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mercoledì 13 gennaio 2016

Cuba nel calcio professionistico

Due calciatori cubani, Maykel Reyes e Abel Martínez, sono stati contrattati dalla società messicana di seconda divisione "Cruz Azul". Si rompe così la barriera del professionismo, all'estero, anche nel calcio.

martedì 12 gennaio 2016

Zucchetto

ZUCCHETTO: piccolo ortaggio

lunedì 11 gennaio 2016

Unilever investe al Mariel

Una delle più grandi bandiere del capitalismo nel mondo, la multinazionale olandese Unilever ha siglato un accordo con la cubana Suchel, per formare una società mista con apertura di una fabbrica nella Zona Speciale del Mariel.
L'unità produttiva che sarà terminata entro la fine del 2017 avrà solo la linea di prodotti per l'igiene della casa e della persona e non quella dei generi alimentari. La commercializzazione dei prodotti riguarderà oltre che il mercato interno, la zona dei Caraibi e dell'America meridionale. Indubbiamente un risultato positivo per la zona di sviluppo e per l'economia cubana.

Anatomia di un teatro, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 10/1/16

Una delle facce più indimenticabili della città si trasforma a prima vista. Alludo alla parte che corre lungo il Paseo del Prado, tra la calle Virtudes e la Calzada de Monte. In questo spazio si costruì l’hotel prque central, più che restaurarsi, si edificarono nuovamente gli hotel Telegrafo e Saratoga, più fiammanti adesso di come lo furono all’origine. Oggi si riabilita il Capitolio e il divieto di sosta da Nettuno a Monte conferisce al prado una prospettiva finora inedita, per non riferirsi al sistema d’illuminazione che mette di per se una nota di novità all’area. Ci sono alcuni buoni ristoranti. Mancherebbe di procedere all’eliminazione di chioschi statali e privati e rimane sempre inconcepibile che in un esercizio che produce tanti soldi come la Pastelería Francesa, pezzi di nylon sostituiscano i cristalli rotti delle sue vetrine. Un poco più in la, attraversando il Parque Central, si costruisce l’hotel Manzana. Si restaura il teatro Payret. Succederà lo stesso con la casa editrice Abril?
In uno sforzo costruttivo così colossale si inserisce la rimodellazione del Gran Teatro de La Habana che ha riaperto le sue porte lo scorso 1° gennaio col nome di Alicia Alonso, meritato omaggio all’esimia ballerina che si è presentata per la prima volta sul suo scenario nel 1950. Gran Teatro de La Habana Alicia Alonso.
Cosa vi sembra se dedichiamo la pagina di oggi a ricordare alcune curiosità di questo anfiteatro?

I nomi

La prima di esse sarebbe il nome. Prima diciamo che a parer nostro, il Gran Teatro è una istituzione culturale che è transitata per diversi periodi, dalla sua inaugurazione nel 1938 ad oggi. Quando si stava costruendo l’edificio all’angolo di Prado e San Rafael, la stampa cominciò a chiamarlo Teatro Nuovo, ma Francisco Marty, il catalano che aveva avuto dal Governo coloniale la concessione per costruirlo, non tardò a mettere le briglie ai giornalisti. Si chiamerà, disse, Gran Teatro de Tacón, come segno di gratitudine al suo protettore e amico il Capitano Generale che gli aveva fatto guadagnare tanti soldi.
Per la costruzione del teatro, Tacón concesse a don Pancho Marty una discussa frangia di terreno reale situata quasi di fronte alla porta della muraglia di Monserrate, in una delle zone più richieste di fuori dalle mura e somministrò le pietre necessarie, mentre garantiva la mano d’opera con i detenuti del carcere dell’Avana, schiavi e poveracci. Come garanzia dell’impresa, Marty avrebbe messo a disposizione la sua immensa fortuna. Nel processo di residenza che si tenne a Madrid alla sua uscita dal Governo, Tacón dichiaró che il Gran Teatro aveva significato un investimento di 200.000 pesos. Marty, da parte sua disse che il costo dell’edificio fu di 291.507 pesos e 16 reales, cifra che non comprendeva le risorse apportate dall’amministrazione coloniale.
Il 15 aprile di quell’anno il teatro cominciava la sua prima stagione melodrammatica e con essa era ufficialmente inaugurato. Per questi casi della vita, quel giorno giungeva a Cuba l’Ordine Reale che disponeva la cessazione di Tacón come governatore generale dell’Isola e la sua sostituzione con Joaquín de Ezpeleta. Don Pancho Marty, accompagnó il suo amico fino alla tomba, ma non si mise nella fossa assieme a lui. Continuó godendo, fino alla sua morte, dei favori dei capitani generali successivi.
Con la fine della dominazione coloniale spagnola, s’imponeva un cambio di nome. Il Gran Teatro de Tacón comincerà a chiamarsi Gran Teatro Nacional. Ma, come annota lo storico Francisco Rey Alfonso nella sua Biografía de un Coliseo, il nuovo nome fu soggetto per molti anni a una considerazione bivalente, ebbene per un motivo o l’altro in alcune citazioni ufficiali si chiamava così come pure Teatro Nacional e basta, denominazione che finì per imporsi a partire dal 1915 quando, nel portico del nuovo edificio si incisero le iniziali TN.
Già per allora il teatro era passato ad essere proprietà del Centro Gallego. Nel 1906 questa società reale spagnola pagava all’impresa nordamericana Tacón Realty Company – che aveva acquistato dagli eredi di don Pancho Marty –più di mezzo milione di pesos per il teatro e i suoi edifici annessi, ubicate nell’isolato compreso tra Prado, San Rafael, San José e Consulado. Come deferenza al presidente Estrada Palma o in un gesto di delicatezza verso i cubani, il tetro non avrebbe cambiato nome. Coninuerà ad essere Teatro Nacional. Solo che questo nome che identificava un esrcizio appartenente a un’entità straniera, dava fastidio a molti. Aveva poco di Nacional, perché la nazione non aveva niente a che vedere con lui.
Alla metà degli anni ’50 comiciò a costruirsi nella cosiddetta Plaza Civica o de la República, attuale Plaza de  la Revolución José Martí, l’edificio che ospiterà il Teatro Nacional de Cuba. Non potevano esistere due teatri con lo stesso nome nella medesima città. S’imponeva una nuova denominazione per l’lanfiteatro del Prado e San Rafael. Si chiamerà Teatro Estrada Palma. Il cambio avvenne già nel 1959, il 24 ottobre, data in cui si celebrava allora, a Cuba, la Giornata dei Giornalisti.
Non fu per molto tempo che il nostro emblematico scenario si identificò col nome di Estrada Palma. Il 19 agosto del 1961, in occasione del 25° anniversario dell’uccisione di Federico García Lorca, la Junta Interventora del Centro Gallego dava a conoscere che il teatro avrebbe preso il nome del poeta granadino. E lì non finí la storia. Nel 1967 gli si dete il nome di Gran Teatro del Balletto e Opera di Cuba e dieci anni dopo quello di Liceo dell’Avana Vecchia, quando si riscattarono alla cultura i preziosi spazi che furono parte del palazzo sociale del Centro Gallego e che davano luogo, allora, alla Società di Amicizia Cubano – Spagnola (SACE). A partire da allora si cercò una nuova organizzazione delle potenzialità dell’edificio, ribattezzato nel 1981 come Complesso Culturale del Gran Teatro García Lorca, sede stabile, sotto la direzione generale di Alicia Alonso, del Balletto Nazionale di Cuba, l’Opera Nazionale, il Teatro Lirico Gonzalo Roig, il coro e l’orchestra. Lo sviluppo di queste compagnie da luogo a un successo significativo nella storia dell’immobile: tutte le sue aree si aggiungono al lavoro culturale. L’inserimento di nuovi locali, annota lo storico Francisco Rey Alfonso,  dava inizio a un progetto ambizioso e inedito a Cuba. Al teatro, chiamato adesso Sala García Lorca, si aggiunsero le sale Ernesto Lecuona (concerti), Lezama Lima (conferenze) e Bola de Nieve (attività musicali), così come altri locali destinati a classi, prove, esposizioni...
Nel giugno dell’85, questo gran complesso culturale passa a denominarsi, sempre sotto la direzione generale di Alicia, Gran Teatro de La Habana. Nascono le sale Alejo Carpentier (arti sceniche), Imago (arti visive) e Artaud (teatro arena), allo stesso tempo importanti gruppi artistici come il Ballet Español, Danza Contemporanea e il balletto di Liszt Alfonso fanno del teatro la loro sede. Gli eventi internazionali si tengono sul suo palcoscenico principale nel Gran Teatro che si riafferma come il simbolo per eccellenza delle arti sceniche a Cuba.

