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lunedì 10 novembre 2014

Bando de Piedad, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde dell' 8/11/14
Il lettore si immagini la Guerra che stavano dando le zanzare già che a metà del XVI secolo gli avaneri avevano offerto 32 corride di tori a San Cristóbal de La Habana perché le facesse andare via dalla città e, di passo, portassero con loro mosche, cavallette e formiche.
La prima corrida di tori che si celebró a Cuba ebbe luogo a Santiago nel 1538, con motivo dell’arrivo di Hernando de Soto, Governatore dell’Isola e “Avanzato” della Florida, dove cercò invano la fonte dell’ete
Ben presto, il gusto per queste si estese ad altri paesirna giovinezza. Non tarderà a trasferirsi all’Avana dove, per la sua ripercussione, la cronaca lascerà le note contro le zanzare e il saluto all’ascesa al trono del re spagnolo Carlos III.
Ciò nonostante, non si ebbe una vera e propria arena per corride, in questa città, fino al 1769 quando si installò quella di Monte angolo Arsenal in un posto chiamato successivamente l’Immondezzaio. La seconda, nel 1818 si collocò nella calle Aguila, dietro la pensioncina di un tal Cabrera e nel Campo di Marte (attuale Parque de la Fraternidad) si situò la successiva, nel 1825. Molto frequentato fu il rodeo che nel 1842, si fece nella piazza principale di Regla per corride e esordi: gli avaneri travresavano la baia per non perdersi lo spettacolo. Ci fu un’altra arena, a partire dal 1853 nella calle Belazcoain, di fronte all’edificio che occupava la Casa di Beneficenza, spazio dove oggi si erge l’ospedale Hermanos Ameijeiras. L’ultima arena venne situata all’angolo di Carlos III e Infanta, dove oggi si trova il ristorante Las Avenidas. Questo successe nel 1886 e l’anno seguente le tribune di questo cerchio traboccavano per presenziare all’attuazione del celebre Luis Mazzantini che, fra toro e toro, viveva un romanzo rovente con l’attrice francese Sarah Bernhardt, quella donna che a dire di Alessandro Dumás (figlio) aveva viso d’angelo e corpo di scopa.
Arrivarono con Colombo
I combattimenti dei galli vengono – si dice – dall’antica Grecia.
Temistocle, il generale ateniese che vinse i persi a Salamina, infiammava gli animi dei suoi soldati facendoli presenziare a combattimenti fra galli, prima delle battaglie.
Ben presto il gusto per le medesime si estese ad altri Paesi. Ci sono autori che affermano che Colombo godette, a Cuba, di questi spettacoli, ebbene nella sua spedizione aveva portato galli da combattimento. Ciò può essere vero o no, ma la verità è - dice Emilio Roig – che la passione per i galli si manifestò qua in tutte le epoche e circostanze da quando l’Avana non era che il porto di Carenas. Per ogni nuova città fondata, i colonizzatori avevano come primo obiettivo di costruire una chiesa o un edificio che ne facesse le veci e facilitasse le pratiche religiose. Al tempo stesso si costruiva il recinto per i galli. Senza andare tanto lontano, il proprio capitano generale Francisco Dionisio Vives ebbe il suo recinto per galli nel cortile del Castillo de la Fuerza e mise ad occuparsene un connotato assassino di cognome Padrón che fece uscire dal carcere e convertì in suo protetto in virtù della sua abilità nelmaneggio e la cura di galli di razza.
Nonostante la popolarità nelle radici creole, figure dell’Esercito di Liberazione, come finì la Guerra d’Indipendenza nel 1898, cominciarono a prospettare la proibizione di combattimenti fra galli e corride di tori e il generale Brooke, primo intervenzionista nordamericano, sospese le seconde, ma non osò prospettare la proibizione delle lotte fra galli per paura delle reazioni che sarebbero seguite alla sospensione di questi combattimenti. Il suo successore, il generale Wood, invece ascoltò le richieste che molti notabili gli fecero in questo senso e le sospese a partire dal 1° giugno del 1900 ordinando l’imposizione di una multa di 500 pesos ai contravventori della misura.
Già nella Repubblica, il tema dei combattimenti dei galli tornò con veemenza in primo piano. Si convertì in tema di polemiche giornalistiche e motivò manifestazioni pubbliche. Davanti alla grandezza del problema, la rivista avanera El Figaro, nella sua edizione del 16 dicembre del 1902, pubblicò un’inchiesta sulla faccenda. Nella sua risposta, il Generalissimo Máximo Gómez, opposto alla sua restaurazione, disse che “ci distanziamo dalla cultura moderna quando ci divertiamo con scene di sangue” e il generale José Miró Argenter espresse che permetterle ancora equivaleva a un ritorno al passato ed evocò il generale spagnolo José Gutiérrez de la Concha, giustiziere di tanti patrioti, quel funesto governante che si divertiva con i colpi di sperone dei “jabaos” (bianco biondastri, n.d.t.) e dei rossicci, mentre conficcava il suo sperone da soldataccio nelle stesse viscere del Paese.  Manuel Sanguily affermò da parte sua che ristabilire i combattimenti dei galli era come tornare alla Colonia contro la quale “si inalberò la nostra bandiera e si sacrificarono tre generazioni”. Figure dell’Autonomia, come Montoro y Gálvez, si manifestarono a loro volta contro e lo stesso fece don Nicolás Rivero, direttore dell’ultra conservatore Diario de la Marina. Il sentimento, secondo l’inchiesta di El Figaro, sembrava unanima, ma...
Tornano i galli
Il 21 gennaio del 1907, josé Miguel Gómez comparve davanti al giudice correzionale di Marianao. Gli venne imposta una multa di 50 pesos per la sua partecipazione, come spettatore, in un recinto per i galli. Furono multati anche i generali José de Jesús Monteagudo e Faustino “Pino” Guerra e il colonnello Carlos Mendieta, sorpresi nella stessa circostanza; tutti loro erano  liberali miguelisti. Il botto che questo provocò fu di tale grandezza che elementi liberali aggredirono fisicamente Manuel Maria Coronado, direttore de La Discusión, il giornale che fece conoscere il fatto.
La condanna serví affinché i confratelli di José Miguel prendessero il pretesto del ristabilimento dei combattimenti dei galli come questione politica. Organizzarono manifestazioni pubbliche e il 24 di febbraio sfilarono davanti al Palazzo del Governo, nella Plaza de Armas, al fine di sollecitare Charles Magoon – erano i tempi del secondo intervento militare nordamericano – la deroga dell’ordine militare che stabiliva la proibizione. José Miguel Gómez che aveva chiesto e appoggiato la sospensione di questi combattimenti, dopo la fine della Guerra d’indipendenza, si convertì nel suo più appassionato difensore, nei giorni della campagna per la presidenza della Repubblica a capo del Partito Liberale. Di lì che lo stemma di questa organizzazione politica era precisamente l’immagine del gallo e l’aratro.
Nelle elezioni del 1908, i liberali sconfissero i conservatori e si alzarono al potere. José Miguel, una volta alla presidenza, non fu lento nel compiere la sua promessa elettorale di ristabilire i combattimenti. Prese possesso il 28 gennaio del 1909 e già il 1° febbraio si conosceva, alla Camera dei Rappresentanti, il progetto di legge che derogava tutte le disposizioni contrarie ai combattimenti dei galli. Questo corpo legislativo approvò la proposta per 50 voti contro 12. Alcuni giorni dopo la legge era approvata anche dal Senato. Di poco valsero le opinioni contrarie di Salvador Cisneros, marchese di Santa Lucía e di manuel Sanguily. Non senza umore Cisneros espresse che la legge della lotteria, pur non essendo “passata” – ovvero discussa e approvata – era già inclusa nel bilancio della nazione e lo stesso succedeva con quella dei galli che senza essere stata approvata aveva propiziato la creazione di “gallodromi” dappertutto. Sanguily nel suo discorso fu demolitore: “Io dico che questo è un passo sbagliato, che questa è un’imprudenza del più puro e più elementare dei nostri doveri: il dovere di preparare, in vista della miglior moralità politica, la coscienza e il carattere del nostro popolo”.
Comunque fu tutto inutile. La legge fu approvata. Agli atti del Senato, corrispondenti al giorno della votazione, appare un solo voto contrario, quello di Manuel Sanguily.
A punta di sperone
Sempre con la Repubblica ci furono tentativi di ristabilire le corride col pretesto che potevano attrarre il turismo straniero e si giunse perfino a costituire un Comitato Pro Arte Taurina. Tentativi in questo senso si fecero anche dopo la vittoria della Rivoluzione.
Dopo quel divieto alla fine del XIX secolo, le corride sono finite per sempre. I galli, invece, tornarono con forza. Nel 1958 c’erano nell’Isola circa 500 recinti di galli che fra tutti, incassavano più soldi che tutti i cine e teatri del Paese. Nei giorni di combattimento non meno di cento persone si recava in ciscuno di essi. Alcuni erano famosi come il recinto Habana nella piazzetta di Agua Dulce e il recinto Nacional nell’Esquina de Tejas.
Tra il 1913 e 1925 vennero dalla Spagna galli jereziani allevati a Cadice e Jerez de la Frontera. Il jereziano è più forte del creolo, anche se non è altrettanto buono come combattente. Nella decade del ’50 si portarono cornish dall’Inghilterra e si mescolarono coi creoli. Queste covate divennero di moda. Come il jereziano, il cornish è più alto, di petto ampio e più resistente del creolo. Però molti nascono imbastarditi e vigliacchi. Nessuno è coraggioso come il creolo. Solo incrociando varie volte i galli stranieri con i creoli si ottiene un animale alto e forte che allo stesso tempo sia anche un buon combattente. Alcuni allevatori erano contrari a mescolare i loro galli. L’ex presidente Mendieta allevava solo creoli puri, per cui si considerava un allevatore “dei vecchi”. La vergogna che gli causava se uno dei suoi galli fuggisse, lo portva a disfarsi di tutta la covata.
Carlos Mendieta fu uno dei grandi allevatori cubani di galli, famoso per il gallo che porta il suo nome. Anche il generale Monteagudo e Diego Trinidad, fra altri di Las Villas, Camagüey e l’Avana. Nella decade del ’40 si diceva che nessuno superava i cubani nell’allevamento dei galli di razza o da combattimento. Prova ne è che nel 1946 e 1947 il Ministero dell’Agricoltura concesse permesso di esportazione per più di 2.000 galli che nella maggior parte terminarono a Portorico e anche in Messico, Venezuela e Colombia. Fu un primato conquistato – diceva uno specialista – a punta di sperone.
Bambini, animali e piante
Dopo la fine della sovranità spagnola, giungeva all’Avana la nordamericana Jeannette Ryder. Volle poner fine a mai che la sovrastavano e che erano impossibili da affrontare con sicurezza in modo individuale. Curò l’abbandono di bambini invalidi, diede pane e latte ai mendicanti e portava la colazione a donne detenute nelle stazioni di Polizia. Affrontó cocchieri che picchiavano i loro cavalli e soccorse cani e gatti abbandonati. La etichettarono come matta e dovette sopportare maltrattamenti verbali e fisici. Alcuni, in cambio le si avvicinarono per unirsi a lei. Furono loro che la appoggiarono per la fondazione di una cosiddetta Società Protettrice di Bambini, Animali e Piante, conosciuta anche come Bando de la Piedad. Così lo vedremo la settimana prossima.


