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lunedì 25 gennaio 2016

Un eroe dimenticato, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 24/1/16

Mariano Barberán e Joaquín Collar, due eroici aviatori spagnoli, il 10 giugno del 1933, furono protagonisti del volo Siviglia – Camagüey che li portò ad attraversare, senza scalo, l’Atlantico nella sua parte più larga. Impresa mai tentata fino ad allora. In 39 ore e 50 minuti coprirono la distanza che separa queste città a bordo di un velivolo dal nome di Cuatro Vientos.
Da Camagüey il Cuatro Vientos volò all’Avana. Barberán e Collar passarono diversi giorni nella nostra capitale. Si ospitarono nell’hotel Plaza e furono assediati da corporazioni cubane e spagnole. Erano gli eroi del momento. Da qui partirono verso il Messico, dove erano attesi. Diversi specialisti cubani raccomandarono a loro di ritardare la partenza. Barberán e Collar che erano arrivati malati, non riposarono abbastanza all’Avana, dove si videro sottoposti a un regime di vita sociale inusitato per loro. Inoltre imperava il brutto tempo quella mattina in cui il Cuatro Vientos partì da Cuba e non si sapeva bene se gli inconvenienti tecnici rilevati all’apparecchio erano stati riparati convenientemente. M Barberán e Collar dovevano arrivare in Messico a una’ora convenuta ed era imprescindibile, per loro, partire. Non giunsero mai a destinazione. E non si conosce ancora oggi, con esattezza, quale fu la loro sorte.
Tutto ciò è storia conosciuta. Quello che si conosce meno è che 80 anni or sono, nei primi giorni del 1936, un aviatore cubano si dispose ad attraversare l’Atlantico da ovest a est e senza nessuna pretesa di battere qualche record, restituire alla Spagna la visita che Barberán e Collar avevano fatto a Cuba.

