Translate

Il tempo all'Avana

+28
°
C
H: +28°
L: +23°
L'Avana
Lunedì, 24 Maggio
Vedi le previsioni a 7 giorni
Mar Mer Gio Ven Sab Dom
+28° +29° +29° +28° +29° +29°
+24° +24° +24° +24° +24° +24°

lunedì 13 gennaio 2014

55 anni fa di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud rebelde del 12/1/14

Credo che tutti quelli che, a Cuba, abbiano gli anni sufficienti, ricordino come seppero della fuga di Batista. Lo scriba, allora di 10 anni compiuti, ha ancora vivo questo dettaglio, come conserva nella memoria altri avvenimenti di quei giorni iniziali della Rivoluzione: l’appello di Fidel per lo sciopero generale; i tentativi del generale Cantillo per garantire il batistato senza Batista; l’effimera e inutile gestione al comando dell’esercito del colonnello Ramón Barquin; la fuga dei prigionieri dal Castillo del Principe; le milizie del Movimento 26 di Luglio che pattugliavano le strade; la cattura di sbirri e spioni; l’ingresso del Comandante Camilo Cienfuegos nella città militare di Columbia; l’arrivo del Che a la Cabaña; l’avanzata, da Oriente della Carovana della Libertà e la presenza del Comandante in Capo all’Avana...
È incredibile come, a volte, si memorizzano fatti insignificanti, completamente prescindibili e si associano ad avvenimenti rilevanti. Questo giorno del 1° gennaio, mio padre uscì presto da casa per comprare la carne per il pranzo e tornò con la notizia del crollo della dittatura. Non tardammo a sederci davanti al televisore. La CMQ (Canale 6) parlava dei fatti trascendentali, che stavano succedendo in quei momenti e dei quali, prometteva informazioni più avanti mentre come sottofondo musicale a quei commenti si faceva ascoltare la versione strumentale di un danzón reso popolare da Barbarito Diéz:  Se fué (Se ne andò). “Se ne andò per non tornare, se ne andò senza dire addio...”.
Per certo quando, quasi alle 10 del mattino, la CMQ affrontò i fatti trascendentali annunciati, si riferiva ancora a Batista come “L’Onorevole Signor Presidente della Repubblica” e parlava della sua fuga vergognosa e precipitata, come se si trattasse di un viaggio di piacere all’estero. Prima, in Tele-Mundo (Canale 2), Carlos Lechuga metteva da parte il protocollo e chiamava ladro e assassino Batista e poco dopo, il notiziario del Canale 12, diretto da Lisandro Otero, cominciava ad offrire un eccezionale servizio informativo.
In una fila interminabile sfilarono davanti alle telecamere madri che cercavano i loro figli scomparsi, ragazze che mostravano le fotografie dei loro fidanzati o fratelli assassinati, uomini distrutti dalle torture e dalla reclusione che riferivano storie raccapriccianti accusando pubblicamente i loro carnefici.
L’ultima notte del 1958, alle 12, molti cubani gettarono in strada il tradizionale secchio d’acqua per far si che l’anno portasse via con sé il brutto. L’anno aveva portato via Batista e con sé tutta la sua confraternita, tutto un regime sociale. Per la prima volta nella storia, la frase “Anno nuovo, vita nuova” era una realtà per i cubani.
L’arrivo di Fidel alla capitale il giorno 8, fu un’apoteosi. I corrispondenti stranieri, accreditati all’Avana, non uscivano dallo stupore. Nonostante ci fosse fra loro gente sperimentata, con lunghi percorsi, nessuno ricordava di aver visto qualcosa di simile nella sua vita professionale. Il cronista della Columbia Broadcasting System lo riconosceva esplicitamente con ciò che presenziò all’arrivo dei generali Eisenhower e Mc Arthur alla fine della Seconda Guerra Mondiale, molto inferiori in pubblico e calore umano. Jules Dubois a cui toccò “coprire” la caduta di juan Dominhgo Perón in Argentina; Gustavo Rojas Pinillas in Colombia e Marcos Pérez Jiménez in Venezuela; era stupefatto: “È lo spettacolo più straordinario che abbia visto nei miei 30 anni da giornalista”, asseriva e un altro giornalista nordamericano diceva che ciò che stava vedendo era superiore al ricevimento del Generale De Gaulle, a Parigi, dopo la liberazione.

Operazione verità

In questi giorni di anniversario, lo scriba, ha guardato alcune pubblicazioni di 55 anni or sono cercando i fatti che hanno segnato il polso dell’epoca.
Aveva fatto impressione allora, nell’opinione pubblica, il funerale di 19 spedizionari del Granma, caduti in combattimento o assassinati dopo la loro cattura, dopo lo sbarco. Gli si è reso tributo postumo nel Salone dei Passi Perduti del Capitolio prima di inumarli nella fossa che il Governo Rivoluzionario acquisì nella necropoli di Colón. Sono arrivati da Niquero in piccoli feretri bianchi, coperti dall’insegna nazionale; quattro di loro non identificati e, all’Avana, li aspettavano Fidel, Raul, Camilo e il Che. Ognuno di essi, promosso alla memoria, si meritò gli onori da comandante morto in campagna, così la Rivoluzione li affratellò, anche nel grado, con le principali figure dell’Esercito Ribelle.
I processi dei tribunali rivoluzionari contro sbirri e criminali di guerra della dittatura batistiana provocarono, all’estero, nonostante la loro giustezza ed esemplarità, una campagna di discredito contro la Rivoluzione Cubana. Cominciarono le manovre e pressioni degli Stati Uniti verso Cuba e il congresso nordamericano da una parte e l’Organizzazione degli Stati Americani dall’altra, pretesero di arrogarsi il diritto di supervedere gli affari interni della nazione, inquieti davanti al cammino inusitato che presero gli avvenimenti e preoccupati, dicevano; “per l’esercizio della democrazia nei Caraibi”.
La risposta di Fidel non si fece attendere. Convocò giornalisti internazionali perché venissero a Cuba a presenziare i giudizi in corso. Fu l’Operazione Verità. Come risposta all’invito del Capo Ribelle, circa 300 giornalisti del continente vennero nella capitale cubana e si ospitarono, per la maggior parte, nell’hotel Habana Riviera. A ognuno dei visitatori venne consegnata una cartella con foto di omicidi e torture commessi dai sicari della dittatura da poco abbattuta.
Le sessioni dell’Operazione Verità si tennero principalmente nel Copa Room del Riviera, i giorni 21 e 22 di gennaio del 1959. Fidel tenne una conferenza stampa nell’hotel Habana Hilton (oggi Habana Libre) e rispose alle domande dei visitatori che poterono, inoltre, assistere ai processi contro i criminali di guerra e conversare con la popolazione nelle strade.
Il giorno 21 il popolo si concentrò di fronte al palazzo presidenziale. Fu un avvenimento senza precedenti, affermò la stampa. La rivista Bohemia puntualizzava: “Oltre un milione di cubani ha ratificato tutto l’appoggio della patria al Governo della Rivoluzione”.

