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lunedì 11 gennaio 2016

Anatomia di un teatro, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 10/1/16

Una delle facce più indimenticabili della città si trasforma a prima vista. Alludo alla parte che corre lungo il Paseo del Prado, tra la calle Virtudes e la Calzada de Monte. In questo spazio si costruì l’hotel prque central, più che restaurarsi, si edificarono nuovamente gli hotel Telegrafo e Saratoga, più fiammanti adesso di come lo furono all’origine. Oggi si riabilita il Capitolio e il divieto di sosta da Nettuno a Monte conferisce al prado una prospettiva finora inedita, per non riferirsi al sistema d’illuminazione che mette di per se una nota di novità all’area. Ci sono alcuni buoni ristoranti. Mancherebbe di procedere all’eliminazione di chioschi statali e privati e rimane sempre inconcepibile che in un esercizio che produce tanti soldi come la Pastelería Francesa, pezzi di nylon sostituiscano i cristalli rotti delle sue vetrine. Un poco più in la, attraversando il Parque Central, si costruisce l’hotel Manzana. Si restaura il teatro Payret. Succederà lo stesso con la casa editrice Abril?
In uno sforzo costruttivo così colossale si inserisce la rimodellazione del Gran Teatro de La Habana che ha riaperto le sue porte lo scorso 1° gennaio col nome di Alicia Alonso, meritato omaggio all’esimia ballerina che si è presentata per la prima volta sul suo scenario nel 1950. Gran Teatro de La Habana Alicia Alonso.
Cosa vi sembra se dedichiamo la pagina di oggi a ricordare alcune curiosità di questo anfiteatro?

