Una delle facce più
indimenticabili della città si trasforma a prima vista. Alludo alla parte che
corre lungo il Paseo del Prado, tra la calle Virtudes e la Calzada de Monte. In
questo spazio si costruì l’hotel prque central, più che restaurarsi, si edificarono
nuovamente gli hotel Telegrafo e Saratoga, più fiammanti adesso di come lo
furono all’origine. Oggi si riabilita il Capitolio e il divieto di sosta da
Nettuno a Monte conferisce al prado una prospettiva finora inedita, per non
riferirsi al sistema d’illuminazione che mette di per se una nota di novità
all’area. Ci sono alcuni buoni ristoranti. Mancherebbe di procedere
all’eliminazione di chioschi statali e privati e rimane sempre inconcepibile
che in un esercizio che produce tanti soldi come la Pastelería Francesa, pezzi
di nylon sostituiscano i cristalli rotti delle sue vetrine. Un poco più in la,
attraversando il Parque Central, si costruisce l’hotel Manzana. Si restaura il
teatro Payret. Succederà lo stesso con la casa editrice Abril?
In uno sforzo
costruttivo così colossale si inserisce la rimodellazione del Gran Teatro de La
Habana che ha riaperto le sue porte lo scorso 1° gennaio col nome di Alicia
Alonso, meritato omaggio all’esimia ballerina che si è presentata per la prima
volta sul suo scenario nel 1950. Gran Teatro de La Habana Alicia Alonso.
Cosa vi sembra se
dedichiamo la pagina di oggi a ricordare alcune curiosità di questo anfiteatro?
I nomi
La prima di esse
sarebbe il nome. Prima diciamo che a parer nostro, il Gran Teatro è una istituzione
culturale che è transitata per diversi periodi, dalla sua inaugurazione nel
1938 ad oggi. Quando si stava costruendo l’edificio all’angolo di Prado e San
Rafael, la stampa cominciò a chiamarlo Teatro Nuovo, ma Francisco Marty, il
catalano che aveva avuto dal Governo coloniale la concessione per costruirlo,
non tardò a mettere le briglie ai giornalisti. Si chiamerà, disse, Gran Teatro
de Tacón, come segno di gratitudine al suo protettore e amico il Capitano
Generale che gli aveva fatto guadagnare tanti soldi.
Per la costruzione
del teatro, Tacón concesse a don Pancho Marty una discussa frangia di terreno
reale situata quasi di fronte alla porta della muraglia di Monserrate, in una
delle zone più richieste di fuori dalle mura e somministrò le pietre necessarie,
mentre garantiva la mano d’opera con i detenuti del carcere dell’Avana, schiavi
e poveracci. Come garanzia dell’impresa, Marty avrebbe messo a disposizione la
sua immensa fortuna. Nel processo di residenza che si tenne a Madrid alla sua
uscita dal Governo, Tacón dichiaró che il Gran Teatro aveva significato un
investimento di 200.000 pesos. Marty, da parte sua disse che il costo
dell’edificio fu di 291.507 pesos e 16 reales, cifra che non comprendeva le
risorse apportate dall’amministrazione coloniale.
Il 15 aprile di
quell’anno il teatro cominciava la sua prima stagione melodrammatica e con essa
era ufficialmente inaugurato. Per questi casi della vita, quel giorno giungeva
a Cuba l’Ordine Reale che disponeva la cessazione di Tacón come governatore
generale dell’Isola e la sua sostituzione con Joaquín de Ezpeleta. Don Pancho
Marty, accompagnó il suo amico fino alla tomba, ma non si mise nella fossa
assieme a lui. Continuó godendo, fino alla sua morte, dei favori dei capitani
generali successivi.