Bando de Piedad (I)
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
8 de Noviembre del 2014 19:14:59 CDT

Imagine el lector la guerra que estarían dando los mosquitos que, a
mediados del siglo XVI, los habaneros ofrendaron 32 corridas de toros
a San Cristóbal de La Habana para que los sacara de la villa y, de
paso, se llevara con ellos moscas, bibijaguas y hormigas.
La primera corrida de toros que se celebró en Cuba tuvo lugar en
Santiago, en 1538, con motivo de la llegada de Hernando de Soto,
Gobernador de la Isla y Adelantado de la Florida, donde buscaría en
vano la fuente de la eterna juventud. No demoraría en pasar a La
Habana donde, por su repercusión, la crónica dejaría anotadas las ya
aludidas contra los mosquitos y la que saludó el ascenso al trono del
rey español Carlos III.
Con todo, no hubo propiamente una plaza de toros en esta ciudad hasta
1769, cuando se instaló la de Monte esquina a Arsenal, en un sitio
después llamado el Basurero. La segunda, en 1818, se emplazó en la
calle Águila, al fondo de la posada de un tal Cabrera, y en el Campo
de Marte (actual Parque de la Fraternidad) se situó la siguiente, en
1825. Muy concurrido fue el rodeo que, en 1842, se instaló en la plaza
principal de Regla para corridas y novilladas: los habaneros cruzaban
la bahía para no perderse el espectáculo. Hubo otra plaza, a partir de
1853, en la calle Belascoaín, frente a la edificación que ocupaba la
Casa de Beneficencia, espacio donde hoy se erige el hospital Hermanos
Ameijeiras. La última plaza se situó en la esquina de Carlos III e
Infanta, donde hoy se halla el restaurante Las Avenidas. Eso ocurrió
en 1886, y al año siguiente las gradas de este ruedo se desbordaban
para presenciar la actuación del célebre Luis Mazzantini quien, entre
toro y toro, vivía un tórrido romance con la actriz francesa Sarah
Bernhardt, aquella mujer que, al decir de Alejandro Dumas (hijo),
tenía rostro de ángel y cuerpo de escoba.

