Sulla calle chiamata Carlitos Aguirre, chiede il dottor Rafael Nodarse, medico dell’ospedale Calíxto García e professore della sua facoltà di Scienze Mediche. Dice che nel suoi percorsi abituali nella zona, “è inciampato con questa stradina virtuale, racchiusa nell’angolo dove coincide con San Rafael, in un fianco dell’Università” e chiede di raccontare qualcosa su di lei. “Perché un nome tanto piccolo come la stessa via?”, domanda.
Carlitos Aguirre Sánchez era fra quelle persone a cui tocca una morte che non é la propria. Come si legge nel piedistallo della statua eretta nel giardino che porta il suo nome, “fu precocemente strappato alla vita per una tragedia inconcepibile, quando era un esempio per la gioventù, la sua mente vigorosa e la forte volontà erano presagi di indescrivibile grandezza”. Una morte assurda che ce lo fa ricordare. La famiglia incaricò lo scultore italiano Nicolini questa immagine scultorea e la situò nel giardino che fece costruire a fianco dello stadio universitario, dove la strada smette di chiamarsi Ronda per chiamarsi Carlitos Aguirre.
Suo padre Charles Aguirre, fu colonnello dell’Esercito di Liberazione. Terminata la guerra contro la Spagna, fu capitano del porto dell’Avana e più tardi, tra il 1911 e 1912, capo della Polizia nella capitale dell’Isola. Uno sfortunato incidente lo portò in carcere nel maggio del 1916; causò lesioni con arma da fuoco a Generoso Canal. Lo condannarono a tre anni di privazione di libertà. Un indulto lo beneficiò nel novembre del 1918.
La madre, Fredesvinda, era sorella di Maria Luisa, la Moglie di Oreste Ferrara, il navigato politico italiano residente all’Avana, anche lui colonnello delle nostre gesta per l' independenza. La sua residenza che oggi accoglie il Museo Napoleonico, confinava nella parte posteriore con villa Carlitos, residenza degli Aguirre, in San Rafael angolo Ronda, convertita da molti anni in un edificio di appartamenti molto deteriorata dal tempo e l’incuria. Quendo Ferrara era a Cuba – fu ambasciatore negli USA e cancelliere ai tempi di Machado – attraversava il cortile con Maria Luisa per pranzare con gli Aguirre. Lì, mentre pranzava, seppe dell’attentato che costò la vita, nel 1932, a Clemente Vázquez Bello, presidente del Senato e intimo di Machado. Lì, pranzò – maccheroni alla napoletana – il 12 agosto del 1933, quando la dittatura machadista era già crollata. Da casa degli Aguirre si diresse al porto al fine di prendere l’idrovolante che lo avrebbe condotto all’esilio. Solo per caso gli studenti che lo inseguivano non poterono catturarlo.
In una vivida cronaca sulla morte di Carlitos che l’amico e collega Luis Sexto pubblicò anni fa, in questa stessa pagina e che poi inserì nel suo libro El camino siempre va a alguna parte (2008), del quale conservo un esemplare con una dedica generosa del suo autore, si dice che nacque nel 1901 e che nel 1919 si iscrisse alla facoltà di Diritto per laurerarsi come avvocato il 6 luglio del 1923. Luis che visionò la sua cartella universitaria, assicura che nella generalità delle materie è contrassegnato come eccellente, con lode. Il cronista scrive: “La sua cartella conferma che Carlitos Aguirre era una promessa nell’intellettuale e nel morale. Uno dei suoi professori definì la sua vita come il breve sforzo di una mente eccelsa”.
Già allora, Carlitos aveva pubblicato un libro: Sensaciones de viaje, frutto di un periplo turistico per vari Paesi europei e aveva avuto la temerarietà di attraversare in aereo il Canale della Manica, in un’epoca in cui l’aviazione portava ancora i pannolini. Con riferimento a questo volo, confessa Luis che non sentì nessuna paura perché era “un fatalista e sapeva che la sua morte era già scritta con giorno, mese e anno da un tempo inesorabile”.