Con la fine della
dominazione coloniale spagnola, s’imponeva un cambio di nome. Il Gran Teatro de
Tacón comincerà a chiamarsi Gran Teatro Nacional. Ma, come annota lo storico
Francisco Rey Alfonso nella sua Biografía
de un Coliseo, il nuovo nome fu
soggetto per molti anni a una considerazione bivalente, ebbene per un motivo o
l’altro in alcune citazioni ufficiali si chiamava così come pure Teatro
Nacional e basta, denominazione che finì per imporsi a partire dal 1915 quando,
nel portico del nuovo edificio si incisero le iniziali TN.
Già per allora il
teatro era passato ad essere proprietà del Centro Gallego. Nel 1906 questa
società reale spagnola pagava all’impresa nordamericana Tacón Realty Company –
che aveva acquistato dagli eredi di don Pancho Marty –più di mezzo milione di
pesos per il teatro e i suoi edifici annessi, ubicate nell’isolato compreso tra
Prado, San Rafael, San José e Consulado. Come deferenza al presidente Estrada
Palma o in un gesto di delicatezza verso i cubani, il tetro non avrebbe cambiato
nome. Coninuerà ad essere Teatro Nacional. Solo che questo nome che
identificava un esrcizio appartenente a un’entità straniera, dava fastidio a
molti. Aveva poco di Nacional, perché la nazione non aveva niente a che vedere
con lui.
Alla metà degli anni
’50 comiciò a costruirsi nella cosiddetta Plaza Civica o de la República,
attuale Plaza de la Revolución José
Martí, l’edificio che ospiterà il Teatro Nacional de Cuba. Non potevano
esistere due teatri con lo stesso nome nella medesima città. S’imponeva una
nuova denominazione per l’lanfiteatro del Prado e San Rafael. Si chiamerà
Teatro Estrada Palma. Il cambio avvenne già nel 1959, il 24 ottobre, data in
cui si celebrava allora, a Cuba, la Giornata dei Giornalisti.
Non fu per molto
tempo che il nostro emblematico scenario si identificò col nome di Estrada
Palma. Il 19 agosto del 1961, in occasione del 25° anniversario dell’uccisione
di Federico García Lorca, la Junta Interventora del Centro Gallego dava a
conoscere che il teatro avrebbe preso il nome del poeta granadino. E lì non
finí la storia. Nel 1967 gli si dete il nome di Gran Teatro del Balletto e
Opera di Cuba e dieci anni dopo quello di Liceo dell’Avana Vecchia, quando si
riscattarono alla cultura i preziosi spazi che furono parte del palazzo sociale
del Centro Gallego e che davano luogo, allora, alla Società di Amicizia Cubano
– Spagnola (SACE). A partire da allora si cercò una nuova organizzazione delle
potenzialità dell’edificio, ribattezzato nel 1981 come Complesso Culturale del
Gran Teatro García Lorca, sede stabile, sotto la direzione generale di Alicia
Alonso, del Balletto Nazionale di Cuba, l’Opera Nazionale, il Teatro Lirico
Gonzalo Roig, il coro e l’orchestra. Lo sviluppo di queste compagnie da luogo a
un successo significativo nella storia dell’immobile: tutte le sue aree si
aggiungono al lavoro culturale. L’inserimento di nuovi locali, annota lo
storico Francisco Rey Alfonso, dava
inizio a un progetto ambizioso e inedito a Cuba. Al teatro, chiamato adesso
Sala García Lorca, si aggiunsero le sale Ernesto Lecuona (concerti), Lezama
Lima (conferenze) e Bola de Nieve (attività musicali), così come altri locali
destinati a classi, prove, esposizioni...
Nel giugno dell’85,
questo gran complesso culturale passa a denominarsi, sempre sotto la direzione
generale di Alicia, Gran Teatro de La Habana. Nascono le sale Alejo Carpentier (arti
sceniche), Imago (arti visive) e Artaud (teatro arena), allo stesso tempo
importanti gruppi artistici come il Ballet Español, Danza Contemporanea e il
balletto di Liszt Alfonso fanno del teatro la loro sede. Gli eventi
internazionali si tengono sul suo palcoscenico principale nel Gran Teatro che
si riafferma come il simbolo per eccellenza delle arti sceniche a Cuba.