Llegaron con Colón

Las peleas de gallos vienen--se dice-- desde la antigua Grecia.
Temístocles, el general ateniense que venció a los persas en Salamina,
inflamaba los ánimos de sus soldados haciéndoles presenciar peleas de
gallos antes de los combates.
Bien pronto el gusto por ellas se extendió a otros países. Hay autores
que afirman que Colón disfrutó en Cuba de esos espectáculos, pues
trajo gallos de lidia en su expedición. Esto puede ser cierto o no,
pero la verdad es --dice Emilio Roig-- que la afición por los gallos se
manifestó aquí en todas las épocas y circunstancias desde que La
Habana no era más que el puerto de Carenas. Fundada cada nueva villa,
los colonizadores tenían como primer objetivo construir una iglesia o
una edificación que hiciera las veces de esta y facilitara la práctica
religiosa. Al mismo tiempo se construía la valla de gallos. Sin ir más
lejos, el propio capitán general Francisco Dionisio Vives tuvo su
gallería en el patio del Castillo de la Fuerza y puso al frente de
ella a un asesino alevoso de apellido Padrón, a quien sacó de la
cárcel y convirtió en su protegido en virtud de su habilidad en el
manejo y cuidado de los gallos finos.
Pese a su popularidad y criollismo, figuras del Ejército Libertador,
tan pronto finalizó la Guerra de Independencia en 1898, comenzaron a
gestionar la prohibición de las peleas de gallos y las corridas de
toros, y el general Brooke, primer interventor norteamericano,
suspendió las segundas, pero no se atrevió con los gallos por temor a
la reacción que provocaría la suspensión de estas peleas. Su sucesor,
el general Wood, sin embargo, atendió el pedido que muchos notables le
hicieran en ese sentido, y las suspendió a partir del 1ro. de junio de
1900 y ordenó la imposición de multas de 500 pesos a los
contraventores de la medida.
Ya en la República, el tema de las peleas de gallos volvió a primer
plano con virulencia. Se convirtió en tema de polémicas periodísticas
y motivó manifestaciones públicas. Ante la magnitud del problema, la
revista habanera El Fígaro, en su edición del 16 del diciembre de
1902, publicó una encuesta sobre el asunto. En su respuesta, el
Generalísimo Máximo Gómez, opuesto a su reinstauración, dijo que “nos
distanciamos de la moderna cultura cuando nos deleitamos con escenas
de sangre”, y el general José Miró Argenter expresó que permitirlas
otra vez equivaldría a una vuelta al pasado, y evocó al general
español José Gutiérrez de la Concha, verdugo de tantos patriotas,
aquel funesto gobernante que se deleitaba con los espolazos de los
“jabaos” y los pintos mientras clavaba su espolón de militarote feroz
en las mismas entrañas del país. Manuel Sanguily afirmó por su parte
que restablecer las peleas de gallos era como volver a la Colonia
contra la que “se enarboló nuestra bandera y se sacrificaron tres
generaciones”. Figuras de la Autonomía, como Montoro y Gálvez, se
manifestaron también en contra y lo mismo hizo don Nicolás Rivero,
director del ultraconservador Diario de la Marina. El sentir, según la
encuesta de El Fígaro, parecía ser unánime, pero...

Vuelven los gallos

El 21 de enero de 1907, José Miguel Gómez compareció ante el juez
correccional de Marianao. Se le impuso una multa de 50 pesos por su
participación como espectador en una valla de gallos. También fueron
multados los generales José de Jesús Monteagudo y Faustino “Pino”
Guerra y el coronel Carlos Mendieta, sorprendidos en el mismo acto;
todos ellos liberales miguelistas. El encono que esto provocó fue de
tal magnitud que elementos liberales agredieron físicamente a Manuel
María Coronado, director de La Discusión, el periódico que dio a
conocer el incidente.
La condena sirvió para que los correligionarios de José Miguel tomaran
el tópico del restablecimiento de las lidias de gallos como una
cuestión política. Organizaron manifestaciones públicas y el 24 de
febrero desfilaron ante el Palacio de Gobierno, en la Plaza de Armas,
a fin de solicitar a Charles Magoon --eran los tiempos de la segunda
intervención militar norteamericana-- la derogación de la orden militar
que las prohibía. José Miguel Gómez, que había pedido y apoyado la
suspensión de estas peleas tras el fin de la Guerra de Independencia,
se convirtió en su más apasionado defensor en los días de su campaña
para la presidencia de la República al frente del Partido Liberal. De
ahí que el emblema de esa organización política fuera precisamente la
imagen del gallo y el arado.
En las elecciones de 1908, los liberales derrotaron a los
conservadores y se alzaron con el poder. José Miguel, una vez en la
presidencia, no fue lento ni perezoso en el cumplimiento de su promesa
electoral de restablecer las lidias. Tomó posesión el 28 de enero de
1909 y ya el 1ro. de febrero se conocía en la Cámara de Representantes
el proyecto de ley que derogaba todas las disposiciones contrarias a
las peleas de gallos. Ese cuerpo colegislador aprobó la propuesta por
50 votos contra 12. Días más tarde la ley era también conocida por el
Senado. De poco valieron allí las opiniones adversas de Salvador
Cisneros, marqués de Santa Lucía, y de Manuel Sanguily. No sin humor,
Cisneros expresó que la ley de lotería, aún sin haber “pasado” --esto
es, discutida y aprobada--, estaba ya incluida en el presupuesto de la
nación, y lo mismo sucedía con la de los gallos, que sin haberse
aprobado había propiciado la creación de gallerías en todas partes.
Sanguily fue demoledor en su discurso: “Yo digo que este es un mal
paso, que esta es una imprudencia del más puro y del más elemental de
nuestros deberes: el deber de ir preparando en las vías de la mejor
moralidad política, la conciencia y el carácter de nuestro pueblo”.
Sin embargo, todo fue inútil. La ley fue aprobada. En las actas del
Senado correspondientes al día de la votación, solo aparece un voto en
contra, el de Manuel Sanguily.

