andarono per il meglio e il padre si trasferì con la famiglia all'Avana.
Bianchi ha coltivato da sempre la passione per il giornalismo che cominciò a praticare all'età di 17 anni per il quotidiano "El Mundo" che smise le pubblicazioni nel 1969. Collaborò anche alla rivista "Cuba" dal 1964 al 2003 anno in cui anche questa pubblicazione cessò di esistere. Si occupava di giornalismo prevalentemente culturale, seppure anche di temi a carattere generale. dal 2001 cominciò a collaborare con "Juventud Rebelde" che gli permise di pubblicare la sua passione non segreta, ma non ancora espressa nella pienezza: la storia e gli episodi di costume. Nemmeno a dirlo, la sua pagina domenicale è probabilmente la più seguita e apprezzata dai lettori.
Durante l'incontro, informale, si è spaziato su tanti argomenti che alcune cose sono anche rimaste in sospeso, viste le divagazioni...ma si è, credo, aperta una buona conoscenza. Grazie "Don" Ciro Bianchi.
Pochi sono i nomi più "italiani" di Ciro Bianchi che però è alla quinta generazione di cubani, i suoi antenati arrivarono dall'Italia (Milano, per la precisione) agli inizi del XIX° secolo e si stabilirono nella zona di Santa Clara dove divennero coltivatori di caffè. Il nonno paterno e i suoi tre fratelli si spostarono nella zona di Matanzas e Cárdenas dove però gli affari non andarono per il meglio e il padre si trasferì con la famiglia all'Avana.
Bianchi ha coltivato da sempre la passione per il giornalismo che cominciò a praticare all'età di 17 anni per il quotidiano "El Mundo" che smise le pubblicazioni nel 1969. Collaborò anche alla rivista "Cuba" dal 1964 al 2003 anno in cui anche questa pubblicazione cessò di esistere. Si occupava di giornalismo prevalentemente culturale, seppure anche di temi a carattere generale. dal 2001 cominciò a collaborare con "Juventud Rebelde" che gli permise di pubblicare la sua passione non segreta, ma non ancora espressa nella pienezza: la storia e gli episodi di costume. Nemmeno a dirlo, la sua pagina domenicale è probabilmente la più seguita e apprezzata dai lettori.
Durante l'incontro, informale, si è spaziato su tanti argomenti che alcune cose sono anche rimaste in sospeso, viste le divagazioni...ma si è, credo, aperta una buona conoscenza. Grazie "Don" Ciro Bianchi.
giovedì 15 agosto 2013
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