Senza radio e con maltempo

L’aviatore cubano, tenente della Marina di Guerra, si chiamava Antonio Menéndez Peláez e fece il viaggio a bordo di un aereo battezzato come 4 Settembre: un monoplano Lockheed Sirius 88 trasformato in monoposto e al quale si fecero adattamenti importanti per la traversata.
Menéndez Peláez decollò da Camagüey alle sette di mattina del 13 gennaio per prendere terra a Campo Alegre, in Venezuela, da lì si trasferì all’aerodromo della Pan American a Maiquetía. Il giorno seguente si alzò per Port of Spain nell’isola di Trinidad, passò ad Amsterdam nell’antica Guyana Britannica e a Leguiar per concludere a Pará in Brasile, nel delta del Río delle Amazzoni, il 3 febbraio.
Due giorni dopo si spostò fino a San Luis de Maranhao e Fortaleza per culminare, il giorno seguente, atterrando a Natal al fine di attraversare, da quel punto, l’oceano per arrivare in Africa.
Sull’Atlantico, Menéndez Peláez trovò venti forti e maltempo cosa che lo costrinse a volare, in molte occasioni, a scarsa altitudine dall’acqua. Siccome a bordo non aveva radio, dovette confidare nella sua perizia di navigante e prese come riferimento le navi in rotta che avvistava dal suo apparecchio. Riuscì ad atterrare a Bathhurst, Senegal, dopo aver percorso 3.160 km. sull’oceano.
Il cubano volò da Bathhurst al capo Yuby, nell’antico Sahara Spagnolo, il 12 febbraio e due giorni dopo arrivò finalmente a Siviglia per prendere terra nell’aeroporto militare di Tablada da dove, tre anni prima, parti il Cuatro Vientos nel suo storico viaggio a Camagüey. A Tablada si tributò un caloroso ricevimento al militare cubano, lo stesso che avrebbe ricevuto una settimana dopo, arrivando all’aerodromo che portava il famoso nome dell’apparecchio utilizzato da Barberán e Collar.
Riassumendo, il tenente Antonio Menéndez Peláez, a bordo del 4 Settembre, percorse 14.454 km. in 72 ore e 27 minuti per restituire l’abbraccio che nel 1933 due valorosi aviatori portarono dalla Spagna. A Madrid, come prima a Siviglia, fu salutato coi più alti onori. Lo ricevettero il Ministro di Stato e altre importanti autorità civili e militari. Il Ministro della Guerra e il Direttore Generale dell’Aeronautica assistettero alla corrida che gli fece omaggio l’Aero Club spagnolo e ci fu un tintinnare di coppe all’ambasciata di Cuba. Le Forze Armate spagnole lo decorarono con la Croce al Merito Militare e la Croce al Merito Navale e l’Esercito cubano annunciò dall’Avana la sua promozione a primo tenente.
Fra gli altri giornalisti lo intervistò il corrispondente, nella capitale spagnola, della rivista Caras y Caretas di Buenos Aires. Lo vide nella sede diplomatica cubana e “rispondeva ai saluti con un sorriso e rispondeva con monosillabi. Dava l’impressione dell’uomo che si sorprende per un fatto che non riesce ancora a spiegarsi. L’uomo che rimane stordito nel sapere che ha realizzato una prodezza straordinaria che per lui continua ad essere una cosa completamente semplice”.
- Vengo a restituire il volo degli eroici aviatori spagnoli Barberán e Collar. Porto in Spagna il saluto di Cuba. I miei genitori vivono in un paesino delle Asturie e gli farò la sorpresa della mia visita – dichiara alla rivista argentina e il corrispondente annota; “Questo è quanto sa dire Menéndez, quasi con sobrietà di uomo valoroso e deciso. I giornalisti si sforzano per strappargli rivelazioni sensazionali e non ottengono che frasi corte, di una desolante semplicità”. La stampa chiede sui momenti di maggior pericolo durante il volo, se ha sentito paura in qualche momento; le sue emozioni. L’aviatore cubano dichiara: - La mia maggior emozione l’ho provata nel vedermi calpestare la terra di Spagna.
Lo storico spagnolo Juan A. Guerrero Misa commenta nel suo libro “El vuelo Sevilla-Cuba-México del avión Cuatro Vientos”: “Il gesto di menéndez ha messo il punto finale a un’epoca di eroismo e professionalità che oggi possiamo solo prendere come esempio e che affratellò, per sempre, le aviazioni di entrambi i lati dell’oceano. Dall’impresa di Barberán e Collar, il mare non ci separa più”.
Non sarà l’unica impresa di Antonio Menéndez Peláez. Solo un anno dopo, fu uno dei protagonisti del Volo Panamericano Pro Faro di Colombo, uno degli episodi più tragici e tristi dell’aviazione in America Latina. Il 29 dicembre del 1937, i tre aerei cubani che formavano la squadriglia, di cui il pilota cubano era tecnico capo e navigatore, soffrirono un terribile incidente nella tratta Cali-Panama, quando avevano già lasciato dietro le tappe più difficili del percorso. Nel disastro morirono il giornalista Ruy de Lugo Viña, cronista ufficiale del volo, i meccanici Naranjo, Castillo e Medina e i piloti Risech Amat, Jiménez Alum e Menendez Peláez. Solo quando arrivò a Panama il maggiore dominicano Frank F. Miranda, capo del corpo di aviazione del suo Paese che per il suo grado viaggiava sul più potente dei quattro aerei ed era il capo della spedizione, seppe della sorte dei suoi compagni.