Plebiscito colossale

Il grido “Al palazzo!” riempì la città, inondò la provincia e si estese per i luoghi più lontani dell’Isola. Non ci fu organizzazione né propaganda. Fu tutto spontaneo, senza commissioni, senza leaders, senza itinerario prestabilito. Ciascuno rispose all’appuntamento come volle o come poté. Ci fu gente, e non è un’esagerazione, che arrivò a piedi da Pínar del Río e da Matanzas perché non c’erano veicoli disponibili. A partire dal mezzogiorno la capitale sembrava un deserto, con i negozi chiusi e le strade vuote. In molti quartieri si spargeva la sensazione quieta di una città morta. In cambio, per le rotte che conducono al Palazzo, si muoveva l’enorme carovana popolare. In mezzo alla moltitudine, venditori ambulanti si ingegnavano per vendere le loro merci, sopratutto foto di Fidel, berretti, spille e distintivi del 26 di Luglio e baschi come quelli che usavano il Che e Raul.
La tribuna presidenziale si installò di fronte alla terrazza nord del Palazzo, a un livello più basso. I giornalisti stranieri occuparono le tribune laterali. Molti non poterono farlo perché il popolo traboccò su di esse, avvolgendo i reporter che si videro imprigionati da quell’onda di calore umano.
Prese la parola il rappresentante della Centrale dei Lavoratori di Cuba (allora Confederazione). Anche il rappresentante della Federazione Studentesca Universitaria e altri di diverse organizzazioni politiche; i rappresentanti dei giornalisti. Quando si annunciò che avrebbe parlato Fidel, la moltitudine, in un moto ondoso, ruppe la barriera che formavano i miliziani giungendo fino al bordo della tribuna. Il Capo della rivoluzione cominciò il suo discorso, ma poco dopo scuoteva gli intervenuti l’arrivo di nuovi contingenti, nelle vicinanze del castello de la Punta, a diversi isolati di distanza. La pressione, come un’ondata di espansione, si infranse contro la tribuna. Più in la, l’armatura che sosteneva la piattaforma delle telecamere oscillò come sferzata da un colpo di vento. Ci furono donne e uomini svenuti. Le ambulanze facevano suonare le loro sirene in uno sforzo per aprirsi il passaggio. Caddero al suolo le barriere di legno e il cordone di miliziani venne diluito in un mare di gente.
Fidel interruppe il filo del suo pensiero. Si rese conto che ogni minuto in più che rimaneva sulla tribuna poteva costare delle vite. Allora sintetizzò le sue idee. Affermò che a Cuba si rispettavano i diritti umani e che il cubano non era un popolo barbaro, ma il più nobile e sensibile di tutti. Se qua si commettesse un’ingiustizia, tutto il popolo sarebbe contro di questa ingiustizia. Se intellettuali, operai e contadini sono stati d’accordo col castigo dei colpevoli della dittatura è perché il castigo era giusto e meritato. Fece una pausa e scambiò alcune frasi col Comandante Camilo Cienfuegos. Volle convertire quella massa di oltre un milione di persone in un immensa giuria. Disse che voleva fare una consultazione e la moltitudine fece un silenzio assoluto, carico di phatos.
“Quelli che siano d’accordo con la giustizia che si sta applicando; quelli che sono d’accordo che questi sbirri siano fucilati, alzino la mano...”
Scriveva Enrique de la Osa nella sua sezione En Cuba della rivista Bohemia: “Prima che terminasse la frase si alzava già, all’unisono, la risposta affermativa. Erano centinaia di migliaia di mani, non solo nel campo visivo della terrazza nord, ma sul Malecón e Prado, nel parco Zayas, nel Parco Centrale, di fronte al Capitolio. Per tutta l’Isola, davanti agli schermi della televisione o vicino alle radio, altri cinque milioni di cubani, simbolicamente, dissero di si”.
Fu un plebiscito colossale che rese inutili le parole.
Fidel proseguì: “Da quando sono sceso dalla Sierra ho sentito molte volte una frase. Migliaia di persone mi hanno avvicinato per dirmi: ‘Grazie Fidel, grazie Fidel’. Oggi, dopo questa straordinaria dimostrazione, oggi dopo la soddisfazione che proviamo tutti noi nel vedere questo appoggio del popolo, oggi nel sentirci tanto orgogliosi di essere cubani e appartenere a questo popolo che è uno dei popoli più degni del mondo, oggi sono io che a nome del Governo Rivoluzionario e di tutti i compatrioti dell’Esercito Ribelle, voglio dire al mio popolo: Molte grazie, molte grazie...”
(continua) 


Cincuenta y cinco años atrás

Ciro Bianchi Ross • 
digital@juventudrebelde.cu
11 de Enero del 2014 18:38:12 CDT