A punta de espuela

Ya en la República hubo intentos de restablecer las corridas de toros
con el pretexto del turismo extranjero que podrían atraer, y hasta
llegó a constituirse un Comité Pro Arte Taurino. Esfuerzos en el mismo
sentido se hicieron tras el triunfo de la Revolución.
Después de aquella prohibición de finales del siglo XIX, las corridas
pasaron para siempre. Los gallos, en cambio, volvieron con fuerza. En
1958 había en la Isla unas 500 vallas de gallos que, en conjunto,
recaudaban más dinero que todos los cines y teatros del país. En días
de pelea no menos de cien personas acudían a cada una de ellas.
Algunas eran famosas, como la valla Habana, en la plazoleta de Agua
Dulce, y la valla Nacional, en la Esquina de Tejas.
Entre 1913 y 1925 vinieron de España gallos jerezanos criados en Cádiz
y en Jerez de la Frontera. El jerezano es más fuerte que el criollo,
aunque no tan buen peleador. En la década de 1950 se trajeron cornish
de Inglaterra y se ligaron con criollos. Esas crías se pusieron de
moda. Al igual que el jerezano, el cornish es más alto, ancho de pecho
y resistente que el criollo. Pero muchos salen capirros, cobardes.
Ninguno es de tan buena ley como el criollo. Solo cruzando varias
veces los gallos extranjeros con los criollos se consigue un animal
alto y fuerte, y que sea al mismo tiempo buen peleador. Algunos
criadores eran enemigos de mezclar sus gallos. El ex presidente
Mendieta solo criaba criollos puros, por lo que se le consideraba un
criador “de los viejos”. La vergüenza que le causaba que uno de sus
gallos huyera, lo llevaba a deshacerse de toda la cría.
Carlos Mendieta fue de los grandes criadores cubanos de gallos, famoso
por el gallo que lleva su nombre. También lo fueron el general
Monteagudo y Diego Trinidad, entre otros de Las Villas, Camagüey y La
Habana. Se decía en la década de 1940 que nadie en el mundo superaba a
los cubanos en lo referido a la cría de gallos finos o de pelea.
Prueba de ello es que entre 1946 y 1947 el Ministerio de Agricultura
concedió permisos de exportación para más de 2 000 gallos que, en su
mayoría, fueron a parar a Puerto Rico y también a México, Venezuela y
Colombia. Fue una primacía conquistada --decía un especialista-- a punta
de espuela.

Niños, animales y plantas
Tras el cese de la soberanía española, llegaba a La Habana la
norteamericana Jeannette Ryder. Quiso poner fin a males que la
superaban y que eran imposibles de enfrentar certeramente de manera
individual. Palió el desamparo de niños desvalidos, dio pan y leche a
los mendigos, y llevó desayuno a mujeres detenidas en estaciones de
Policía. Enfrentó a cocheros que apaleaban a sus caballos y socorrió a
gatos y perros abandonados. La tildaron de loca y debió soportar
maltratos verbales y físicos. Algunos, en cambio, se le acercaron para
acompañarla. Fueron ellos los que la apoyaron en la fundación de una
llamada Sociedad Protectora de Niños, Animales y Plantas, también
conocida como Bando de Piedad. Así lo veremos la semana próxima.




domenica 9 novembre 2014

Mortorio

MORTORIO: torrente in secca

sabato 8 novembre 2014

Mortaio

MORTAIO: cimitero

venerdì 7 novembre 2014

XXIV Fiera del Libro

Annunciata la 24ma edizione della Fiera del Libro dell'Avana con sede, come da tradizione, nel complesso architettonico-militare Morro-Cabaña. Questa edizione si terrà dal 12 al 22 febbraio 2015 ed avrà come Paese invitato d'onore l'India. Sarà anche dedicata in omaggio agli scrittori Olga Portuondo Zuñiga e Leonardo Acosta Sánchez. La mostra avrà un'appendice di due mesi per essere trasportata in tutto il resto del Paese.

Visitando la XXXII Fiera dell'Avana

In pieno svolgimento la XXXII edizione della FIHAV dedicata in particolare, oltre alle normali funzioni espositive, agli investimenti stranieri previsti dalla recente legge. La presenza estera è indubbiamente aumentata e la mostra è in pieno fermento. Anche il padiglione italiano, tradizionalmente situato al immobile 22, ha dovuto aggiungere un'appendice esterna per l'aumento degli espositori nostrani.

Moncherino

MONCHERINO: cioccolatino ripieno di ciliegia miniaturizzato anche: non desidero il cioccolatino

giovedì 6 novembre 2014

Molosso

MOLOSSO: adesso l'osso (Roma)

mercoledì 5 novembre 2014

Molleggiato

MOLLEGGIATO: Adriano Celentano

Visita del Vice Ministro allo Sviluppo Economico italiano a Cuba

In occasione della Fiera dell'Avana, il Dott. Carlo Calenda, Vice Ministro per lo Sviluppo Economico del Governo Italiano è venuto in visita nella capitale cubana, dove ieri sera l'Ambasciatore Carmine Robustelli ha offerto un cocktail di benvenuto presso la sua residenza. Oltre ad alcuni esponenti della comunità italiana residente, erano presenti i numerosi espositori presenti in Fiera ed alcuni invitati cubani che hanno qualche relazione col nostro Paese. Fra loro vi era l'attore Enrique Molina che sta per andare in Italia a presentare il film "Contigo pan y cebolla" del regista Juan Carlos Cremata, tratto da un'opera teatrale molto rappresentata a Cuba e in genere nell'area latinoamericana, incluso Miami dov'è stata proposta di recente sulle scene. Con Enrique abbiamo stabilito un prossimo incontro per parlare di lui e dei progetti in vista.


Enrique Molina, si intrattiene con gli invitati

martedì 4 novembre 2014

Modista

MODISTA: ma è lontano (Emilia)

lunedì 3 novembre 2014

Modico

MODICO: adesso lo dico (Roma)

Il genero cubano di Juárez, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventude rebelde del 2/11/14

Il poeta Pedro Santacilia ha avuto due patrie.Cuba, dov’è nato e alla cui indipendenza  consacrò buona parte delle sue energie e notti insonni e il Messico, quando questo Paese vide minaccita la sua sovranità per l’intervento napoleonico e l’impero di Massimiliano. Allora si mise dalla parte di Benito Juárez che aveva conosciuto nei suoi giorni di esiliato a New Orleans. Giungerà ad essere uno stretto collaboratore del politico messicano e finirà sposandosi con la sua primogenita. Juárez gli affidò la protezione di sua moglie nei giorni più difficili della guerra.