Due mesi dopo la laurea, Carlitos Aguirre era cadavere. I suoi successi studenteschi furono premiati con un viaggio in Europa. Il suo corpo, imbalsamato, giunse a Cuba via mare il 4 ottobre. Lo vegliarono nell’Aula Magna dell’Università.
Cosa era successo? Lasciamo che ce lo racconti Luis Sexto:
“Il giorno della sua morte, stava presenziando una corrida di tori a Bayona. Il matador eseguiva le sue ultime figure, finte, passi; l’animale sbuffava, sembrava aprisse un buco con le zampe forse per sfuggire a quello che non capiva. La collera gli alleviava lo sfinimento. Il matador si avvicinava con la spada.
La signorina che lo accompagnava, di origine nordamericana, disse a Carlitos: ‘Mi da fastidio il sole’.
Il matador misurò la distanza; poi camminò come sulle punte.
Carlitos si alzò e cedette il suo sedile alla signorina Straus. Il matador conficcò la spada lì dove la vita del toro era inerme, vulnerabile. L’animale soffiò, scosse la testa. L’arma si sfilò come un proiettile...
La spada terminò il suo volo nel petto di Carlitos”.
Nicanor del Campo
Une lettore, di cui purtroppo non ho annotato il nome, dopo essersi confessato assiduo lettore di questa pagina, si interessa di sapere perché la località dove vive, appartenente al municipio Playa, si chiama Nicanor del Campo.
Non è molto quello che lo scriba conosce circa questo personaggio. In ogni caso, non molto più di quello che riferì una delle sue nipoti, Emilia “Lili” del Campo, alle scrittrici francesi Marjorie Moore e Adrienne Hunter quando compilavano il loro libro su diverse signore dell’alta borghesia cubana che decisero di rimanere a Cuba dopo il 1959. Il libro, pubblicato dall’editrice Ciencias Sociales nel 2003, s’intitola Siete mujeres y la revolución Cubana e oltre a quello di Emilia del Campo, raccoglie le testimonianze di Laura Gómez Tarafa “Chinie”, Celia Ponce de León “Cuqui”, Gloria González, Margot del Pozo, Natalia Bolívar e Conchita Freire de Andrade. Un discendente di Nicanor del Campo, dallo stesso nome, presta servizio come specialista di Medicina Interna nell’ospedale clinico-chirurgico Joaquín Albarrán, dell’Avana.
Il personaggio in questione fu il fondatore del quartiere Almendares. La nipote dice nella citata intervista: “Il suo nome è ben conosciuto all’Avana perché c’è un quartiere che si chiama così. Questo non è il suo nome ufficiale, ma la gente è abituata ad associare il quartiere con lui e lo chiamava in questo modo. Il nome ufficiale è quello che proprio mio nonno gli diede: Reparto Almendares”.
Emilia del campo precisa che suo nonno venne a Cuba come funzionario dell’amministrazione coloniale e che anche se non combatté contro i ‘mambises’ fu tenente del corpo dei Volontari. Qui prosperò, si sposò con una cubana, sua nonna, e rimase sull’Isola una volta che Cuba ottenne l’indipendenza.
Fu proprietario di una fabbrica di tegole. Con gli utili che gli produceva, comprò la tenuta che una volta urbanizzata, fu il quartiere Almendares. Inoltre possedeva una fattoria lattiera, chiamata Il Maggiore, dotata di un sistema di mungitura meccanica e impianti per la pastorizzazione e omogeneizzazione del latte. In questo giro aveva un forte concorrente, la Ward Company, un grande complesso lattiero nordamericano, stabilitosi a Cuba, che faceva gelati e altri prodotti del latte essendo molto più grande della latterie cubane.
Emilia Commenta che suo nonno giunse ad essere multimilionario. Aveva l’orgoglio di essere il maggior contribuente del municipio di Marianao; quello che pagava maggiori contribuzioni e tasse in quel territorio. Gran parte della sua fortuna si volatilizzò quando il crollo della borsa valori di New York, il 13 ottobre del 1929, dette inizio alla Grande Depressione. Nicanor del Campo perse o si vide obbligato a disfarsi di m olte delle sue proprietà. Col tempo riuscì a recuperare parte della sua fortuna, ma già niente era più come prima. Cessò di essere il maggior contribuente di Marianao. Morì nel 1941.
