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domenica 12 ottobre 2014

Maschiaccio

MASCHIACCIO: ma comprimo, calpesto

sabato 11 ottobre 2014

Marasma

MARASMA: affezione respiratoria di Mara

venerdì 10 ottobre 2014

10 ottobre, giorno dell'indipendenza di Cuba

Sono passati 146 anni da quando i rintocchi dell'azienda La Demajagua, proprietà di Carlos Manuel de Céspedes chiamavano i cubani a ribellarsi alla rivolta contro il potere coloniale spagnolo e iniziavano il processo di liberazione dalla schiavitù, ancora presente nell'Isola. L'annuncio era stato lanciato con il "Grito de Yara" del precedente giorno 8. Il resto...è Storia.

Maramaldo

MARAMALDO: Mara è innamorata di Aldo

giovedì 9 ottobre 2014

Maramaglia

MARAMAGLIA: golf di Mara

mercoledì 8 ottobre 2014

Da Mandello con onore...


Una veterana che si fa ancora onore...

8 ottobre 1967, scompare un mito, nasce un mito

In questa di data di 47 anni or sono è terminata l'avventura utopica di Ernesto Guevara de la Serna soprannominato "Che" dai compagni cubani per il suo tipico intercalare argentino. Caduto in un imboscata dell'esercito boliviano alla quebrada del Yuro, grazie a una delazione di ex compagni disertori, ferito, venne trasferito a una piccola scuola rurale in località Higueras dove fu ucciso a sangue freddo. Per anni non si seppe dove fosse stato sepolto fino a che i suoi resti vennero ritrovati, nel 1997, nella stessa provincia di Vallegrande, su indicazioni di un ex ufficiale in pensione che aveva partecipato all'inumazione clandestina. Dopo il ritrovamento vennero trasferiti a Cuba e si trovano nel mausoleo dedicato a lui e ai suoi compagni di lotta, nella città di Santa Clara dove nel 1958 dette il colpo di grazia alle truppe di Fulgenzio Batista.
La sua immagine, particolarmente ricordata con la eccezionale foto di Alberto Diaz "Korda" continua ad essere un simbolo per moltissime persone, anche giovani che non sanno nulla di lui e lo idealizzano come "pacifista". Un po' in contraddizione con la definizione più in uso di "Guerrillero Heroico".

Mantenere

MANTENERE: sorreggere con arto superiore

martedì 7 ottobre 2014

Manovella

MANOVELLA: romanzo scritto a mano

lunedì 6 ottobre 2014

6 ottobre 1976 l'attentato di Barbados

Sono passati 38 anni da quel giorno in cui il volo di Cubana de Aviación che partiva da Maiquetía in Venezuela , per arrivare via Barbados e Giamaica all'Avana, dopo lo scalo a Barbados e il successivo decollo è esploso in volo lasciando un saldo di 73 morti, di cui 57 cubani 11 guyanesi e 5 nordcoreani. Tra i cubani si trovava la squadra giovanile di scherma reduce da vittorie in tutti gli incontri effettuati in una competizione internazionale.
L'attentato non è rimasto avvolto nel mistero, i suoi autori: Luís Posada Carriles e Orlando Bosch hanno pubblicamente ammesso di esserne i responsabili. Il primo è morto nel suo letto a Miami, mentre il secondo passeggia tranquillamente per le strade della stessa città e avendo continuato fino ad oggi a perpetrare e realizzare attentati terroristici.
Intanto nelle carceri statunitensi ci sono ancore tre dei cinque agenti cubani che si erano infiltrati nelle organizzazioni estremiste dell'opposizione armata, con sede in Florida, allo scopo di allertare sia Cuba che gli stessi Stati Uniti onde evitare, appunto, atti terroristici. Proprio la "cortesia" di allertare gli Stati Uniti è costata loro la detenzione, un processo sicuramente non chiaro e delle condanne sproporzionate a quanto commesso in forma, necessariamente, clandestina.
Ma gli Stati Uniti si arrogano, fra gli altri "diritti" quello di stabilire chi è "terrorista" e chi no, lasciando impuniti, anzi proteggendo e foraggiando il "terrorismo buono". Si passi l'eufemismo.

Mojica e altre questioni, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 5/9/14