Deportato

Pedro Antonio Santacilia y Palacios, nacque a Santiago de Cuba il 24 giugno del 1826, un’epoca in cui si facevano sentire i primi intenti di liberazione sull’Isola. Si formavano società segrete e le logge massoniche crescevano. Non erano pochi gli spagnoli residenti nelle Antille che anelavano la sradicazione del regime che la Spagna imponeva alle sue colonie. La sua fu una famiglia agiata. Suo padre, tenente dei granatieri dell’esercito spagnolo, era figlio di un catalano e una cubana; la madre era nata nell’isola di Santo Domingo. Il bambino, scrive Salvador Bueno, si educa assieme a figure prominenti della città e si distingue a tal punto negli studi che non sono pochi quelli che gli prevedono un futuro brillante e gli garantiscono un posto nel campo delle Lettere.
Giunse così l’anno 1836. La sollevazione de La Granja costrinse la regina Maria Cristina a ristabilire la Costituzione liberale del 1812. L’Isola allora rimase divisa in due parti. Nella porzione occidentale era stabilito, nella capitale della colonia, il comando autoritario e dispotico di Miguel Tacón, che inalberava il vecchio ordine. Nella parte orientale, con sede a Santiago, il generale Manuel Lorenzo, governatore del territorio, riconosceva il nuovo status spagnolo.
Lo storico Eduardo Torres Cuevas dice:
“Il generale Maunuel Lorenzo era un leader progressista nella Penisola. Conoscendo l’istituzione della Costituzione del 1812 fece, con tutta solennità, la sua promulgazione in ogni distretto ai suoi ordini. Lorenzo si era già guadagnato le simpatie del gruppo dei santiagheri riformisti...per le libertà date alla stampa orientale. Le sue concezioni, differenti da quelle di Tacón, avevano già causato seri problemi fra i due. Il Capitano Generale destituì Lorenzo, ma questi montò l’artiglieria nei forti, armò le milizie orientali e ordinò lo stato di difesa del dipartimento. Tacón decretò il blocco del porto di Santiago da parte di due navi da guerra – la corvetta Cautivo (prigioniero, n.d.t.) e il brigantino Cubano – e ordinò l’avanzata delle truppe. Il18 dicembre (1836) la guarnigione si rifiutò di ubbidire agli ordini di Lorenzo. La milizia non mostrò interesse a sostenere il capo della piazza, per cui al generale non rimase alternativa che consegnare il comando al colonnello Fortún e partire, con i piú compromessi, verso la Giamaica.” Lorenzo era accompagnato dal tenente Santacilia, il suo attendente, seguito da tutta la famiglia che non tarda a trasferirsi in Spagna dove Pedro frequenta il liceo.
Nel 1845 i Santacilia tornano a Santiago. Poemi e articoli del giovane Pedro, già diciannovenne, richiamano l’attenzione nei circoli intellettuali della capitale della colonia. Nel 1846 , a Santiago, appare un libro che raccoglie diversi suoi saggi, Ensayos literarios.
I creoli cercavano nuovi orizzonti e le autorità spagnole seguivano paso, passo i loro movimenti. Viene scoperta la cospirazione della Miniera della Rosa Cubana. Falliscono altre cospirazioni nel resto del Paese. Viene giustiziato il patriota Joaquín de Agüero e la stessa sorte la corrono Isidoro Armenteros e i suoi compagni...crescono i sentimenti contro il regime coloniale. Le autorità spagnole sospettano di Pedro Santacilia e lo arrestano. Lo rimettono all’Avana e nel Castillo del Príncipe lo asdpetta la deportazione. Il 25 gennaio parte per la Spagna. Non tornerà mai più a Cuba.

Solo ed errante

Il proscritto si muove tra Siviglia, Malaga, Cordova e Granadafino a che riesce a fuggire a Gibilterra. Giunto a New York entre in contatto con gruppi di emigrati cubani. Scrive sui giornali che incoraggiano l’indipendenza e offre un ciclo di conferenze sulla storia di Cuba che non tarderà a raccogliere nei suoi libri. Nel 1856 appare L’arpa del proscritto, lunica raccolta di poesie che dette alla luce. Due anni più tardi appare a New York il volume che ha per titolo Il liuto dell’esiliato. Esemplari di questo libro circolano clandestinamente nell’Isola e accendono il sentimento patriottico. Riunisce poemi di José Maria Heredia, Leopoldo Turla, Miguel Teurbe Tolón, Pedro A. Castellón, José A. Quintero e Juan Clemente Zenea. Di Pedro Santacilia include il suo poema A España che nell’opinione della critica “risulta una delle poesie più forti incluse in questa collezione ammirevole”. Un’altra sua opera è Hatuey, poema di lungo respiro que ha sempre avuto in alta considerazione. Non giunse a noi. Il poeta perse il suo manoscritto nella sua fuga a Gibilterra e non ricostruì mai più il suo testo.
A New Orleans conosce il patriota cubano Domingo Goicuría, padrone di una grande fortuna che lo invita ad unirsi, in qualità di socio, alla sua impresa commerciale. È sempre in questa città dove fa amicizia con Benito Juárez. Quando Juárez torna in Messico, ha in Santacilia un amico fedele. Juárez ricorrerà a lui e a Goicuría in non pochi momenti. Armi e altri equipaggiamenti da guerra gli vengono inviati dai cubani quando Juárez, già Presidente del Messico, non riesce ad ottenerli in altro modo.
Goicuría raggiunse il grado di Maggior Generale nell’Esercito di Liberazione. Il presidente Céspedes gli affida una missione delicata davanti al Governo messicano e quendo si predisponeva a partire da Cuba per compierla, venne imprigionato dagli spagnoli e condannato a morte. Lo giustiziarono con la vile “garrota”. Prima disse: “ Muore un uomo, ma nasce un popolo”.
Santacilia va in Messico. Diviene segretario della Presidenza della Repubblica. Quando avviene l’invasione francese e l’instaurazione dell’impero di Massimiliano, il santiaghero prosegue al fianco del suo amico messicano. Assieme nella buona e nella cattiva sorte. Nel 1863, il poeta Santacilia contrae matrimonio con Manuela, figlia del Presidente.
Si intensifica la lotta contro l’occupazione francese e mentre Juárez, instancabile, si muove a Saltillo, Monterrey, Chihuahua e Paso del Norte, Santacilia si occupa di qualunque gestione al fine di conseguire aiuto per la campagna che cancellerà Massimiliano e il suo impero. Nel gennaio 1865, da Chihuahua, Juàres gli scrive a New York. Gli racconta della morte di suo figlio Pepe. “Mi scusi tutte le cancellazioni, scrive il Presidente, perché la mia testa è smarrita”.  Tutte le lettere al patriota cubano sono dirette al Mio caro figlio Santa”. Al fianco di Santacilia ci sono Margarita, moglie del Presidente e il resto della famiglia.

