Translate

Il tempo all'Avana

+28
°
C
H: +28°
L: +23°
L'Avana
Lunedì, 24 Maggio
Vedi le previsioni a 7 giorni
Mar Mer Gio Ven Sab Dom
+28° +29° +29° +28° +29° +29°
+24° +24° +24° +24° +24° +24°

lunedì 18 gennaio 2016

Un incontro "combinato", di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud rebelde del 12/1/16


Lo raccontò Elio Menéndez, premio nazionale di Giornalismo, nelle pagine di questo giornale. Con l’affrettata inaugurazione della Città Sportiva, ancora inconclusa, il 26 febbraio del 1958, il Govenro batistiano pretese lanciare una cortina di fumo davanti all’opinione pubblica internazionale sui fatti che scuotevano il Paese. Pochi giorni prima, un commando del Movimento 26 Luglio aveva sequestrato Juan Manuel Fangio, asso argentino del volante, impedendogli la partecipazione alla corsa per il Gran Premio di Cuba che ebbe l’Avana come scenario e nella quale, Fangio, era l’attrazione principale.
Si montò un grande spettacolo pubblicitario per l’inaugurazione dell’anfiteatro di Via Blanca e Boyeros. Il piatto forte della serata era l’incontro tra il cubano Orlando Echevarría e il nordamericano Joe Brown, campione mondiale dei pesi leggeri. Il pugile di casa, fuori dal ring già da un anno, aveva tutte le caratteristiche per perdere l’incontro. Le possibilità di vittoria di Echevarría erano cosí scarse che Elio Menéndez riferisce nella sua cronaca, i dirigenti della Direzione Generale dello Sport - che presiedeva allora il generale Roberto Fernández Miranda, capo inoltre del Reggimeno 7 Máximo Gómez, con sede alla Cabaña, ma sopratutto cognato di Batista – chiesero a Brown che desse via libera al suo rivale e andasse al tappeto dopo sette o otto round, perché il combattimento veniva trasmesso da costa a costa negli Stati Uniti e così volevano gli sponsor. Il motivo era un’altro.
Con quella trasmissione, la dittatura pretendeva esportare un’immagine falsa della realtà cubana.
Tre giorni prima, il 23 febbraio verso le nove di sera, Fangio fu sequestrato nel vestibolo dell’hotel Lincoln, in Galiano angolo Virtudes, dove occupava la stanza 810. Fu un’operazione lampo. Il campione era appena sceso nell’atrio, protetto da agenti dei corpi repressivi della dittatura, vestiti in borghese. Lì lo aspettavano giornalisti e ammiratori. L’argentino conversava con alcuni di loro quando un membro del 26 di Luglio, dopo aver identificato il campione, gli si avvicinò e gli disse che era del 26 ed era lì per sequestrarlo. Fangio sorrise. Evidentemente pensò che si trattava di uno scherzo; ma non tardò a sentire la canna di una pistola appoggiata alle sue costole e così minacciato, uscì dalla porta di Virtudes. Nessuno, né polizia né ammiratori osò reagire.