Creo que todos los que tienen en Cuba edad suficiente para ello
recuerdan cómo supieron de la fuga de Batista. El escribidor, con diez
años cumplidos entonces, tiene vivo ese detalle, al igual que guarda
memoria de otros acontecimientos de aquellos días iniciales de la
Revolución: el llamado de Fidel a la huelga general; la componenda del
general Cantillo para garantizar el batistato sin Batista; la efímera
e inútil gestión, al frente del Ejército, del coronel Ramón Barquín;
la fuga de los presos del castillo del Príncipe; las milicias del
Movimiento 26 de Julio que patrullaban las calles; la captura de
esbirros y soplones; la entrada del Comandante Camilo Cienfuegos en la
Ciudad Militar de Columbia; la llegada del Che a la Cabaña; el avance
desde Oriente de la Caravana de la Libertad y la presencia del
Comandante en Jefe en La Habana…
Es increíble cómo a veces se memorizan hechos insignificantes,
totalmente prescindibles, que se asocian a acontecimientos de relieve.
Ese día 1ro. de enero mi padre salió temprano de la casa para buscar
la carne del almuerzo y regresó con la noticia del desplome de la
dictadura. No demoramos en sentarnos frente al televisor. La CMQ
(Canal 6) hablaba sobre los sucesos trascendentales que ocurrían en
esos momentos y de los que prometía información para más adelante,
mientras que como fondo musical de aquella nota dejaba escuchar la
versión instrumental de un danzón popularizado por Barbarito Diez: Se
fue. «Se fue para no volver; se fue sin decir adiós…».
Por cierto, cuando casi a las diez de la mañana, la CMQ abordó los
sucesos trascendentales anunciados, se refería todavía a Batista como
al «Honorable Señor Presidente de la República» y hablaba de su fuga
vergonzosa y precipitada como si se tratara de un viaje de vacaciones
al exterior. Antes, en Tele-Mundo (Canal 2) Carlos Lechuga ponía a un
lado el cauteloso protocolo y llamaba ladrón y asesino a Batista, y
poco después el noticiero del Canal 12, dirigido por Lisandro Otero,
empezaba a ofrecer un excepcional servicio informativo.
En una hilera interminable desfilaron ante las cámaras de la
televisión madres que clamaban por sus hijos desaparecidos, muchachas
que portaban los retratos de sus hermanos o novios asesinados, hombres
destruidos por la tortura y el encierro que referían una historia
espeluznante y acusaban públicamente a sus verdugos.
La noche vieja de 1958, a las 12, muchos cubanos tiraron a la calle el
tradicional cubo de agua para que el año que se iba arrastrara consigo
lo malo. El año se había llevado a Batista y, junto con él y su
camarilla, a todo un régimen social. Por primera vez en la historia,
la frase «Año nuevo. Vida nueva» era una realidad para los cubanos.
La llegada de Fidel a la capital, el ocho, fue apoteósica. Los
corresponsales extranjeros acreditados en La Habana no salían de su
asombro. Pese a que había entre ellos gente muy avezada, que había
caminado mucho, ninguno recordaba haber visto nada similar en el
ejercicio de su vida profesional. El reportero de la Columbia
Broadcasting System lo reconocía explícitamente y eso que él presenció
la bienvenida a los generales Eisenhower y McArthur al final de la II
Guerra Mundial, muy inferior en público y en calor humano. Jules
Dubois, a quien le tocó «cubrir» los derrocamientos de Juan Domingo
Perón, en la Argentina; Gustavo Rojas Pinillas, en Colombia; y Marcos
Pérez Jiménez, en Venezuela; estaba estupefacto. «Es el espectáculo
más extraordinario que he visto en mis 30 años de periodista»,
aseguraba, y otro periodista norteamericano decía que lo que estaba
viendo era muy superior al recibimiento del general De Gaulle en París
tras la liberación.

Operación verdad

En estos días de aniversario, el escribidor revisó algunas

publicaciones de hace 55 años en busca del acontecer que marcó el
pulso de la época.
Impactó entonces a la opinión pública el entierro de los restos de 19
expedicionarios del Granma, caídos en combate o asesinados tras su
captura después del desembarco. Se les rindió postrer tributo en el
Salón de los Pasos Perdidos del Capitolio antes de que se les inhumara
en la fosa que el Gobierno Revolucionario adquirió expresamente para
eso en la zona suroeste de la necrópolis de Colón. Llegaron desde
Niquero en pequeños féretros blancos cubiertos por la enseña nacional;
cuatro de ellos sin identificar, y en La Habana los esperaban Fidel y
Raúl, Camilo y el Che. Cada uno de ellos, ascendido de manera póstuma,
mereció honores de comandante muerto en campaña, con lo que la
Revolución los hermanó, también en grado, con las figuras principales
del Ejército Rebelde.
Los procesos de los tribunales revolucionarios contra esbirros y
criminales de guerra de la dictadura batistiana provocaron en el
exterior, pese a su justeza y ejemplaridad, una campaña de descrédito
contra la Revolución Cubana. Comenzaron las maniobras y presiones de
Estados Unidos sobre Cuba, y el Congreso norteamericano, por un lado,
y la Organización de Estados Americanos por otro, pretendieron
arrogarse el derecho de supervisar los asuntos internos de la nación,
inquietos ante el sesgo inusitado que tomaron los acontecimientos y
preocupados, decían, «por el ejercicio de la democracia en el Caribe».
La respuesta de Fidel no se hizo esperar. Convocó a periodistas
internacionales para que viajaran a Cuba y presenciaran los procesos
judiciales. Fue la Operación Verdad. En respuesta a la invitación del
Jefe Rebelde unos 300 periodistas del continente vinieron a la capital
cubana y se hospedaron en su mayoría en el hotel Habana Riviera. A
cada uno de los visitantes se le entregó una carpeta con fotos de
asesinatos y torturas cometidos por sicarios de la dictadura recién
derrocada.
Las sesiones de la Operación Verdad transcurrieron principalmente en
el Copa Room del Riviera, los días 21 y 22 de enero de 1959. Fidel
ofreció una conferencia de prensa en el hotel Habana Hilton (hoy
Habana Libre) y respondió a las preguntas de los visitantes, que
pudieron además asistir a los juicios contra los criminales de guerra
y conversar con la población en la calle.
El día 21 el pueblo se concentró frente al Palacio Presidencial. Fue
un acto sin precedentes, aseguró la prensa. Precisaba la revista
Bohemia: «Más de un millón de cubanos ratificaron todo el apoyo de la
patria al Gobierno de la Revolución».

