L’ho
conosciuto nel luglio del 1968 quando, dopo i tre mesi di corso in Piazza
Beccaria, sono stato assegnato alla Zona Venezia quando le Zone erano ancora 8
ed io vi ero stato assegnato come inizio di una “carriera” durata poco meno di
16 anni nel Corpo dei Vigili Urbani di Milano, eredi dei “Ghisa di cui
portavamo ancora l’affettuoso soprannome o dei “Survegliant” di antica memoria.
Tempi nostalgicamente passati.
Sergio
Lago era un veneto dal carattere esplosivo e “faso tuto mì” tipico della sua
terra natale. Generoso, sempre con un consiglio da “anziano” e pronto ad
aiutare chi era in difficoltà. La sua carriera è stata molto più lunga e
brillante della mia, diventato dapprima sottufficiale: Vice Capo Drappello,
secondo la nomenclatura dei tempi, e poi ufficiale con varie denominazioni di
cui non ricordo l’ultima essendo lontano dal Corpo già da molti anni.
Non
so se nella sua carriera abbia inoltrato qualche rapporto disciplinare a carico
di colleghi che spesso lo avrebbero meritato, era più frequente sentire il suo
vocione gridare, ai meno disciplinati “semo” e “imbecille” e giù con una serie
di lavate di testa e richiami al dovere o all’etica del lavoro ai colleghi
birbantelli o svogliati. Questo suo modo di essere più che di fare, gli era
valso il soprannome di “Pulver” o “Pulverùn” derivato da un detto milanese che
si dirigeva a chi era esagerato: “Bagna giò che te fè pulver”!
In una di queste occasioni, era iniziato il
“Periodo especial de guerra en tiempo de paz” a Cuba, venendo a conoscenza
delle difficoltà di movimento per carenza di trasporti pubblici, ci regalò una
bicicletta che giaceva abbandonata in Zona Sempione, dove stava lavorando, da
oltre un anno. Un piccolo gesto, ma che dà la misura del suo cuore.
Nei
tempi di frequentazione professionale eravamo entrati “di sponda” o “di
striscio” nelle organizzazioni sindacali, lui democristiano DOC e io comunista
atipico, spesso eravamo d’accordo per il meglio della categoria, ma quando si
usciva dal sindacale per entrare nel politico eravamo come Don Camillo e
Peppone, ma sempre col massimo rispetto e affetto reciproco.
Oggi
ho saputo da un altro caro ex collega ed amico, Bruno Cassata, della sua
scomparsa essendo ricoverato all’Ospedale Sacco, cosa che mi fa supporre sia
stato vittima di questa orrenda pandemia che entrambi, proprio non molto tempo
fa avevamo sottovalutato, almeno nell’espandersi rapidamente dei contagi. Aveva
commentato uno dei miei post sull’incipiente argomento.
So
che ha letto con piacere i due testi che ho pubblicato e mi ha commentato
pacatamente, senza darmi dell’“imbecille”, per questo sono rimasto allibito e
addolorato per questa mancanza. Ciao Sergio, aspettami, non fare “il semo”.
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