Carlos Manuel de Céspedes
Carlos Manuel de Céspedes y Quesada, figlio del Padre della Patria, fu uno dei tre presidenti della Repubblica che vide la luce fuori di Cuba. Nacque a New York il 12 agosto 1871, dopo che sua madre riuscì ad andarsene dall’Isola. Suo padre non giunse a conoscerlo. Di lui si interessa il lettore Jorge López di Madruga.
Studiò negli Stati Uniti e in Francia, già diplomato al liceo fece un viaggio in Germania italia e Inghilterra. Poco dopo l’inizio della Guerra d’Indipendenza arriva a Cuba con la spedizione del vapore Laurada che lo sbarca vicino a Baracoa. Raggiunse il grado di colonnello e fu delegato all’Assemblea Costituente di La Yaya. Concluso il conflitto si oppose, nell’Assemblea del Cerro, alla destituzione di Máximo Gómez come Generale in Capo dell’Esercito di Liberazione. Si laureò da avvocato nel 1901. In questo stesso anno venne eletto a Rappresentante alla Camera, incarico nel quale venne rieletto nel 1905. La piccola guerra dell’agosto 1906 contro il presidente Estrada Palma fa si che si apparti dalla vita pubblica. Il presidente José Miguel Gómez lo designa ambasciatore a Roma ed è inviato speciale della Repubblica ai funerali del re Giorgio di Grecia. Nel 1913 è ambasciatore a Buenos Ayres e più tardi a Washington, dove coordina i lavori incamminati alla costruzione del bell’edificio che ospiterà l’Ambasciata di Cuba, attuale ufficio d’interessi.
Il presidente Zayas gli affida il Segretariato di Stato (Relazioni Estere) ed è ministro interinale dell’Industria., più tardi, della Guerra. Nel novembre 1924 rappresenta la repubblica negli atti per la presa di possesso di Plutarco Elias Calles come presidente del Messico e il 20 maggio del 1933, Machado lo dichiara in disponibilità.
Quando, alla caduta di Machado, i militari si negano ad accettare il generale Alberto Herrera come sostituto del dittatore in fuga, l’Ambasciatore nordamericano impone Céspedes alla presidenza della Repubblica. Prende possesso il 12 agosto del 1933, giorno in cui compiva 62 anni d’età. Dura 23 giorni in carica. Lo abbatte, il 4 settembre, un movimento di classi e soldati che capeggia un sergente di nome Batista. Si rifiuta di assecondare gli ufficiali ammutinati nell’Hotel Nacional che lo vogliono vedere tra loro. Dice: “Per me non si spargerà sangue cubano né si avrà intervento straniero”.
Il presidente Mendieta lo designa ambasciatore in Spagna. Rappresenta Cuba all’Assemblea Straordinaria della Società delle Nazioni. Al fronte del Partito Centrista, vuole aspirare alla Presidenza, ma la mancanza di calore popolare lo spinge a desistere. In giugno rinuncia al suo incarico in Spagna, ma sempre con rango di ambasciatore, gli si affida l’assistenza tecnica del Segretariato di Stato ed é giudice del Tribunale di Arbitraggio. Morì all’Avana il 27 marzo del 1934. Fu accademico di Storia. Scrisse una biografia di suo padre e un’altra di suo zio, il polemico generale Manuel de Quesada, fra altri libri e lasciò un’opera inedita nella quale descrive il suo passaggio fugace alla Presidenza.
Tres figuras de ayer
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
20 de Junio del 2015 19:10:42 CDT
Sobre la calle llamada Carlitos Aguirre inquiere el doctor Rafael
Nodarse, médico del hospital Calixto García y profesor de su Facultad
de Ciencias Médicas. Dice que en sus recorridos habituales por la zona
ha «tropezado con esa callecita casi virtual, enclavada en la esquina
donde coincide con San Rafael, a un costado de la Universidad», y pide
que contemos algo sobre ella. «¿Por qué el nombre tan pequeñín como la
calle misma?», pregunta.