I suoi rapitori mantennero detenuto Fangio fino alla sera del 24, qualche ora dopo che era terminata la corsa, quando lo restituirono sano e salvo. Durante questo tempo, oltre mille agenti di tutti i corpi di polizia cubani lo cercarono invano. Col suo sequestro, il Movimento 26 di Luglio pretese, ed ottenne, richiamare l’attenzione sulla guerra di guerriglia che si combatteva sulla Sierra Maestra e la lotta clandestina nella città. Fu un’azione che ebbe ripercussioni in quasi tutto il mondo. La cronaca riferisce che in Gran Bretagna lasciò in secondo piano la notizia che riferiva della malattia di Winston Churchill e in Argentina fu superata solo per la copertura smisurata che si dette alla vittoria nelle elezioni del candidato presidenziale Arturo Frondizzi. Si può affermare che mai prima, parole come L’Avana, Cuba, Fidel, Movimento 26 di Luglio, si erano ripetute tanto né avevano occupato tanto spazio nelle agenzie stampa, giornali e riviste. Fangio, da parte sua, anni dopo riconoscerà che quel sequestro lo aveva reso ancora più famoso e che non c’era intervista che gli si facesse dove non si domandasse del fatto.
Scherzò; “Ma se ci fosse stata mia moglie a Cuba, mi avrebbe trovato”.
Il batistato temeva che con Brown ed Echevarría succedesse lo stesso che con Fangio, per questo li mantenne nascosti sotto stretta vigilanza, fino all’istante di salire al quadrato. Il cubano confessò a Elio Menéndez che lo isolarono in una residenza della spiaggia di Tarará e che non lo lasciavano solo nemmeno per fare pipì.
Batista, che era fanatico della boxe, annunciò la sua presenza quella sera alla Città Sportiva. Per questo, le sedie più vicine al ring furono occupate da membri delle forze armate, batistiani, senza nessun dubbio,  galoppini del Governo ed elementi incondizionali. Mentre le parti superiori e la gradinata si destinarono a impiegati pubblici obbligati ad assistere. In definitiva, il dittatore decise di tenersi ben protetto. Non sarebbe stata la prima volta che l’Ufficio Stampa della Presidenza del Palazzo Presidenziale dava come certa la sua presenza a una gara sportiva e all’ultimo momento, Batista, decideva di non andare e seguire l’evento in televisione. Nel caso si sapesse che la TV non l’avrebbe trasmesso, la Prima Dama chiedeva pubblicamente che si facesse, richiesta che era sempre, naturalmente, accettata.
Elio Menéndez che poté conversare con Echevarría, dice che il cubano era estraneo all’accordo al quale giunsero i dirigenti sportivi col pugile nordamericano, sul fatto di aggiustare l’incontro. Sì, sapeva che la sua vittoria dipendeva da un colpo di fortuna. Per questo, appena iniziato il combattimento, sorprese Brown con un sinistro poderoso che gli annebbiò la vista.
Il cronista ricorda:
“Dopo aver provato il colpo del sottovalutato rivale, il visitatore dimentica il patto e organizza la sua offensiva. Il temporale si addensa sul mancino creolo che visita subito il tappeto. Alla seconda caduta, l’arbitro Johnny Cruz ferma l’incontro e accompagna Echevarría verso il suo angolo.
Sono passati solo due minuti e quarantacinque secondi di combattimento! La farsa non ha raggiunto il suo scopo”.