La pagina sulla visita a Cuba, nel 1931, del tenore messicano José Mojica ha motivato diversi messaggi elettronici e non poche chiamate. In generale criticano lo scriba per non aver accennato nella sua cronaca a una seconda visita all’Isola dell’uomo che alla morte i sua madre prenderà gli abiti religiosi col nome di José Francisco de Guadalupe r dopo aver fato il voto di povertà si internerà in un convento delle Ande peruviane.
La disegnatrice Piedad Subiráts, fedele lettrice di questa colonna, ha riferito ricordi famigliari su quel secondo viaggio di Mojica a Cuba ed ha avuto la delicatezza di rimettere all’autore di questa pagina il biglietto da visita che conserva del frate messicano, così come la foto, probabilmente scattata all’Avana, che il cantante ossequiò a sua madre o a sua nonna. Ha anche inviato un’immaginetta della Vergine di Fatima che Mojica aveva firmato prima di consegnarla.
Correva il mese di dicembre del 1953, allora Piedad aveva nove anni d’età. Ringrazia, adesso, lo scriba che le ha fatto rivivere tanti bei ricordi. Un altro lettore, Il Dottor Diego A. Artiles Granda,ha a sua volta i ricordi di Mojica nella sua seconda visita. Lo vide nel concerto che il tenore dette in un pomeriggio al teatro Payret per gli alunni del Collegio de La Salle, dove allora Artiles frequentava la scuola elementare e fu lì dove ascoltò per la prima volta la canzone intitolata Corazón mexicano e  da allora, nello spazio di 50 anni si è impegnato senza successo per poterla riascoltare. In questo periodo chiese molte volte ad amici messicani di questa melodia. Nessuno la conosceva o ricordava fino a che, lo scorso mese di gennaio toccò il tema durante una sua visita in Messico e qualcuno, tramite il suo telefono cercó e scaricò da Youtube un video dove Mojica la interpreta. Il dottor Artiles lo copiò e lo conserva come uno dei suoi tesori più preziosi.
Mojica offriva concerti e recitava nel cine con la dispensa ecclesiastica. Di fatto lo fece fin quasi alla fine dei suoi giorni. Piedad Subiràts afferma che in quella visita, Mojica cantò in alcune chiese e crede di ricordare che lo fece anche nel teatro Auditorium, invitato dalla Società Pro Arte Musicale. La sua famiglia, in quel momento, aveva molte amicizie con sacerdoti francescani sopratutto con la chiesa di Sant’Antonio, sita nella Quinta Avenida e 60 a Miramar e fu attraverso di loro che invitarono Mojica ad offrire un concerto nel teatro del paese di Minas de Matahambre, a Pínar del Río, dove suo padre era medico.
“Pertanto ci toccò ricevere il padre Mojica e rendergli gli onori”, dice la eccellente disegnatrice. Il concerto si tenne con ingresso libero, ma non ottenne, per ragioni che Piedad non conosce, la risposta di pubblico che c’era da aspettarsi. “Il giorno seguente si offrì un pranzo in suo onore nella nostra piccola casa. Ci stringemmo attorno al tavolo, non ricordo se i miei nonno vennero dall’Avana per l’occasione; frate Serafín Ajuria, pure francescano; il padre Manuel Zaldúa, cappellano di Las Minas; i miei genitori e io. Mio padre che aveva un gran senso dell’umorismo diceva di aver preso una ‘minestra benedetta’, perché siccome eravamo tanto stretti, le maniche dell’abito di Mojica finirono nella sua minestra”.
Piedad Subiràts ricorda oggi Mujica come uomo “semplice e affettuoso” che a Matahambre l’accompagnò nei suoi giochi infantili. “Anni dopo, mia madre mi conseguì il libro Yo pecador, la sua autobiografia pubblicata nel 1956 e su questo testo, negli anni ’60 si filmò una pellicola dallo stesso nome che si proiettò, qui all’Avana nel 1962. La vidi in un cinema del Vedado. Ricordo che la parte di Doña Virginia, sua madre, lo interpretò Libertad Lamarque”.
Per finire, Piedad ringrazia lo scriba di averle portato, come in altre occasioni, questi “ricordi lontani” che continuano vivi nella sua memoria.

Si tratta di alberghi

Il dottor Arquímedes Sedeño Argílagos ha interesse di sapere se gli alberghi Victoria e Vedado furono un tempo la stessa installazione e se apartennero allo stesso proprietario.
Per ispondergli mi rimetto all’informazione che offre, su questi esercizi, Guillermo Jímenez nel suo libro Las Empresas de Cuba; 1958, pubblicato dall’editrice Ciencias Sociales dell’Avana nell’anno 2004.
Il menzionato investigatore diche che l’hotel Vedado, con 120 camere e due attici per i suoi proprietari, si inaugurò nel dicembre 1952 al costo di un milione e mezzo di pesos.
Un hotel dalloa stesso nome, ma piccolo, era sito all’angolo di 19 e M. Lo aveva affittato e lo amministrava Bernardo Navarro Godinez e procurava utilità nette di 25.000 pesos annuali. Navarro che presiedeva l’Asociación Cubana de Hoteles e la Junta Cubana de Desarrollo Turístico, convinse l’architetto José Alberto Prieto di associarsi alla costruzione di un nuovo hotel che si ubicherà nella calle O fra 23 e 25 e che si chiamerà Vedado, mentre l’alberghetto di 19 e M prenderà il nome di Victoria; nomi che conservano entrambe le installazioni. Prieto elaborò il progetto architettonico e procurò il finanziamento del Collegio degli Architetti.
Fin qua l’informazione di Jimenez. Da parte nostra aggiungiamo che il Victoria, con 31 camere è attualmente il più antico del Vedado e all’Avana lo superano in antichità solo tre installazioni di quel tipo. Una lbergo con “classe” fin dalla sua apertura, già da oltre 80 anni, durante i quali consolidò una veste di prestigio.
Sono stati molti i cambi che soffrì dalla sua apertura, ma l’impegno di mantenere un segno di prima classe è sempre stato lo stesso. Un hotel con tradizione e marchio proprio che con distinzione ed eleganza conserva l’atmosfera di un’epoca.
Un uomo tanto aspro e difficile come lo spagnolo Juan Ramón Jiménez, premio Nobel per la Letteratura, lo scelse per il suo soggiorno avanero tra il 1936 e 1939 e lì Lezama Lima raccolse allora il materiale per il suo celebre Colloquio con il poeta di Platero y yo. Un’altra premio Nobel, la cilena Gabriela Mistral, fu a sua volta ospite. Il grande compositore russo Sergiej Prokofiev alloggiò al Victoria e la sua terrazza fu lo scenario dell’ardua intervista che sostenne con Federico García Lorca, impressionato dalla musica trepidante di ritmi incisivi e vivi spunti dell’autore di Visiones fugitivas, che solo poté ascoltare dal vivo all’Avana.
Più in qua nel tempo si ospitarono lì non pochi famosi, come il cantante portoricano Danny Rivera, il cineasta brasiliano Walter Salles, il giornalista italiano Gianni Minà, gli scrittori cubani Fina García Marruz e Cintio Vitier che lo dichiarò l’albergo dei poeti.