Il ragno

Il Gran Teatro Chacón fu, nel suo momento, uno dei migliori del mondo. La sua facciata austera contrastava col lusso e l’eleganza dei suoi interni. L’esimia ballerina Fanny Essler lo paragonò al San Carlo di Napoli e la Scala di Milano “e non credo che siano molto più grandi né più eleganti in proporzioni e stile”. La contessa di Merlin lo vide, nel 1844, come un salone che non avrebbe stonato a Londra o a Parigi, mentre altri viaggiatori erano risentiti di trovare nella colonia quello che non c’era nella metropoli. Il palco destinato al Governatore appariva meglio adornato di quello che si destinava ai reali in alcuni Paesi. Ottanta finestre e 22 porte ventilavano la sala. La sua acustica era insuperabile. Nel 1878 accettava 2.287 persone sedute e altre 750 che potevano situarsi in piedi, dietro ai palchi, anche se si dice che all’inizio aveva una capacità di 4.000 spettatori. A quel tempo il personale del teatro era formata da un direttore, un segretario, un contabile, un responsabile dei libri, un portiere capo e 13 tra portieri e addetti alla sala. Anche un venditore dei biglietti, un meccanico, quattro falegnami, due custodi, una sarta con cinque aiutanti, un cartellonista e vari operai, gruisti e attrezzisti così come un certo numero di comparse che erano chiamate a lavorare, venendo pagate, quando le circostanze lo richiedessero.
Il suo lampadari centrale, a forma di ragno, costituiva secondo la filastrocca popolare uno degli elementi distintivi della città, assieme al Morro e la Cabaña. “Tre cose ha l’Avana/che causano ammirazione/sono: il Morro/la Cabaña/e il ragno di Tacón”.
Si diceva che questo lampadario era superato in dimensioni solo da quello dell’Opera di Parigi e del Palacio Real madrileno. Sebbene provocasse l’ammirazione di molti,  a quelli che dovevano presenziare allo spettacolo dai piani superiori del teatro, cioè dalla galleria superiore al loggione: li obbligava a prodigi per vedere lo scenario completo. Si fecero molti suggerimenti per risolvere questa situazione, ma il ragno del Tacón rimase al suo posto per oltre 60 anni.
Il lampadario soffrì un danno serio quando, una sera del 1863, gli spettatori deciser di prendere d’assalto la scena. Era tornato ad aprire le sue porte, dopo una delle tante rimodellazioni che patì e lo fece con una compagnia di così bassa qualità che il pubblico dell galleria superiore e il loggione, indignato e infuriato, si scagliò contro i comici lanciando in platea e sul palco i braccioli delle poltrone e qualsivoglia oggetto contundente trovasse a portata di mano. Rey Alfonso, nella sua Biografía de un coliseo si permette un’altra lettura, forse più esatta, di questo incidente: gli spettatori più umili espressero quest’attitudine aggressiva, non cpontro gli attori, ma contro il regime coloniale.

Il famoso lampadario sparì il 9 gennaio del 1900. Si stava pulendo il teatro in vista alla stagione dell’opera che sarebbe iniziata il giorno seguente quando, il mitico ragno, si staccò dal soffitto cadendo strepitosamente sulla platea. Per sostituirlo si affittò in fretta e furia un plafone a forma di stella che sosteneva 120 lampadine elettriche. I tempi erano cambiati, il nome di Tacòn risultava antiquato e si suggerì di dare al Gran Teatro il nome di La Estrella. L’idea non avanzò. Anche la lampada a forma di stella fu sostituita. A metà del 1915 cominciò a funzionare un ventilatore di aspirazione che faceva scendere a 20 gradi la temperatura della sala.


Anatomía de un teatro

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
9 de Enero del 2016 21:04:44 CDT

Uno de los rostros más entrañable de la ciudad se transforma a ojos vista. Aludo al tramo que corre a lo largo del Paseo del Prado, entre la calle Virtudes y la Calzada de Monte. En ese espacio se construyó el hotel Parque Central y, más que restaurarse, se edificaron otra vez los hoteles Telégrafo y Saratoga, más flamantes ahora que como lo fueron en sus orígenes. Hoy se rehabilita el Capitolio, y la prohibición de parqueo desde Neptuno a Monte confiere una perspectiva al Prado hasta ahora inédita, por no aludir al sistema de luminarias que pone asimismo una nota novedosa en el área.  Hay algunos buenos restaurantes. Faltaría proceder a la eliminación de timbiriches estatales y privados, y sigue siendo inconcebible que en un establecimiento que produce tanto dinero como la Pastelería Francesa, pedazos de nylon sustituyan los cristales rotos de sus vidrieras. Un poco más allá, cruzando el Parque Central, se construye el hotel Manzana. Se restaura el teatro Payret. ¿Sucederá igual con el edificio de la casa editora Abril?
En esfuerzo constructivo tan colosal se inscribe la remodelación del Gran Teatro de La Habana, que reabrió sus puertas el pasado 1ro. de enero con el nombre de Alicia Alonso, merecido homenaje a la eximia bailarina que se presentó en su escenario por primera vez en 1950. Gran Teatro de La Habana Alicia Alonso.
¿Qué tal si dedicamos la página de hoy a rememorar algunas curiosidades de ese coliseo?

