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lunedì 9 novembre 2015

La buona tavola è anche cubana, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 6/11/15

Ajiaco  una voce cubana che vuol dire, metaforicamente, qualunque cosa mescolata di molte differenze miste. È un piatto in cui le carni più svariate si mescolano con vegetali e ortaggi. Per alcuni è l’equivalente della olla spagnola e chissà abbiano ragione, ebbene l’ajiaco fu all’inizio, la nel lontano XVI secolo, l’incontro tra il cocido spagnolo con le verdure cubane. Ancora nel XIX secolo la olla cubana o ajiaco, comprendeva i ceci tra i suoi ingredienti. Ma un bel giorno si soppressero i ceci e in quel momento la cucina cominciò a essere cubana.
Non fu un fatto casuale. Il cambio di gusto accompagnà l’affermazione della nazionalità. Allora, bere caffè nero e mangiare riso bianco con fagioli neri era un modo in cui i cubani avevano per distinguersi dagli spagnoli che preferivano la cioccolata, i ceci e la paella. E già da allora, per i cubani, l’amore entrava dalla cucina.
I grandi affluenti della cucina cubana sono la spagnola e l’africana. Ad esse si uniscono col tempo, ma con meno forza, elementi della cucina araba, cinese, italiane a caraibica. Il nordamericano, più che nella cucina in sé, influirà nell’impiego di alcuni prodotti e in uno modo di mangiare.
Gli intenditori coincidono in che la cucina cubana si differenzia dalla spagnola quando, lo schiavo domestico assume la cucina dei padroni, giacché questi non portavano cuochi dalla Spagna. Sarebbero lo schiavo negro o il cinese quelli che marcherebbero la differenza.
Per mezzo di schiavi e servitori negri nel palato cubano si installarono come il baccalà, il riso con pollo, il tasajo, il fufú di banana e quelle due glorie della culinaria nazionale che sono il congrí  e il riso moro. Anche il riso bianco, come cerale basico e piatto essenziale da combinare con altri alimenti. Il riso bagnato con guiso, è una cartteristica della cucina cubana. Nella maggior parte delle case, il riso si serve nei due pasti e per quanti siano i piatti in tavola, il cubano sente “che non ha mangiato” se non ha mangiato riso.
La preferenza per i dolci è un’altra costante del palato cubano; gusto questo, imposto e in che modo, l’industria zuccheriera. Anche il fritto, all’estremo che Nitza Villapol asseriva che “qualsiasi cibo che sia fritto, è cubano”.
La predilezione del cubano per le carni resta annotata nelle Cartas habaneras (1821), di Francis R.Jamesson, primo console britannico nella capitale cubana. Buon esempio di questa preferenza lo offre Cirillo Villaverde nel suo romanzo Cecilia Valdés. In esso, nel descrivere il pranzo della famiglia Gamboa, enumera i piatti che lo componevano: carne di mucca, carne di maiale fritta, carne in salsina, carne stufata, carne trita di vitella servito in una torta di casabe bagnato, pollo arrosto dorato in lardo e aglio, uova fritte quasi annegate in salsa di pomodoro, riso, banana matura fritta in lunghe e mielose fette, insalate di sedano e lattuga e per concludere, grandi tazze di caffè e latte pedr ognuno dei commensali.
La nordamericana Julia Howe nel suo Viaje a Cuba (1860) annota: “ la disordinata profusione di manicaretti” della tavola cubana. Non si pensi, senza alcun dubbio, alla tavola buffet. Nel suo libro Un artista a Cuba, Walter Goodman, pittore inglese che qua visse tra il 1864 e il 1869, scrive che ogni piatto si preparava separatamente, perciò a volte c’erano oltre 14 marmitte sulla tavola.
La Contessa di Merlin ricorda l’abitudine degli avaneri di ingerire, la mattina molto presto, una tazza di caffè – ciò che a Santiago de Cuba si chiamava il “tentempié”, vocabolo che giunge fino ad oggi e identifica la ingestione di qualunque cibo leggero, in mancanza di meglio -. Due o tre ore dopo, degustavano una caraffa di cioccolata.
Julia Howe è più esplicita col menù dei cibi che fece nell’Isola: parla del pane e del caffè nero, spesso “molto cattivo”, al risveglio e della colazione tra le nove e le dieci del mattino, a base di pesce, riso, bistecca, banane fritte, baccalà salato con pomodori, callos stufati, un brodino mediocre e una tazza di caffè o di the verde. La cena, tra le tre e le quattro del pomeriggio, non è meno abbondante: zuppa, carne al forno, pollo e tacchino, prosciutto, salsina, chayote, banana, insalata. Come dolce, un cucchiaio di conserva delle Indie Occidentali, arance, banane e una tazza di caffè o the.
Qualunque pretesto serve al cubano del XIX secolo per mangiare. Si sono cene nelle veglie funebri, merende negli intervalli delle commedie e delle opere drammatiche. Villaverde non trascura l’ambigú dopo un ballo alla Filarmonica dell’Avana, né l’inglese Goodman nemmeno, a Santiago di Cuba.
È Goodman che in Un artista a Cuba, offre il menù della veglia funebre alla quale si vedette costretto ad assistere a Santiago, richiesto dai familiari del defunto al fine che facesse il suo ritratto. Lì dove i presenti affogano la loro tristezza nel bicchiere che rallegra e nella conversazione che anima, si servirono dolci, biscotti, caffè, cioccolata e sigari Avana.