Un cubano presidente  di Spagna

Un lettore che firma solo come Boris il suo messaggio, domanda se qualcuno nato a Cuba all’epoca della colonia occupò la presidenza del Governo spagnolo.
Ebbene sì. Si chiamò Dámaso Berenguer e nacque a San Juan de los Remedios, località cubana appartenente all’attuale provincia di Villa Clara, nel 1878, data - già il lettore si sarà reso conto – nella quale l’Isola era ancora sotto la sovranità spagnola.
La sua carriera militare fu vincolata strettamente con la guerra del Marocco, nella quale cominciò a partecipare nel 1909 e giunse, tre anni più tardi, ad ascendere a generale. Nel novembre 1918 fu nominato Ministro della Guerra dal presidente del Governo liberale di Manuel García Prieto, incarico che tornò a disimpegnare fino al gennaio del 1919 nel gabinetto seguente, condotto dal pure liberale Alvaro de Figueroa y Torres, conte di Romanones.
Lasciò questo governo essendo designato, in quel mese, alto commissario del Marocco (la più alta rappresentanza spagnola nel protettorato), ma fu dimesso dopo il cosiddetto disastro di Annual, del luglio 1921, e affrontò le responsabilità conseguenti.
Separato dall’Esercito, fu subito riabilitato all’inizio della dittatura del generale Miguel Primo de Rivera, nel 1923. Un anno più tardi passò al comando della Casa Militare del re Alfonso XIII che il 30 gennaio del 1930, dopo le dimissioni di Primo de Rivera e nonostante l’opposizione di ampi settori, gli incaricò in extremis la presidenza del Governo. Davanti alla forte contestazione sociale e politica, oltre alla congintura economica negativa, dovette abbandonare la presidenza il 18 febbraio del 1931, dopo aver attuato con durezza nella reppressione della sollevazione repubblicana che ebbe luogo specialmente in Jaca (Huesca) alla fine del 1930.
Sostituito dall’ammiraglio Juan Bautista Aznar, formò parte del Governo di questi come ministro dell’Esercito.
L’avvento della II Repubblica, il 14 aprile del 1931, significò la fine del gabinetto monarchico e l’inizio di un processo giudiziario contro Berenguer per la sua attuazione nei fatti di Jaca che lo condusse in prigione.
In una congiuntura molto diversa, nel 1934, venne amnistiato dal Governo conservatore capeggiato dal Partito Radicale. Nel 1946 pubblicò una delle migliori opere di memorie spagnole del periodo finale della Restaurazione: De la dictadura a la república.

Morì sette anni più tardi a Madrid.

Mojica y otras cuestiones
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
4 de Octubre del 2014 19:08:58 CDT

Varios mensajes electrónicos y no pocas llamadas motivó la página
sobre la visita a Cuba, en 1931, del tenor mexicano José Mojica. En
general, reprochan al escribidor no haber aludido en su crónica a una
segunda visita a la Isla  del hombre que, a la muerte de su madre,
tomara los hábitos religiosos y, con el nombre de José Francisco de
Guadalupe y luego de hacer voto de pobreza, se internara en un
convento de los Andes peruanos.
La diseñadora Piedad Subiráts, lectora fiel de esta columna, refirió
en su mensaje recuerdos familiares sobre aquel segundo viaje de Mojica
a Cuba y tuvo la delicadeza de remitir al autor de esta página una
tarjeta de visita que conserva del fraile mexicano, así como la foto,
posiblemente tomada en La Habana, que el cantante obsequió a su madre
o a su abuela. También envió una estampita de la Virgen de Fátima, que
Mojica firmó antes de entregársela.
Corría el mes de diciembre de 1953, y entonces Piedad tenía nueve años
de edad. Agradece ahora que el escribidor le hiciera revivir tantos
bellos recuerdos. Otro lector, el doctor Diego A. Artiles Granda,
tiene asimismo sus recuerdos de Mojica en su segunda visita. Lo vio en
el concierto que el tenor ofreció una tarde en el teatro Payret para
los alumnos del Colegio de La Salle, donde Artiles cursaba entonces la
enseñanza primaria, y fue allí que escuchó por primera vez la canción
titulada Corazón mexicano, que desde entonces y a lo largo de más de
50 años se empeñó sin éxito en volver a oír. En ese tiempo preguntó
muchas veces por esa melodía a amigos mexicanos. Ninguno la conocía o
recordaba hasta que en el pasado mes de enero movió el tema durante
una visita a México y alguien desde su teléfono buscó y bajó de
Youtube un video donde Mojica la interpreta. El doctor Artiles Granda
lo copió y lo conserva como uno de sus más preciados tesoros.
Mojica ofrecía conciertos y actuaba en el cine con licencia
eclesiástica. De hecho, lo hizo casi hasta el fin de sus días. Afirma
Piedad Subiráts que en aquella visita Mojica cantó en algunas iglesias
y cree recordar que lo hizo asimismo en el teatro  Auditórium,
invitado por la Sociedad Pro Arte Musical. Su familia tenía en ese
momento mucha amistad con varios sacerdotes franciscanos, sobre todo
con los de la iglesia de San Antonio, sita en Quinta Avenida y 60, en
Miramar, y fue a través de ellos que invitaron a Mojica a que
ofreciera un concierto en el teatro del pueblo de las Minas de
Matahambre, en Pinar del Río, donde su padre era médico.
<<Nos tocó por tanto recibir al padre Mojica y hacerle los honores>>,
dice la destacada diseñadora. El concierto se dio y con entrada
gratis, pero no tuvo, por razones que Piedad desconoce, la repuesta
del público que era de esperar. “Al otro día se ofreció un almuerzo en
su honor en nuestra pequeña casa. Nos apretamos en torno a la mesa, no
recuerdo si mis abuelos que habrían ido desde La Habana para el
acontecimiento; fray Serafín Ajuria, también franciscano; el padre
Manuel Zaldúa, capellán de las Minas; mis padres y yo. Mi padre que
tenía un gran sentido del humor decía que había tomado ‘sopa bendita’,
porque como estábamos tan apretados, las mangas del hábito de Mojica
se le metieron en su sopa”.
Piedad Subiráts evoca hoy a José Mojica como un hombre “sencillo y
cariñoso”, que en Matahambre la acompañó en sus juegos infantiles.
“Años después, mi madre consiguió el libro Yo Pecador, su
autobiografía publicada en 1956, y por este texto en los años 60 se
filmó la película del mismo nombre, que se puso aquí en La Habana en
1962. La vi en un cine del Vedado. Recuerdo que el papel de doña
Virginia, su madre, lo interpretó Libertad Lamarque”.
Finalmente, Piedad agradece al escribidor el haberle llevado, como en
otras ocasiones, estos “recuerdos lejanos” que siguen vivos en su
memoria.