Mariné, tu chi sei?

Costruito a un costo di dieci milioni di pesos, Il Palazzo dello Sport e campi Sportivi dell’Avana, successivamente chiamato ufficialmente Città Sportiva, sostituì il Palazzo delle Convenzioni e Sport di Paseo e Mar come quasto, a sua volta, aveva sostituito il Palazzo dello Sport di San Carlos e Peñalver.
Quando cuba accetto di essere sede dei II Giochi Centroamericani vennero a galla due tristi realtà: la prima che il Paese mancava di un luogo dove effettuare gare di importanza continentale come quelle che si proponevano; la seconda che non c’era tempo ne denaro per assumere in modo repentino il titanico compito di erigere stadi per offrire queste competizioni. Fu allora quando sorse l’offerta di un’azienda produttrice di birra che costruì in tutta fretta e senza vista al futuro, lo stadio Tropical dove si svolsero, in quei Giochi, le gare di atletica leggera, baseball, calcio e altre. Ma il nuoto, il tennis, la ginnastica, il basket eccetera si dovettero effettuare in campi, piscine e palestre di scarse dimensioni e per di più appartenenti a società private con tutti i pregiudizi razziali propri di quell’epoca.
Se togliamo lo stadio dell’Avana o Gran Stadio del Cerro, costruito già negli anni ’40 e dedicato esclusivamente al baseball, anche se in esso si sono effettuati altri eventi sportivi, non c’era niente nella nostra terra che imitasse, almeno, i grandi stadi comuni nelle altre capitali.
Il 9 luglio del 1938 si crea la Direzione Generale Nazionale dello Sport (DGND). Il suo direttore fu il comandante Jaime Mariné.
Mariné, un catalano che servì da galoppino a Batista, giunse a Cuba nei giorni precedenti le elezioni del 1924, nelle quali si disputavano la presidenza il liberale Gerardo Machado e il conservatore Mario García Menocal. Alfonso XIII, re di Spagna mandò un cavallo purosangue, di regalo, a García Menocal e Mariné fu il cavallerizzo.
Prima del regalo del cavallo, i liberali si lanciaron per le strade col motto di “A piedi!”
Cantavano in coro: “A piedi, a piedi, a piedi!/sono finiti i cavalli/a piedi, a piedi, a piedi/non mi fanno male i calli”. E una volta che Machado divenne vittorioso nelle elezioni cantarono: “Il re di Spagna/mandò un messaggio/dicendo a Menocal:/restituiscimi il cavallo/che tu non sai montare”.
Una volta qui, Mariné trovò posto come soldato. Ascese da sergente a comandante dopo il colpo di Stato del 4 settembre 1933 e all’ombra del colonnello Batista, di cui era aiutante, occupò differenti incarichi fino alla sua partenza da Cuba nel 1944, quando si stabilì a Caracas per fare grandi investimenti a nome del suo capo e a suo nome.
Nel 1938, Mariné affittò il Nuevo Fronton, il cosiddetto Palazzo delle Luci, in San Carlos e Peñalver – il Fronton di Concordia e Lucena era il Palazzo delle Grida- Per errori di costruzione, la premura con cui si costruì e per i danni che occasionò a questo immobile il ciclone del 20 ottobre del 1926, lo stesso si trovava in uno stato pietoso.
Vi ebbero sede la Direzione degli Sport e gli uffici corrispondenti ad ogni specialità. Disponeva di aree per la pratica di diverse discipline. Contava con un gabinetto medico e una clinica dentistica, così come un’area di veterinaria e una cosiddetta cucina sportiva. Sotto la giurisdizione di questo Palazzo degli Sport, rimasero gli stadi Tropical, di Camagüey e l’arena Cristal.
L’entità auspicò le accademie di nuoto, pelota basca, atletica e pallacanestro. In quella di boxe si iscrissero 1.100 alunni dai 12 anni in su. Per lasciarlo inaugurato e dar inizio alle sue gestioni la Direzione degli Sport, portò all’Avana e presentò nella sua sede i due migliori giocatori professionisti del mondo nello sport della racchetta: i tennisti Fred Perry e Ellsworth Vines. Si calcola che più di 4.000 persone li videro giocare. I fondi raccolti in questa e altre competizioni, si destinarono allo sviluppo dello sport, in quel momento il Governo non aveva fondi destinati a quel fine.
La Direzione degli Sport vendette il suo edificio al movimento sindacale. Si pensò di restaurarlo e adattarlo a sede della Confederazione dei Lavoratori di Cuba – quello di Central è posteriore al 1959 -, Cominciarono i lavori costruttivi, ma si dovettero fermare perché l’immobile non ammetteva riparazioni. Ovviamente, si impose ricostruire da zero il Palazzo dei Lavoratori.
Il nuovo Palazzo degli Sport si inaugurò nel 1944 nel luogo che occupa, dal 1978, la Fonte della Gioventù. Il suo primo cartellone pugilistico ebbe luogo il 1° settembre di quell’anno e comprese l’incontro clou di Juan Villalba contro Kid Gavilán. Fa gli altri eventi, questo immobile fu scenario abituale del circo nordamericano Ringling che visitava l’Avana tutti gli anni in occasione delle festività natalizie. Funzionò fino a che si demolì perchè proseguisse il tracciato del Malecón fino al suo limite naturale del río Almendares.
La Città Sportiva si adagia su due cavallerie di terreno. Per la sua costruzione, capienza e bellezza, il Coliseo o Palazzo degli Sport propriamente detto è l’opera più notevole dello spazio. Lo copre una cupola di cemento armato di 88 metri di diametro, senza nessun appoggio interno che permette una visibilità perfetta agli spettatori e che si sostiene con una trave circolare di calcestruzzo che si appoggia su 24 colonne con giunture a forma di “bilancino” che gli permettono di realizzare i piccoli movimenti di dilatazione e contrazione che i cambi di temperatura producono nel calcestruzzo. Ha una capienza tra 12.000 e 15.000 spettatori che possono essere evacuati in dieci minuti senza interruzioni né agglomerazioni alle uscite.




