Pubblicato su Juventude rebelde del 2/11/14
Il poeta Pedro Santacilia ha avuto due patrie.Cuba, dov’è nato e alla cui indipendenza consacrò buona parte delle sue energie e notti insonni e il Messico, quando questo Paese vide minaccita la sua sovranità per l’intervento napoleonico e l’impero di Massimiliano. Allora si mise dalla parte di Benito Juárez che aveva conosciuto nei suoi giorni di esiliato a New Orleans. Giungerà ad essere uno stretto collaboratore del politico messicano e finirà sposandosi con la sua primogenita. Juárez gli affidò la protezione di sua moglie nei giorni più difficili della guerra.
Il poeta Pedro Santacilia ha avuto due patrie.Cuba, dov’è nato e alla cui indipendenza consacrò buona parte delle sue energie e notti insonni e il Messico, quando questo Paese vide minaccita la sua sovranità per l’intervento napoleonico e l’impero di Massimiliano. Allora si mise dalla parte di Benito Juárez che aveva conosciuto nei suoi giorni di esiliato a New Orleans. Giungerà ad essere uno stretto collaboratore del politico messicano e finirà sposandosi con la sua primogenita. Juárez gli affidò la protezione di sua moglie nei giorni più difficili della guerra.
Deportato
Pedro Antonio Santacilia y Palacios, nacque a Santiago de Cuba il 24 giugno del 1826, un’epoca in cui si facevano sentire i primi intenti di liberazione sull’Isola. Si formavano società segrete e le logge massoniche crescevano. Non erano pochi gli spagnoli residenti nelle Antille che anelavano la sradicazione del regime che la Spagna imponeva alle sue colonie. La sua fu una famiglia agiata. Suo padre, tenente dei granatieri dell’esercito spagnolo, era figlio di un catalano e una cubana; la madre era nata nell’isola di Santo Domingo. Il bambino, scrive Salvador Bueno, si educa assieme a figure prominenti della città e si distingue a tal punto negli studi che non sono pochi quelli che gli prevedono un futuro brillante e gli garantiscono un posto nel campo delle Lettere.
Giunse così l’anno 1836. La sollevazione de La Granja costrinse la regina Maria Cristina a ristabilire la Costituzione liberale del 1812. L’Isola allora rimase divisa in due parti. Nella porzione occidentale era stabilito, nella capitale della colonia, il comando autoritario e dispotico di Miguel Tacón, che inalberava il vecchio ordine. Nella parte orientale, con sede a Santiago, il generale Manuel Lorenzo, governatore del territorio, riconosceva il nuovo status spagnolo.
Lo storico Eduardo Torres Cuevas dice:
“Il generale Maunuel Lorenzo era un leader progressista nella Penisola. Conoscendo l’istituzione della Costituzione del 1812 fece, con tutta solennità, la sua promulgazione in ogni distretto ai suoi ordini. Lorenzo si era già guadagnato le simpatie del gruppo dei santiagheri riformisti...per le libertà date alla stampa orientale. Le sue concezioni, differenti da quelle di Tacón, avevano già causato seri problemi fra i due. Il Capitano Generale destituì Lorenzo, ma questi montò l’artiglieria nei forti, armò le milizie orientali e ordinò lo stato di difesa del dipartimento. Tacón decretò il blocco del porto di Santiago da parte di due navi da guerra – la corvetta Cautivo (prigioniero, n.d.t.) e il brigantino Cubano – e ordinò l’avanzata delle truppe. Il18 dicembre (1836) la guarnigione si rifiutò di ubbidire agli ordini di Lorenzo. La milizia non mostrò interesse a sostenere il capo della piazza, per cui al generale non rimase alternativa che consegnare il comando al colonnello Fortún e partire, con i piú compromessi, verso la Giamaica.” Lorenzo era accompagnato dal tenente Santacilia, il suo attendente, seguito da tutta la famiglia che non tarda a trasferirsi in Spagna dove Pedro frequenta il liceo.
Nel 1845 i Santacilia tornano a Santiago. Poemi e articoli del giovane Pedro, già diciannovenne, richiamano l’attenzione nei circoli intellettuali della capitale della colonia. Nel 1846 , a Santiago, appare un libro che raccoglie diversi suoi saggi, Ensayos literarios.