Carlitos Aguirre Sánchez es de esas personas a las que toca una muerte
que no es la suya. Como se lee en el pedestal de la estatua que se le
erigió en el parque que lleva su nombre, fue «tempranamente arrancado
de la vida por inconcebible tragedia cuando era ejemplo a la juventud
y la mente vigorosa y fuerte voluntad eran presagios de indescriptible
grandeza». Una muerte absurda que hace que lo recordemos. La familia
encargó al escultor italiano Nicolini esa imagen de bulto y la emplazó
en el parque que hizo construir a un costado del estadio de la
Universidad, donde la calle deja de ser Ronda para llamarse Carlitos
Aguirre.
Su padre fue Charles Aguirre, coronel del Ejército Libertador. Cesada
la guerra contra España fue capitán del puerto de La Habana, y más
tarde, entre 1911 y 1912, jefe de la Policía en la capital de la Isla.
Un incidente desafortunado lo llevó a la cárcel en mayo de 1916; causó
lesiones con arma de fuego a Generoso Canal. Lo condenaron a tres años
de privación de libertad. Un indulto lo benefició en noviembre de
1918.
La madre, Fredesvinda, era hermana de María Luisa, la esposa de
Orestes Ferrara, el avieso político italiano avecindado en La Habana,
también coronel de nuestras gestas independentistas. Su residencia,
que acoge hoy al Museo Napoleónico, colindaba por la parte trasera con
Villa Carlitos, morada de los Aguirre, en San Rafael y Ronda,
convertida desde hace años en una casa de vecindad muy deteriorada por
el tiempo y el abandono. Siempre que Ferrara estaba en Cuba —fue
embajador en EE.UU. y canciller en tiempos de Machado— atravesaba el
patio, junto con María Luisa, para almorzar con los Aguirre. Allí,
mientras almorzaba, supo del atentado que costó la vida, en 1932, a
Clemente Vázquez Bello, presidente del Senado e íntimo de Machado.
Allí almorzó —macarrones napolitanos— el 12 de agosto de 1933, cuando
ya la dictadura machadista se había desplomado. De casa de los Aguirre
salió hacia el puerto a fin de tomar el hidroavión que lo conduciría
al exilio. De pura casualidad los estudiantes que lo perseguían no
pudieron atraparlo.
En una vívida crónica sobre la muerte de Carlitos, que el amigo y
colega Luis Sexto publicó hace años en estas mismas páginas y que
compiló luego en su libro El camino siempre va a alguna parte (2008),
del que conservo un ejemplar con una generosa dedicatoria del autor,
se dice que nació en 1901, y que en 1919 matriculó la carrera de
Derecho para graduarse de abogado el 6 de julio de 1923. Luis, que
revisó su expediente universitario, asegura que la generalidad de las
asignaturas muestra el cuño de sobresaliente, con premios. Escribe el
cronista: «Su expediente confirma que Carlitos Aguirre era una promesa
en lo intelectual y lo moral. Uno de sus profesores definió su vida
como el breve esfuerzo de una mente electa».
Ya para entonces Carlitos había publicado un libro, Sensaciones de
viaje, fruto de un periplo turístico por varios países europeos, y
había tenido la temeridad de cruzar en avión el Canal de la Mancha en
una época en que la aviación estaba aún en pañales. Con relación a ese
vuelo confiesa, dice Luis, que no sintió miedo porque «era fatalista y
sabía que su muerte estaba prescrita, con día, mes y año en un tiempo
inexorable».
Dos meses después de su graduación, Carlitos Aguirre era cadáver. Sus
éxitos estudiantiles fueron premiados con un viaje a Europa. Su cuerpo
embalsamado llegó a Cuba por mar el 4 de octubre. Lo velaron en el
Aula Magna de la Universidad.
¿Qué sucedió? Dejemos que Luis Sexto nos lo cuente:
«El día de su muerte presenciaba una corrida de toros en Bayona. El
matador ejecutaba sus últimas figuras, fintas, pases; la bestia
resoplaba, parecía querer abrir un hueco con las patas para tal vez
huir de aquello que no comprendía. La cólera le aliviaba el
agotamiento. El matador se acercaba con la espada.