Plebiscito colosal

El grito de «¡A Palacio!» llenó la ciudad, inundó la provincia y se

extendió por los parajes más distantes de la Isla. No hubo
organización ni propaganda. Todo fue espontáneo, sin comisiones, sin
líderes, sin itinerario. Cada cual respondió a la cita como quiso o
como pudo. Hubo gente, y no es una exageración, que llegó a pie desde
Pinar del Río y desde Matanzas porque no había vehículos disponibles.
A partir del mediodía la capital semejaba un desierto con los
comercios cerrados y las calles vacías. En muchos barrios se expandía
una quieta sensación de ciudad muerta. Por las rutas que conducen a
Palacio, en cambio, se movía la enorme caravana popular. En medio de
la multitud, vendedores ambulantes se las arreglaban para ofertar su
mercancía, sobre todo retratos de Fidel, gorras, pasadores y
distintivos del 26 de Julio y boinas como las que usaban el Che y
Raúl.
La tribuna presidencial se instaló frente a la terraza norte del
Palacio, a un nivel más bajo. Los periodistas extranjeros ocuparon las
tribunas laterales. Muchos no pudieron hacerlo porque el pueblo se
desbordó sobre estas, envolviendo a los reporteros, que se vieron
aprisionados en una ola contagiosa de calor humano.
Habló el representante de la Central de Trabajadores de Cuba (entonces
Confederación). También el representante de la Federación Estudiantil
Universitaria y otros de organizaciones políticas; los representantes
de los periodistas. Cuando se anunció que hablaría Fidel, la multitud,
en un movimiento de oleaje, rompió la barrera que formaban los
milicianos y llegó hasta el borde mismo de la tribuna. Comenzó su
discurso el Jefe de la Revolución, pero poco después sacudía a los
congregados el arribo a las inmediaciones del castillo de La Punta, a
varias cuadras de distancia, de nuevos contingentes. La presión, como
una onda expansiva, se estrelló contra la tribuna. Más allá, la
armazón que sostenía la plataforma de las cámaras de la televisión,
osciló como si la azotara un vendaval. Hubo mujeres y hombres
desmayados. Las ambulancias hacían sonar sus sirenas en un esfuerzo
por abrirse paso. Se vinieron al suelo las barreras de madera y el
cordón de milicianos quedó diluido en medio de un mar de gente.
Fidel interrumpió el hilo de su pensamiento. Se percató de que cada
minuto que permaneciera en la tribuna podía costar vidas. Sintetizaría
entonces sus ideas. Afirmó que en Cuba se respetaban los derechos
humanos y que el cubano no era un pueblo bárbaro, sino el más noble y
sensible de todos. Si aquí se comete una injusticia, todo el pueblo
estaría en contra de esa injusticia. Si intelectuales, obreros y
campesinos han estado de acuerdo con el castigo de los culpables de la
dictadura, es porque el castigo es justo y merecido. Hizo una pausa e
intercambió algunas frases con el Comandante Camilo Cienfuegos. Quiso
convertir aquella multitud de más de un millón de personas en un
inmenso jurado. Dijo que quería hacer una consulta y la multitud hizo
un silencio absoluto, cuajado de dramatismo.
«Los que estén de acuerdo con la justicia que se está aplicando; los
que estén de acuerdo con que los esbirros sean fusilados, que levanten
la mano…».
Escribía Enrique de la Osa en su sección En Cuba, de la revista
Bohemia: «Antes de que terminara la frase ya se alzaba, como un
resorte, la respuesta afirmativa. Eran cientos de miles de manos no
solo dentro del campo visual de la terraza norte, sino por Malecón y
Prado, en el parque Zayas, en el Parque Central, frente al Capitolio.
A lo largo de la Isla, ante las pantallas de televisión o junto a la
radio, otros cinco millones de cubanos, simbólicamente, también
dijeron sí».
Fue un plebiscito colosal que hizo innecesarias las palabras.
Prosiguió Fidel: «Desde que bajé de la Sierra he escuchado muchas
veces una frase. Miles de personas se han acercado a mí para decirme:
«Gracias, Fidel, gracias, Fidel». Hoy, después de esta extraordinaria
demostración, hoy, después de la satisfacción que experimentamos todos
nosotros al ver este respaldo del pueblo, hoy al sentirnos tan
orgullosos de ser cubanos y pertenecer a este pueblo que es uno de los
pueblos más dignos del mundo, hoy soy yo, quien a nombre del Gobierno
Revolucionario y de todos los compatriotas del Ejército Rebelde,
quiero decir a mi pueblo: Muchas gracias, muchas gracias…».
(Continuará)
        
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/




domenica 12 gennaio 2014

Corrompere

CORROMPERE: danneggiare,spezzare correndo

sabato 11 gennaio 2014

Trinidad compie 500 anni

La città de "La Santísima Trinidad", in provincia di Sancti Spíritus, una delle gioie del patrimonio coloniale rimaste nell'America Latina, con Antigua Guatemala, domani festeggia i suoi primi 500 anni dalla fondazione come terza città costruita a Cuba dagli spagnoli, dopo Baracoa e Bayamo e che servì a Diego Velázquez come base per la conquista del Messico.
Auguri e tanti altri 500.

Correggia

CORREGGIA: rumore sospetto

venerdì 10 gennaio 2014

Corollario

COROLLARIO: gruppo vocale comasco

Le foto di Franco





Terremoto a Cuba

Sicuramente è arrivata anche in Italia la notizia del terremoto sviluppatosi al largo della costa nord di Cuba a est di Varadero ed a qualche km dalla costa di fronte ala provincia di Villa Clara, della magnitudo di circa 5 gradi della scala Richter. Indubbiamente non si ricordava un fenomeno sismico in quella zona, al contrario della parte orientale dell'Isola dove i movimenti tellurici si ripetono con frequenza e solo negli ultimi tempi sono stati almeno 3 dell'ordine di poco più di 4 gradi. Il fenomeno è stato avvertito anche a Key West, nell'estrmo sud della Florida ed il punto più vicino a Cuba.
Personalmente non me ne sono accorto e non ho sentito nessuno che lo abbia avvertito, nonostante il notiziario televisivo della sera abbia detto che le scosse si sono sentite anche all'Avana. A quell'ora (circa due minuti prima delle 16) mi trovavo proprio nel centro della capitale dove i fenomeni meteorologici e geologici, sono più avvertibili, è invece probabile che sia stato avvertito, maggiormente, nella parte orientale della città. Bisogna comunque dire che, per fortuna, nessuno di questi ultimi eventi sismici ha lasciato danni materiali e men che meno fisici alle persone. Si ha notizia, comunque di momentanee evacuazioni di edifici nel nucleo storico della città che non hanno avuto seguito.

giovedì 9 gennaio 2014

Rally di auto d'epoca in Messico



Dal 6 all'11 maggio, nello splendido scenario del Golfo di Campeche, nella penisola dello Yucatan (Messico) si terrà un rally di regolarità per automobili d'epoca che abbiano 43 o più anni di vita. La partecipazione è consentita con la propria vettura o con vetture messe a disposizione dell'organizzazione. Per maggiori informazioni e/o iscrizioni vedere il sito: http://rallymayamexico.com/2014/index.pmp