Los nombres

La primera de ella sería el nombre. Digamos antes que, a nuestro juicio, el Gran Teatro es una institución cultural que ha transitado por diversas etapas, desde su inauguración en 1838 hasta hoy. Cuando se construía el edificio de la esquina de Prado y San Rafael, la prensa comenzó llamarlo Teatro Nuevo, pero Francisco Marty, el catalán que había recibido del Gobierno colonial la concesión para construirlo, no demoró en atajarles los caballos a los periodistas. Se llamaría, dijo, Gran Teatro de Tacón, como muestra de agradecimiento a su protector y amigo el Capitán General que tanto dinero le dio a ganar.
Para la construcción del teatro, Tacón concedió a don Pancho Marty una discutida franja de terreno realengo situada casi al frente de la puerta de Monserrate de la muralla, en una de las zonas más codiciadas de extramuros, y suministraría la piedra necesaria, en tanto que garantizaba la mano de obra con los reclusos de la cárcel de La Habana, esclavos y peones. Como respaldo de la empresa, pondría Marty su cuantiosa fortuna. En el juicio de residencia que se le siguió en Madrid a su salida del gobierno, Tacón declaró que el Gran Teatro había significado una inversión de 200 000 pesos. Marty dijo por su parte que el costo del edificio fue de 291 507 pesos con 16 reales, cifra que no incluía los recursos aportados por la administración colonial.
El 15 de abril de ese año iniciaba el teatro su primera temporada dramática y, con ella, quedaba oficialmente inaugurado. Por esas coincidencias de la vida, ese día llegaba a Cuba la Real Orden que disponía el cese de Miguel Tacón como gobernador general de la Isla y su sustitución por Joaquín de Ezpeleta. Don Pancho Marty  acompañó a su amigo hasta la tumba, pero no se metió en el hueco junto con él. Siguió disfrutando hasta su fallecimiento de los favores de los capitanes generales siguientes.
Con el fin de la dominación colonial española se imponía un cambio de nombre. El Gran Teatro de Tacón empezaría a llamarse Gran Teatro Nacional. Pero como apunta el historiador Francisco Rey Alfonso en su Biografía de un coliseo, el nuevo nombre estuvo sujeto durante años a una consideración ambivalente pues, por una razón u otra, aun en formulaciones oficiales lo mismo se le llamaba de esa manera que Teatro Nacional a secas, denominación que terminó por imponerse a partir de 1915, cuando en el portal del nuevo edificio se incrustaron las iniciales TN.
Ya para entonces, el teatro había pasado a ser propiedad del Centro Gallego. En 1906 esa sociedad regional española pagaba a la empresa norteamericana Tacón Realty Company —que había comprado a los herederos de don Pancho Marty— más de medio millón de pesos por el teatro y sus edificaciones anexas, desplegadas en la manzana enmarcada entre Prado, San Rafael, San José y Consulado. Como deferencia al presidente Estada Palma o en un gesto de delicadeza hacia los cubanos, el teatro no cambiaría de nombre. Seguiría siendo el Teatro Nacional. Solo que ese nombre que identificaba un establecimiento perteneciente a una entidad extranjera molestaba a muchos. Poco tenía de Nacional, porque la nación nada tenía que ver con él.
A mediados de los años 50 empieza a edificarse en la llamada entonces Plaza Cívica o de la República, actual Plaza de la Revolución José Martí, el edificio que albergaría al Teatro Nacional de Cuba. No podrían existir dos teatros con igual nombre en una misma ciudad. Se imponía una nueva denominación para el coliseo de Prado y San Rafael. Se llamaría Teatro Estrada Palma. El cambio ocurrió ya en 1959, el 24 de octubre, fecha en la que entonces se celebraba en Cuba el Día del Periodista.
No por mucho tiempo identificó el nombre de Estrada Palma a nuestro emblemático escenario. El 19 de agosto de 1961, en ocasión del aniversario 25 del asesinato de Federico García Lorca, la Junta Interventora del Centro Gallego daba a conocer que el coliseo llevaría el nombre del poeta granadino. Ahí no paró el asunto. En 1967 se le dio el nombre de Gran Teatro de Ballet y Ópera de Cuba, y diez años después el de Liceo de La Habana Vieja cuando se rescataron para la cultura los valiosos espacios que fueron parte del palacio social del Centro Gallego y que daban cabida entonces a la Sociedad de Amistad Cubano-Española (SACE). A partir de entonces se buscó una nueva organización de las potencialidades del edificio, rebautizado en 1981 como Complejo Cultural del Gran Teatro García Lorca, sede estable, bajo la dirección general de Alicia Alonso, del Ballet Nacional de Cuba, la Ópera Nacional, el Teatro Lírico Gonzalo Roig, el coro y la orquesta. El desarrollo de esas agrupaciones da lugar a un suceso significativo en la historia del inmueble: todas sus áreas se suman al trabajo cultural. La incorporación de los nuevos locales, apunta el historiador Francisco Rey Alfonso, daba inicio a un proyecto ambicioso e inédito en Cuba. Al teatro, llamado ahora Sala García Lorca, se añadieron las salas Ernesto Lecuona (conciertos), Lezama Lima (conferencias) y Bola de Nieve (actividades musicales), así como  otros locales destinados a clases, ensayos, exposiciones…
En junio del 85, ese complejo cultural pasa a denominarse, siempre bajo la dirección general de Alicia, Gran Teatro de La Habana. Surgen las salas Alejo Carpentier (artes escénicas), Imago (artes visuales) y Artaud (teatro arena), al tiempo que importantes agrupaciones artísticas, como el Ballet Español, Danza Contemporánea y el Ballet de Lizt Alfonso, hacen del coliseo su sede. Eventos internacionales tienen su escenario principal en el Gran Teatro, que se reafirma como el símbolo por excelencia de las artes escénicas en Cuba.