Il ragno
Il Gran Teatro Chacón
fu, nel suo momento, uno dei migliori del mondo. La sua facciata austera
contrastava col lusso e l’eleganza dei suoi interni. L’esimia ballerina Fanny
Essler lo paragonò al San Carlo di Napoli e la Scala di Milano “e non credo che
siano molto più grandi né più eleganti in proporzioni e stile”. La contessa di
Merlin lo vide, nel 1844, come un salone che non avrebbe stonato a Londra o a
Parigi, mentre altri viaggiatori erano risentiti di trovare nella colonia
quello che non c’era nella metropoli. Il palco destinato al Governatore
appariva meglio adornato di quello che si destinava ai reali in alcuni Paesi.
Ottanta finestre e 22 porte ventilavano la sala. La sua acustica era
insuperabile. Nel 1878 accettava 2.287 persone sedute e altre 750 che potevano
situarsi in piedi, dietro ai palchi, anche se si dice che all’inizio aveva una
capacità di 4.000 spettatori. A quel tempo il personale del teatro era formata
da un direttore, un segretario, un contabile, un responsabile dei libri, un
portiere capo e 13 tra portieri e addetti alla sala. Anche un venditore dei
biglietti, un meccanico, quattro falegnami, due custodi, una sarta con cinque
aiutanti, un cartellonista e vari operai, gruisti e attrezzisti così come un
certo numero di comparse che erano chiamate a lavorare, venendo pagate, quando
le circostanze lo richiedessero.
Il suo lampadari
centrale, a forma di ragno, costituiva secondo la filastrocca popolare uno
degli elementi distintivi della città, assieme al Morro e la Cabaña. “Tre cose
ha l’Avana/che causano ammirazione/sono: il Morro/la Cabaña/e il ragno di
Tacón”.
Si diceva che questo
lampadario era superato in dimensioni solo da quello dell’Opera di Parigi e del
Palacio Real madrileno. Sebbene provocasse l’ammirazione di molti, a quelli che dovevano presenziare allo
spettacolo dai piani superiori del teatro, cioè dalla galleria superiore al
loggione: li obbligava a prodigi per vedere lo scenario completo. Si fecero
molti suggerimenti per risolvere questa situazione, ma il ragno del Tacón
rimase al suo posto per oltre 60 anni.
Il lampadario soffrì
un danno serio quando, una sera del 1863, gli spettatori deciser di prendere
d’assalto la scena. Era tornato ad aprire le sue porte, dopo una delle tante
rimodellazioni che patì e lo fece con una compagnia di così bassa qualità che
il pubblico dell galleria superiore e il loggione, indignato e infuriato, si
scagliò contro i comici lanciando in platea e sul palco i braccioli delle
poltrone e qualsivoglia oggetto contundente trovasse a portata di mano. Rey
Alfonso, nella sua Biografía de un
coliseo si permette un’altra lettura, forse più esatta, di questo
incidente: gli spettatori più umili espressero quest’attitudine aggressiva, non
cpontro gli attori, ma contro il regime coloniale.
Il famoso lampadario
sparì il 9 gennaio del 1900. Si stava pulendo il teatro in vista alla stagione
dell’opera che sarebbe iniziata il giorno seguente quando, il mitico ragno, si
staccò dal soffitto cadendo strepitosamente sulla platea. Per sostituirlo si
affittò in fretta e furia un plafone a forma di stella che sosteneva 120
lampadine elettriche. I tempi erano cambiati, il nome di Tacòn risultava
antiquato e si suggerì di dare al Gran Teatro il nome di La Estrella. L’idea
non avanzò. Anche la lampada a forma di stella fu sostituita. A metà del 1915
cominciò a funzionare un ventilatore di aspirazione che faceva scendere a 20
gradi la temperatura della sala.