Le foto di Franco 16





Cornuto

CORNUTO: arbitro

mercoledì 8 gennaio 2014

Le foto di Franco 15






Coretto

CORETTO: il caffè con grappa o cognac (Roma)

martedì 7 gennaio 2014

Le foto di Franco 14





Coreografia

COREOGRAFIA: scrittura coreana

lunedì 6 gennaio 2014

Torniamo al Capri di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 5/1/14

Alla fine dello scorso dicembre ha riaperto le sue porte l’hotel Capri, un opera che “si è distinta a suo tempo per la decisa modernità del suo disegno”. L’installazione, di 220 camere, è ubicata in una zona privilegiata e assieme agli hotel Habana Riviera e Hilton – oggi Habana Libre – formano, dicono gli esperti, “la trilogia più evidente fra le costruzioni alberghiere del Movimento Moderno realizzata all’Avana”.
L’immaginario avanero si tesse e si districa attorno a questa installazione dotata di letti rotondi nelle sue suites, un favoloso bar Azzurro e una piccola, ma  gradevole, piscina al 18° piano. Un’edificio che concede uguale importanza alle sue due facciate laterali. Fu un albergo frequentato dalla mafia nordamericana fino al 1959 e ad esso allude Mario Puzo nel suo romanzo Il Padrino.

UN AFITRIONE CHIAMATO RAFT

L’attore statunitense George Raft, che ha trascorso la sua carriera cinematografica interpretando killers e gangsters a fianco a stelle come Jimmy Cagney e Humphrey Bogart, fu il suo capo delle relazioni pubbliche e anfitrione della sua sala da gioco. Si identificò così strettamente con i ruoli di malvivente che gli toccava interpretare che l’FBI arrivò ad aprirgli un dossier per considerarlo “connotato socio” della mafia. Era, afferma uno storico, il simbolo perfetto della mafia all’Avana. Aveva poco da fare nel Capri, eccetto che starvi ed essere visto. Lo pagavano perché fosse George Raft.
Ranft – suo cognome originale che poi trasformò – nacque e crebbe in un quartiere newyorkino conosciuto come La cucina dell’Inferno (Hell’s Kitchen), celebre per il suo tasso di delinquenza. Fu il maggiore di 10 fratelli e se ne andò da casa appena poté, al fine di uscire dalla miseria in cui viveva e dal rigido cattolicesimo dei suoi genitori e si unì a una banda giovanile. In pieno Proibizionismo trovò lavoro come attore e ballerino a Broadway, mentre si dedicava al contrabbando di liquori. Fu così come conobbe una stella come Mae West e anche Charles Luky Luciano, altra stella nel suo genere.
Quando arrivò a Hollywood, negli anni ’30, la sua conoscenza della malavita dall’interno, lo aiutò a trionfare. In film come Ricatto, Ho rubato un milione e Loan Shark, fra le altre, “perfezionò la sua immagine di malavitoso duro ed elegante. Vestiva con gran classe, mostrava grande sicurezza in se stesso ed aveva grande successo con le donne”.
Allora, non si concepiva uno spettacolo di cabaret senza un “quadro” spagnolo. Nella notte del 31 dicembre del 1958 Raft presentò al pubblico, presente al casinò del Capri, il corpo di ballo dello spagnolo José Greco, la cantante nordamericana Arlena Fontana e gli allora molto graditi Chavales de España. Già all’alba del 1°, Raft rimase nel casinò fino a che gli parve che i festeggiamenti per l’anno nuovo non sarebbero durati ancora per molto e si dispose a passarla alla grande, nella sua suite, con una ragazza che aveva appena vinto il titolo di Miss Cuba in un concorso di bellezza che precedeva l’internazionale Miss Universo. La sua ispirazione si vide annullata da una chiamata telefonica. Dalla reception gli comunicavano che il dittatore Fugencio Batista era fuggito dal Paese.
Balzò dal letto, si vestì come poté e prese l’ascensore. La confusione si era impadronita del vestibolo dell’albergo e del casinò. I dipendenti non sapevano cosa fare e alcuni alti gerarchi del batistato, che avevano tardato ai tavoli da gioco correvano, senza una destinazione precisa, come passeggeri a cui scappa il treno. Pareva non ci fosse nessuno che potesse mettere ordine in quel caos. Dalla strada arrivavano rumori di vetri rotti ed evviva alla trionfante rivoluzione. La polizia sparava e gli spioni cercavano di trovarsi un posto sicuro. Un gruppo numeroso di uomini e donne entrò nel casinò e cominciò a rompere i tavoli e le macchine. In quel momento, Raft si rese conto che non c’era nessuno che comandasse escluso, probabilmente, lui a cui i suoi compagni chiedevano cosa fare. Montò su un tavolo, ma nessuno gli prestava attenzione fino a che una ragazza che comandava il gruppo lo riconobbe, scambiò con lui qualche parola in inglese e impose il silenzio. L’attore chiese calma. Non ricordò, in seguito, più quali furono le sue parole, ma ebbero un effetto magico sul gruppo che, senza proseguire nei disordini, finì ritirandosi dal locale.