I nomi

La prima di esse sarebbe il nome. Prima diciamo che a parer nostro, il Gran Teatro è una istituzione culturale che è transitata per diversi periodi, dalla sua inaugurazione nel 1938 ad oggi. Quando si stava costruendo l’edificio all’angolo di Prado e San Rafael, la stampa cominciò a chiamarlo Teatro Nuovo, ma Francisco Marty, il catalano che aveva avuto dal Governo coloniale la concessione per costruirlo, non tardò a mettere le briglie ai giornalisti. Si chiamerà, disse, Gran Teatro de Tacón, come segno di gratitudine al suo protettore e amico il Capitano Generale che gli aveva fatto guadagnare tanti soldi.
Per la costruzione del teatro, Tacón concesse a don Pancho Marty una discussa frangia di terreno reale situata quasi di fronte alla porta della muraglia di Monserrate, in una delle zone più richieste di fuori dalle mura e somministrò le pietre necessarie, mentre garantiva la mano d’opera con i detenuti del carcere dell’Avana, schiavi e poveracci. Come garanzia dell’impresa, Marty avrebbe messo a disposizione la sua immensa fortuna. Nel processo di residenza che si tenne a Madrid alla sua uscita dal Governo, Tacón dichiaró che il Gran Teatro aveva significato un investimento di 200.000 pesos. Marty, da parte sua disse che il costo dell’edificio fu di 291.507 pesos e 16 reales, cifra che non comprendeva le risorse apportate dall’amministrazione coloniale.
Il 15 aprile di quell’anno il teatro cominciava la sua prima stagione melodrammatica e con essa era ufficialmente inaugurato. Per questi casi della vita, quel giorno giungeva a Cuba l’Ordine Reale che disponeva la cessazione di Tacón come governatore generale dell’Isola e la sua sostituzione con Joaquín de Ezpeleta. Don Pancho Marty, accompagnó il suo amico fino alla tomba, ma non si mise nella fossa assieme a lui. Continuó godendo, fino alla sua morte, dei favori dei capitani generali successivi.
Con la fine della dominazione coloniale spagnola, s’imponeva un cambio di nome. Il Gran Teatro de Tacón comincerà a chiamarsi Gran Teatro Nacional. Ma, come annota lo storico Francisco Rey Alfonso nella sua Biografía de un Coliseo, il nuovo nome fu soggetto per molti anni a una considerazione bivalente, ebbene per un motivo o l’altro in alcune citazioni ufficiali si chiamava così come pure Teatro Nacional e basta, denominazione che finì per imporsi a partire dal 1915 quando, nel portico del nuovo edificio si incisero le iniziali TN.
Già per allora il teatro era passato ad essere proprietà del Centro Gallego. Nel 1906 questa società reale spagnola pagava all’impresa nordamericana Tacón Realty Company – che aveva acquistato dagli eredi di don Pancho Marty –più di mezzo milione di pesos per il teatro e i suoi edifici annessi, ubicate nell’isolato compreso tra Prado, San Rafael, San José e Consulado. Come deferenza al presidente Estrada Palma o in un gesto di delicatezza verso i cubani, il tetro non avrebbe cambiato nome. Coninuerà ad essere Teatro Nacional. Solo che questo nome che identificava un esrcizio appartenente a un’entità straniera, dava fastidio a molti. Aveva poco di Nacional, perché la nazione non aveva niente a che vedere con lui.
Alla metà degli anni ’50 comiciò a costruirsi nella cosiddetta Plaza Civica o de la República, attuale Plaza de  la Revolución José Martí, l’edificio che ospiterà il Teatro Nacional de Cuba. Non potevano esistere due teatri con lo stesso nome nella medesima città. S’imponeva una nuova denominazione per l’lanfiteatro del Prado e San Rafael. Si chiamerà Teatro Estrada Palma. Il cambio avvenne già nel 1959, il 24 ottobre, data in cui si celebrava allora, a Cuba, la Giornata dei Giornalisti.
Non fu per molto tempo che il nostro emblematico scenario si identificò col nome di Estrada Palma. Il 19 agosto del 1961, in occasione del 25° anniversario dell’uccisione di Federico García Lorca, la Junta Interventora del Centro Gallego dava a conoscere che il teatro avrebbe preso il nome del poeta granadino. E lì non finí la storia. Nel 1967 gli si dete il nome di Gran Teatro del Balletto e Opera di Cuba e dieci anni dopo quello di Liceo dell’Avana Vecchia, quando si riscattarono alla cultura i preziosi spazi che furono parte del palazzo sociale del Centro Gallego e che davano luogo, allora, alla Società di Amicizia Cubano – Spagnola (SACE). A partire da allora si cercò una nuova organizzazione delle potenzialità dell’edificio, ribattezzato nel 1981 come Complesso Culturale del Gran Teatro García Lorca, sede stabile, sotto la direzione generale di Alicia Alonso, del Balletto Nazionale di Cuba, l’Opera Nazionale, il Teatro Lirico Gonzalo Roig, il coro e l’orchestra. Lo sviluppo di queste compagnie da luogo a un successo significativo nella storia dell’immobile: tutte le sue aree si aggiungono al lavoro culturale. L’inserimento di nuovi locali, annota lo storico Francisco Rey Alfonso,  dava inizio a un progetto ambizioso e inedito a Cuba. Al teatro, chiamato adesso Sala García Lorca, si aggiunsero le sale Ernesto Lecuona (concerti), Lezama Lima (conferenze) e Bola de Nieve (attività musicali), così come altri locali destinati a classi, prove, esposizioni...
Nel giugno dell’85, questo gran complesso culturale passa a denominarsi, sempre sotto la direzione generale di Alicia, Gran Teatro de La Habana. Nascono le sale Alejo Carpentier (arti sceniche), Imago (arti visive) e Artaud (teatro arena), allo stesso tempo importanti gruppi artistici come il Ballet Español, Danza Contemporanea e il balletto di Liszt Alfonso fanno del teatro la loro sede. Gli eventi internazionali si tengono sul suo palcoscenico principale nel Gran Teatro che si riafferma come il simbolo per eccellenza delle arti sceniche a Cuba.