«La señorita que lo acompañaba, norteamericana de origen, le dijo a
Carlitos: “El sol me molesta”.
«El matador midió la distancia; caminó luego como en puntillas.
Carlitos se levantó y cedió su asiento a la señorita Straus. El
matador clavó la espada allí donde la vida del toro estaba inerme,
vulnerable. El animal bufó, sacudió la testuz. El arma se desprendió
como un proyectil…
«La espada terminó su vuelo en el pecho de Carlitos».
Nicanor del Campo
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
20 de Junio del 2015 19:10:42 CDT
Sobre la calle llamada Carlitos Aguirre inquiere el doctor Rafael
Nodarse, médico del hospital Calixto García y profesor de su Facultad
de Ciencias Médicas. Dice que en sus recorridos habituales por la zona
ha «tropezado con esa callecita casi virtual, enclavada en la esquina
donde coincide con San Rafael, a un costado de la Universidad», y pide
que contemos algo sobre ella. «¿Por qué el nombre tan pequeñín como la
calle misma?», pregunta.
Carlitos Aguirre Sánchez es de esas personas a las que toca una muerte
que no es la suya. Como se lee en el pedestal de la estatua que se le
erigió en el parque que lleva su nombre, fue «tempranamente arrancado
de la vida por inconcebible tragedia cuando era ejemplo a la juventud
y la mente vigorosa y fuerte voluntad eran presagios de indescriptible
grandeza». Una muerte absurda que hace que lo recordemos. La familia
encargó al escultor italiano Nicolini esa imagen de bulto y la emplazó
en el parque que hizo construir a un costado del estadio de la
Universidad, donde la calle deja de ser Ronda para llamarse Carlitos
Aguirre.
Su padre fue Charles Aguirre, coronel del Ejército Libertador. Cesada
la guerra contra España fue capitán del puerto de La Habana, y más
tarde, entre 1911 y 1912, jefe de la Policía en la capital de la Isla.
Un incidente desafortunado lo llevó a la cárcel en mayo de 1916; causó
lesiones con arma de fuego a Generoso Canal. Lo condenaron a tres años
de privación de libertad. Un indulto lo benefició en noviembre de
1918.
La madre, Fredesvinda, era hermana de María Luisa, la esposa de
Orestes Ferrara, el avieso político italiano avecindado en La Habana,
también coronel de nuestras gestas independentistas. Su residencia,
que acoge hoy al Museo Napoleónico, colindaba por la parte trasera con
Villa Carlitos, morada de los Aguirre, en San Rafael y Ronda,
convertida desde hace años en una casa de vecindad muy deteriorada por
el tiempo y el abandono. Siempre que Ferrara estaba en Cuba —fue
embajador en EE.UU. y canciller en tiempos de Machado— atravesaba el
patio, junto con María Luisa, para almorzar con los Aguirre. Allí,
mientras almorzaba, supo del atentado que costó la vida, en 1932, a
Clemente Vázquez Bello, presidente del Senado e íntimo de Machado.
Allí almorzó —macarrones napolitanos— el 12 de agosto de 1933, cuando
ya la dictadura machadista se había desplomado. De casa de los Aguirre
salió hacia el puerto a fin de tomar el hidroavión que lo conduciría
al exilio. De pura casualidad los estudiantes que lo perseguían no
pudieron atraparlo.
En una vívida crónica sobre la muerte de Carlitos, que el amigo y
colega Luis Sexto publicó hace años en estas mismas páginas y que
compiló luego en su libro El camino siempre va a alguna parte (2008),
del que conservo un ejemplar con una generosa dedicatoria del autor,
se dice que nació en 1901, y que en 1919 matriculó la carrera de
Derecho para graduarse de abogado el 6 de julio de 1923. Luis, que
revisó su expediente universitario, asegura que la generalidad de las
asignaturas muestra el cuño de sobresaliente, con premios. Escribe el
cronista: «Su expediente confirma que Carlitos Aguirre era una promesa
en lo intelectual y lo moral. Uno de sus profesores definió su vida
como el breve esfuerzo de una mente electa».