Anatomía de un teatro
Ciro Bianchi
Ross • digital@juventudrebelde.cu
9 de Enero del 2016 21:04:44 CDT
9 de Enero del 2016 21:04:44 CDT
Uno de los
rostros más entrañable de la ciudad se transforma a ojos vista. Aludo al tramo
que corre a lo largo del Paseo del Prado, entre la calle Virtudes y la Calzada
de Monte. En ese espacio se construyó el hotel Parque Central y, más que
restaurarse, se edificaron otra vez los hoteles Telégrafo y Saratoga, más
flamantes ahora que como lo fueron en sus orígenes. Hoy se rehabilita el
Capitolio, y la prohibición de parqueo desde Neptuno a Monte confiere una
perspectiva al Prado hasta ahora inédita, por no aludir al sistema de
luminarias que pone asimismo una nota novedosa en el área. Hay algunos
buenos restaurantes. Faltaría proceder a la eliminación de timbiriches
estatales y privados, y sigue siendo inconcebible que en un establecimiento que
produce tanto dinero como la Pastelería Francesa, pedazos de nylon sustituyan
los cristales rotos de sus vidrieras. Un poco más allá, cruzando el Parque
Central, se construye el hotel Manzana. Se restaura el teatro Payret. ¿Sucederá
igual con el edificio de la casa editora Abril?
En esfuerzo
constructivo tan colosal se inscribe la remodelación del Gran Teatro de La
Habana, que reabrió sus puertas el pasado 1ro. de enero con el nombre de Alicia
Alonso, merecido homenaje a la eximia bailarina que se presentó en su escenario
por primera vez en 1950. Gran Teatro de La Habana Alicia Alonso.
¿Qué tal si
dedicamos la página de hoy a rememorar algunas curiosidades de ese coliseo?
Los nombres
La primera de
ella sería el nombre. Digamos antes que, a nuestro juicio, el Gran Teatro es
una institución cultural que ha transitado por diversas etapas, desde su
inauguración en 1838 hasta hoy. Cuando se construía el edificio de la esquina
de Prado y San Rafael, la prensa comenzó llamarlo Teatro Nuevo, pero Francisco
Marty, el catalán que había recibido del Gobierno colonial la concesión para
construirlo, no demoró en atajarles los caballos a los periodistas. Se
llamaría, dijo, Gran Teatro de Tacón, como muestra de agradecimiento a su
protector y amigo el Capitán General que tanto dinero le dio a ganar.
Para la
construcción del teatro, Tacón concedió a don Pancho Marty una discutida franja
de terreno realengo situada casi al frente de la puerta de Monserrate de la
muralla, en una de las zonas más codiciadas de extramuros, y suministraría la
piedra necesaria, en tanto que garantizaba la mano de obra con los reclusos de
la cárcel de La Habana, esclavos y peones. Como respaldo de la empresa, pondría
Marty su cuantiosa fortuna. En el juicio de residencia que se le siguió en
Madrid a su salida del gobierno, Tacón declaró que el Gran Teatro había
significado una inversión de 200 000 pesos. Marty dijo por su parte que el
costo del edificio fue de 291 507 pesos con 16 reales, cifra que no incluía los
recursos aportados por la administración colonial.
El 15 de abril
de ese año iniciaba el teatro su primera temporada dramática y, con ella,
quedaba oficialmente inaugurado. Por esas coincidencias de la vida, ese día
llegaba a Cuba la Real Orden que disponía el cese de Miguel Tacón como
gobernador general de la Isla y su sustitución por Joaquín de Ezpeleta. Don
Pancho Marty acompañó a su amigo hasta la tumba, pero no se metió en el
hueco junto con él. Siguió disfrutando hasta su fallecimiento de los favores de
los capitanes generales siguientes.