PIANI AMBIZIOSI

Alla fine degli anni ’40 la capacità alberghiera cubana era di poco più di 5.800 stanze. Di esse, 4.000 erano nella capitale. In una provincia come Matanzas, compreso Varadero, si contavano solo 504 stanze.
Molti di questi edifici erano inadeguati e obsoleti, come si evidenzia in un Decreto Presidenziale del maggio 1948. La costruzione di nuove installazioni si mantenne praticamente ferma nonostante il numero di turisti passasse da 114.885 nel 1946, a 188.519 nel 1951. Questo incremento provocava opinioni contrastanti. Mentre le autorità si battevano per il rialzo dei visitatori e gli introiti, gli alberghieri si lamentavano per la mancanza di un’azione ufficiale nei confronti della concorrenza caraibica. In realtà un turista veniva all’Avana per una o due notti con un budget esaurito, come per un estensione del suo soggiorno in Florida. La sua visita, quindi, più che un affare per gli alberghi, lo era per le compagnie di aviazione. Secondo i calcoli, il visitatore passava due giorni nella capitale e sei a Varadero.
Dopo il 1952, Cuba si aprì di più al turismo. Fino al 1958 si costruirono 2.867 nuove stanze d’albergo, cifra che arrivò a 3.152 con la restaurazione e ampliamento di alberghi già esistenti. Nel 1959 il Registro Alberghiero contava di 125 alberghi e tre motel con una capacità totale di 7.728 stanze.
È in questi anni quando si costruiscono gli alberghi Rosita de Hornedo – attuale Sierra Maestra – (luglio 1955), St. John (marzo 1957), Capri (novembre 1957), Riviera (dicembre 1957), Hilton (marzo 1958) e Deauville (luglio 1958) e si restaurano Nacional, Comodoro e Plaza. L’Internacional di Varadero si inaugura nel 1950. Si costruirono anche il Copacabana e il Chateau Miramar, fra gli altri.
Di tutti loro, ci fu capitale estero solo nella costruzione dell’Internacional, Riviera e Deauville. Gli altri si costruirono con capitale cubano, nonostante la loro amministrazione si cedette, dopo, a entità nordamericane. La costruzione dell’Hilton (24 milioni di pesos) fu finanziata con i fondi della Cassa di Previdenza dei Gastronomici e successivi crediti dello Stato cubano, mentre dei 12 milioni di dollari che si investirono nel Riviera, lo Stato apportò la metà e la somma rimanente si coprì con buoni che acquistarono gli investitori cubani e nordamericani.
In alcune di queste installazioni, come il Capri, il casinò era più importante che l’alloggiamento e in tutte, la sala da gioco era la parte più redditizia. Per l’affitto di questi saloni si pagavano 25.000 dollari all’anno in alberghi come Riviera, Capri e Nacional, senza contare che il casinò, generalmente, copriva i costi dello spettacolo e l’orchestra del cabaret.
I piani erano più ambiziosi. Comprendevano l’hotel Montecarlo 657 stanze a Santa Fé e Habana-Fontainbleau, nel Vedado, con 550. Altro hotel con 500 stanze si sarebbe costruito dove attualmente c’è la gelateria Coppelia e uno, con oltre 600 nell’area del campo sportivo José Martí. I progetti comprendevano costruzioni alberghiere a Soroa e Trinidad. Si costruì l’hotel Colony all’Isola dei Pini, inaugurato il 31 dicembre del 1958, e l’hotel Isla del Sur a Cayo Largo.
Allora, il turismo continuava a concentrarsi all’Avana e in misura molto inferiore, a Varadero e all’Isola dei Pini. La capitale disponeva di oltre 50 alberghi – quattro di loro di lusso – con 4.900 stanze e 9.800 letti. Nella Spiaggia Blu le camere non superavano le 700 e l’Isola dei Pini poteva ricevere, al massimo, 200 visitatori. Circa 223.000 turisti stranieri fecero le vacanze a Cuba nel 1956. Altri 272.000 lo fecero nel ’57 e l’anno successivo la cifra scese a 212.000. La maggioranza di loro, naturalmente, era nordamericana.

SERENATA MULATTA

La costruzione dell’hotel Capri, all’angolo di 21 e N, nel Vedado, a un isolato dalla mitica Rampa avanera, richiese un investimento di 5,5 milioni di pesos. Fu ad opera della compagnia costruttrice di Jaime Canavés, catalano arrivato a Cuba nel 1913 che inoltre aveva azioni nella Industria del Cemento Armato Cubano s.a. e nell’Industria Siporex. I suoi figli erano soci della costruttrice e uno di essi, José Canavés, fu l’architetto del Capri. Per terminare l’edificio la Hotelera de La Habana, compagnia che si costituì per eseguire l’opera, dovette chiedere un prestito di 800.000 pesos e rimase con un debito di 600.000 con il Trust Company of Cuba e con un altro di 400.000, col Banco Financiero.
In definitiva Canavés affittò l’hotel Capri, perché lo operasse, alla compagnia Alberghiera Sheppard, proprietaria anche degli alberghi Ponce de León e Leamington a Miami. Fu un contratto di 210.000 pesos annuali a partire dal 1° dicembre del 1957. Il disimpegno fu tanto efficiente che sei mesi dopo il Banco Financiero assegnava a Julius Sheppard, presidente della Alberghiera, un prestito di 210.000 pesos col fine di consolidare gli addebiti.

Trionfa la Rivoluzione. Lo spirito dei tempi nuovi si evidenzia anche negli spettacoli dei cabaret degli alberghi. In marzo del 1959, il messicano Pedro Vargas – il tenore delle Americhe, come veniva chiamato – si alterna con interpreti locali nella produzione Capriccio Cubano. Nel maggio dello stesso anno presenta uno spettacolo che presenta col nome di Consuma prodotti cubani, che è quello della campagna nazionalista del momento. In settembre la presentazione di Pepe e sale, segna il debutto di Freddy, una meticcia di 140 chili di peso che veniva dal servizio domestico e che aveva una voce da contralto inarrivabile. Per la sua figura è l’anti vedette per eccellenza, è priva del garbo e le finezze delle dive della notte e non è nemmeno una donna sensuale, piuttosto il contrario che la sua presenza in un locale tanto esclusivo come il Capri, evidenzia – dice la musicologa colombiana Adriana Orejuela – “un sintomo inequivocabile che le concezioni estetiche stavano cambiando, o perlomeno, altre forme cominciavano a prendere valore ed aprirsi la strada”. Tornerà con Zuppa alla francese, in marzo del ’60 e nel novembre dello stesso anno sarà nello Show delle stelle con Olga Guillot e altri interpreti. In Serenata mulata, nel gennaio ’61, debutta Juana Bacallao nel Capri per dividere le scene con la Guillot fino a che Celeste Mendoza non rimpiazza quest’ultima. Cappuccetto si diverte, si mantenne in cartellone per due anni. Un’altro spettacolo, L’Abana, con concezione e copione del narratore Lisandro Otero, cercò di dimostrare che ci sono forme funzionali nella cultura che, senza grandi pretese estetiche, possono essere molto importanti nel confronto di tendenze della vita quotidiana. Altra opera controversa, senza dubbio, in un mezzo come il cabaret, che però fece presa sul pubblico.