I creoli cercavano nuovi orizzonti e le autorità spagnole seguivano paso, passo i loro movimenti. Viene scoperta la cospirazione della Miniera della Rosa Cubana. Falliscono altre cospirazioni nel resto del Paese. Viene giustiziato il patriota Joaquín de Agüero e la stessa sorte la corrono Isidoro Armenteros e i suoi compagni...crescono i sentimenti contro il regime coloniale. Le autorità spagnole sospettano di Pedro Santacilia e lo arrestano. Lo rimettono all’Avana e nel Castillo del Príncipe lo asdpetta la deportazione. Il 25 gennaio parte per la Spagna. Non tornerà mai più a Cuba.
Solo ed errante
Il proscritto si muove tra Siviglia, Malaga, Cordova e Granadafino a che riesce a fuggire a Gibilterra. Giunto a New York entre in contatto con gruppi di emigrati cubani. Scrive sui giornali che incoraggiano l’indipendenza e offre un ciclo di conferenze sulla storia di Cuba che non tarderà a raccogliere nei suoi libri. Nel 1856 appare L’arpa del proscritto, lunica raccolta di poesie che dette alla luce. Due anni più tardi appare a New York il volume che ha per titolo Il liuto dell’esiliato. Esemplari di questo libro circolano clandestinamente nell’Isola e accendono il sentimento patriottico. Riunisce poemi di José Maria Heredia, Leopoldo Turla, Miguel Teurbe Tolón, Pedro A. Castellón, José A. Quintero e Juan Clemente Zenea. Di Pedro Santacilia include il suo poema A España che nell’opinione della critica “risulta una delle poesie più forti incluse in questa collezione ammirevole”. Un’altra sua opera è Hatuey, poema di lungo respiro que ha sempre avuto in alta considerazione. Non giunse a noi. Il poeta perse il suo manoscritto nella sua fuga a Gibilterra e non ricostruì mai più il suo testo.
A New Orleans conosce il patriota cubano Domingo Goicuría, padrone di una grande fortuna che lo invita ad unirsi, in qualità di socio, alla sua impresa commerciale. È sempre in questa città dove fa amicizia con Benito Juárez. Quando Juárez torna in Messico, ha in Santacilia un amico fedele. Juárez ricorrerà a lui e a Goicuría in non pochi momenti. Armi e altri equipaggiamenti da guerra gli vengono inviati dai cubani quando Juárez, già Presidente del Messico, non riesce ad ottenerli in altro modo.
Goicuría raggiunse il grado di Maggior Generale nell’Esercito di Liberazione. Il presidente Céspedes gli affida una missione delicata davanti al Governo messicano e quendo si predisponeva a partire da Cuba per compierla, venne imprigionato dagli spagnoli e condannato a morte. Lo giustiziarono con la vile “garrota”. Prima disse: “ Muore un uomo, ma nasce un popolo”.
Santacilia va in Messico. Diviene segretario della Presidenza della Repubblica. Quando avviene l’invasione francese e l’instaurazione dell’impero di Massimiliano, il santiaghero prosegue al fianco del suo amico messicano. Assieme nella buona e nella cattiva sorte. Nel 1863, il poeta Santacilia contrae matrimonio con Manuela, figlia del Presidente.
Si intensifica la lotta contro l’occupazione francese e mentre Juárez, instancabile, si muove a Saltillo, Monterrey, Chihuahua e Paso del Norte, Santacilia si occupa di qualunque gestione al fine di conseguire aiuto per la campagna che cancellerà Massimiliano e il suo impero. Nel gennaio 1865, da Chihuahua, Juàres gli scrive a New York. Gli racconta della morte di suo figlio Pepe. “Mi scusi tutte le cancellazioni, scrive il Presidente, perché la mia testa è smarrita”. Tutte le lettere al patriota cubano sono dirette al Mio caro figlio Santa”. Al fianco di Santacilia ci sono Margarita, moglie del Presidente e il resto della famiglia.
Diplomatico di Cuba in armi
Il 15 luglio del 1867, Juárez entra a Città del Messico e il regno spurio crolla. Si apre una nuova tappa per il Paese. Santacilia sarà una figura di spicco del movimento culturale e politico della nazione. Fa giornalismo ed è redattore del Heraldo, condivide con il messicano Guillermo Prieto la direzione del Diario Oficial ed è nella redazione de El Nuevo Mundo. Pubblica alcuni testi di fiction e fa conoscere il suo studio “Il movimento letterario in Messico” che è molto apprezzato. In sette occasioni è eletto deputato al Congresso della nazione.