Versione delle versioni

Erigere un monumento a Colombo era un vecchio desiderio dei Governi latino americani. L’idea, comunque, non cominciò a concretizzarsi fino al 1923 quando, a Santiago del Cile la Conferenza Internazionale Americana, chiamò le nazioni dell’area a unire gli sforzi con tale proposito. Si sarebbe perpetuata la memoria dell’Ammiraglio con un faro monumentale che avrebbe portato il suo nome e si sarebbe situato nella Repubblica Dominicana. Si bandì un concorso e quasi 450 architetti di 48 nazioni presentarono i loro progetti. I risultati della gara vennero resi pubblici a Rio de Janeiro nel 1931. Risultò vincitore e si compensò con una borsa di diecimila dollari, l’architetto inglese J. L.Gleave.
Nel maggio 1937, la Società Colombista Panamericana, con sede all’Avana, incita i Governi di Cuba e della Repubblica Dominicana a formare una squadriglia che percorra il continente in un viaggio di buona volontà con vista alla realizzazione del monumento. Cuba apporta tre aerei Stinson Reliant da 285 hp e Dominicana un Curtis Wright da 420 hp. Questi porterà il nome di Colombo; gli altri quelli delle navi dell’Ammiraglio. Ogni apparecchio volerà col suo meccanico a bordo. Nel Santa Maria, pilotato da Menéndez Peláez andrà il cronista Lugo Viña, pure rappresentante della Colombista. Il progetto si chiamò Volo Pro Faro di Colombo si pensò che salisse da Santo Domingo il 12 ottobre del 1937, ma un imprevisto lo ritardò per tutto un mese.
Finalmente partì il 12 novembre da un aeroporto affollato dal pubblico. Il generale Trujillo, presidente dominicano, capeggiò il saluto.
Avrebbero visitato 26 Paesi, qualcosa senza precedenti in questi voli di buona volontà. Portorico, Caracas, Trinidad, Guyana Olandese e Belem, Fortaleza, Natal, Recife, Bahia e Rio de Janeiro, in Brasile. Il 29 novembre volarono a Montevideo. Era intenzione della squadriglia di trasferirsi ad Asunción, ma i casi di febbre gialla riportati nella capitale del Paraguay li dissuasero da questo impegno. Volarono a Buenos Aires, Santiago del Cile, Bolivia, Perù, Ecuador e Colombia.
A Cali il gerente della Società Colombo Alemana de Transporte Aereo (Scadta) mise a disposizione dei viaggiatori uno dei suoi Junkers perché potessero trasferirsi a Bogotá, a 2.250 metri di altitudine, perché gli aerei cubani mancavano di potenza per un volo come quello. Il 28 il gruppo era di nuovo a Cali. Il 29 avrebbe messo la prua verso Panama. Non si sa bene perché Menéndez Peláez che era il navigatore della squadriglia, persistette nel suo proposito di attraversare il Pacifico da Cali a Buenaventura. Era una rotta già scartata dai piloti della Scadta, una rotta molto pericolosa che si renbdeva meno raccomandabile data la mancanza di potenza degli aerei cubani. Era più sicuro seguire il corso del fiume Cauca fino a Medellín e uscire da Turbo per Panama; gli Stinson dei cubani non potevano rimontare la cordigliera da Cali a Buenaventura. Gli specialisti assicurano che le cattive condizioni atmosferiche e la mancanza di visibilità fecero il resto. I cubani si misero in un imbuto di montagne che si andò chiudendo fino a prtarli a un punto di non ritorno. Nel cercare di virare si schiantarono uno dopo l’altro. Il Curtis della Dominicana, più potente, poté sorvolare le montagne o prese la via del letto del fiume.

Finale

I resti delle vittime furono portati all’Avana a bordo dell’incrociatore Patria, della Marina di Guerra e vegliati con gli onori nel salone dei Passi Perduti del Capitolio. Il 18 gennaio 1938 li inumarono nel Pantheon dell Forze Armate. Nel febbraio dello stesso anno il maggiore Frank F. Miranda e il suo meccanico tornarono al loro Paese in nave.

Portavano il Colombo disarmato. In occasione del primo anniversario della tragedia. Il Governo della Repubblica in coordinazione con le autorità colombiane, dispose l’erezione di un obelisco nel luogo dell’incidente. Successivamente l’alfiere Rivery, a bordo di un aereo che portava il nome di Tenente Menéndez Paláez, realizzò un viaggio di buona volontà in città dell’America Latina. L’Associazione dei Reporters istituì, nel suo momento, il Premio Ruy de Lugo Viñas (mille pesos) per reportages. Il maggiore Frank F. Miranda proseguì la sua carriera nell’aviazione militare dominicana e raggiunse il grado di brigadiere generale. Morì il 20 giugno del 1954. L’aereo Colombo si conserva in un piccolo parco all’ingresso della base aerea di San Isidro, in Dominicana. Il faro di Colombo alla fine fu costruito. Sotto il Governo del Dottor Joaquín Balaguer si iniziarono le opere che si conclusero nel 1992, in occasione del V centenario dell’arrivo degli europei in America. Serve da tomba all’Ammiraglio, i cui resti non uscirono mai da Santo Domingo.