Volvemos al Capri

Ciro Bianchi Ross • 
digital@juventudrebelde.cu
4 de Enero del 2014 18:30:00 CDT

A fines del pasado mes de diciembre reabrió sus puertas el hotel
Capri, una obra que «se destacó en su momento por la decidida
modernidad de su diseño». El establecimiento de unas 220 habitaciones
está emplazado en una zona de privilegio, y junto a los hoteles Habana
Riviera y Habana Hilton —hoy Habana Libre— conforman, dicen los
especialistas, «la trilogía más destacada de construcciones hoteleras
del Movimiento Moderno realizadas en La Habana».
El imaginario habanero se teje y se desteje en torno a esta
instalación dotada de camas redondas en sus suites, un fabuloso bar
Azul y una pequeña y agradable piscina en su piso 18. Una edificación
que concede igual jerarquía a sus dos fachadas laterales. Fue un hotel
frecuentado por la mafia norteamericana hasta 1959 y a él alude Mario
Puzo en su novela El Padrino.

Un anfitrión llamado Raft

El actor estadounidense George Raft, que pasó su carrera
cinematográfica encarnando a matones y gángsteres al lado de astros
como Jimmy Cagney y Humphrey Bogart, fue su jefe de relaciones
públicas y anfitrión de su casino de juegos. Se identificó tan
estrechamente con los papeles de hampón que le tocó interpretar, que
el FBI llegó a abrirle un expediente por considerarlo un «socio
conocido» de la mafia. Era, afirma un historiador, el símbolo perfecto
de la mafia de La Habana. Poco tenía que hacer en el Capri excepto
estar allí y ser visto. Le pagaban para que fuese George Raft.
Ranft —su apellido original, que luego transformaría— nació y creció
en un barrio neoyorquino conocido como La cocina del infierno (Hell’s
Kitchen), célebre por su tasa alta de delincuencia. Fue el mayor de
diez hermanos y huyó de su casa en cuanto pudo, a fin de salirse de la
miseria en que vivía y del rígido catolicismo de sus padres y se unió
a una pandilla juvenil. En plena Ley Seca encontró empleo como actor y
bailarín en Broadway mientras se dedicaba al contrabando de licores.
Es así que conoce a una estrella como Mae West y también a Charles
Lucky Luciano, otra estrella en lo suyo.
Cuando llega a Hollywood, en los años 30, su conocimiento de la vida
del hampa por dentro lo ayudó a triunfar. En películas como Chantaje,
Robé un millón y Loan Shark, entre otras, «perfeccionó su imagen de
hampón duro y elegante. Vestía con gran estilo, mostraba gran
seguridad en sí mismo y tenía mucho éxito con las mujeres».
Entonces no se concebía un espectáculo de cabaré sin un «cuadro»
español. En la noche del 31 de diciembre de 1958, Raft presentó al
público que asistía al casino del Capri al cuerpo de danza del
bailarín español José Greco, la cantante norteamericana Arlena Fontana
y los por entonces muy gustados Chavales de España. Ya en la madrugada
del día 1ro., Raft estuvo en el casino hasta que le pareció que los
festejos de Año Nuevo no durarían mucho más y, en su suite, se
disponía a pasarla en grande con una muchacha que acababa de ganar el
título de Miss Cuba en un certamen de belleza que antecedía al
concurso internacional de Miss Universo. Su inspiración se vio cortada
por una llamada telefónica. Desde la recepción le comunicaban que el
dictador Fulgencio Batista había huido del país.
Saltó de la cama, se vistió como pudo y tomó el ascensor. La confusión
se había adueñado del vestíbulo del hotel y del casino. Los empleados
no sabían qué hacer y algunos altos jerarcas del batistato, que se
habían demorado ante las mesas de juego, corrían, sin ningún embozo,
como viajeros a los que se les va el tren. Nadie parecía dispuesto a
poner orden en aquel caos. Desde la calle llegaban estruendos de
vidrios rotos y vivas a la revolución triunfante. Disparaba la policía
y los soplones trataban de ponerse a buen recaudo. Un grupo numeroso
de hombres y mujeres penetró en el casino y empezó a destrozar el
mobiliario y las máquinas. En aquel momento Raft se percató de que no
había allí nadie que mandara, salvo él tal vez, pues era a él a quien
sus compañeros preguntaban qué hacer. Trepó a una mesa, pero nadie le
prestó atención hasta que la muchacha que comandaba el grupo lo
reconoció, intercambió con él unas palabras en inglés e impuso
silencio. El actor pidió tranquilidad. No recordó nunca con exactitud
cuáles fueron sus palabras, pero tuvieron un efecto mágico sobre el
grupo que, sin ocasionar más disturbios, terminó retirándose del
local.

