Come
previsto, ieri sera sono stato alla serata dedicata al ricordo di Vittorio
Garatti nell’ambito della Settimana della Cultura Italiana. La presentazione
della Vita e carriera di Vittorio è stata eseguita con la proiezione di una
serie di diapositive che la riassumevano è stata preparata ed effettuata
dall’Architetto Enrico Bordogna, invitato all’Avana dall’Ambasciata d’Italia.
L’esponente con molta competenza e visibile emozione ha raccontato la storia
professionale di Vittorio da prima della Laurea conseguita nel 1957, quando si
era iscritto all’Accademia di Belle Arti di Milano ed aveva esordito nel mondo
del disegno e della pittura. Successivamente, il relatore, ha suddiviso la
carriera professionale di Vittorio in tre fasi: la prima dal 1957, appena
conseguita la Laurea, al 1960 con la partenza e il soggiorno in Venezuela
assieme alla giovane moglie. A Caracas ha conosciuto l’affermato architetto
cubano Ricardo Porro, esule dal sanguinario regime di Fulgencio Batista, che è
stato un esempio fondamentale nel resto della sua vita, così come conobbe altri
due giovani architetti italiani: Roberto Gottardi e Sergio Baroni di cui diceva
fosse il fratello che non aveva mai avuto.
Dopo la
vittoria della Rivoluzione di Fidel Castro, a Cuba, Porro tornò all’Avana nel 1960 e nel 1961
invitò il terzetto italiano a raggiungerlo. Iniziava così la seconda fase della
carriera professionale di Garatti che durò fino al 1974, anno in cui fu
costretto, per sfortunata combinazione, al ritorno a Milano. Incaricato di
importanti lavori all’Avana, a non solo, Vittorio assieme a Porro e Gottardi
progettò e fece costruire quella che doveva essere l’Accademia Cubana delle
Belle Arti, purtroppo caduta nell’incuria quasi totale, ma al di là della sua
singolare bellezza è stata fatta con una struttura tale che ancora oggi, con un
minimo sforzo, sarebbe utilizzabile. Naturalmente questa non fu la sua sola
opera, ma indubbiamente la più originale e imperitura. Contemporaneamente
lavorava a progetti urbanistici e agricoli di cui alcuni rimasti incompiuti,
non per sua volontà.
Uno dei
lavori più importanti e strategicamente molto importante, era l’incarico della
ristrutturazione del porto dell’Avana e questo gli costò l’esilio per
leggerezza ed eccesso di zelo. Risulta che una sera, come si usa spesso
specialmente a Milano, decise di portarsi a casa i disegni per guadagnare tempo
nel lavoro, ma…qualche solerte funzionario della Seguridad del Estado,
particolarmente attenta ed attiva a quel tempo, vide quell’azione come un
tentativo di spionaggio con la conseguenza di una espulsione immediata. Chi ha
conosciuto Vittorio non potrebbe mai credere a una possibilità del genere,
impensabile per una persona integra e ingenua come lui.
Fu così
che dal 1974 alla sua morte, avvenuta nel 2023, iniziò la terza parte della sua
carriera nella natia Milano dove si occupò principalmente di ristrutturazione e
progettazione di interni come ad esempio il laboratorio, lo show room e la sala
di presidenza dello stilista Ferré ma ebbe anche un ruolo nella
ristrutturazione del famoso e importante Hotel Gallia con la costruzione della
mansarda diventata ultimo piano dell’immobile.
Nel 1987,
grazie all’incessante lavoro di suo “fratello” Sergio Baroni e dell’amica Norma
Martinez, venne finalmente rivisto il suo “caso” dove risultò libero da ogni
carico e poté tornare, almeno temporaneamente, nella sua sempre amata Cuba da
uomo libero e felice.
Chi, come
l’Architetto Bordogna, ha potuto visitare la sua casa nel famoso quartiere di
Brera a Milano, non ha potuto fare a meno di vedere l’affresco che ha dipinto
nella parete di fondo del salone, da sapore palladiano e che contiene un
riassunto della sua vita, come la presenza dei suoi migliori amici e sullo
sfondo, al posto delle ville del famoso Architetto veneto del ‘700, appaiono
le cupole della Scuola d’Arte dell’Avana.
Una
esposizione completa, molto curata e ben presentata dall’architetto Bordogna,
peccato che le con dizioni locali l’abbiano castigata dapprima con un ritardo
di mezz’ora sull’inizio e poi dal guasto al proiettore di diapositive che
doveva, appunto, proiettarle su schermo cinematografico, ma che poi sono state
caricate su un televisore che seppure di schermo grande non rendeva certo loro
la giustizia e visibilità che meritavano. Il tutto accompagnato da una
traduzione non proprio soddisfacente in quanto la traduttrice non era da
“simultanea” e pur avendo padronanza della lingua italiana, faticava a seguire
i periodi narrativi del relatore che a volte, a causa della passione,
risultavano un po’ lunghi per essere ben memorizzati.