Il ragno

Il Gran Teatro Chacón fu, nel suo momento, uno dei migliori del mondo. La sua facciata austera contrastava col lusso e l’eleganza dei suoi interni. L’esimia ballerina Fanny Essler lo paragonò al San Carlo di Napoli e la Scala di Milano “e non credo che siano molto più grandi né più eleganti in proporzioni e stile”. La contessa di Merlin lo vide, nel 1844, come un salone che non avrebbe stonato a Londra o a Parigi, mentre altri viaggiatori erano risentiti di trovare nella colonia quello che non c’era nella metropoli. Il palco destinato al Governatore appariva meglio adornato di quello che si destinava ai reali in alcuni Paesi. Ottanta finestre e 22 porte ventilavano la sala. La sua acustica era insuperabile. Nel 1878 accettava 2.287 persone sedute e altre 750 che potevano situarsi in piedi, dietro ai palchi, anche se si dice che all’inizio aveva una capacità di 4.000 spettatori. A quel tempo il personale del teatro era formata da un direttore, un segretario, un contabile, un responsabile dei libri, un portiere capo e 13 tra portieri e addetti alla sala. Anche un venditore dei biglietti, un meccanico, quattro falegnami, due custodi, una sarta con cinque aiutanti, un cartellonista e vari operai, gruisti e attrezzisti così come un certo numero di comparse che erano chiamate a lavorare, venendo pagate, quando le circostanze lo richiedessero.
Il suo lampadari centrale, a forma di ragno, costituiva secondo la filastrocca popolare uno degli elementi distintivi della città, assieme al Morro e la Cabaña. “Tre cose ha l’Avana/che causano ammirazione/sono: il Morro/la Cabaña/e il ragno di Tacón”.
Si diceva che questo lampadario era superato in dimensioni solo da quello dell’Opera di Parigi e del Palacio Real madrileno. Sebbene provocasse l’ammirazione di molti,  a quelli che dovevano presenziare allo spettacolo dai piani superiori del teatro, cioè dalla galleria superiore al loggione: li obbligava a prodigi per vedere lo scenario completo. Si fecero molti suggerimenti per risolvere questa situazione, ma il ragno del Tacón rimase al suo posto per oltre 60 anni.
Il lampadario soffrì un danno serio quando, una sera del 1863, gli spettatori deciser di prendere d’assalto la scena. Era tornato ad aprire le sue porte, dopo una delle tante rimodellazioni che patì e lo fece con una compagnia di così bassa qualità che il pubblico dell galleria superiore e il loggione, indignato e infuriato, si scagliò contro i comici lanciando in platea e sul palco i braccioli delle poltrone e qualsivoglia oggetto contundente trovasse a portata di mano. Rey Alfonso, nella sua Biografía de un coliseo si permette un’altra lettura, forse più esatta, di questo incidente: gli spettatori più umili espressero quest’attitudine aggressiva, non cpontro gli attori, ma contro il regime coloniale.

Il famoso lampadario sparì il 9 gennaio del 1900. Si stava pulendo il teatro in vista alla stagione dell’opera che sarebbe iniziata il giorno seguente quando, il mitico ragno, si staccò dal soffitto cadendo strepitosamente sulla platea. Per sostituirlo si affittò in fretta e furia un plafone a forma di stella che sosteneva 120 lampadine elettriche. I tempi erano cambiati, il nome di Tacòn risultava antiquato e si suggerì di dare al Gran Teatro il nome di La Estrella. L’idea non avanzò. Anche la lampada a forma di stella fu sostituita. A metà del 1915 cominciò a funzionare un ventilatore di aspirazione che faceva scendere a 20 gradi la temperatura della sala.


Anatomía de un teatro

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
9 de Enero del 2016 21:04:44 CDT

Uno de los rostros más entrañable de la ciudad se transforma a ojos vista. Aludo al tramo que corre a lo largo del Paseo del Prado, entre la calle Virtudes y la Calzada de Monte. En ese espacio se construyó el hotel Parque Central y, más que restaurarse, se edificaron otra vez los hoteles Telégrafo y Saratoga, más flamantes ahora que como lo fueron en sus orígenes. Hoy se rehabilita el Capitolio, y la prohibición de parqueo desde Neptuno a Monte confiere una perspectiva al Prado hasta ahora inédita, por no aludir al sistema de luminarias que pone asimismo una nota novedosa en el área.  Hay algunos buenos restaurantes. Faltaría proceder a la eliminación de timbiriches estatales y privados, y sigue siendo inconcebible que en un establecimiento que produce tanto dinero como la Pastelería Francesa, pedazos de nylon sustituyan los cristales rotos de sus vidrieras. Un poco más allá, cruzando el Parque Central, se construye el hotel Manzana. Se restaura el teatro Payret. ¿Sucederá igual con el edificio de la casa editora Abril?
En esfuerzo constructivo tan colosal se inscribe la remodelación del Gran Teatro de La Habana, que reabrió sus puertas el pasado 1ro. de enero con el nombre de Alicia Alonso, merecido homenaje a la eximia bailarina que se presentó en su escenario por primera vez en 1950. Gran Teatro de La Habana Alicia Alonso.
¿Qué tal si dedicamos la página de hoy a rememorar algunas curiosidades de ese coliseo?