Con el fin de
la dominación colonial española se imponía un cambio de nombre. El Gran Teatro
de Tacón empezaría a llamarse Gran Teatro Nacional. Pero como apunta el
historiador Francisco Rey Alfonso en su Biografía de un coliseo,
el nuevo nombre estuvo sujeto durante años a una consideración ambivalente
pues, por una razón u otra, aun en formulaciones oficiales lo mismo se le
llamaba de esa manera que Teatro Nacional a secas, denominación que terminó por
imponerse a partir de 1915, cuando en el portal del nuevo edificio se
incrustaron las iniciales TN.
Ya para
entonces, el teatro había pasado a ser propiedad del Centro Gallego. En 1906
esa sociedad regional española pagaba a la empresa norteamericana Tacón Realty
Company —que había comprado a los herederos de don Pancho Marty— más de medio
millón de pesos por el teatro y sus edificaciones anexas, desplegadas en la
manzana enmarcada entre Prado, San Rafael, San José y Consulado. Como deferencia
al presidente Estada Palma o en un gesto de delicadeza hacia los cubanos, el
teatro no cambiaría de nombre. Seguiría siendo el Teatro Nacional. Solo que ese
nombre que identificaba un establecimiento perteneciente a una entidad
extranjera molestaba a muchos. Poco tenía de Nacional, porque la nación nada
tenía que ver con él.
A mediados de
los años 50 empieza a edificarse en la llamada entonces Plaza Cívica o de la
República, actual Plaza de la Revolución José Martí, el edificio que albergaría
al Teatro Nacional de Cuba. No podrían existir dos teatros con igual nombre en
una misma ciudad. Se imponía una nueva denominación para el coliseo de Prado y
San Rafael. Se llamaría Teatro Estrada Palma. El cambio ocurrió ya en 1959, el
24 de octubre, fecha en la que entonces se celebraba en Cuba el Día del
Periodista.
No por mucho
tiempo identificó el nombre de Estrada Palma a nuestro emblemático escenario.
El 19 de agosto de 1961, en ocasión del aniversario 25 del asesinato de
Federico García Lorca, la Junta Interventora del Centro Gallego daba a conocer
que el coliseo llevaría el nombre del poeta granadino. Ahí no paró el asunto.
En 1967 se le dio el nombre de Gran Teatro de Ballet y Ópera de Cuba, y diez
años después el de Liceo de La Habana Vieja cuando se rescataron para la
cultura los valiosos espacios que fueron parte del palacio social del Centro
Gallego y que daban cabida entonces a la Sociedad de Amistad Cubano-Española
(SACE). A partir de entonces se buscó una nueva organización de las
potencialidades del edificio, rebautizado en 1981 como Complejo Cultural del
Gran Teatro García Lorca, sede estable, bajo la dirección general de Alicia
Alonso, del Ballet Nacional de Cuba, la Ópera Nacional, el Teatro Lírico
Gonzalo Roig, el coro y la orquesta. El desarrollo de esas agrupaciones da
lugar a un suceso significativo en la historia del inmueble: todas sus áreas se
suman al trabajo cultural. La incorporación de los nuevos locales, apunta el
historiador Francisco Rey Alfonso, daba inicio a un proyecto ambicioso e
inédito en Cuba. Al teatro, llamado ahora Sala García Lorca, se añadieron las
salas Ernesto Lecuona (conciertos), Lezama Lima (conferencias) y Bola de Nieve
(actividades musicales), así como otros locales destinados a clases,
ensayos, exposiciones…
En junio del
85, ese complejo cultural pasa a denominarse, siempre bajo la dirección general
de Alicia, Gran Teatro de La Habana. Surgen las salas Alejo Carpentier (artes
escénicas), Imago (artes visuales) y Artaud (teatro arena), al tiempo que
importantes agrupaciones artísticas, como el Ballet Español, Danza
Contemporánea y el Ballet de Lizt Alfonso, hacen del coliseo su sede. Eventos
internacionales tienen su escenario principal en el Gran Teatro, que se
reafirma como el símbolo por excelencia de las artes escénicas en Cuba.