Un héroe olvidado
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
23 de Enero del 2016 19:43:11 CDT

Mariano Barberán y Joaquín Collar, dos heroicos aviadores españoles, fueron protagonistas, el 10 de junio de 1933, del vuelo Sevilla-Camagüey, que los llevó a atravesar, sin escalas, el Atlántico por su parte más ancha. Hazaña no intentada hasta entonces. En 39 horas con 50 minutos cubrieron la distancia que separa a esas ciudades a bordo del avión conocido con el nombre de Cuatro Vientos.
De Camagüey el Cuatro Vientos voló a La Habana. Pasaron Barberán y Collar varias jornadas en nuestra capital. Se alojaron en el hotel Plaza y fueron agasajados por corporaciones cubanas y españolas. Eran los héroes del momento. De aquí partieron rumbo a México, donde se les esperaba. Varios especialistas cubanos les recomendaron entonces que retrasaran la partida. Barberán y Collar, que habían llegado enfermos, no descansaron lo suficiente en La Habana, donde se vieron sometidos a un régimen de vida social inusitado para ellos. Además, imperaba el mal tiempo en aquella mañana en que el Cuatro Vientos salió de Cuba y no se sabía bien si los desperfectos técnicos advertidos en el aparato habían sido convenientemente reparados. Pero Barberán y Collar debían arribar a México en una hora ya convenida y les era imprescindible partir. Jamás llegaron a su destino. Y se desconoce todavía con exactitud cuál fue su suerte.
Todo eso es historia conocida. Lo que se conoce menos es que, hace 80 años, en los primeros días de 1936 un aviador cubano se dispuso a cruzar el Atlántico de oeste a este y, sin pretensión de batir marca alguna, devolver a España la visita que Barberán y Collar habían hecho a Cuba.