Ya para entonces Carlitos había publicado un libro, Sensaciones de
viaje, fruto de un periplo turístico por varios países europeos, y
había tenido la temeridad de cruzar en avión el Canal de la Mancha en
una época en que la aviación estaba aún en pañales. Con relación a ese
vuelo confiesa, dice Luis, que no sintió miedo porque «era fatalista y
sabía que su muerte estaba prescrita, con día, mes y año en un tiempo
inexorable».
Dos meses después de su graduación, Carlitos Aguirre era cadáver. Sus
éxitos estudiantiles fueron premiados con un viaje a Europa. Su cuerpo
embalsamado llegó a Cuba por mar el 4 de octubre. Lo velaron en el
Aula Magna de la Universidad.
¿Qué sucedió? Dejemos que Luis Sexto nos lo cuente:
«El día de su muerte presenciaba una corrida de toros en Bayona. El
matador ejecutaba sus últimas figuras, fintas, pases; la bestia
resoplaba, parecía querer abrir un hueco con las patas para tal vez
huir de aquello que no comprendía. La cólera le aliviaba el
agotamiento. El matador se acercaba con la espada.
«La señorita que lo acompañaba, norteamericana de origen, le dijo a
Carlitos: “El sol me molesta”.
«El matador midió la distancia; caminó luego como en puntillas.
Carlitos se levantó y cedió su asiento a la señorita Straus. El
matador clavó la espada allí donde la vida del toro estaba inerme,
vulnerable. El animal bufó, sacudió la testuz. El arma se desprendió
como un proyectil…
«La espada terminó su vuelo en el pecho de Carlitos».
Nicanor del Campo
Un lector cuyo nombre, lamentablemente, no anoté, luego de confesarse
seguidor asiduo de esta página, se interesa por saber por qué el lugar
donde vive, perteneciente al municipio de Playa, se denomina Nicanor
del Campo.
No es mucho lo que conoce el escribidor acerca de ese personaje. En
todo caso, no más de lo que sobre él refirió una de sus nietas, Emilia
«Lili» del Campo, a las escritoras francesas Marjorie Moore y Adrienne
Hunter cuando acometían su libro sobre varias señoras de la alta
burguesía cubana que decidieron permanecer en Cuba después de 1959. El
libro, publicado por la editorial de Ciencias Sociales en 2003, se
titula Siete mujeres y la Revolución Cubana y aparte del de Emilia del
Campo recoge los testimonios de Laura Gómez Tarafa «Chinie», Celia
Ponce de León «Cuqui», Gloria González, Margot del Pozo, Natalia
Bolívar y Conchita Freire de Andrade. Un descendiente de Nicanor del
Campo, de igual nombre, presta servicios como especialista en
Medicina Interna en el hospital clínico-quirúrgico Joaquín Albarrán,
de La Habana.
El personaje en cuestión fue el fundador del reparto Almendares. Dice
su nieta en la entrevista aludida: «Su nombre es bien conocido en La
Habana porque hay un barrio que se llama igual. Ese no es su nombre
oficial, pero la gente estaba acostumbrada a asociar el barrio con él
y lo llamaba de esa manera. El nombre oficial es el que mi propio
abuelo le dio: Reparto Almendares».
Precisa Emilia del Campo que su abuelo vino a Cuba como funcionario de
la administración colonial y que, aunque no peleó contra los mambises,
fue teniente del cuerpo de Voluntarios. Prosperó aquí, se casó con una
cubana, su abuela, y permaneció en la Isla una vez que Cuba alcanzó su
independencia.
Fue propietario de una fábrica de tejas. Con las ganancias que le
producía compró la finca que una vez urbanizada fue el reparto
Almendares. Poseía además una granja lechera, llamada El Mayor, dotada
de un sistema de ordeño mecanizado y de equipos para la pasteurización
y homogenización de la leche. Tenía en este giro un competidor fuerte,
la Ward Company, un gran negocio lechero norteamericano, establecido
en Cuba, que hacía helados y otros productos lácteos y era mucho mayor
que las lecherías cubanas.
Comenta Emilia que su abuelo llegó a ser multimillonario. Tenía el
orgullo de ser el mayor contribuyente del municipio de Marianao; esto
es, el que más contribuciones e impuestos pagaba en ese territorio.