Diplomatico di Cuba in armi

Il 15 luglio del 1867, Juárez entra a Città del Messico e il regno spurio crolla. Si apre una nuova tappa per il Paese. Santacilia sarà una figura di spicco del movimento culturale e politico della nazione. Fa giornalismo ed è redattore del Heraldo, condivide con il messicano Guillermo Prieto la direzione del Diario Oficial ed è nella redazione de El Nuevo Mundo. Pubblica alcuni testi di fiction e fa conoscere il suo studio “Il movimento letterario in Messico” che è molto apprezzato. In sette occasioni è eletto deputato al Congresso della nazione.
Indubbiamente non si dimentica della sua terra natìa e accetta, felice, la nomina di “agente diplomatico” che, dopo il 10 di ottobre del 1868, gli fa la Repubblica di Cuba in Armi.
Vuole ottenere che Juàrez riconosca la belligeranza dei cubani. Il 3 di aprile del 1869, Juárez firma un decreto che permette alle navi con bandiera cubana di essere ricevute nei porti messicani. Allora Santacilia presenta al Congresso una proposta di legge che appoggia il decreto di Juárez. Così il Messico è il primo Paese che riconosce l’indipendenza di Cuba.
Benito Juárez muore nel 1872 e Pedro Santacilia rimane in Messico. Segue da lì la guerra per l’indipendenza della sua patria. Quando si firma il Pacto del Zajón (1878) che stabilisce la pace, senza indipendenza tra Cuba e la Spagna, sa che prima o poi la lotta comincerà di nuovo.
In effetti è così. Quando scoppia la rivoluzione del 24 febbraio del 1895, Santacilia mette tutta la sua influenza al servizio della causa cubana. Il 20 maggio del 1902 si instaura a Cuba la Repubblica. In Messico apre le sue porte il primo consolato di Cuba e Pedro santacilia è la prima persona che si reca in quell’ufficio per are costanza della sua condizione di cubano e il suo desiderio di essere mantenuto come cittadino del suo paese natale.
Il poeta
Meraviglia, in Pedro Santacilia, il rivolo della sua poesia patriottica. La critica distingue due maniere nel suo disimpegno poetico. Una combattiva, più esterna e un’altra più intima, più pura. La sua poesia è elegante, discreta, anche se può diventare enfatica in alcune odi. Il suo romanzo Amor y deber rivela, dice Lezama Lima, nella sua Antología de la poesia cubana, una conoscenza della tradizione spagnola non molto frequente ai suoi tempi.
Santacilia fu un nemico giurato del dispotismo spagnolo. E così si rivela tanto ne Lecciones sobre historia de Cuba che nel suo poema A España, senza dubbio nella sua poesia evidenzia una conoscenza profonda delle possibilità del romanzo.
Appunta Lezama Lima:
“Questa attitudine culmina, in modo eccezionale, in José Martí: combatte una Spagna coloniale, le manifestaziuoni esterne di politica viziata, ma allo stesso tempo si avvicina alle radici di una tradizione pulita e popolare. Questo avvicinamento studioso alla poesia, da a Santacilia una correzione, in certa misura visibile sopra tutto nelle sue poesie di arte minore, semplici, le più lontane dal treno enfatico dell’ode”.
Morì in Messico, il 2 marzo del 1910.


 El yerno cubano de Juárez
·         Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu

1 de Noviembre del 2014 19:22:02 CDT
Dos patrias tuvo el poeta Pedro Santacilia. Cuba, donde nació y a cuya independencia consagró buena parte de sus energías y desvelos, y México, cuando ese país vio amenazada su soberanía por la intervención napoleónica y el imperio de Maximiliano. Se puso entonces al lado de Benito Juárez, a quien había conocido en sus días de emigrado en Nueva Orleans. Llegaría a ser un estrecho colaborador del político mexicano y terminaría casándose con su hija primogénita. Juárez le confió la protección de su esposa en los días más difíciles de la guerra.

Deportado

Pedro Antonio Santacilia y Palacios nació en Santiago de Cuba, el 24 de junio de 1826, una época en que se hacían sentir en la Isla los primeros intentos libertarios. Se formaban sociedades secretas y crecían las logias masónicas. No eran pocos los españoles radicados en las Antillas que anhelaban la erradicación del régimen que imponía España a sus colonias. Fue la suya una familia acomodada. Su padre, teniente de granaderos del ejército español, era hijo de catalán y cubana; la madre había nacido en la isla de Santo Domingo. El niño, escribe Salvador Bueno, se educa junto a figuras prominentes de la ciudad y se distingue en los estudios al punto de que no son pocos los que le auguran un futuro brillante y le aseguran un sitio en el campo de las letras.
Llegó así el año de 1836. La sublevación de La Granja obligó a la reina María Cristina a restablecer la Constitución liberal de 1812. La Isla entonces quedó dividida en dos partes. En la porción occidental, asentado en la capital de la colonia, continuó en el mando el autoritario y despótico Miguel Tacón, que enarbolaba el viejo orden. En la parte oriental, con asiento en Santiago, el general Manuel Lorenzo, gobernador del territorio, reconocía el nuevo estatus español.
Dice el historiador Eduardo Torres Cuevas:
«Era el general Manuel Lorenzo un líder progresista en la Península. Al conocer la implantación de la Constitución de 1812 hizo, con toda solemnidad, su proclamación en todo el distrito a su mando. Lorenzo ya se había ganado las simpatías del grupo de santiagueros reformistas… por las libertades dadas a la prensa oriental. Sus concepciones, diferentes a las de Tacón, habían creado ya serios problemas entre ambos. El Capitán General destituyó a Lorenzo, pero este montó la artillería en los fuertes, armó a las milicias orientales y ordenó el estado de defensa del departamento. Tacón decretó el bloqueo del puerto de Santiago por dos navíos de guerra —la corbeta Cautivo y el bergantín Cubano— y ordenó el avance de las tropas. El 18 de diciembre (1836) la guarnición se negó a obedecer las órdenes de Lorenzo. La milicia no mostró interés en sostener al jefe de la plaza, por lo que al general no le quedó más remedio que entregar el mando al coronel Fortún y partir, con los más comprometidos, hacia Jamaica».
Acompañaba a Lorenzo el teniente Santacilia, su edecán, seguido por toda la familia que no demora en trasladarse a España, donde Pedro hace el bachillerato.
En 1845 regresan a Santiago los Santacilia. Poemas y artículos del joven Pedro, ya con 19 años de edad, llaman la atención en círculos intelectuales de la capital de la colonia. En 1846, en Santiago, aparece un libro colectivo que recoge varios trabajos suyos, Ensayos literarios.
Buscaban los criollos nuevos horizontes y las autoridades españolas seguían, paso a paso, sus movimientos. Queda al descubierto la conspiración de La Mina de la Rosa Cubana. Fracasan otras conspiraciones en el resto del país. Es ejecutado el patriota Joaquín de Agüero y la misma suerte corren Isidoro Armenteros y sus compañeros…
Crecen los sentimientos contra el régimen colonial. Las autoridades españolas sospechan de Pedro Santacilia y lo detienen. Lo remiten a La Habana y en el Castillo del Príncipe aguarda la deportación. El 25 de enero de 1852 sale para España. No volvería jamás a Cuba.