Indubbiamente non si dimentica della sua terra natìa e accetta, felice, la nomina di “agente diplomatico” che, dopo il 10 di ottobre del 1868, gli fa la Repubblica di Cuba in Armi.
Vuole ottenere che Juàrez riconosca la belligeranza dei cubani. Il 3 di aprile del 1869, Juárez firma un decreto che permette alle navi con bandiera cubana di essere ricevute nei porti messicani. Allora Santacilia presenta al Congresso una proposta di legge che appoggia il decreto di Juárez. Così il Messico è il primo Paese che riconosce l’indipendenza di Cuba.
Benito Juárez muore nel 1872 e Pedro Santacilia rimane in Messico. Segue da lì la guerra per l’indipendenza della sua patria. Quando si firma il Pacto del Zajón (1878) che stabilisce la pace, senza indipendenza tra Cuba e la Spagna, sa che prima o poi la lotta comincerà di nuovo.
In effetti è così. Quando scoppia la rivoluzione del 24 febbraio del 1895, Santacilia mette tutta la sua influenza al servizio della causa cubana. Il 20 maggio del 1902 si instaura a Cuba la Repubblica. In Messico apre le sue porte il primo consolato di Cuba e Pedro santacilia è la prima persona che si reca in quell’ufficio per are costanza della sua condizione di cubano e il suo desiderio di essere mantenuto come cittadino del suo paese natale.
Il poeta
Meraviglia, in Pedro Santacilia, il rivolo della sua poesia patriottica. La critica distingue due maniere nel suo disimpegno poetico. Una combattiva, più esterna e un’altra più intima, più pura. La sua poesia è elegante, discreta, anche se può diventare enfatica in alcune odi. Il suo romanzo Amor y deber rivela, dice Lezama Lima, nella sua Antología de la poesia cubana, una conoscenza della tradizione spagnola non molto frequente ai suoi tempi.
Santacilia fu un nemico giurato del dispotismo spagnolo. E così si rivela tanto ne Lecciones sobre historia de Cuba che nel suo poema A España, senza dubbio nella sua poesia evidenzia una conoscenza profonda delle possibilità del romanzo.
Appunta Lezama Lima:
“Questa attitudine culmina, in modo eccezionale, in José Martí: combatte una Spagna coloniale, le manifestaziuoni esterne di politica viziata, ma allo stesso tempo si avvicina alle radici di una tradizione pulita e popolare. Questo avvicinamento studioso alla poesia, da a Santacilia una correzione, in certa misura visibile sopra tutto nelle sue poesie di arte minore, semplici, le più lontane dal treno enfatico dell’ode”.
Morì in Messico, il 2 marzo del 1910.
· Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
1 de Noviembre del 2014 19:22:02 CDT
Dos patrias tuvo el poeta Pedro Santacilia. Cuba, donde nació y a cuya independencia consagró buena parte de sus energías y desvelos, y México, cuando ese país vio amenazada su soberanía por la intervención napoleónica y el imperio de Maximiliano. Se puso entonces al lado de Benito Juárez, a quien había conocido en sus días de emigrado en Nueva Orleans. Llegaría a ser un estrecho colaborador del político mexicano y terminaría casándose con su hija primogénita. Juárez le confió la protección de su esposa en los días más difíciles de la guerra.
Deportado
Pedro Antonio Santacilia y Palacios nació en Santiago de Cuba, el 24 de junio de 1826, una época en que se hacían sentir en la Isla los primeros intentos libertarios. Se formaban sociedades secretas y crecían las logias masónicas. No eran pocos los españoles radicados en las Antillas que anhelaban la erradicación del régimen que imponía España a sus colonias. Fue la suya una familia acomodada. Su padre, teniente de granaderos del ejército español, era hijo de catalán y cubana; la madre había nacido en la isla de Santo Domingo. El niño, escribe Salvador Bueno, se educa junto a figuras prominentes de la ciudad y se distingue en los estudios al punto de que no son pocos los que le auguran un futuro brillante y le aseguran un sitio en el campo de las letras.