La araña

El Gran Teatro Tacón fue en su momento uno de los mejores del mundo. Su austera fachada contrastaba con el lujo y la elegancia de su interior. La eximia bailarina Fanny Elssler lo comparó con el San Carlo, de Nápoles, y la Scala, de Milán, «y no creo que sean mucho más grandes ni más elegantes en proporciones y estilo».  La condesa de Merlin lo vio, en 1844, como un salón que no desentonaría en Londres ni en París, en tanto que otros viajeros se resentían al encontrar en la colonia lo que no existía en la metrópoli. El palco destinado al Gobernador lucía mejor adornado que el que se destinaba a los reyes en algunos países. Ochenta ventanas y 22 puertas ventilaban la estancia. Su acústica era insuperable. En 1878 admitía a 2 287 personas sentadas y a otras 750 que podían colocarse de pie detrás de los palcos, aunque se dice que en sus inicios tenía capacidad para unos 4 000 espectadores. En ese entonces la plantilla del teatro la conformaban un director, un secretario, un contador, un tenedor de libros, un portero mayor y 13 porteros y acomodadores. También un expendedor de boletos, un mecánico, cuatro carpinteros, dos serenos, una costurera con cinco ayudantes, un cartelero y varios conserjes, tramoyistas y utileros, así como cierto número de extras, que solo eran llamados a trabajar, y cobraban, cuando las circunstancias lo requerían.
Su lámpara central, en forma de araña, constituía, según la copla popular, uno de los elementos distintivos de la ciudad, junto al Morro y la Cabaña. «Tres cosas tiene La Habana / que causan admiración: / son el Morro, la Cabaña / y la araña de Tacón».
Se decía que esa lámpara solo la superaban en tamaño las de la Ópera de París y el Palacio Real madrileño. Si bien provocaba la admiración de muchos, irritaba a otros, a aquellos que debían presenciar el espectáculo desde los pisos superiores del teatro. Esto es, desde la tertulia y la cazuela: los obligaba a hacer prodigios para ver el escenario completo. Se hicieron muchas sugerencias para remediar esa situación, pero la araña del Tacón permaneció en su mismo sitio durante más de 60 años.
La luminaria sufrió una seria avería cuando una noche de 1863 los espectadores decidieron tomar la escena por asalto. Había vuelto a abrir sus puertas, luego de una de las tantas remodelaciones que sufriera, y lo hizo con la presentación de una compañía de tan mala calidad que el público de la tertulia y la cazuela, molesto y enfurecido, arremetió contra los cómicos lanzando a la platea y al  escenario los brazos de las butacas y cuanto objeto contundente encontró a su alcance. Rey Alfonso en su Biografía de un coliseo se permite otra lectura, quizá más exacta, de ese incidente: los espectadores más humildes asumieron tan agresiva actitud no contra los actores, sino en repudio al régimen colonial.
La famosa lámpara desaparecería el 9 de enero de 1900. Se limpiaba el teatro con vista a la temporada de ópera que se iniciaría al día siguiente, cuando la mítica araña se desprendió del techo y cayó estrepitosamente sobre el lunetario. Para sustituirla se adquirió a toda prisa un plafón en forma de estrella que sostenía 120 bombillas eléctricas. Los tiempos habían cambiado, el nombre de Tacón resultaba obsoleto y se sugirió dar al Gran Teatro el nombre de La Estrella. La idea no progresó. La lámpara con forma de estrella fue también sustituida. A mediados de 1915 comenzó a funcionar un ventilador absorbente que hacía descender a 20 grados la temperatura de la sala.

domenica 10 gennaio 2016

Profughi cubani: per informare l'amico Olio....

Fonte: cartasdecuba.com

El martes empiezan a salir de Costa Rica los cubanos

El gobierno de Costa Rica programó para el martes la salida del primer grupo de cubanos que están varados desde mediados de noviembre en su frontera con intención de llegar a Estados Unidos.
Según una nota oficial, 180 personas irán ese día en un vuelo chárter a El Salvador, donde luego abordarán un autobús hasta Guatemala para continuar hasta la frontera con México y por último cruzar por tierra hacia la nación norteña.
Las autoridades basaron su selección en la fecha de llegada a Costa Rica y la capacidad para pagar el viaje, que en total les costará 535 dólares porque incluye la transportación, alimentos, impuestos de entrada y salida de cada país, más un seguro médico.
El comunicado precisó que todo el proceso se regirá por la legislación migratoria de cada uno de los estados en ruta, o sea, Costa Rica, El Salvador, Guatemala y México.
La Organización Internacional para las Migraciones (OIM) fue la encargada de gestionar a una empresa para efectuar el traslado de forma ordenada, segura y legal, tal y como se acordó el pasado 28 de diciembre.
Ese día los países centroamericanos y la OIM decidieron otorgar un paso excepcional a los caribeños para que sigan su camino hacia Estados Unidos.
Según las autoridades costarricenses, unos siete mil 802 cubanos están albergados en su frontera con dicho propósito.
Esas personas emprendieron el recorrido alentados por políticas de Washington como la de pies secos, pies mojados, el Programa Parole para estimular la deserción de médicos y la Ley de Ajuste Cubano, entre otras, que incitan a la emigración irregular.
Tales disposiciones desentonan con los acuerdos adoptados entre La Habana y Washington sobre la materia, e ilustran el uso de ese tema como método de desestabilización contra la isla, además de los riesgos que suponen este tipo de desplazamientos, a expensas de mafias y contrabandistas.
Cuba aboga por el cese de esas políticas precisamente porque incentivan la emigración ilegal, insegura y desordenada.


P.S.: N.D.A.: Nel frattempo il senatore Marco Rubio sta tentando di fermare l'accesso degli emigranti negli USA...
Il sindaco di Miami, Tomás Regalado, ha dichiarato che tutti i centri di accoglienza e assistenza della città sono pieni...
Intanto circa 1200 cubani si sono accampati alla frontiera di Panama con Costarica.


Voli commerciali regolari....avanti

Fonte:

ItaliaOggi

Numero 005  pag. 15 del 07/01/2016 

Voli regolari fra Cuba e gli Usa
Nel 2015 i passeggeri sono già cresciuti del 50 per cento