De hoteles se trata

El doctor Arquímedes Sedeño Argilagos se interesa por conocer si los
hoteles Vedado y Victoria fueron en un tiempo una misma instalación y
si pertenecieron al mismo dueño.
Para responderle, me remito a la información que sobre esos
establecimientos hoteleros ofrece Guillermo Jiménez en su libro Las
empresas de Cuba; 1958, publicado por la editorial de Ciencias
Sociales, de La Habana, en el año 2004.
Dice el mencionado investigador que el hotel Vedado, con 120
habitaciones y dos penthouses para sus propietarios, se inauguró en
diciembre de 1952, a un costo de millón y medio de pesos.
Un hotel, con igual nombre, pero pequeño, estaba situado en la esquina
de 19 y M. Lo había arrendado y lo administraba Bernardo Navarro
Godínez, y arrojaba utilidades netas de alrededor de 25 000 pesos
anuales. Navarro, que presidía la Asociación Cubana de Hoteles y la
Junta Cubana de Desarrollo Turístico, convenció al arquitecto José
Alberto Prieto de asociarse en la construcción de un nuevo hotel que
se ubicaría en la calle O, entre 23 y 25, y que se llamaría Vedado,
mientras que el hotelito de 19 y M pasaría a llamarse Victoria;
nombres que conservan ambas instalaciones. Prieto elaboró el proyecto
arquitectónico y procuró el financiamiento del Colegio de Arquitectos.
Hasta ahí la información de Jiménez. Añadimos, por nuestra parte, que
el Victoria, con 31 habitaciones en la actualidad, es el hotel más
antiguo de El Vedado, y en La Habana solo lo superan en antigüedad
tres instalaciones de su tipo. Un hotel con “ángel” desde su apertura,
hace más de 80 años, durante los que asentó todo un hábito de
prestigio.
Muchos son los cambios que sufrió desde su apertura, pero siempre fue
similar su empeño por mantener una marca de primera clase. Un hotel
con tradición y sello propios que, con distinción y elegancia,
conserva el aura de una época.
Un hombre tan exquisito, arisco y difícil como el español Juan Ramón
Jiménez, premio Nobel de Literatura, lo escogió para su estancia
habanera entre 1936 y 1939, y allí acopió Lezama Lima entonces el
material para su célebre Coloquio con el poeta de Platero y yo. Otra
premio Nobel, la chilena Gabriela Mistral, fue también su huésped. El
gran compositor ruso Sergio Prokofiev se alojó en el Victoria, y su
terraza fue escenario de la ardua entrevista que sostuviera con
Federico García Lorca, impresionado con la música trepidante, de
ritmos incisivos y vivas aristas del autor de Visiones fugitivas, a
quien solo en La Habana pudo escuchar en vivo.
Más acá en el tiempo se hospedaron allí no pocos famosos, como el
cantante puertorriqueño Danny Rivera, el cineasta brasileño Walter
Salles, el periodista italiano Gianni Miná, los escritores cubanos
Fina García Marruz y Cintio Vitier, que lo declaró el hotel de los
poetas.

Un cubano presidente de España

Un lector que firma solo como Boris su mensaje electrónico, pregunta
si alguien nacido en Cuba en tiempos de la colonia ocupó la
presidencia del Gobierno español.
Pues sí. Se llamó Dámaso Berenguer y nació en San Juan de los
Remedios, localidad cubana perteneciente a la actual provincia de
Villa Clara, en 1878, fecha --ya se habrá percatado el lector-- en que
la Isla estaba aún bajo la soberanía española.
Su carrera militar estuvo vinculada estrechamente con la guerra de
Marruecos, en la cual comenzó a participar en 1909 y logró ascender
tres años más tarde a general. En noviembre de 1918 fue nombrado
ministro de la Guerra por el presidente del Gobierno liberal de Manuel
García Prieto, cargo que volvió a desempeñar hasta enero de 1919 en el
gabinete siguiente, encabezado por el también liberal Álvaro de
Figueroa y Torres, conde de Romanones.
Abandonó ese Gobierno al ser designado en ese mes alto comisario de
Marruecos (la más alta representación española en el Protectorado),
pero fue cesado tras el llamado desastre de Annual, de julio de 1921,
y afrontó las responsabilidades consiguientes.
Apartado del Ejército, fue pronto rehabilitado, al comienzo de la
dictadura del general Miguel Primo de Rivera, en 1923. Un año más
tarde, pasó a la jefatura de la Casa Militar del rey Alfonso XIII,
quien, el 30 de enero de 1930, tras la renuncia de Primo de Rivera y
pese a la oposición de amplios sectores, le encargó in extremis la
presidencia del Gobierno. Ante la fuerte contestación social y
política y la negativa coyuntura económica tuvo que abandonar la
presidencia el 18 de febrero de 1931, después de actuar con dureza en
la represión de la sublevación republicana que tuvo lugar
especialmente en Jaca (Huesca) a finales de 1930.
Sustituido por el almirante Juan Bautista Aznar, formó parte del
Gobierno de este en calidad de ministro del Ejército.
El advenimiento de la II República, el 14 de abril de 1931, significó
el cese del gabinete monárquico y el inicio de un proceso judicial
contra Berenguer por su actuación en los sucesos de Jaca, que lo llevó
a prisión.
En una coyuntura muy distinta, en 1934 resultó amnistiado por el
gobierno conservador encabezado por el Partido Radical. En 1946
publicó una de las mejores obras memorísticas españolas del período
final de la Restauración: De la dictadura a la república.
Falleció siete años más tarde, en Madrid.
 