Solo y errante

Por Sevilla, Málaga, Córdoba y Granada se mueve el proscripto hasta que logra huir a Gibraltar. Ya en Nueva York entra en contacto con grupos de emigrados cubanos. Escribe en los periódicos que alientan la independencia y ofrece un ciclo de conferencias sobre la historia de Cuba que no demorará en recoger en sus libros. En 1856 aparece El arpa del proscripto, el único poemario que dio a la luz. Dos años más tarde aparece en Nueva York el volumen que lleva por título El laúd del desterrado. Ejemplares de ese libro circulan clandestinamente en la Isla y enardecen el sentimiento patriótico. Agrupa poemas de José María Heredia, Leopoldo Turla, Miguel Teurbe Tolón, Pedro A. Castellón, José A. Quintero y Juan Clemente Zenea. De Pedro Santacilia incluye su poema A España, que en opinión de la crítica «resulta una de las poesías más recias incluidas en esa colección admirable». Otra obra suya es Hatuey, poema de largo aliento que tuvo siempre en alta estima. No llegó a nosotros. El poeta perdió el manuscrito en su huida a Gibraltar y jamás reconstruyó su texto.
En Nueva Orleans conoce al patriota cubano Domingo Goicuría, dueño de una gruesa fortuna, que lo invita a que, en calidad de socio, se sume a su empresa comercial. Es también en esa ciudad donde hace amistad con Benito Juárez. Cuando Juárez regresa a México, tiene en Santacilia un amigo fiel. Juárez recurrirá a él y a Goicuría en no pocos momentos. Armas y otros pertrechos de guerra le envían los cubanos cuando Juárez, ya Presidente de México, no logra obtenerlos en otros sitios.
Goicuría alcanzó el grado de Mayor General en el Ejército Libertador. El presidente Céspedes le confía una delicada misión ante el Gobierno mexicano y cuando se disponía a salir de Cuba para cumplirla, es apresado por los españoles y condenado a muerte. Lo ejecutaron en garrote vil. Dijo antes: «Muere un hombre, pero nace un pueblo».
Viaja Santacilia a México. Es el secretario de la Presidencia de la República. Cuando ocurre la invasión francesa y la instauración del imperio de Maximiliano, el santiaguero prosigue al lado de su amigo mexicano. Juntos en las verdes y en las maduras. En 1863 el poeta Santacilia contrae matrimonio con Manuela, hija del Presidente.
Arrecia la lucha contra la ocupación francesa y mientras Juárez, incansable, se mueve por Saltillo, Monterrey, Chihuahua y Paso del Norte, Santacilia realiza toda clase de gestiones a fin de conseguir ayuda para la campaña que extinguirá a Maximiliano y su imperio. En enero de 1865, desde Chihuahua, Juárez le escribe a Nueva York. Le cuenta sobre la muerte de su hijo Pepe. «Dispense usted los borrones, escribe el Presidente, porque mi cabeza está perdida». Todas las cartas del prócer al cubano están dirigidas a «Mi querido hijo Santa». Al lado de Santacilia están Margarita, la esposa del Presidente, y el resto de la familia.

Diplomático de Cuba en armas

El 15 de julio de 1867, Juárez entra en la Ciudad de México y el reinado espurio se desmorona. Una nueva etapa se abre para el país. Santacilia será una figura destacada del movimiento cultural y político de la nación. Hace periodismo y es redactor de El Heraldo, comparte con el mexicano Guillermo Prieto la dirección del Diario Oficial y está en la Redacción de El Nuevo Mundo. Publica algunos textos de ficción y da a conocer su estudio El movimiento literario en México, que es muy apreciado. En siete ocasiones es electo diputado al Congreso de la nación.
No se olvida sin embargo de su tierra natal y acepta jubiloso el nombramiento de «agente diplomático» que, tras el 10 de octubre de 1868, le hace la República de Cuba en Armas. Quiere conseguir que Juárez reconozca la beligerancia de los cubanos. El 3 de abril de 1869 Juárez firma un decreto que permite que barcos con bandera cubana sean recibidos en puertos mexicanos. Santacilia presenta entonces al Congreso una propuesta de ley que apoya el decreto de Juárez. Así, México es el primer país que reconoce la independencia de Cuba.
Benito Juárez fallece en 1872 y Pedro Santacilia permanece en México. Sigue desde allá la guerra por la independencia de su patria. Cuando ocurre el Pacto del Zajón (1878), que establece la paz sin independencia entre Cuba y España, sabe que más temprano que tarde la lucha empezará de nuevo.
Así es, en efecto. Cuando estalla la revolución el 24 de febrero de 1895, Santacilia pone toda su influencia al servicio de la causa cubana. El 20 de mayo de 1902 se instaura la República de Cuba. Abre sus puertas el primer consulado de Cuba en México y Pedro Santacilia es la primera persona que acude a esa oficina para hacer constar su condición de cubano y su deseo de ser tenido como ciudadano de su país natal.

El poeta

Asombra en Pedro Santacilia el caudal de su poesía patriótica. La crítica distingue dos maneras en su quehacer poético. Una combativa, más externa, y otra íntima, más pura. Su poesía es elegante, discreta, aunque puede volverse enfática en algunas odas. Su romance Amor y deber revela, dice José Lezama Lima, en su Antología de la poesía cubana, un conocimiento de la tradición española no muy frecuente en su época.
Santacilia fue un enemigo caracterizado del despotismo español. Así se revela tanto en sus Lecciones sobre historia de Cuba que en su poema A España, sin embargo evidencia en su poesía un conocimiento profundo de las posibilidades del romance.
Apunta Lezama Lima:
«Esa actitud culmina, por modo excepcional, en José Martí: combate una España colonial, las manifestaciones externas de una política viciada, pero al mismo tiempo se acerca a las raíces de una tradición limpia y popular. Ese acercamiento estudioso a la poesía le da a Santacilia una corrección, cierta mesura observable sobre todo en sus poesías de arte menor, sencillas, las más alejadas del treno enfático de la oda».
Falleció en México, el 2 de marzo de 1910.






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Blanca Rosa Blanco, una delle più popolari attrici cubane, è...italiana

In questi giorni ho avuto l’occasione di incontrarmi con una “ospite” eccezionale per questa pagina. Un’attrice di grande talento e che gode di una giusta enorme popolarità presso il pubblico cubano di ogni età e ogni tendenza. Sarebbe lungo e tedioso elencare uno per uno tutti i suoi lavori televisivi, cinematografici e teatrali, ne citeró solo due fra i più noti: nel cinema ha protagonizzato la parte della madre del bambino “disperso” nel film di Ian Padrón che fu candidato all’Oscar: “Habana Station” e nel piccolo schermo è una eccezionale “maggiore Monica” nella serie poliziesca “Trás la huella” nella quale ha contribuito ad aumentare i favori di publico e critica. Attualmente, inoltre, è una delle figure principali della telenovela “La otra esquina”, in onda in questi mesi sul canale Cubavisión, accompagnata da una serie di attori di prima grandezza, uno dei cast più ricchi che mi ricordi, della televisione cubana.