Llegó así el año de 1836. La sublevación de La Granja obligó a la reina María Cristina a restablecer la Constitución liberal de 1812. La Isla entonces quedó dividida en dos partes. En la porción occidental, asentado en la capital de la colonia, continuó en el mando el autoritario y despótico Miguel Tacón, que enarbolaba el viejo orden. En la parte oriental, con asiento en Santiago, el general Manuel Lorenzo, gobernador del territorio, reconocía el nuevo estatus español.
Dice el historiador Eduardo Torres Cuevas:
«Era el general Manuel Lorenzo un líder progresista en la Península. Al conocer la implantación de la Constitución de 1812 hizo, con toda solemnidad, su proclamación en todo el distrito a su mando. Lorenzo ya se había ganado las simpatías del grupo de santiagueros reformistas… por las libertades dadas a la prensa oriental. Sus concepciones, diferentes a las de Tacón, habían creado ya serios problemas entre ambos. El Capitán General destituyó a Lorenzo, pero este montó la artillería en los fuertes, armó a las milicias orientales y ordenó el estado de defensa del departamento. Tacón decretó el bloqueo del puerto de Santiago por dos navíos de guerra —la corbeta Cautivo y el bergantín Cubano— y ordenó el avance de las tropas. El 18 de diciembre (1836) la guarnición se negó a obedecer las órdenes de Lorenzo. La milicia no mostró interés en sostener al jefe de la plaza, por lo que al general no le quedó más remedio que entregar el mando al coronel Fortún y partir, con los más comprometidos, hacia Jamaica».
Acompañaba a Lorenzo el teniente Santacilia, su edecán, seguido por toda la familia que no demora en trasladarse a España, donde Pedro hace el bachillerato.
En 1845 regresan a Santiago los Santacilia. Poemas y artículos del joven Pedro, ya con 19 años de edad, llaman la atención en círculos intelectuales de la capital de la colonia. En 1846, en Santiago, aparece un libro colectivo que recoge varios trabajos suyos, Ensayos literarios.
Buscaban los criollos nuevos horizontes y las autoridades españolas seguían, paso a paso, sus movimientos. Queda al descubierto la conspiración de La Mina de la Rosa Cubana. Fracasan otras conspiraciones en el resto del país. Es ejecutado el patriota Joaquín de Agüero y la misma suerte corren Isidoro Armenteros y sus compañeros…
Crecen los sentimientos contra el régimen colonial. Las autoridades españolas sospechan de Pedro Santacilia y lo detienen. Lo remiten a La Habana y en el Castillo del Príncipe aguarda la deportación. El 25 de enero de 1852 sale para España. No volvería jamás a Cuba.
Solo y errante
Por Sevilla, Málaga, Córdoba y Granada se mueve el proscripto hasta que logra huir a Gibraltar. Ya en Nueva York entra en contacto con grupos de emigrados cubanos. Escribe en los periódicos que alientan la independencia y ofrece un ciclo de conferencias sobre la historia de Cuba que no demorará en recoger en sus libros. En 1856 aparece El arpa del proscripto, el único poemario que dio a la luz. Dos años más tarde aparece en Nueva York el volumen que lleva por título El laúd del desterrado. Ejemplares de ese libro circulan clandestinamente en la Isla y enardecen el sentimiento patriótico. Agrupa poemas de José María Heredia, Leopoldo Turla, Miguel Teurbe Tolón, Pedro A. Castellón, José A. Quintero y Juan Clemente Zenea. De Pedro Santacilia incluye su poema A España, que en opinión de la crítica «resulta una de las poesías más recias incluidas en esa colección admirable». Otra obra suya es Hatuey, poema de largo aliento que tuvo siempre en alta estima. No llegó a nosotros. El poeta perdió el manuscrito en su huida a Gibraltar y jamás reconstruyó su texto.
En Nueva Orleans conoce al patriota cubano Domingo Goicuría, dueño de una gruesa fortuna, que lo invita a que, en calidad de socio, se sume a su empresa comercial. Es también en esa ciudad donde hace amistad con Benito Juárez. Cuando Juárez regresa a México, tiene en Santacilia un amigo fiel. Juárez recurrirá a él y a Goicuría en no pocos momentos. Armas y otros pertrechos de guerra le envían los cubanos cuando Juárez, ya Presidente de México, no logra obtenerlos en otros sitios.