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

Manometro

MANOMETRO: misuratore di arti superiori

domenica 5 ottobre 2014

Manforte

MANFORTE: arto superiore robusto

sabato 4 ottobre 2014

Santeria: el Toque de Caja




Mi sono trovato a capitare nel mezzo di un “Toque de caja”, una cerimonia rituale che riprende il rito della messa cattolica e lo unisce alle tradizioni animiste dell’Africa centro occidentale. La funzione viene preceduta da una “messa” dedicata ai famigliari defunti e officiata da un sacerdote che non ha preso i voti della Chiesa cristiana, ma riveste un certo livello nel culto afrocubano.
Al termine della messa inizia il vero e proprio “Toque” che significa “suono” o “suonare” dei tamburi accompagnati dalle voci dei canti Yoruba. I partecipanti in genere fanno parte della famiglia o comunque delle amicizie più strette, anche se non vi è nessun divieto per chi si volesse unire.

È difficile capire come si possa resistere un paio d’ore al ritmo assordante dei tamburi e col caldo che viene mitigato molto poco dai ventilatori posti strategicamente. I partecipanti si scatenano nella danza che propizia la vicinanza con i loro defunti. Nel rito vengono effettuate offerte di varia natura e dopo circa un paio d’ore, l’assemblea si scioglie.




Manetta

MANETTE: arti superiori puliti

venerdì 3 ottobre 2014

Cuba e la stomatologia








La stomatologia è probabilmente il tallone d’Achille della medicina cubana. Certamente uno dei settori più colpiti dall’embargo statunitense e uno dei più costosi se si tiene conto del rapporto offerta e domanda. Pochi, nella vita, non necessitano interventi nel cavo orale e il somministro dei materiali e sopratutto strumenti, necessari ai dentisti, è indubbiamente costoso sul mercato internazionale, spesso sono prodotti o protetti da brevetti nordamericani che oltre ad impedirne l’acquisto diretto sono ostacolati anche tramite Paesi terzi, sottoposti a pressioni dagli USA che impediscono loro di trattare con Cuba i propri prodotti, pena salatissime multe e/o ritorsioni di altro tipo. Questo causa, a volte, l’impossibilità ad intervenire sui pazienti se non dopo lunghe attese. Bisogna tener presente che le cure dentistiche, come tutte le altre, sono completamente gratuite, pertanto l’aggravio sul bilancio dello Stato è notevole. Guardando “da dentro”, credo di capire come mai il servizio stomatologico è stato sospeso fra quelli forniti da Servimed, impresa dedita al Turismo della Salute, che offre servizi medici e chirurgici a pazienti provenienti dall’estero a prezzi competitivi rispetto a quelli praticati dove i medesimi vengono dati a pagamento. Molti sono i pazienti che provengono dai vicini Paesi dell’America Latina e i Caraibi per farsi diagnosticare presunte malattie o a sottoporsi a terapie di ogni tipo.
Dietro indicazione di una dentista, mi sto recando al Centro Nazionale di Stomatolgia che si trova nell’avenida 47 all’angolo della calle 39 nel Municipio Playa dell’Avana e che offre servizio soltanto ai cittadini cubani o residenti permanenti. Indubbiamente il Centro è all’avanguardia nell’Isola e ha poco da invidiare a istituzioni simili, pubbliche o private, di altri Paesi. La specializzazione è alta e non tratta casi di “ordinaria amministrazione” che vengono attesi nei servizi di base di ogni Municipio. Nel mio caso, ad esempio, si tratta di un trattamento antinfiammatorio con successivo riempimento osseo, per il quale è necessario l’uso additivo del laser per un ciclo di 10 applicazioni.
Grande stupore per l’ambiente in cui mi sono trovato, nel quale si avverte l’attaccamento dei lavoratori per mantenerlo in condizioni ottimali. Probabilmente parte del merito è anche del suo direttore, il Professor Dottor Ángel Felipe Alfonso che è il primo a cimentarsi col lavoro volontario. L'ho sorpreso con pennello e pittura in mano, ma essendo molto schivo, non ha voluto essere ritratto. Sulle pareti dei corridoi sono appesi dipinti quasi tutti con riferimento alla stomatologia mentre negli studi di consultazione e intervento ci sono murales che con una grafica piacevole danno consigli per la prevenzione delle affezioni dentarie e consigli sull’uso degli strumenti per una miglior igiene orale.
Nell’ampia e luminosa sala d’aspetto vi è montata la riproduzione di uno studio dentistico che, nel 1939, era il massimo dell’avanguardia tecnologica e che seppure utilizzato come puro arredamento “museale” credo svolgerebbe egregiamente le sue funzioni anche oggi.