Si tratta di Blanca Rosa Blanco, sempre diversa, camaleontica, nelle sue interpretazioni nelle quali a volte è difficile riconoscerla di primo acchito, è in grado di caratterizzare qualunque personaggio, dal drammatico al brillante. Semplice, modesta e disponibile, come generalmente sono gli attori e i personaggi popolari a Cuba. Alla bravura unisce anche un fascino particolare che non guasta.
Non è introversa, ma ha il giusto riserbo che deve avere una persona della sua posizione. Certamente si nota, dietro alla sua naturale cordialità, la presenza di una donna decisa e determinata nel perseguire i suoi obiettivi. La sua vita privata è totalmente indipendente da quella pubblica, non certo di stile hollywoodiano. Come del resto è comune nel mondo dello spettacolo cubano.
Nata e cresciuta all’Avana, si è diplomata ll’ISA (Istituto Superiore dell’Arte)  a tutti gli effetti facoltà universitaria, nella specialità di Arti Sceniche.
L’incontro avviene nella casa-museo di Compay Segundo, indimenticato e indimenticabile musicista cubano, reso ancor più famoso dal film “Buena Vista Social Club”, dove si familiarizza col resto del cast che comprende Lieter Ledesma, che oltre ad essere attore è conduttore del più popolare varietà televisivo in onda la prima serata della domenica. Per l’occasione hanno anche girato uno spot promozionale per lo spettacolo.

                     

Sulle sue, ancor giovani, spalle ci sono diversi anni di lavoro con uno dei gruppi storici del Teatro cubano: il gruppo “Irrumpe”, fondato e diretto per molti anni dal compianto Roberto Blanco (nessuna parentela, solo omonimia) che ha messo in scena una lunghissima serie di classici del palcoscenico. Durante e dopo questa sua appartenenza al gruppo, come si è detto una serie innumerevole di partecipazioni a fiction sia televisive che cinematografiche, senza mai aver abbandonato il teatro. Certamente l’arte scenica è la sua vita e la conferma viene immediata.

Le chiedo come e quando è nata questa sua passione per l’attuazione.
“Fin dalla più tenera età ho avuto il desiderio di imparare brani a memoria, poesie, prose e oltre a recitarli per me stessa, facendo “prove di scena”, mi piaceva esibirmi, mettermi alla prova, per coloro che mi circondavano, nella fattispecie la mia famiglia o di amici della medesima”.
Invece l’esordio vero e proprio sulle scene?
“Avevo 9 anni e ho preso parte a un lavoro studentesco, un lavoro prettamente dilettantistico, mentre quello nella professione è stato con una parte nella telenovela “Las honradas”, avevo 19 anni ed è stato il trampolino che mi ha permesso di cominciare a fare una esperienza vera e propria nel mondo dell’arte scenica come professione. Non è stato un lavoro di grande importanza artistica, certamente, ma mi è servito per cominciare a capire come muovermi sui set e davanti alle camere e le luci. Contemporaneamente lavoravo di giorno col teatro universitario, dal momento che frequentavo ancora l’ISA e nello stesso periodo ho girato il film “Kleims Tropicana” oltre che lavorare anche di sera, in teatro, col gruppo Irrumpe. Un inizio molto intenso ma dal quale ho potuto imparare molto”.
Il tuo ultimo lavoro, fra l’altro ancora in scena tre volte la settimana in TV, è la telenovela “La otra esquina”, nel futuro hai progetti in vista?
“Come vedi oggi sono qua per fare conoscenza con i miei prossimi compagni di lavoro. Si tratta di un’operetta, l’unica, scritta da Compay Segundo e che andrà in scena nei giorni 14, 16 e 18 novembre al Teatro Miramar, in occasione della ricorrenza del 107° anno della nascita. Il titolo del lavoro è “Se secó el arroyo” (Si è asciugato il ruscello) per la regia di Ulises Salazár. Questo è l’impegno più immediato, poi ho già la proposta di una telenovela prossima ad essere girata e ho in mente un progetto come autrice e regista oltre che come attrice, sia in televisione che per un film poliziesco”.
Quel’è il personaggio che ti è piaciuto di più interpretare?
“Forse, quello che non ho ancora fatto. Per esempio mi piacerebbe moltissimo interpretare Shakespeare”.
Quello che ti è piaciuto di meno?
“Per fortuna ho la possibilità di scegliere i lavori che devo interpretare e se qualche personaggio o qualunque altra situazione non mi piace...non lo accetto”.
Quello che assomiglia di più, se c’è, a Blanca Rosa Blanco?
“La realtà supera sempre la finzione diciamo che in ognuno, seppure molto diversi fra loro, c’è un pochino di me, in fondo sono io che li interpreto e cerco di mettere quel po’ di me stessa che sia utile alla parte”.
La conversazione con Blanca è molto piacevole, una persona che ti fa sentire a tuo agio e mi rivela di essere cittadina italiana. Rimango di stucco e lei mi spiega di essere sposata con un ex compagno di scuola, cubano di nascita, ma figlio di madre italiana e che ha ottenuto la cittadinanza per diritto materno. Lei, a sua volta, l’ha ottenuta per matrimonio. Uno dei suoi più grandi rimpianti è quello di non essere mai stata in Italia, ma si è data come termine l’anno prossimo per realizzare questo desiderio. Data la sua posizione, e il suo passaporto che l’ha agevolata negli spostamenti all’estero, ha potuto o anche dovuto viaggiare spesso per Festival e premi vari, ma sempre nell’area americana. Solo una volta è stata in Europa: a Parigi e la tentazione di fare un salto in Italia, a portata di mano, era molta. Il tempo a disposizione però era poco ed avendo una sorella in Spagna ha preferito passare a trovarla prima del rientro a Cuba.
La sua relazione con l’Italia non finisce qua. E’ stata interprete di un film di David Riondino, girato a Cuba: “Cuba Libre – velocipedi ai Tropici” del 1997, in seguito a questa sua apparizione è stata scelta la sua immagine per una campagna di propaganda sul risparmio energetico promossa da Sorgenia e pubblicata sul Corriere della Sera. Dettaglio abbastanza grave della vicenda è che non ha mai riscosso una ricompensa per questo. Lei non recrimina e e non reclama niente, ma il sottoscritto si chiede: chi avrà incamerato quello che le era dovuto?
Per consegnarmi una copia del Corriere della Sera del 7 novembre 2007, dove appare nell’annuncio assieme ad un altro grande della scena cubana, Patricio Wood, mi ha dato appuntamento alle prove dello di “Se secó el arroyo”, dove ho aprofittato per “rubare qualche immagine.


                                           


 




Fin qua questo incontro con Blanca Rosa Blanco alla quale auguro di realizzare il suo desiderio, davvero grande, di visitare il nostro, e anche suo, Paese, oltre a proseguire nella sua carriera per arricchirla ancora di più, di successi e popolarità.