Planes ambiciosos

A fines de los años 40 la capacidad hotelera cubana era de poco más de

5 800 habitaciones. De ellas, 4 000 estaban en la capital. En una
provincia como Matanzas, incluida Varadero, se registraban solo 504
habitaciones.
Muchas de esas edificaciones eran inadecuadas y obsoletas, como se
reconoce en un Decreto Presidencial de mayo de 1948. La construcción
de nuevas instalaciones se mantenía prácticamente estancada pese a que
el número de turistas pasó de 114 885, en 1946, a 188 519 en 1951. Ese
incremento provocaba opiniones encontradas. Mientras que las
autoridades se ufanaban por el alza de los visitantes y los ingresos,
los hoteleros lamentaban la falta de acción oficial frente a la
competencia caribeña. En realidad, el turista venía a La Habana por
una o dos noches y con el presupuesto agotado como una extensión de su
estancia en la Florida. Su visita entonces, más que un negocio para
los hoteles, lo era para las compañías de aviación. Según cálculos, el
visitante pasaba en la capital dos días y seis en Varadero.
Después de 1952 Cuba se abrió más al turismo. Hasta 1958 se
construyeron aquí 2 867 nuevas habitaciones hoteleras, cifra que llegó
a 3 152 con la remodelación y ampliación de hoteles ya existentes. En
1959 el Directorio Hotelero consignaba 125 hoteles y tres moteles de
carretera con una capacidad total de 7 728 habitaciones.
Es en esos años cuando se construyen los hoteles Rosita de Hornedo
—actual Sierra Maestra— (julio, 1955), St John’s (marzo, 1957), Capri
(noviembre, 1957), Riviera (diciembre, 1957), Hilton (marzo, 1958) y
Deauville (julio, 1958) y se remodelan Nacional, Comodoro y Plaza. El
Internacional de Varadero se inaugura en 1950. Se construyen asimismo
el Copacabana y el Chateau Miramar, entre otros.
De todos ellos, solo hubo capital foráneo en las edificaciones del
Internacional, Riviera y Deauville. Los otros se construyeron con
capital cubano, aunque su administración se cediera después a
entidades norteamericanas. La construcción del Hilton (24 millones de
pesos) fue costeada con el dinero de la Caja del Retiro Gastronómico y
sucesivos créditos del Estado cubano, en tanto que de los 12 millones
de dólares que se invirtieron en el Riviera, el Estado aportó la mitad
y la suma restante se cubrió con bonos que adquirieron inversionistas
cubanos y norteamericanos.
En algunas de esas instalaciones, como Capri, el casino era más
importante que el alojamiento, y en todas, la sala de juego era la
parte más lucrativa. Por el alquiler de esos salones se pagaban unos
25 000 dólares anuales en hoteles como Riviera, Capri y Nacional, sin
contar que el casino sufragaba por lo general el espectáculo y las
orquestas del cabaré.
Los planes eran más ambiciosos. Comprendían los hoteles Montecarlo
(657 habitaciones) en Santa Fe y Habana-Fontainebleau, en el Vedado,
con 550. Otro hotel, de 500 habitaciones, se edificaría donde ahora
está la heladería Coppelia, y uno más, con 600, en las áreas del
parque deportivo José Martí. Los proyectos comprendían construcciones
hoteleras en Soroa y Trinidad. Se construyó el hotel Colony, en Isla
de Pinos, inaugurado el 31 de diciembre de 1958, y el hotel Isla del
Sur, en Cayo Largo.
Entonces el turismo seguía concentrándose en La Habana y en muy menor
medida en Varadero e Isla de Pinos. La capital disponía de más de 50
hoteles —cuatro de ellos, de lujo— con 4 900 habitaciones y 9 800
capacidades. En la Playa Azul no pasaban de 700 las habitaciones e
Isla de Pinos podía acomodar a lo sumo a unos 200 visitantes. Unos 223
000 turistas extranjeros vacacionaron en Cuba en 1956. Otros 272 000
lo hicieron en el 57 y al año siguiente la cifra descendió a 212 000.
La mayoría de ellos, por supuesto, eran norteamericanos.

Serenata mulata
La construcción del hotel Capri, en la esquina de 21 y N, en el
Vedado, a una cuadra de la mítica Rampa habanera, requirió de una
inversión de 5,5 millones de pesos. Fue obra de la compañía
constructora de Jaime Canavés, catalán llegado a Cuba en 1913 y que
además tenía acciones en Industrias de Hormigón Cubano S. A. e
Industrias Siporex. Sus hijos estaban asociados en el negocio de la
constructora y uno de ellos, José Canavés, fue el arquitecto del
Capri. Para concluir el edificio, la Hotelera de La Habana, compañía
que se constituyó para acometer la obra, debió pedir un préstamo por
800 000 pesos, y quedó con una deuda de 600 000 pesos con el Trust
Company of Cuba y con otra, de 400 000, con el Banco Financiero.
En definitiva, Canavés arrendaría el edificio del hotel Capri, para
que lo operara, a la compañía Hotelera Sheppard, propietaria además de
los hoteles Ponce de León y Leamington, en Miami. Fue un contrato por
210 000 pesos anuales a partir del 1ro. de diciembre de 1957. El
desempeño resultó tan eficiente que seis meses después el Banco
Financiero otorgaba a Julius Sheppard, presidente de la Hotelera, un
préstamo por 210 000 pesos a fin de consolidar adeudos.
Triunfa la Revolución. El espíritu de los nuevos tiempos se evidencia
también en los shows del cabaré del hotel. En marzo de 1959, el
mexicano Pedro Vargas —el Tenor de las Américas, como se le llamaba—
alterna con intérpretes del patio en la producción Capricho cubano. En
mayo del propio año, presenta un espectáculo que adopta el título de
Consuma productos cubanos, que es el de la campaña nacionalista del
momento. En septiembre, la presentación de Pimienta y sal marca el
debut de Freddy, una mestiza de 300 libras de peso que venía del
servicio doméstico y que tenía una voz de contralto insondable. Por su
figura, es la antivedette por excelencia, carece del garbo y la
afectación de las divas de la noche y tampoco es una mujer sensual,
quizá lo contrario, que con su presencia en un lugar tan exclusivo
como el Capri evidencia —dice la musicógrafa colombiana Adriana
Orejuela— «un síntoma inequívoco de que las concepciones estéticas
estaban cambiando o, por lo menos, otras formas comenzaban a cobrar
valor y a abrirse camino». Volverá con Ajiaco a la francesa, en marzo
del 60, y en noviembre de ese año estará en el Show de estrellas con
Olga Guillot y otros intérpretes. En Serenata mulata, en enero del 61,
debuta Juana Bacallao en el Capri para compartir la escena con la
Guillot hasta que Celeste Mendoza reemplaza a esa última. La
caperucita se divierte se mantuvo dos años en cartelera. Otro
espectáculo, L’Abana, con concepción y guión del narrador Lisandro
Otero, trató de demostrar que hay formas funcionales en la cultura
que, sin grandes pretensiones estéticas, pueden ser muy importantes en
la confrontación de tendencias en la vida cotidiana. Obra
controvertida sin duda, en un medio como el cabaré, pero que enganchó
al público.
        
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

Copricapo

COPRICAPO: abbigliamento di chi comanda

Le foto di Franco 13





domenica 5 gennaio 2014

Copribusto

COPRIBUSTO: abito da lettore del TG

Le foto di Franco 12





sabato 4 gennaio 2014

Copiatore

COPIATORE: compagno di banco di Salvatore, svogliato e somaro

Le foto di Franco 11






Addio a Carlos Manuel de Céspedes

Nella mattinata di ieri (venerdì) è deceduto il Monsignor Carlos Manuel de Céspedes García y Menocal, per molti anni capo della Chiesa cubana e discendente dal Padre della Patria di cui portava il nome. Il monsignore era benvoluto e apprezzato anche dai non credenti e rispettato anche nei momenti di relazione difficile tra Stato e Chiesa.

venerdì 3 gennaio 2014

Le foto di Franco 10





Convinto

CONVINTO: assieme allo sconfitto