La cortesia e premura del personale rispecchia il meglio della tradizione medica e paramedica cubana. Alla fine del trattamento il pagamento... si riceve... con sorrisi e parole gentili, rimane soltanto da dire muchas gracias por todo.









Manesco

MANESCO: ma ne vengo fuori

giovedì 2 ottobre 2014

La Lupe

La Lupe
Di Ciro Bianchi Ross


La Lupe, questa canzone con aria di “ranchera” che si considera una gioia della creazione musicale dell’Isola, fu scritta in Messico dal cubano Juan Almeida Bosque alla vigilia del suo ritorno a Cuba a bordo dello yacht Granma, come parte della spedizione comandata da Fidel Castro, per iniziare sulle montagne la lotta contro la tirannia di Fulgencio Batista. Il pezzo, che il suo autore classificò come un bolero e che nella partitura originale porta il titolo de Guadalupe, è una canzone d’amore e anche un omaggio alla donna messicana che accolse nel loro esilio i futuri integranti dell’Esercito Ribelle mentre svolgevano le loro esercitazioni guerrigliere. Ed è, allo stesso tempo, testimonianza di devozione alla Vergine di Guadalupe, patrona del Messico.

Me ne vado dalla tua terra,
messicana carina,
caritatevole e gentile,
e lo faccio con emozione
come se in lei rimanesse
un pezzo di me.
Me ne vado, bella Lupe,
e con te mi porto
un raggio di sole
che mi hanno dato i tuoi occhi,
vergine guadalupana,
il pomeriggio che ti vidi.

Juan, te ne vai?

Almeida conobbe Guadalupe un pomeriggio nel bosco di Chapultepec. La ragazza che si faceva accompagnare da sua sorella, abbagliò il cubano. Fu un frecciata che dette inizio a un romanzo destinato a non vivere per molto tempo. Correva già il 1956 e Almeida come parte delle forze di Fidel Castro, doveva tornare a Cuba. Era uno degli storici di quelle gesta. Tre anni prima, il 26 di luglio del 1953, aveva accompagnato il capo della Rivoluzione nel suo tentativo di impadronirsi della caserma Moncada a Santiago de Cuba e patì la prigione assieme a lui. In quei giorni, in Messico, Fidel proclamava la volontà dei suoi di essere “liberi o martiri” prima che finisse l’anno. Inoltre diceva: “Se parto, arrivo; se arrivo, entro; se entro trionfo”.
Lo yacht Granma salpa dal porto di Tuxpan con destinazione Cuba alla fine di novembre. Prima, in un giorno non precisato di quello stesso mese, Almeida e la ragazza si incontrano nel tempio della Vergine di Guadalupe. È l’ora del commiato.
-Cosa hai chiesto alla Vergine? – chiede lei
-Niente...e tu?
-Ho chiesto per te, perché tutto ti vada sempre bene.
-Bene, questo è abbastanza.
-Juan te ne vai?- alla domanda di Guadalupe seguì un lungo silenzio.
-Sì, ci stiamo preparando.
-Quando?
-Non lo so, presto. Abbiamo detto che torneremo quest’anno a Cuba e il tempo sta già per finire.
-Scriverai?
-Sì, appena posso.
-Questo mi consola. Riuscirà tutto bene, l’ho chiesto alla Vergine. Ti capisco. Capisco la strada che hai scelto e mi piacerebbe accompagnarti. So che è la tua vita. Ti ammiro. Ti amo.
Juan Almeida scriverà, anni dopo: Questo desiderio sublime che volli fosse indelebile, scriverlo, afferrarlo, inciderlo, scriverlo perché non se ne andasse come il vento o come l’acqua. Dirle: Me ne vado dalla tua terra,/ messicana carina e dire tutto quello che provo per il Messico, ma c’è qualcosa di più forte che mi chiama e urla: il dovere per la mia patria”.
Rondine senza nido
ero io nel cammino
quando ti conobbi.
Tu mi apristi il tuo petto
con amore  sincero,
io mi annidai in te.
E adesso che mi allontano
Per compiere il dovere.
Che la mia terra mi chiama
A vincere o morire,
non dimenticarmi Lupita,
ricordati di me.