 di Simonetta Scarane 


Stati Uniti e Cuba hanno raggiunto un accordo per riprendere i voli diretti di linea fra i due paesi. È uno sviluppo significativo nel lungo processo di normalizzazione delle relazioni tra Washington e L'Avana cominciato un anno fa. Da quando il presidente Usa, Barack Obama e il cubano Raul Castro hanno annunciato la normalizzazione delle relazioni fra i due paesi, i progressi sono stati lenti e irregolari, con una raffica di azioni su questioni diplomatiche, ma gli accordi di business sono stati ancora pochi, finora.
Uno dei segni più visibili del cambiamento riguarda i viaggi, e a dicembre scorso è stato raggiunto un accordo in materia di aviazione che renderà più facili i collegamenti fra i due paesi.
L'accordo consentirà 110 voli regolari al giorno, dei quali 20 per L'Avana e 10 per ciascuno degli altri nove aeroporti internazionali di Cuba. I due paesi stanno lavorando per mettere a punto i dettagli in maniera che i voli di linea possano cominciare nel 2016. «Un bene per il viaggiatore, per la scelta dei consumatori; un bene per le imprese e per i vettori degli Stati Uniti» secondo quanto ha affermato in un'intervista al The Wall Street Journal il capo negoziatore americano, Thomas Engle. «Ognuno dei paesi sta spingendo nella stessa direzione per partire il prima possibile».
L'accordo non permetterà di riprendere subito il servizio, ma pone le basi per il completamento dei colloqui tecnici in maniera che i voli di linea delle compagnie aeree possano iniziare nei primi sei mesi di quest'anno.
Nonostante l'accordo, tuttora continua ad essere ancora illegale per gli americani andare a Cuba anche soltanto per turismo. Tuttavia, i viaggiatori che si spostano per uno dei motivi che rientrano in uno dei 12 grandi settori (affari, scambi culturali, giornalismo, ricerche, competizioni atletiche, motivi di studio accademico, esponenti delle organizzazioni umanitarie e religiose) possono viaggiare dagli Stati Uniti a Cuba purché provvisti di un'autocertificazione attestante la motivazione del viaggio che deve rientrare in uno dei 12 settori autorizzati.
Appena il processo di normalizzazione è cominciato, i viaggi dei cittadini statunitensi a Cuba sono cresciuti di oltre il 50% nel 2015. Gran parte della crescita deriva dall'allentamento delle restrizioni relativo agli scambi culturali o educativi tra le persone, in contrapposizione al turismo standard. Tuttavia, secondo la vigente normativa, quei viaggi devono essere prenotati sui voli charter ed è difficile per i viaggiatori organizzare il volo online. Con il nuovo accordo relativo all'aviazione commerciale, sarà permesso viaggiare tra gli Stati Uniti e Cuba con voli di linea, che saranno più convenienti, frequenti e facilmente accessibili.
I vettori statunitensi hanno accolto con favore l'annuncio dell'accordo, e si sono dichiarati ansiosi di riprendere il servizio regolare. «È una grande notizia per i nostri clienti», ha fatto sapere il patron di American Airlines, Doug Parker, presidente e ceo, «in quanto ci fa fare un passo in avanti verso il collegamento fra gli Usa e Cuba con i voli di linea».



sabato 9 gennaio 2016

Zebra

ZEBRA: Udinese Calcio

venerdì 8 gennaio 2016

Obama, dove sei?

Alla luce della vicenda dei cubani bloccati in Costarica e che pare abbiano avuto una soluzione abbastanza avventurosa e precaria (non era più logico farli arrivare direttamente in Messico, Paese che si è detto disponibile a facilitargli il transito verso gli USA?) mi sembra che la buona volontà espressa dal presidente Obama sia un po' impallidita. Al di la della (possibile) soluzione Messico, non sarebbe stato ancora più semplice riceverli negli stessi Stati Uniti?
Guarda caso, il Governo...non il Congresso, si è espresso in modo chiaro sulla legge "de ajuste cubano" che prevede il caso "piedi asciutti, piedi bagnati). Ha detto che rimangono in vigore e non ha nessuna intenzione di abrogarle.
Oltre a questa grave mancanza di buona volontà, mi domando dove sono finite le promesse di aiuto per il miglioramento delle telecomunicazioni? La Società Telefonica cubana, ETECSA, ha dichiarato di star lavorando per il miglioramento del servizio vocale e internet, dicendo di prevedere un aumento del servizio ADSL che per il momento è fornito solo alle aziende immobiliari che affittano in CUC. Nel frattempo il server di posta "enet.cu" è fuori uso da due giorni e quello del web è in situazioni da far piangere. La posta su altri server: "outlook.com" (già hotmail) o "gmail" non si riesce ad aprire, nonostante si arrivi alle hot pages dove si legge la presenza di messaggi in arrivo. Per impostare queste note ci ho impiegato circa 15 minuti.
Allora mi chiedo: ma Obama ha prestato servizio in Marina o è parente di Geppetto?

mercoledì 6 gennaio 2016

Diritto di paravento, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 3/1/16

Carlos Fonseca deve essere stato il lustrascarpe più quotato dell’Avana, all’inizio del XX secolo. Non solo lucidava le scarpe a don Tomás Estrada Palma, allora presidente della Repubblica, ma erano suoi clienti altri tre che col tempo, avrebbero occupato il primo magistero: il maggior generale Mario García Menocal, il laureato Alfredo Zayas e il generale Gerardo Machado. Chairo che non tutti gli utenti del suo seggiolone erano “presidenziabili”. Fonseca prestava servizio anche a gente come Rafael Montoro, figura di spicco dell’autonomia a Cuba e a non pochi veterani dell’Indipendenza, come il generale Sánchez Figueiras che fu con Maceo nel combattimento di San Pedro e che finita la guerra, si sposò con una ragazza bellissima che poteva essere sua nipote e che lasciò vedova cinque anni dopo averla sposata.
Fonseca aveva il suo seggiolone nel cafè El Guanche, in Belascoaín e Neptuno, di fronte al cafè El Siglo XX che esiste ancora e arrivava fino a quell’angolo...col tram, don Tomás.
Risulta che Frank Steinhart, presidente della Havana Electric, l’azienda proprietaria dei tram avaneri, mise a disposizione uno di questi veicoli per Estrada Palma che lo utilizzò per raggiungere la sua presa di possesso come Presidente della Repubblica il 20 maggio del 1902 e poi continuò utilizzandolo in non poche delle sue gestioni ufficiali e private.
Il presidente abbordava il tram nelle vicinanze del Palazzo Presidenziale (gall’altezza giá Palazzo dei Capitani Generali), nella Plaza de Armas; il veicolo usciva dall’Avana Vecchia, si addentrava nel centro della città e nell’entrare in Belascoaín faceva una breve fermata all’altezza di Neptuno perché scendesse il Presidente. Una volta che gli lucidassero le scarpe, don Tomás aspettava che il tram che aveva fatto il giro da Reina, passasse a raccoglierlo, stavolta in Neptuno.