Los nombres

La primera de ella sería el nombre. Digamos antes que, a nuestro juicio, el Gran Teatro es una institución cultural que ha transitado por diversas etapas, desde su inauguración en 1838 hasta hoy. Cuando se construía el edificio de la esquina de Prado y San Rafael, la prensa comenzó llamarlo Teatro Nuevo, pero Francisco Marty, el catalán que había recibido del Gobierno colonial la concesión para construirlo, no demoró en atajarles los caballos a los periodistas. Se llamaría, dijo, Gran Teatro de Tacón, como muestra de agradecimiento a su protector y amigo el Capitán General que tanto dinero le dio a ganar.
Para la construcción del teatro, Tacón concedió a don Pancho Marty una discutida franja de terreno realengo situada casi al frente de la puerta de Monserrate de la muralla, en una de las zonas más codiciadas de extramuros, y suministraría la piedra necesaria, en tanto que garantizaba la mano de obra con los reclusos de la cárcel de La Habana, esclavos y peones. Como respaldo de la empresa, pondría Marty su cuantiosa fortuna. En el juicio de residencia que se le siguió en Madrid a su salida del gobierno, Tacón declaró que el Gran Teatro había significado una inversión de 200 000 pesos. Marty dijo por su parte que el costo del edificio fue de 291 507 pesos con 16 reales, cifra que no incluía los recursos aportados por la administración colonial.
El 15 de abril de ese año iniciaba el teatro su primera temporada dramática y, con ella, quedaba oficialmente inaugurado. Por esas coincidencias de la vida, ese día llegaba a Cuba la Real Orden que disponía el cese de Miguel Tacón como gobernador general de la Isla y su sustitución por Joaquín de Ezpeleta. Don Pancho Marty  acompañó a su amigo hasta la tumba, pero no se metió en el hueco junto con él. Siguió disfrutando hasta su fallecimiento de los favores de los capitanes generales siguientes.
Con el fin de la dominación colonial española se imponía un cambio de nombre. El Gran Teatro de Tacón empezaría a llamarse Gran Teatro Nacional. Pero como apunta el historiador Francisco Rey Alfonso en su Biografía de un coliseo, el nuevo nombre estuvo sujeto durante años a una consideración ambivalente pues, por una razón u otra, aun en formulaciones oficiales lo mismo se le llamaba de esa manera que Teatro Nacional a secas, denominación que terminó por imponerse a partir de 1915, cuando en el portal del nuevo edificio se incrustaron las iniciales TN.
Ya para entonces, el teatro había pasado a ser propiedad del Centro Gallego. En 1906 esa sociedad regional española pagaba a la empresa norteamericana Tacón Realty Company —que había comprado a los herederos de don Pancho Marty— más de medio millón de pesos por el teatro y sus edificaciones anexas, desplegadas en la manzana enmarcada entre Prado, San Rafael, San José y Consulado. Como deferencia al presidente Estada Palma o en un gesto de delicadeza hacia los cubanos, el teatro no cambiaría de nombre. Seguiría siendo el Teatro Nacional. Solo que ese nombre que identificaba un establecimiento perteneciente a una entidad extranjera molestaba a muchos. Poco tenía de Nacional, porque la nación nada tenía que ver con él.
A mediados de los años 50 empieza a edificarse en la llamada entonces Plaza Cívica o de la República, actual Plaza de la Revolución José Martí, el edificio que albergaría al Teatro Nacional de Cuba. No podrían existir dos teatros con igual nombre en una misma ciudad. Se imponía una nueva denominación para el coliseo de Prado y San Rafael. Se llamaría Teatro Estrada Palma. El cambio ocurrió ya en 1959, el 24 de octubre, fecha en la que entonces se celebraba en Cuba el Día del Periodista.
No por mucho tiempo identificó el nombre de Estrada Palma a nuestro emblemático escenario. El 19 de agosto de 1961, en ocasión del aniversario 25 del asesinato de Federico García Lorca, la Junta Interventora del Centro Gallego daba a conocer que el coliseo llevaría el nombre del poeta granadino. Ahí no paró el asunto. En 1967 se le dio el nombre de Gran Teatro de Ballet y Ópera de Cuba, y diez años después el de Liceo de La Habana Vieja cuando se rescataron para la cultura los valiosos espacios que fueron parte del palacio social del Centro Gallego y que daban cabida entonces a la Sociedad de Amistad Cubano-Española (SACE). A partir de entonces se buscó una nueva organización de las potencialidades del edificio, rebautizado en 1981 como Complejo Cultural del Gran Teatro García Lorca, sede estable, bajo la dirección general de Alicia Alonso, del Ballet Nacional de Cuba, la Ópera Nacional, el Teatro Lírico Gonzalo Roig, el coro y la orquesta. El desarrollo de esas agrupaciones da lugar a un suceso significativo en la historia del inmueble: todas sus áreas se suman al trabajo cultural. La incorporación de los nuevos locales, apunta el historiador Francisco Rey Alfonso, daba inicio a un proyecto ambicioso e inédito en Cuba. Al teatro, llamado ahora Sala García Lorca, se añadieron las salas Ernesto Lecuona (conciertos), Lezama Lima (conferencias) y Bola de Nieve (actividades musicales), así como  otros locales destinados a clases, ensayos, exposiciones…
En junio del 85, ese complejo cultural pasa a denominarse, siempre bajo la dirección general de Alicia, Gran Teatro de La Habana. Surgen las salas Alejo Carpentier (artes escénicas), Imago (artes visuales) y Artaud (teatro arena), al tiempo que importantes agrupaciones artísticas, como el Ballet Español, Danza Contemporánea y el Ballet de Lizt Alfonso, hacen del coliseo su sede. Eventos internacionales tienen su escenario principal en el Gran Teatro, que se reafirma como el símbolo por excelencia de las artes escénicas en Cuba.