Sin radio y con mal tiempo

El aviador cubano, teniente de la Marina de Guerra, se llamaba Antonio Menéndez Peláez e hizo el viaje a bordo del avión bautizado como 4 de Septiembre; un monoplano Lockheed Sirius 88 transformado en monoplaza y al que se le hicieron adaptaciones importantes para la travesía.
Despegó Menéndez Peláez en Camagüey, a las siete de la mañana del 13 de enero para tomar tierra en Campo Alegre, Venezuela, y de allí se trasladó al aeródromo de la Pan American, en Maiquetía. Al día siguiente se elevó hacia Puerto España, en la isla de Trinidad, y pasó a Ámsterdam, en la antigua Guayana Británica, y a Leguiar, para concluir en Pará, Brasil, en el delta del Amazonas, el 3 de febrero.
Dos días más tarde se desplazó hasta San Luis de Maranho y Fortaleza y culminó en la jornada siguiente la primera fase de su vuelo al aterrizar en Natal a fin de cruzar desde ese punto el océano para arribar a África.
Sobre el Atlántico, el teniente Menéndez Peláez encontró vientos fuertes y mal tiempo, lo que lo obligó a volar, en muchas ocasiones, a escasa altura sobre el agua. Como no llevaba radio a bordo, debió confiar en su pericia como navegante y tomó de referencia los barcos en ruta que avistaba desde su aparato. Consiguió aterrizar en Bathhurst, Senegal, después de haber recorrido 3 160 kilómetros sobre el océano.
Desde Bathhurst voló el cubano al cabo Yuby, en el antiguo Sahara español, el 12 de febrero, y dos días después llegó por fin a Sevilla para tomar tierra en el aeropuerto militar de Tablada, desde donde, tres años antes, partió el Cuatro Vientos en su histórico viaje a Camagüey. En Tablada se tributó al militar cubano un caluroso recibimiento, el mismo que recibiría una semana después al arribar al aeródromo que llevaba el nombre famoso del aparato utilizado por Barberán y Collar.
En resumen, el teniente Antonio Menéndez Peláez, a bordo del 4 de Septiembre, recorrió 14 454 kilómetros en 72 horas y 27 minutos para devolver el abrazo que en 1933 dos valerosos aviadores trajeron desde España. En Madrid, como antes en Sevilla, fue saludado con los mayores honores. Lo recibió el Ministro de Estado y otras importantes autoridades civiles y militares. El Ministro de Guerra y el Director General de Aeronáutica asistieron a la comida con que lo congratuló el Aero Club español y hubo chinchín de copas en la embajada de Cuba. Las fuerzas armadas españolas lo condecoraron con la Cruz del Mérito Militar y la Cruz del Mérito Naval y el Ejército cubano le anunció desde La Habana su ascenso a primer teniente.
Lo entrevistó, entre otros periodistas, el corresponsal en la capital española de la revista Caras y Caretas, de Buenos Aires. Lo vio en la sede diplomática cubana y «respondía a los saludos con una sonrisa y contestaba con monosílabos. Daba la impresión del hombre que se sorprende por un acontecimiento que no acaba de explicarse. El hombre que está aturdido de saber que ha realizado una proeza extraordinaria que para él sigue siendo una cosa completamente sencilla».
—Vengo a retribuir el vuelo de los heroicos aviadores españoles Barberán y Collar. Traigo a España el saludo de Cuba. Mis padres viven en un pueblecito de Asturias y les daré la sorpresa de mi visita —declara a la revista argentina y el corresponsal apunta: «Esto es lo único que sabe decir Menéndez,  casi con una sobriedad de hombre valeroso y ejecutivo. Los periodistas hacen esfuerzos por arrancarle revelaciones sensacionales y no logran más que frases cortadas de una desesperante simplicidad». Inquiere la prensa sobre los momentos de mayor peligro durante el vuelo, si sintió miedo en algún momento; sus emociones. Expresa el aviador cubano: —Mi mayor emoción la he experimentado al verme pisando la tierra de España.
Comenta el historiador español Juan A. Guerrero Misa en su libro El vuelo Sevilla-Cuba-México del avión Cuatro Vientos: «El gesto de Menéndez puso punto final a una época de heroísmo y profesionalidad que hoy solo podemos tomar como ejemplo y que hermanó, ya para siempre, a las aviaciones de ambos lados del océano. Desde la hazaña de Barberán y Collar, el mar ya no nos separa».
No sería esa la única hazaña de Antonio Menéndez Peláez. Apenas un año después, fue uno de los protagonistas del Vuelo Panamericano Pro Faro de Colón, uno de los episodios más tristes y trágicos de la aviación en América Latina. El 29 de diciembre de 1937, los tres aviones cubanos que conformaban la escuadrilla, de la que el piloto cubano era jefe técnico y navegante, sufrieron un horrible accidente en el tramo Cali-Panamá, cuando ya habían quedado atrás las etapas más difíciles del trayecto. Perecieron en el desastre el periodista Ruy de Lugo Viña, cronista oficial del vuelo, los mecánicos Naranjo, Castillo y Medina y los pilotos Risech Amat, Jiménez Alum y Menéndez Peláez. Solo cuando arribó a Panamá, el mayor dominicano Frank F. Miranda, jefe del cuerpo de aviación de su país, y que por su grado y por viajar en el más potente de los cuatro aviones era el jefe de la expedición, se enteró de la suerte de sus compañeros.