Machado e gli aerei

Gerardo Machado fu il primo presidente cubano che volò in aereo, uno dei primi presidenti del mondo a farlo.
Charles Lindberg, il primo aviatore a sorvolare da solo e senza scalo l’oceano Atlantico, invitò il dittatore a sorvolare l’Avana e Machado non solo accettò la proposta, ma ci prese gusto in tal maniera che a partire da quel momento, ogni volta che avesse necessitá di spostarsi all’oriente dell’Isola, chiedeva a Cubana de Aviación che ponesse a sua disposizione un apparecchio, per risparmarsi la strada.
Il 20 maggio del 1927, Lindbergh partì dall’aeroporto Roosvelt di New York. Pilotava un apparecchio di un solo motore, ridisegnato da lui stesso che aveva per nome Spirit of Saint Louis. Trentatré ore e 32 minuti dopo, arrivava all’aerodromo Le Bourget, vicino a Parigi e consumava l’impresa che lo avrebbe convertito in uno degli aviatori più famosi di tutti i tempi. A partire da questo volo e sempre a bordo del suo monoplano, visitò vari Paesi latinoamericani col proposito di aprire nuove rotte aeree. In tutte le nazioni che visitò venne ricevuto in pompa magna e gli si tributavano gli onori che meritava. Cuba non sarebbe stata l’ecezione. L’8 febbraio 1928, Lindbergh data del suo arrivo all’Avana, proveniente da Haiti, si dichiarò il “Giorno di Lindbergh”. Il popolo avanero si recò a dargli il benvenuto all’aerodromo del campo militare di Colombia e poi lo acclamò alla terrazza nord del Palazzo Presidenziale. Il generale Alberto Herrera, capo dell’Esercito e il dottor Orestes Ferrara, Segretario di Stato, lo condussero immediatamente dal presidente Machado che gli consegnerà un’importante onorificenza. Cuba fu l’ultimo Paese che visitò il famoso aviatore nordamericano a bordo dello Spirit of Saint Loui edello Spazio di Washington. Lindbergh tornerà nella capitale cubana nel febbraio del 1929 a bordo dell’aereo “Aquila solitaria”.
Il 12 febbraio un aereo fu addobbato a festa nell’aeroporto di Boyeros per accogliere il ppresidente di Cuba e il più famos degli aviatori che lo piloterà. Era un Ford a tre motori con capacità per dieci passaggeri e due membri dell’equipaggio. A partire da lì questoi stesso apparecchio o un altro dalle stesse caratteristiche che faceva allora i voli Avana-Santiago de Cuba con scalo nella città di Camagüey, rimase al servizio di Machado ogni volta che il dittatore lo richiedeva. Senza dubbio gli mancò il giorno della fuga, il 12 agosto del 1933. Chiese due aerei, da dodici posti ciascuno, per fuggire alla giustizia popolare con i suoi più vicini collaboratori, ma dovette accontentarsi di un aereo a sei posti.
Questo Ford a tre motori, di proprietà della Pan American Airways e che Cubana de Aviación affittava fu venduto, nei giorni della II Guerra mondiale, all Repubblica Dominicana che lo utilizzò come aereo presidenziale. Dopo che il satrapo Leónidas Trujillo si stancò di usarlo, l’apparecchio tornò negli Stati Uniti e quellaeronave utilizzata da dittatori cominciò a essere utilizzata per lavori di affumicazione, fino agli anni ’60, quando si tolse dalla circolazione, ma...qualche ano fa il vecchio aereo fu restaurato
 E si sta usando per viaggi turistici nella citta di Grand Rapids, in Michigan. Fanno pagare 50 dollari per passeggero in cambio di un giro di 15 minuti.

Menocal e il divino Galimatías

Il dottor Ramón Grau San Martín, presidente di Cuba per la seconda volta tra il 1944 e il 1948 era così. Non per niente si guadagnò il detto di Divino Galimatías. Il suo linguaggio era oscuro e confuso; tipo Cantínflas. Lui, tutto un maestro per evadere impegni e raggirare o evadere i temi dei quali non gli interessava esprimersi o quelli di cui voleva nascondere il suo pensiero.
I commercianti della calle Muralla gli chiesrro un’incontro a fine di riferirgli temi di loro interesse e per i quali cercavano l’appoggio del primo cittadino. Bisogna dire, in onore alla verità che Grau fece diversi tentativi di riceverli e siccome una maggior responsabilità glie lo impediva sempre, decise di includerli nell’agenda della più vicina udienza pubblica, sessione maratonetica di interviste nella quale uno degli aiutanti o il segretario del Presidente stabilivano l’ordine di priorità nel ricevere e nella quale non mancavano quei personaggi che godevano, a quei tempi, quello che si chiamava “diritto di paravento” che gli apriva la porta senza necessità di nessuna attesa.
Alle sei del pomeriggio, i commercianti di Murallas arrivarono al Palazzo ed era oltre l’una di notte quando li fecero passare nello studio del Presidente. Grau, molto serio e con le braccia conserte li aspettava, in piedi, dietro la scrivania.
-So che siete qua da tempo, ma sapete come sono i compiti di un presidente...da sfinimento. La quantità di gente che sono obbligato a ricevere! Immagino, senza dubbio che la vostra attesa non sia stata infruttuosa e che avranno notato il ritratto del presidente Menocal che c’è nellatrio dello studio e visto come cambia espressione a misura che cala la notte.
Nell’udire ciò, i commercianti della calle Muralla rimasero senza parole. Sconforto, scambio di occhiate. Sorrisi forzati. A uno del gruppo scappò uno starnuto. Grau tornava alla carica.
-Non lavete visto? Com’è possibile che abiate sorvolato un dettaglio così evidente? Venite, venite con me.
Il presidente condusse il gruppo nell’atri dello studio presidenziale e li fece mettere davanti al ritratto in questione.
Vedrete come cambia espressione. Osservatelo! – e al punto di svicolare per un corridoio, aggiunse: E continuate osservandolo!
Quella notte i commercianti della calle Muralla non videro più il Presidente, né insistettero più nell’intervista.

Questo è un furto

I dittatori sono taccagni nella loro sconfitta. Fulgencio Batista, a partire dal 1959, non si stancava do declamare la sua povertà, anche se nessuno lo credeva e altrettanto successe con Machado. Il giorno della sua fuga, due dei suoi aiutanti trasportavano lo strano bagaglio del dittatore: otto sacchetti di tela, pesantucci. In essi c’era, in oro, parte della fortuna di Machado. Un’altra parte rimaneva a Cuba, protetta dalle entità bancarie, a quanto sembra sicura.
Nonostante il reclamo popolare, Carlos Manuel de Céspedes che successe a Machado ala presidenza dal 13 agosto, non prese nessuna misura contro i depredatori del tesoro della nazione né confiscò i beni dei malversatori. In cambio, Grau, giunto al potere al calore del colpo di Stato del 4 settembre 1933, raccolse il sentimento della popolazione e nominò un pubblico ministero o accusatore popolare che avrebbe assalito i ladri. Solo in una banca avanera furono dissigillate oltre 12 cassette di sicurezza appartenenti a figure molto vicine alla dittatura sconfitta, far di esse quella di Elvira Machado. Conteneva gioielli di grande valore e oltre un milione di pesos in contanti.
- Questo è un furto! Il contenuto di questa cassetta è la fortuna personale di  mia moglie. I gioielli sono un’eredità famigliare e hanno un valore totale di 106.000 pesos – dichiarò Machado a Montreal, in Canada.
Aggiunse: ”Credo che la storia mi farà giustizia, la mia fortuna attuale non è sproporzionata con quanto avevo quando occupai la presidenza.”
Allora avevo 400.000 pesos per la vendita della Compagnia Cubana di Elettricità e grandi interessi nello zuccherificio Carmita.
Oltre a possedere altre centrali elettriche e fabbriche di ghiaccio in differenti località dell’Isola...” Il processo contro i malversatori proseguiva all’Avana e il capo della Polizia Giudiziaria faceva l’inventario delle cassette di sicurezza aperte e metteva i documenti in mano al dottor Guillermo Montagú, magistrato del Tribunale Supremo e giudice istruttore della causa. Il pubblico ministero o accusatore popolare, da parte sua, trovò e aprì la cassetta di sicurezza dello stesso Machado. ,a questa volta il dittatore si mosse rapidamenbte e corruppe con 150.000 pesos la commissione di incorruttibili che perseguivano i ladri dell’erario.
Siccome Machado non sprecava nessuna opportunità per smentire i commenti sulla favolosa fortuna che gli si attribuiva, assicurando che era “molto povero, come pochi nella mia condizione”, qualcuno decise di giocargli un brutto scherzo. Una sera, una busta indirizzata a suo nome, giunse alla reception dell’albergo canadese dove era alloggiato. Un commesso la port alla stanza dell’ex presidente e Machado ordinò che la aprissero. Sorpresa. Conteneva un centesimo e una nota in cui si leggeva: “ Siccome abbiamo saputo che è così povero, ci compiacia di servirsi di questo modesto aiuto”.
Inutile dire che Machado montò in collera.