Una pelea arreglada

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
16 de Enero del 2016 20:31:25 CDT

Lo contó Elio Menéndez, premio nacional de Periodismo, en las páginas de este periódico. Con la apresurada inauguración de la Ciudad Deportiva, aún sin concluir, el 26 de febrero de 1958, el Gobierno batistiano pretendió lanzar una cortina de humo ante la opinión pública internacional sobre los hechos que estremecían al país. Pocos días antes un comando del Movimiento 26 de Julio había secuestrado a Juan Manuel Fangio, as argentino del volante, con lo que impidió su participación en la carrera por el II Gran Premio de Cuba, que tuvo a La Habana como escenario y en el que Fangio era la atracción principal.
Todo un show publicitario se montó para el estreno del coliseo de Vía Blanca y Boyeros. El plato fuerte del programa de la noche sería la pelea entre el cubano Orlando Echevarría y el norteamericano Joe Brown, campeón mundial de los pesos ligeros. El púgil del patio, alejado del ring desde un año antes, llevaba todas las de perder en el enfrentamiento. Tan escasas posibilidades de triunfo tenía Echevarría que, refiere Elio Menéndez en su crónica, los ejecutivos de la Dirección General de Deportes —que presidía entonces el general Roberto Fernández Miranda, jefe además del Regimiento 7 Máximo Gómez, con sede en la Cabaña, y, sobre todo, cuñado de Batista— pidieron a Brown que diera largo a su rival y estirara la pela a siete u ocho rounds, porque el combate sería transmitido de costa a costa en Estados Unidos y así lo exigían los patrocinadores. La razón era otra.
Con aquella transmisión pretendía la dictadura vender al exterior una imagen falsa de la realidad cubana.
Tres días antes, el 23 de febrero, cerca de las nueve de la noche, Fangio fue secuestrado en el vestíbulo del hotel Lincoln, en Galiano esquina a Virtudes, donde ocupaba la habitación 810. Fue una operación relámpago. El campeón acababa de bajar al lobby, copado por agentes de los cuerpos represivos de la dictadura vestidos de paisano. Allí lo esperaban periodistas y admiradores. El argentino conversaba con algunos de ellos cuando un miembro del Movimiento 26 de Julio, luego de identificar al campeón, se le acercó y le dijo que era del 26 y estaba allí para secuestrarlo. Fangio sonrió. Pensó, evidentemente, que se trataba de una broma; pero no demoró en sentir el cañón de una pistola apoyada en sus costillas y así, encañonado, salió  por la puerta de Virtudes. Nadie, ni policías ni admiradores, atinó a reaccionar.
Sus captores mantuvieron retenido a Fangio hasta la noche del 24, horas después de terminada la carrera, cuando lo devolvieron sano y salvo. Durante ese tiempo más de mil agentes de todos los cuerpos policiales cubanos lo buscaron en vano. Con su secuestro, el Movimiento 26 de Julio pretendió, y logró, llamar la atención sobre la guerra de guerrillas que se libraba en la Sierra Maestra y la lucha clandestina en las ciudades. Fue una acción que repercutió en casi todo el mundo. Refiere la crónica que en Gran Bretaña dejó en segundo plano la noticia referida a la enfermedad de Winston Churchill, y en la Argentina solo fue superada por la cobertura desmedida que se dio al triunfo en las elecciones del candidato presidencial Arturo Frondizzi. Puede afirmarse que nunca antes palabras como La Habana, Cuba, Fidel, Movimiento 26 de Julio, se habían repetido tanto ni ocupado tanto espacio en las agencias de prensa, y periódicos y revistas. Fangio, por su parte, reconocería años después que aquel secuestro lo había hecho todavía más famoso y que no había entrevista que se le hiciera en la que no se le preguntara sobre el hecho.
Bromeó: «Pero de estar mi esposa en Cuba, ella me hubiera encontrado».
El batistato temía que con Brown y Echevarría sucediera lo mismo que con Fangio, por eso los mantuvo escondidos, bajo estrecha vigilancia, hasta el mismo momento de subir al cuadrilátero. El cubano confesaría a Elio Menéndez que lo aislaron en una residencia de la playa de Tarará y que no lo dejaban solo ni para orinar.
Batista, que era fanático del boxeo, anunció su presencia esa noche en la Ciudad Deportiva. Por eso, las sillas más cercanas al ring fueron ocupadas por miembros de las fuerzas armadas, batistianos fuera de toda duda, testaferros del Gobierno y elementos incondicionales. En tanto, las preferencias altas y la gradería se destinaron a empleados públicos obligados a asistir. En definitiva, el dictador decidió mantenerse a buen resguardo. No sería esa la primera vez que el Negociado de Prensa del Palacio Presidencial daba como segura su asistencia a una competencia deportiva, y a última hora Batista decidía no ir y seguía el cartel por televisión. En caso de que se supiera que la TV no lo transmitiría, la Primera Dama pedía de manera pública que se hiciera, solicitud que, por supuesto, siempre era aceptada.
Elio Menéndez, que pudo conversar con Echevarría, dice que el cubano estaba ajeno al acuerdo al que llegaron los directivos del deporte con el púgil norteamericano, en cuanto a estirar la pelea. Sí sabía que su victoria dependía de un golpe de suerte. Por eso, apenas iniciado el combate, sorprendió a Brown con un izquierdazo que le nubló la vista.
Recuerda el cronista:
«Tras probar la pegada del subestimado rival, el forastero olvida el pacto y organiza su ofensiva. El temporal se cierne sobre el zurdo criollo, que enseguida visita la lona. A la segunda caída, el árbitro Johnny Cruz detiene las acciones y lleva a Echevarría hacia su esquina.
«¡Tan solo han transcurrido dos minutos y cuarenta y cinco segundos de pelea! La farsa no ha cumplido su objetivo».