La araña

El Gran Teatro Tacón fue en su momento uno de los mejores del mundo. Su austera fachada contrastaba con el lujo y la elegancia de su interior. La eximia bailarina Fanny Elssler lo comparó con el San Carlo, de Nápoles, y la Scala, de Milán, «y no creo que sean mucho más grandes ni más elegantes en proporciones y estilo».  La condesa de Merlin lo vio, en 1844, como un salón que no desentonaría en Londres ni en París, en tanto que otros viajeros se resentían al encontrar en la colonia lo que no existía en la metrópoli. El palco destinado al Gobernador lucía mejor adornado que el que se destinaba a los reyes en algunos países. Ochenta ventanas y 22 puertas ventilaban la estancia. Su acústica era insuperable. En 1878 admitía a 2 287 personas sentadas y a otras 750 que podían colocarse de pie detrás de los palcos, aunque se dice que en sus inicios tenía capacidad para unos 4 000 espectadores. En ese entonces la plantilla del teatro la conformaban un director, un secretario, un contador, un tenedor de libros, un portero mayor y 13 porteros y acomodadores. También un expendedor de boletos, un mecánico, cuatro carpinteros, dos serenos, una costurera con cinco ayudantes, un cartelero y varios conserjes, tramoyistas y utileros, así como cierto número de extras, que solo eran llamados a trabajar, y cobraban, cuando las circunstancias lo requerían.
Su lámpara central, en forma de araña, constituía, según la copla popular, uno de los elementos distintivos de la ciudad, junto al Morro y la Cabaña. «Tres cosas tiene La Habana / que causan admiración: / son el Morro, la Cabaña / y la araña de Tacón».
Se decía que esa lámpara solo la superaban en tamaño las de la Ópera de París y el Palacio Real madrileño. Si bien provocaba la admiración de muchos, irritaba a otros, a aquellos que debían presenciar el espectáculo desde los pisos superiores del teatro. Esto es, desde la tertulia y la cazuela: los obligaba a hacer prodigios para ver el escenario completo. Se hicieron muchas sugerencias para remediar esa situación, pero la araña del Tacón permaneció en su mismo sitio durante más de 60 años.
La luminaria sufrió una seria avería cuando una noche de 1863 los espectadores decidieron tomar la escena por asalto. Había vuelto a abrir sus puertas, luego de una de las tantas remodelaciones que sufriera, y lo hizo con la presentación de una compañía de tan mala calidad que el público de la tertulia y la cazuela, molesto y enfurecido, arremetió contra los cómicos lanzando a la platea y al  escenario los brazos de las butacas y cuanto objeto contundente encontró a su alcance. Rey Alfonso en su Biografía de un coliseo se permite otra lectura, quizá más exacta, de ese incidente: los espectadores más humildes asumieron tan agresiva actitud no contra los actores, sino en repudio al régimen colonial.
La famosa lámpara desaparecería el 9 de enero de 1900. Se limpiaba el teatro con vista a la temporada de ópera que se iniciaría al día siguiente, cuando la mítica araña se desprendió del techo y cayó estrepitosamente sobre el lunetario. Para sustituirla se adquirió a toda prisa un plafón en forma de estrella que sostenía 120 bombillas eléctricas. Los tiempos habían cambiado, el nombre de Tacón resultaba obsoleto y se sugirió dar al Gran Teatro el nombre de La Estrella. La idea no progresó. La lámpara con forma de estrella fue también sustituida. A mediados de 1915 comenzó a funcionar un ventilador absorbente que hacía descender a 20 grados la temperatura de la sala.

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