Cose del protocollo

Monsignor Manuel Arteaga Betancourt ricevette, a Roma, la porpora cardinalizia, cosa che lo convertì nel primo principe cubano della Chiesa e ritornò all’Avana via mare Quello stesso pomeriggio, il presidente Grau lo ricevette in udienza speciale.
- Eminenza non sa quanto mi spiace di non poter essere stato al porto a riceverla. Ma il protocollo non me lo permetteva.
- Sì Presidente, viviamo schiavi del protocollo – affermò il porporato.
E Grau rispose reapidamente:
- Però non mi negherà che ha anche i suoi vantaggi.
(Fonti: testi di José Oller e Newton Briones Montoto e informazioni orali della stampa)


Derecho de mampara

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
2 de Enero del 2016 21:26:21 CDT

Carlos Fonseca debió haber sido el limpiabotas más reputado de La Habana a comienzos del siglo XX. No solo le lustraba el calzado a don Tomás Estrada Palma, entonces presidente de la República, sino que también eran clientes suyos otros tres que, con el tiempo, ocuparían la primera magistratura: el mayor general Mario García Menocal, el licenciado Alfredo Zayas y el general Gerardo Machado. Claro que no todos los usuarios de su sillón eran presidenciables. Fonseca también daba servicio a gente como Rafael Montoro, figura cimera de la autonomía en Cuba, y a no pocos veteranos de la Independencia, como el general Sánchez Figueras, que estuvo con Maceo en el combate de San Pedro y que, ya acabada la guerra, se casó con una muchacha bellísima que podía ser su nieta y a la que dejó viuda cinco años después de haberla desposado.
Tenía Fonseca su sillón en el café El Guanche, en Belascoaín y Neptuno, frente al café El Siglo XX, que todavía existe, y hasta esa esquina llegaba don Tomás… en tranvía.
Resulta que Frank Steinhart, presidente de la Havana Electric, la empresa propietaria de los tranvías habaneros, puso uno de esos vehículos a disposición de Estrada Palma, que lo utilizó para acudir a su toma de posesión como Presidente de la República, el 20 de mayo de 1902, y siguió utilizándolo luego en no pocas de sus gestiones oficiales y particulares.
Abordaba el mandatario el tranvía en las inmediaciones del Palacio Presidencial (antiguo Palacio de los Capitanes Generales), en la Plaza de Armas; salía el vehículo de La Habana Vieja, se internaba en el centro de la ciudad y al entrar en Belascoaín hacía una breve parada a la altura de Neptuno para que descendiera el Presidente. Una vez que le limpiaban los zapatos, don Tomás esperaba a que el tranvía, que había dado la vuelta por Reina, pasara a recogerlo, esta vez por Neptuno.

Machado y los aviones

Gerardo Machado fue el primer presidente cubano que voló en avión, y uno de los primeros mandatarios en hacerlo en el mundo.
Charles Lindbergh, el primer aviador en atravesar solo y sin escalas el océano Atlántico, invitó al dictador a sobrevolar La Habana y Machado no solo aceptó la propuesta, sino que le cogió el gusto de tal forma que a partir de ese momento cada vez que tenía necesidad de desplazarse al oriente de la Isla pedía a Cubana de Aviación que pusiera a su disposición un aparato para ahorrarse la carretera.
El 20 de mayo de 1927, Lindbergh partió del aeropuerto Roosevelt, en Nueva York. Tripulaba un aparato de un solo motor, rediseñado por él mismo, que tenía por nombre Spirit of Saint Louis. Treinta y tres horas y 32 minutos después arribaba al aeródromo de Le Bourget, cerca de París, y consumaba la hazaña que lo convertiría en uno de los aviadores más famosos de todos los tiempos. A partir de ese histórico vuelo y siempre a bordo de su monoplano, visitó varios países latinoamericanos con el propósito de abrir nuevas rutas aéreas. En todas las naciones que visitó se le recibió con gran pompa y se le tributaron los honores que merecía.
Cuba no sería la excepción. El 8 de febrero de 1928, fecha de su llegada a La Habana procedente de Haití, se declaró el Día de Lindbergh. El pueblo habanero fue a darle la bienvenida en el aeródromo del campamento militar de Columbia y lo aclamó luego en la terraza norte del Palacio Presidencial. El general Alberto Herrera, jefe del Ejército, y el doctor Orestes Ferrara, secretario de Estado, lo condujeron enseguida a presencia del presidente Machado, que le otorgaría una importante condecoración. Cuba fue el último país que visitó el famoso aviador norteamericano a bordo del Spirit of Saint Louis. Al regresar a su país decidió que el avión se conservara y exhibiera en el Museo del Aire y el Espacio, de Washington. Lindbergh volvería a la capital cubana en febrero de 1929 a bordo del avión Águila solitaria.
El 12 de febrero un avión se engalanó en el aeropuerto de Boyeros para acoger al presidente de Cuba y al más nombrado de los aviadores, que lo tripularía. Era un Ford de tres motores con capacidad para diez pasajeros y dos tripulantes. A partir de ahí ese mismo aparato u otro con características similares, que hacía entonces los vuelos Habana-Santiago de Cuba con escala en la ciudad de Camagüey, estuvo al servicio de Machado cada vez que el dictador lo solicitaba. Le falló sin embargo el día de la fuga, el 12 de agosto de 1933. Pidió dos aviones, de doce plazas cada uno, para huir de la justicia popular con sus más cercanos colaboradores, y tuvo que conformarse con un aeroplano de seis plazas.
Ese Ford de tres motores, propiedad de la Pan American Airways y que Cubana de Aviación arrendaba, fue vendido, en los días de la II Guerra Mundial, a la República Dominicana, que lo utilizó como avión presidencial. Después que el sátrapa Rafael Leónidas Trujillo se cansó de usarlo, el aparato volvió a Estados Unidos, y aquella aeronave utilizada por dos dictadores empezó a utilizarse en labores de fumigación, hasta los años 60, cuando se sacó de circulación, pero… Hace algunos años el viejo avión fue restaurado y se está usando en viajes turísticos en la ciudad de Grand Rapids, en Michigan. Cobran 50 dólares por pasajero a cambio de una vuelta de 15 minutos.