Mariné, ¿quién eres tú?

Construido a un costo de diez millones de pesos, el Palacio de los Deportes y Campos Deportivos de La Habana, llamado después oficialmente Ciudad Deportiva, sustituyó al Palacio de Convenciones y Deportes de Paseo y Mar, como este a su vez había sustituido el Palacio de los Deportes, de San Carlos y  Peñalver.
Cuando Cuba aceptó la sede de los II Juegos Centroamericanos salieron a flote dos tristes realidades: la primera, que el país carecía de lugar donde efectuar competencias de trascendencia continental como las que se proponía; la segunda, que no tenía tiempo ni dinero para asumir de manera repentina la titánica tarea de levantar estadios para ofrecer esas competiciones. Fue entonces cuando surgió el ofrecimiento de una empresa cervecera, que construyó a toda prisa y sin visión de futuro el estadio Tropical, donde se escenificaron, en aquellos Juegos, los eventos de campo y pista, béisbol, fútbol y otros. Pero la natación, el tenis, la gimnástica, el básquet, etc., hubo que irlos a efectuar en canchas, piscinas y tabloncillos de escasas dimensiones y, por ende, radicadas en sociedades privadas, con todos los prejuicios raciales propios de la época.
Si descontamos el estadio de La Habana, o Gran Stadium del Cerro, construido ya en los 40 y dedicado exclusivamente al béisbol, aunque en él se hayan efectuado otros eventos deportivos, nada había en nuestra tierra que remedara, siquiera, a los grandes estadios comunes de otras capitales.
El 9 de julio de 1938 se crea la Dirección General Nacional de Deportes (DGND). Su director fue el comandante Jaime Mariné.
Mariné, un catalán que sirvió de testaferro a Batista, llegó a Cuba en los días previos a las elecciones de 1924, en las que se disputaban la presidencia el liberal Gerardo Machado y el conservador Mario García Menocal. Alfonso XIII, rey de España, mandó un caballo de pura sangre de regalo a Menocal, y Mariné fue el caballerizo.
Ante el regalo del caballo, los liberales se lanzaron a la calle con el lema de «¡A pie!». Coreaban: «¡A pie, a pie, a pie!/ Se acabaron los caballos./¡A pie, a pie, a pie!/ No me duelen ni los callos».Y cantaron una vez que Machado quedó triunfador en los comicios: «El Rey de España/ mandó un mensaje./ El Rey de España/ mandó un mensaje/ diciéndole a Menocal:/ devuélveme mi caballo,/ que tú no sabes montar».
Una vez aquí Mariné sentó plaza de soldado. Ascendió de sargento a comandante tras el golpe de Estado del 4 de septiembre de 1933 y, a la sombra del coronel Batista, de quien era ayudante, ocupó diferentes cargos hasta su salida de Cuba en 1944, cuando se estableció en Caracas para hacer grandes inversiones a nombre de su jefe y en su propio nombre.
En 1938 Mariné arrendó el Nuevo Frontón, el llamado Palacio de las Luces, en San Carlos y Peñalver —el frontón de Concordia y Lucena era el Palacio de los Gritos. Por fallas constructivas, el apresuramiento con que se acometió y por los daños que ocasionó en ese inmueble el ciclón del 20 de octubre de 1926, esa edificación se hallaba en un estado lamentable.