Versión de versiones

Erigir un monumento a Colón era un viejo deseo de los Gobiernos latinoamericanos. La idea, sin embargo, no empezaría a concretarse hasta 1923 cuando en Santiago de Chile la Conferencia Internacional Americana llamó a las naciones del área a aunar esfuerzos con tal propósito. Se perpetuaría la memoria del Almirante con un faro monumental que llevaría su nombre y se emplazaría en República Dominicana. Se convocó a un concurso y casi 450 arquitectos de 48 naciones presentaron sus proyectos. Los resultados del certamen se hicieron públicos en Río de Janeiro, en 1931. Resultó triunfador, y se le recompensó con una bolsa de diez mil dólares, el arquitecto inglés J. L. Gleave.
En mayo de 1937, la Sociedad Colombista Panamericana, con sede en La Habana, insta a los Gobiernos de Cuba y República Dominicana a formar una escuadrilla que recorra el continente en un viaje de buena voluntad con vistas a la realización del monumento. Cuba aporta tres aviones Stinson Reliant de 285 Hp, y Dominicana un Curtis Wright de
420 Hp. Este llevaría el nombre de Colón; los otros, los de las naves del Almirante. Cada aparato volaría con su mecánico a bordo. En el Santa María, piloteado por Menéndez Peláez, iría el cronista Lugo Viña, representante asimismo de la Colombista. El proyecto se llamó Vuelo Pro Faro de Colón y se pensó que saliera de Santo Domingo el 12 de octubre de 1937, pero un imprevisto lo retrasó durante todo un mes.
Partió finalmente el 12 de noviembre de un aeropuerto abarrotado de público. El general Trujillo, presidente dominicano, encabezó la despedida.
Visitarían 26 países, algo sin precedentes en esos vuelos de buena voluntad. Puerto Rico, Caracas, Trinidad, Guayana Holandesa; y Belem, Fortaleza, Natal, Recife, Bahía y Río de Janeiro, en Brasil. El 29 de noviembre volaron a Montevideo. Era intención de la escuadrilla trasladarse a Asunción, pero los casos de fiebre amarilla reportados en la capital paraguaya los disuadieron de ese empeño. Volaron a Buenos Aires y Santiago de Chile, Bolivia, Perú, Ecuador y Colombia.
En Cali, el gerente de la Sociedad Colombo Alemana de Transporte Aéreo
(Scadta) puso a disposición de los viajeros uno de sus Junkers para que pudieran trasladarse a Bogotá, a 2 250 metros de altitud, porque los aviones cubanos carecían de potencia para un vuelo como ese. El 28, el grupo estaba de nuevo en Cali. Pondría el 29 proa a Panamá.
No se sabe bien porqué Menéndez Peláez, que era el navegante de la escuadrilla, persistió en su propósito de cruzar al Pacífico desde Cali a Buenaventura. Era una ruta desechada ya por los pilotos de la Scadta, una ruta muy peligrosa que se hacía menos recomendable dada la falta de potencia de los aviones cubanos. Más seguro resultaba seguir el curso del río Cauca hasta Medellín y salir por Turbo a Panamá; los Stinson de los cubanos no podían remontar la cordillera desde Cali a Buenaventura. Aseguran especialistas que las malas condiciones atmosféricas y la falta de visibilidad hicieron el resto. Los cubanos se metieron en un embudo de montañas que se les fue cerrando hasta llevarlos a un punto de no retorno. Al tratar de girar se estrellaron uno tras otro. El Curtis de Dominicana, más potente, pudo sobrevolar las montañas o tomó el camino del cauce del río.

Final

Los restos de las víctimas fueron traídos a La Habana a bordo del crucero Patria, de la Marina de Guerra, y velados con honores en el Salón de los Pasos Perdidos del Capitolio. El 18 de enero de 1938 los inhumaron en el Panteón de las Fuerzas Armadas. En febrero del mismo año el mayor Frank F. Miranda y su mecánico regresaron por barco a su país. Llevaban el Colón desarmado. En ocasión del primer aniversario de la tragedia, el Gobierno de la República, en coordinación con autoridades colombianas, dispuso la erección de un obelisco en el lugar del accidente. Posteriormente, el alférez Rivery, a bordo de un avión que llevaba el nombre de Teniente Menéndez Peláez realizó un viaje de buena voluntad por ciudades de América Latina. La Asociación de Reportes instituyó en su momento el Premio Ruy de Lugo Viñas (mil pesos) para reportajes. El mayor Frank F. Miranda continuó su carrera en la aviación militar dominicana y alcanzó el grado de brigadier general. Murió el 20 de junio de 1954. El avión Colón se conserva en un pequeño parque a la entrada de la base aérea de San Isidro, en Dominicana. El Faro de Colón fue finalmente construido. Bajo el Gobierno del Doctor Joaquín Balaguer se iniciaron las obras en 1986 y concluyeron en 1992, en ocasión del V centenario de la llegada de los europeos a América. Sirve de tumba al Almirante, cuyos restos jamás salieron de Santo Domingo.

Ciro Bianchi Ross



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