Menocal y el divino Galimatías

El doctor Ramón Grau San Martín, presidente de Cuba por segunda vez entre 1944 y 1948, era así. No por gusto ganó el mote de Divino Galimatías. Su lenguaje era oscuro y confuso; cantinflesco. Y él, todo un maestro para eludir compromisos y rodear o evadir los temas sobre los que no le interesaba definirse o sobre los que quería ocultar su pensamiento.
Los comerciantes de la calle Muralla le pidieron una entrevista a fin de referirle temas de su interés y para los que buscaban el apoyo del primer mandatario. Hay que decir en honor a la verdad que Grau hizo varios intentos por recibirlos y como siempre una responsabilidad mayor se lo impidió decidió incluirlos en la agenda de la más próxima audiencia pública, sesión maratónica de entrevistas en la que uno de los ayudantes o el secretario del Presidente establecía el orden de precedencia en el recibo y en la cual no faltaban aquellos personajes que gozaban de lo que en la época se llamaba «derecho de mampara», que les franqueaba la puerta sin necesidad de espera alguna.
A las seis de la tarde llegaron los comerciantes de Muralla a Palacio y eran más de la una de la madrugada cuando los hicieron pasar al despacho del Presidente. Grau, muy serio y con los brazos en jarra, los esperaba de pie detrás del escritorio.
—Sé que están aquí desde temprano, pero ya saben cómo son las tareas de un mandatario… agobiantes. ¡La cantidad de gente que me vi obligado a recibir! Imagino, sin embargo, que su espera no habrá sido infructuosa porque habrán reparado en el retrato del presidente Menocal que está en el antedespacho y     verían cómo le cambia  el
rostro a medida que cae la noche.
Al oír aquello, los comerciantes de la calle Muralla quedaron sin palabras. Desconcierto. Intercambio de miradas. Sonrisas forzadas. A uno de los del grupo se le escapó un estornudo. Grau volvió a la carga.
—¿No lo vieron? ¿Cómo es posible que pasaran por alto detalle tan evidente? Vengan, vengan conmigo.
El Presidente condujo al grupo a la antesala del despacho presidencial y lo hizo situarse delante del retrato en cuestión.
—Verán cómo le cambia la cara. ¡Obsérvenlo! —Y a punto ya de escurrirse por un pasillo, añadió: ¡Y síganlo observando!
Aquella noche los comerciantes de la calle Muralla no volvieron a ver al Presidente ni insistieron más en lo de la entrevista.

¡Eso es un robo!

Los dictadores son tacaños en su derrota. Fulgencio Batista, a partir de 1959, no se cansó de proclamar su pobreza, aunque nadie se lo creyera, y otro tanto sucedió con Machado. El día de su fuga, dos de sus ayudantes transportaban el extraño equipaje del ex dictador: ocho saquitos de lona, pesaditos. En ellos iba, en oro, parte de la fortuna de Machado. Otra parte quedaba en Cuba, al amparo de entidades bancarias, segura al parecer.
Pese al reclamo popular, Carlos Manuel de Céspedes, que sucedió a Machado en la presidencia desde el 13 de agosto, no tomó medida alguna contra los depredadores del tesoro de la nación ni confiscó los bienes de los malversadores. En cambio Grau, llegado al poder al calor del golpe de Estado del 4 de septiembre de 1933, recogió el sentir de la ciudadanía y nombró a un fiscal o acusador popular que les iría arriba a los ladrones. Solo en un banco habanero fueron selladas más de 12 cajas de seguridad pertenecientes a figuras muy vinculadas con la dictadura derrocada, entre ellas la de Elvira Machado. Contenía joyas muy valiosas y más de un millón de pesos en efectivo.
—¡Eso es un robo! El contenido de esa caja es la fortuna personal de mi esposa. Las joyas son una herencia familiar y tienen el valor total de 106 000 pesos —declaró Machado en Montreal, Canadá.
Añadió: «Creo que la historia me hará justicia. Mi fortuna actual no es desproporcionada con la que tenía cuando ocupé la presidencia.
Tenía entonces 400 000 pesos por la venta de la Compañía Cubana de Electricidad y grandes intereses en el central azucarero Carmita.
Además de poseer otras plantas eléctricas y fábricas de hielo en diferentes localidades de la Isla…» El proceso contra los malversadores proseguía en La Habana y el jefe de la Policía Judicial levantaba el inventario de las cajas selladas y ponía los documentos en manos del doctor Guillermo Montagú, magistrado del Tribunal Supremo y juez instructor de la causa. El fiscal o acusador popular, por su parte, localizaba y sellaba la caja de seguridad del propio Machado. Pero esa vez el ex dictador se movió rápido y con 150 000 pesos sobornó a la comisión de insobornables que perseguían a los ladrones del erario.
Como Machado no desaprovechaba oportunidad alguna para desmentir los comentarios sobre la fortuna fabulosa que se le atribuía, asegurando que estaba «más bien pobre, como pocos en mi condición», alguien decidió jugarle una broma pesada. Una noche, un sobre dirigido a su nombre llegó a la carpeta del hotel canadiense donde se alojaba. Un bellboy lo subió hasta la habitación del ex mandatario y Machado ordenó que lo abrieran. Sorpresa. Contenía un centavo y una nota en la que se leía: «Como hemos sabido que está tan pobre, sírvase aceptarnos esta modesta ayuda».
De más está decir que Machado montó en cólera.

Cosas del protocolo

Recibe en Roma el capelo cardenalicio monseñor Manuel Arteaga Betancourt, lo que lo convirtió en el primer príncipe cubano de la Iglesia, y regresa por mar a La Habana. Esa misma tarde, el presidente Grau lo recibe en audiencia especial.
—No sabe cuánto lamenté, Eminencia, no poder ir al puerto a recibirlo.
Pero el protocolo no me lo permitía.
—Sí, Presidente, vivimos esclavos del protocolo —aseveró el purpurado.
Y Grau ripostó, rápido:
—Pero no me negará que también tiene sus ventajas.
(Fuentes: Textos de José Oller y Newton Briones Montoto e informaciones orales y de prensa)


Ciro Bianchi Ross

























martedì 5 gennaio 2016

Isolamento

Sono rimasto tre giorni senza telefono e quindi, senza Internet. La comunicazione mi è appena stata ristabilita e domani pubblicherò la solita colonna di Ciro Bianchi.