Goicuría alcanzó el grado de Mayor General en el Ejército Libertador. El presidente Céspedes le confía una delicada misión ante el Gobierno mexicano y cuando se disponía a salir de Cuba para cumplirla, es apresado por los españoles y condenado a muerte. Lo ejecutaron en garrote vil. Dijo antes: «Muere un hombre, pero nace un pueblo».
Viaja Santacilia a México. Es el secretario de la Presidencia de la República. Cuando ocurre la invasión francesa y la instauración del imperio de Maximiliano, el santiaguero prosigue al lado de su amigo mexicano. Juntos en las verdes y en las maduras. En 1863 el poeta Santacilia contrae matrimonio con Manuela, hija del Presidente.
Arrecia la lucha contra la ocupación francesa y mientras Juárez, incansable, se mueve por Saltillo, Monterrey, Chihuahua y Paso del Norte, Santacilia realiza toda clase de gestiones a fin de conseguir ayuda para la campaña que extinguirá a Maximiliano y su imperio. En enero de 1865, desde Chihuahua, Juárez le escribe a Nueva York. Le cuenta sobre la muerte de su hijo Pepe. «Dispense usted los borrones, escribe el Presidente, porque mi cabeza está perdida». Todas las cartas del prócer al cubano están dirigidas a «Mi querido hijo Santa». Al lado de Santacilia están Margarita, la esposa del Presidente, y el resto de la familia.
Diplomático de Cuba en armas
El 15 de julio de 1867, Juárez entra en la Ciudad de México y el reinado espurio se desmorona. Una nueva etapa se abre para el país. Santacilia será una figura destacada del movimiento cultural y político de la nación. Hace periodismo y es redactor de El Heraldo, comparte con el mexicano Guillermo Prieto la dirección del Diario Oficial y está en la Redacción de El Nuevo Mundo. Publica algunos textos de ficción y da a conocer su estudio El movimiento literario en México, que es muy apreciado. En siete ocasiones es electo diputado al Congreso de la nación.
No se olvida sin embargo de su tierra natal y acepta jubiloso el nombramiento de «agente diplomático» que, tras el 10 de octubre de 1868, le hace la República de Cuba en Armas. Quiere conseguir que Juárez reconozca la beligerancia de los cubanos. El 3 de abril de 1869 Juárez firma un decreto que permite que barcos con bandera cubana sean recibidos en puertos mexicanos. Santacilia presenta entonces al Congreso una propuesta de ley que apoya el decreto de Juárez. Así, México es el primer país que reconoce la independencia de Cuba.
Benito Juárez fallece en 1872 y Pedro Santacilia permanece en México. Sigue desde allá la guerra por la independencia de su patria. Cuando ocurre el Pacto del Zajón (1878), que establece la paz sin independencia entre Cuba y España, sabe que más temprano que tarde la lucha empezará de nuevo.
Así es, en efecto. Cuando estalla la revolución el 24 de febrero de 1895, Santacilia pone toda su influencia al servicio de la causa cubana. El 20 de mayo de 1902 se instaura la República de Cuba. Abre sus puertas el primer consulado de Cuba en México y Pedro Santacilia es la primera persona que acude a esa oficina para hacer constar su condición de cubano y su deseo de ser tenido como ciudadano de su país natal.
El poeta
Asombra en Pedro Santacilia el caudal de su poesía patriótica. La crítica distingue dos maneras en su quehacer poético. Una combativa, más externa, y otra íntima, más pura. Su poesía es elegante, discreta, aunque puede volverse enfática en algunas odas. Su romance Amor y deber revela, dice José Lezama Lima, en su Antología de la poesía cubana, un conocimiento de la tradición española no muy frecuente en su época.
Santacilia fue un enemigo caracterizado del despotismo español. Así se revela tanto en sus Lecciones sobre historia de Cuba que en su poema A España, sin embargo evidencia en su poesía un conocimiento profundo de las posibilidades del romance.
Apunta Lezama Lima:
«Esa actitud culmina, por modo excepcional, en José Martí: combate una España colonial, las manifestaciones externas de una política viciada, pero al mismo tiempo se acerca a las raíces de una tradición limpia y popular. Ese acercamiento estudioso a la poesía le da a Santacilia una corrección, cierta mesura observable sobre todo en sus poesías de arte menor, sencillas, las más alejadas del treno enfático de la oda».
Falleció en México, el 2 de marzo de 1910.
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