Come Amelita nessuno

I versi viaggiavano verso Cuba col loro autore. Durante la traversata marittima, il foglio dov’erano scritti si bagna e si rovina. C’è brutto tempo. Uno degli spedizionari cade in mare e Fidel ordina che il battello si fermi fino al suo recupero. Alla fine arrivano alle coste cubane, sbarcano alla spiaggia de Las Coloradas. L’esercito e l’aviazione della tirannia incalzano gli spedizionari che si disperdono dopo il combattimento di Alegría del Pío. Li incitano ad arrendersi. “Qua non si arrende nessuno, cazzo!”, risponde Almeida. Degli 82 uomini arrivati col Granma, solo 12 si riuniscono dopo alcuni giorni, è il nucleo iniziale dell’Esercito Ribelle. Già nella Sierra Maestra, Ameida, ricostruisce il testo de La Lupe. Fidel non tarderà a promuoverlo Comandante, il più alto grado dell’Esercito Ribelle e ad affidargli il comando del III° Fronte di guerra. I suoi compagni conoscono a memoria La Lupe.
Il 1° gennaio del 1959 trionfa la Rivoluzione. Il Comandante Juan Almeida assume il comando dell’importante campo di Managua, alla periferia dell’Avana. Fino a lì arrivava con grande insistenza, una settimana sì e un’altra pure, la cantante Amelita Frades. In quele visite non c’dera niente a che vedere con la musica e l’arte. Si presentava con un’assiduità che cominciava a sentire inutile, per riscuotere gli onorari per i mobili del comando del campo che erano stati ordinati alla falegnameria di proprietà di suo marito e il cui pagamento era rimasto in sospeso alla caduta del governo di Batista. Gli ufficiali ribelli ai quali reclamava la liquidazione del debito, rimandavano la faccenda. In definitiva, dicevano, era cosa dell’Esercito sconfitto e non aveva niente a che vedere con il nuovo Esercito.
Stanca di dilazioni e risposte evasive, Amelita chiese di vedere il comandante Almeida. Il militare ascoltò la donna, comprese la giustezza della sua richiesta e ordinò che la si liquidasse immediatamente. Certo che la conosceva, l’aveva sentita spesso alla radio. Sapeva che aveva cantato con l’orchestra di Arcaño e le sue Meraviglie e poi con quella di Obdulio Morales e che era stata in tournée in Messico nel 1956 nei giorni del suo esilio.
-Guarda la combinazione...io scrivo canzoni- osò confessare Almeida e Amelita si interessò per conoscerle.
-Ebbene, ho scritto i testi, non la musica...la musica la memorizzo. Di queste c’e n’è una che mi piacerebbe lei valutasse. S’intitola La Lupe e la scrissi in Messico tre anni fa.
Almeida fischiò la melodia e il pianista Enrique Lesaga la trascrisse. Amelita Frades imparò il testo e cantò il pezzo in un programma di Radio Progreso. Immediatamente la CMQ la diffuse ed entrò nel catalogo della discografica Victor. Concorse ne la Lavagna Verde di Radio Progreso con la canzone El pajaro chogüi, interpretata dal venezuelano Hector Cabrera.
‘El pajaro –diceva Almeida- si ise sopra la mia canzone come un avvoltoio, come il passero all’insetto, più o meno fu così il lancio de La Lupe. La mia canzone la registrò Amelita Frades, come lei nessuno poté darle questa interpretazione speciale. Dopo la cantarono altri, ma mai superarono Amelita. A lei dedicai molto affetto e simpatia”.

Il mio ricordo più bello

Juan Almeida Bosque nacque all’Avana il 17 febbraio del 1927 e morì nella stssa città il 12 settembre del 2009. Fu membro del Buró Politico del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba e il terzo uomo nella scala del potere nell’Isola. Le Forze Armate gli conferirono il grado onorario di Comandante della Rivoluzione. Compose molto. Ala final del camino, A Santiago, Dame un traguito e Tiempo ausente sono solo pochi dei titolidelle decine e decine di canzoni che compose. Ha pubblicato anche diversi libri.
Almeida non ha mai dimenticato Lupe, quella ragazza che conobbe un pomeriggio nel Bosco di Chapultepec. L’ha cercata in ogni suo viaggio in Messico e le dedicò altre canzoni come quella che dice:
(...) oggi, con la polvere nei capelli
per andare nei sentieri
in transito di nuovo
in Messico un’altra volta,
voglio lasciarti, Lupe
il mio più bel ricordo
per essere stato tuo
e che anch’io ho amato.




La Lupe
Ciro Bianchi Ross

La Lupe, esa canción con aire de ranchera que se considera una joya de
la creación musical de la Isla, fue escrita en México,  por el cubano
Juan Almeida Bosque en vísperas de su regreso a Cuba a bordo del yate
Granma, como parte de la expedición comandada por Fidel Castro para
iniciar en las montañas la lucha armada contra la tiranía de Fulgencio
Batista.  La pieza, que su autor clasificó como un bolero y que en la
partitura original lleva el título de Guadalupe, es una canción de
amor y también un homenaje a la mujer mexicana que acogió en su exilio
a los futuros integrantes del Ejército Rebelde mientras hacían su
entrenamiento guerrillero. Y es asimismo testimonio de devoción por la
Virgen de Guadalupe, patrona de México.

Ya me voy de tu tierra,
mexicana bonita,
bondadosa y gentil,
y lo hago emocionado
como si en ella quedara
Un pedazo de mí.
Ya me voy, linda Lupe,
y me llevo contigo
un rayito de luz
que me dieron tus ojos,
virgen guadalupana,
la tarde en que te vi.

JUAN, ¿TE VAS?

Almeida conoció a Guadalupe una tarde en el Bosque de Chapultepec. La
muchacha, que se hacía acompañar por su hermana, deslumbró al cubano.
Fue un flechazo que dio inicio a un romance llamado a no vivir mucho
tiempo. Corría ya el año de 1956 y Almeida, como parte de las huestes
de Fidel Castro, debía regresar a Cuba. Era uno de los históricos de
aquella gesta.Tres años antes, el 26 de julio de 1953, había
acompañado al jefe de la Revolución en su intento de apoderarse del
cuartel Moncada, de Santiago de Cuba, y sufrió prisión junto a él. En
esos días, en México, Fidel proclamaba la voluntad de los suyos de ser
“libres o mártires” antes de que concluyera el año. Decía además: ”Si
salgo, llego; si llego, entro; si entro, triunfo”.

El yate Granma sale del puerto de Tuxpan con destino a Cuba a fines de
noviembre. Antes, en un día no precisado de ese mismo mes, Almeida y
la muchacha se encuentran en el templo de la Virgen de Guadalupe. Es
la hora de la despedida.

-¿Qué le has pedido a la Virgen? --pregunta ella.

-Nada... ¿Y tú?

-He pedido por ti, porque siempre todo te salga  bien.

-Pues ya eso es bastante.

-Juan, ¿te vas? --A la pregunta de Guadalupe siguió un largo silencio.

-Sí, nos estamos preparando.

-¿Cuándo?