Gran parte de su fortuna se volatizó cuando el desplome de la bolsa de
valores de Nueva York, el 13 de octubre de 1929, dio inicio a la Gran
Depresión. Nicanor del Campo perdió o se vio obligado a deshacerse de
muchas de sus propiedades. Con el tiempo logró rehacer parte de su
fortuna, pero ya nada fue como antes. Había dejado de ser el mayor
contribuyente de Marianao. Falleció en 1941.
Carlos Manuel de Céspedes
Carlos Manuel de Céspedes y Quesada, hijo del Padre de la Patria, fue
uno de los tres presidentes de la República que vio la luz fuera de
Cuba. Nació en Nueva York, el 12 de agosto de 1871, luego de que su
madre lograra salir de la Isla. Su padre no llegó a conocerlo. Por él
se interesa el lector Jorge López, de Madruga.
Estudió en EE.UU. y en Francia, y graduado ya de bachiller hizo un
viaje por Alemania, Italia e Inglaterra. Poco después de iniciada la
Guerra de Independencia llega a Cuba en la expedición del vapor
Laurada, que desembarca cerca de Baracoa. Alcanzó el grado de coronel
y fue delegado a la Asamblea Constituyente de La Yaya. Concluida la
contienda, se opuso en la Asamblea del Cerro a la destitución de
Máximo Gómez como General en Jefe del Ejército Libertador.
Se graduó de abogado en 1901. En ese mismo año resultó electo
Representante a la Cámara, cargo en que se reeligió en 1905. La
guerrita de agosto de 1906 contra el presidente Estrada Palma hace que
se aparte de la vida pública. El presidente José Miguel Gómez lo
designa embajador en Roma y es enviado especial de la República a los
funerales del rey Jorge, de Grecia. En 1913 es embajador en Buenos
Aires y más tarde en Washington, donde coordina los trabajos
encaminados a la construcción del bello edificio que daría albergue a
la Embajada de Cuba, actual Oficina de Intereses.
El presidente Zayas le confía la Secretaría de Estado (Relaciones
Exteriores) y es Ministro interino de Hacienda y, más tarde, de
Guerra. En noviembre de 1924 representa a la República en los actos de
toma de posesión de Plutarco Elías Calles como presidente de México, y
el 20 de mayo de 1925, el presidente Machado lo ratifica en la cartera
de Estado. En 1926, desde París, envía su renuncia a esa cartera y
acepta la embajada en Francia. Con posterioridad se le traslada a
Inglaterra con igual rango, y, también como embajador, vuelve a
Francia, hasta que se le designa en México. No llega a tomar posesión.
El 20 de mayo de 1933 Machado lo declara en disponibilidad.
Cuando, a la caída de Machado, los militares se niegan a aceptar al
general Alberto Herrera como sustituto del dictador en fuga, el
Embajador norteamericano impone a Céspedes en la presidencia de la
República. Toma posesión el 12 de agosto de 1933, el día en que
cumplía 62 años de edad. Dura 23 días en el cargo. Lo derroca, el 4 de
septiembre, un movimiento de clases y soldados que encabeza un
sargento llamado Batista. Se niega a secundar a los oficiales
amotinados en el Hotel Nacional que quieren verlo entre ellos. Dice:
«Por mí no se derramará sangre cubana ni habrá intervención
extranjera».
El presidente Mendieta lo designa embajador en España. Representa a
Cuba en la Asamblea Extraordinaria de la Sociedad de Naciones. Al
frente del Partido Centrista quiere aspirar a la Presidencia, pero la
falta de calor popular lo empuja a desistir. En junio renuncia a su
cargo en España, pero siempre con categoría de embajador, se le
designa asesor técnico de la Secretaría de Estado y juez del Tribunal
de Arbitraje. Murió en La Habana, el 27 de marzo de 1934. Fue
académico de la Historia. Escribió una biografía de su padre y otra de
su tío, el polémico general Manuel de Quesada, entre otros libros, y
dejó inédita una obra en la que relató su paso fugaz por la
Presidencia.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/