La araña
El Gran Teatro
Tacón fue en su momento uno de los mejores del mundo. Su austera fachada
contrastaba con el lujo y la elegancia de su interior. La eximia bailarina
Fanny Elssler lo comparó con el San Carlo, de Nápoles, y la Scala, de Milán, «y
no creo que sean mucho más grandes ni más elegantes en proporciones y
estilo». La condesa de Merlin lo vio, en 1844, como un salón que no
desentonaría en Londres ni en París, en tanto que otros viajeros se resentían
al encontrar en la colonia lo que no existía en la metrópoli. El palco
destinado al Gobernador lucía mejor adornado que el que se destinaba a los
reyes en algunos países. Ochenta ventanas y 22 puertas ventilaban la estancia.
Su acústica era insuperable. En 1878 admitía a 2 287 personas sentadas y a
otras 750 que podían colocarse de pie detrás de los palcos, aunque se dice que
en sus inicios tenía capacidad para unos 4 000 espectadores. En ese entonces la
plantilla del teatro la conformaban un director, un secretario, un contador, un
tenedor de libros, un portero mayor y 13 porteros y acomodadores. También un
expendedor de boletos, un mecánico, cuatro carpinteros, dos serenos, una
costurera con cinco ayudantes, un cartelero y varios conserjes, tramoyistas y
utileros, así como cierto número de extras, que solo eran llamados a trabajar,
y cobraban, cuando las circunstancias lo requerían.
Su lámpara
central, en forma de araña, constituía, según la copla popular, uno de los
elementos distintivos de la ciudad, junto al Morro y la Cabaña. «Tres cosas
tiene La Habana / que causan admiración: / son el Morro, la Cabaña / y la araña
de Tacón».
Se decía que
esa lámpara solo la superaban en tamaño las de la Ópera de París y el Palacio
Real madrileño. Si bien provocaba la admiración de muchos, irritaba a otros, a
aquellos que debían presenciar el espectáculo desde los pisos superiores del
teatro. Esto es, desde la tertulia y la cazuela: los obligaba a hacer prodigios
para ver el escenario completo. Se hicieron muchas sugerencias para remediar
esa situación, pero la araña del Tacón permaneció en su mismo sitio durante más
de 60 años.
La luminaria
sufrió una seria avería cuando una noche de 1863 los espectadores decidieron
tomar la escena por asalto. Había vuelto a abrir sus puertas, luego de una de
las tantas remodelaciones que sufriera, y lo hizo con la presentación de una
compañía de tan mala calidad que el público de la tertulia y la cazuela,
molesto y enfurecido, arremetió contra los cómicos lanzando a la platea y
al escenario los brazos de las butacas y cuanto objeto contundente
encontró a su alcance. Rey Alfonso en su Biografía de un coliseo se
permite otra lectura, quizá más exacta, de ese incidente: los espectadores más
humildes asumieron tan agresiva actitud no contra los actores, sino en repudio
al régimen colonial.
La famosa
lámpara desaparecería el 9 de enero de 1900. Se limpiaba el teatro con vista a
la temporada de ópera que se iniciaría al día siguiente, cuando la mítica araña
se desprendió del techo y cayó estrepitosamente sobre el lunetario. Para
sustituirla se adquirió a toda prisa un plafón en forma de estrella que
sostenía 120 bombillas eléctricas. Los tiempos habían cambiado, el nombre de
Tacón resultaba obsoleto y se sugirió dar al Gran Teatro el nombre de La
Estrella. La idea no progresó. La lámpara con forma de estrella fue también
sustituida. A mediados de 1915 comenzó a funcionar un ventilador absorbente que
hacía descender a 20 grados la temperatura de la sala.
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