-No sé, pronto. Hemos dicho que volveremos este año a Cuba y ya se
está cumpliendo el plazo.

-¿Escribirás?

-Sí, tan pronto pueda.

-Eso me consuela. Todo saldrá bien, se lo pedí a la Virgen. Te
comprendo. Entiendo el camino que has elegido y me gustaría
acompañarte. Sé que es tu vida. Te admiro.Te quiero.

Escribía Juan Almeida años más después: Ese deseo sublime que quise
que fuere indeleble, agarrarlo, grabarlo, escribirlo para que no se
fuera como el como el viento o el agua. Decirle: Ya me voy de tu
tierra, / mexicana bonita, y decir todo lo que siento por México, pero
hay algo más fuerte que me llama a gritos: el deber para con mi
patria”

Golondrina sin nido
era yo en el camino
cuando te conocí.
Tú me abriste tu pecho
con amor bien sentido,
yo me anidé en ti.
Y ahora que me alejo
para el deber cumplir
Que mi tierra me llama
a vencer o a morir,
no me olvides Lupita
Acuérdate de mí.

COMO AMELITA, NADIE

Los versos viajan a Cuba con su autor. Durante la travesía marítima,
el papel donde se escribieron se moja y deteriora. Hay mal tiempo. Uno
de los expedicionarios cae al agua y Fidel ordena que el barco detenga
la marcha a fin de rescatarlo. Llegan al fin a las costas cubanas,
desembarcan en la playa de Las Coloradas. El Ejército y la aviación de
la tiranía persiguen a los expedicionarios, que se dispersan tras el
combate de Alegría de Pío. Los instan a la rendición. “quí no se
rinde nadie, carajo”,responde Almeida. De los 82 hombres llegados en
el Granma, solo doce se reagrupan al cabo de los días, es el núcleo
inicial del Ejército Rebelde. Ya en la Sierra Maestra Almeida
reconstruye la letra de La Lupe. Fidel no demorará en ascenderlo a
Comandante, el grado más alto del Ejército Rebelde, y confiarle la
jefatura del III Frente de guerra. Sus compañeros se saben La Lupe de
memoria.

Triunfa la Revolución, el 1 de enero de 1959. El comandante Juan
Almeida asume el mando del importante campamento de Managua, en las
afueras de La Habana. Hasta allí, con machacona insistencia, llegaba,
una semana sí y la otra también, la cantante Amelita Frades. Nada con
la música ni el arte tenían que ver aquellas visitas. Acudía en un
empeño que ya le iba pareciendo inútil: cobrar los honorarios por los
muebles cuya confección  la jefatura del campamento había encargado a
la carpintería propiedad de su esposo y cuyo pago quedó pendiente al
desplomarse el gobierno de Batista. Los oficiales rebeldes a los que
reclamaba la liquidación del negocio, daban largas al asunto. En
definitiva, decían,  era cosa del Ejército derrotado y  nada tenía que
ver con ello  el nuevo Ejército.

Cansada de dilaciones y evasivas, Amelita pidió ver al comandante
Almeida. El militar escuchó a la mujer, comprendió la justeza de su
pedido y ordenó que se le liquidase lo suyo de inmediato. Claro que él
la conocía, la había escuchado mucho por radio. Sabía que cantó con la
orquesta de Arcaño y sus Maravillas y luego con la de Obdulio Morales
y que estuvo en México de gira en 1956, en los días de su exilio.

-Mire qué cosa... yo escribo canciones --se atrevió a confesar Almeida, y
Amelita se interesó por conocerlas.

-Bueno, tengo escritas las letras, no la música...La música, la
memorizo. De ellas, hay una que me gustaría que usted valorara. Se
titula La Lupe y la escribí en México hace tres años.

Almeida silbó la melodía y el pianista Enrique Lasaga la  transcribió.
Amelita Frades aprendió la letra y  cantó la pieza en un programa de
Radio Progreso. Enseguida la difundió CMQ y entró en el catálogo de la
disquera Víctor. Compitió en la Pizarra Verde, de Radio Progreso, con
la canción El pájaro chogüí, interpretada por el venezolano Héctor
Cabrera.

“El Pájaro -decía Almeida-- se le metió encima a mi canción como si
fuera una tiñosa, como el gorrión al pitirre, más o menos así fue el
lanzamiento de La Lupe. Mi canción la grabó Amelita Frades, como ella
nadie pudo darle esa interpretación especial. Después la cantaron
otros, pero nunca superaron a Amelita. A ella le tuve mucho afecto y
mucho cariño”.

MI MÁS BELLO RECUERDO

Juan Almeida Bosque nació en La Habana, el 17 de febrero de 1927 y
murió en la misma ciudad, el 12 de septiembre de 2009. Fue miembro del
Buró Político del Comité Central del Partido Comunista de Cuba, y el
tercer hombre en la escala del poder en la Isla. Las Fuerzas Armadas
le confirieron el grado honorífico de Comandante de la Revolución.
Compuso mucho. Al final del camino, A Santiago, Dame un traguito y
Tiempo ausente son solo unos pocos títulos de las decenas y decenas
de canciones que compuso. Publicó también varios libros.

Almeida nunca olvidó a Lupe, aquella muchacha que una tarde conoció en
el Bosque de Chapultepec. La buscó en cada uno de sus viajes a México,
y le inspiró otras canciones. Como aquella que dice:

(...) hoy, con polvo en los cabellos

de andar por los caminos,

en tránsito de nuevo

por México otra vez,

quiero dejarte Lupe

mi más bello recuerdo

por haber sido tuyo

también lo que yo amé.


Mandolino

MANDOLINO: invio Lino

mercoledì 1 ottobre 2014

Malvestito

MALVESTITO: abito color malva