Allí radicaron la Dirección de Deportes y los departamentos correspondientes a cada especialidad. Disponía de áreas para la práctica de diversas disciplinas. Contaba con un gabinete médico y una clínica dental, así como un área de veterinaria y una llamada cocina deportiva. Bajo la jurisdicción de ese Palacio de los Deportes, quedaron los estadios Tropical y de Camagüey y la arena Cristal.
Auspició  la entidad academias de natación, jai alai, atletismo y baloncesto. En la de boxeo matricularon 1 100 alumnos de 12 años en adelante. Para dejarlo inaugurado y dar inicio a sus gestiones, la Dirección de Deportes trajo a La Habana y presentó en su sede a los dos mejores jugadores profesionales del mundo en el deporte de la
raqueta: los tenistas Fred Perry y Ellsworth Vines. Se calcula que más de 4 000 personas los vieron jugar. El dinero recaudado en esa y otras competiciones posteriores se destinó al fomento del deporte, pues entonces el Gobierno no tenía crédito alguno destinado a ese fin.
La Dirección de Deportes vendió su edificio al movimiento sindical. Se pensó en restaurarlo y adaptarlo para sede de la Confederación de Trabajadores de Cuba —lo de Central es posterior a 1959. Empezaron los quehaceres constructivos, pero hubo que paralizarlos porque el inmueble no admitía reparación. Por supuesto, se impuso construir desde cero el Palacio de los Trabajadores.
El nuevo Palacio de los Deportes se inauguró en 1944, en el sitio que ocupa desde 1978 la Fuente de la Juventud. Su primer cartel boxístico tuvo lugar el 1ro. de octubre de ese año e incluyó la pelea estelar de Juan Villalba contra Kid Gavilán. Entre otros eventos, ese inmueble fue escenario habitual del circo norteamericano Ringling, que visitaba La Habana todos los años en ocasión de las fiestas navideñas. Funcionó hasta cuando se demolió para que prosiguiera el trazado del Malecón hasta su límite natural del río Almendares.
La Ciudad Deportiva se asienta sobre dos caballerías de terreno. Por su construcción, capacidad y belleza, el Coliseo o Palacio de los Deportes propiamente dicho es la obra más notable del espacio. Lo cubre una cúpula de hormigón armado de 88 metros de diámetro, sin apoyo interior alguno, que permite una perfecta visibilidad de los espectadores y la cual se sostiene por una viga circular, de hormigón, que se apoya en 24 columnas con asiento en forma de «balancín», que le permite realizar los pequeños movimientos de dilatación y contracción que, en el hormigón, producen los cambios de temperatura. Tiene capacidad para entre 12 000 y 15 000 personas, quienes pueden ser evacuadas en diez minutos sin interrupción ni aglomeraciones en las salidas.

Ciro Bianchi Ross











Nessun commento:

Posta un commento