Tracce di identità

Cuba ha una cucina con accento proprio, gustosa e variata. Anche la sua cucina regionale è degna di essere presa in considerazione. Più che i piatti in sé, il “cubano” della cucina sono i condimenti e il modo di elaborare e presentare gli alimenti.
Così che per cucina cubana si intenderanno non solo quei piatti tipici, ma qualunque cibo che si adatti alle caratteristiche e al palato cubano. Allora, qualunque piatto della cucina internazionale si trasforma per acquisire una connotazione che lo parifica con i cosiddetti creoli o tradizionali.
Un piatto tanto tradizionale come l’aragosta all’indiana si “cubanizza” se si utilizza aglio nella sua elaborazione e si diminuisce il curry, mentre che l’aragosta termidor “cubanizzata” mantiene tutti gli ingredienti che caratterizzano questo piatto e in più aglio, peperoncino piccante, tomillo e mostarda che le danno sapore e odore differente. La paella creola, sostituisce il riso tipo Valencia per il suo grano lungo. Il cubano preferisce il succo di arancia amara per marinare le carni rosse e il limone per il pollo, i pesci e i frutti di mare. Elemento indispensabile per la finitura è il pepe macinato, altre spezie secche e alcune erbe aromatiche. Anche l’aglio, il pomodoro, il peperoncino, la cipolla...Si tratta di una cucina che abusa poco del piccante e nella quale la salsa non ammazza mai il sapore autentico del piatto. È un cibo che la popolazione, in generale, degusta molto cotta – compreso il pesce – e che mostra poco apprezzamento per le verdure e i frutti di mare. È ricca in fecola e evidenzia un’idolatria quasi feticista per le carni rosse.
La matrice alimentare del cubano include il riso, come cerale di base, un passato di fagioli, qualche elemento fritto e un dolce. La varietà la da il cambio nel colore dei fagioli. O nel riso e il tipo di ortaggi o il modo di prepararli. La colazione è quasi sempre frugale. Si tratta di una matrice molto radicata e pertanto, non facile da sostituire. Da lì vengono le raccomandazioni dei dietisti di sopperire agli ortaggi e il riso con verdure e vegetali con meno contenuto di carboidrati e più ricchi di vitamine, minerali, fibre e cellulose. Si attribuisce al riso una certa tendenza all’obesità che si evidenzia nei cubani, ma nell’opinione degli specialisti la questione non è quella. Più che nel riso in sé, è la maniera di cucinarlo e mescolarlo con altri alimenti.
Da tempi immemorabili, è abitudine del cubano portarsi il piatto al naso e con annusata sonora respingerlo o servirsene. In nessun posto e in nessuna circostanza il cubano mangia senza offrirne ai presenti. Ad ogni cubano, prima di mangiare piace come sua cortesia, offrire: Lei desidera? Vorrebbe accompagnarmi a tavola?
Una nostra cena tipica non lascerebbe fuori il congrí – mescolanza di riso bianco con fagioli rossi – e le bistecche di maiale fritte, tenere e fragranti; piatti che si accompagneranno con un’altro di deliziosa yuca condita e addobbata con sugo di arancia amara e aglio, con un piattino di banane verdi fritte e schiacciate a pugni – i cosiddetti tostones, tachinos o patacones, come le si conosce in altre latitudini.
Tanto cubana come questa cena, potrebbe essere un’altra che comprenda il riso nero – o moros con cristianos – che non è altro che riso bianco e fagioli neri conditi assieme e il picadillo a la habanera. Questo piatto, tanto frequente, non è altro che carne macinata ben condita con lauro, cipolla, aglio, peperone, pomodoro, origano, pepe, olive e uva passa a cui si mette sopra a cavallo, se si desidera, un uovo fritto e si addobba con peperoni dolci.
Con il mais tenero macinato, si fa il tamal a modo di salsina – qua si chiama “en cazuela” – o avvolto nelle foglie della propria pannocchia. La sua lavorazione è tutta un’arte e involucra, comunemente, più di un membro della famiglia.
La ropa vieja spicca anch’essa tra i piatti emblematici cubani. Villaverde la menziona nella sua Cecilia Valdés e lo fa anche Carlos Loveira nel suo romanzo Juan Criollo (1928). Ideale per combinare un buon passato di fagioli neri, coma la carne al forno che si marina con succo di arancia amara, sale pepato, origano, comino e alloro.

I dolci

Il 24 settembre del 1528, mediante una Bolla Reale, l’imperatore Carlos V, ordinava alle autorità coloniali dell’Isola di Cuba che favorissero e aiutassero tale Francisco de Soto  “in tutto quello che deliziosamente avesse luogo”. Soto era un pasticcere famoso e riconosciuto, un uomo che come pasticcere servì la regina
 Isabel la Católica e il re Felipe el Hermoso, nonna e padre dell’imperatore e anche se c’è da supporre che non venne a Cuba per fare dolci, se non ad arricchirsi con le donazioni di terra e le assegnazioni di indios, è bene pensare che contribuisse a fomentare la tradizione della pasticceria creola.
I dolci cubani abbagliarono Fanny Erskine Inglis, marchesa di Calderón de la Barca. Corre l’anno 1839 e al suo passaggio dall’Avana è invitata a una cena e cita nella sua testimonianza “che collocarono sulla tavola...immensi portafiori e candelabri di alabastro, così come centinaia di piatti di dolci e di frutta; i dolci erano in tutte le maniere immaginabili...” La Marchesa conclude che qui “il dolce risulta essere una curiosità per la varietà e il numero”.
La prefernza per il dolce è una delle costanti del palato cubano. Lo zucchero forma parte della nostra cultura alimentare. È un gusto che impone l’industria zuccheriera; i negri schiavi, per recuperarsi dalla fatica che gli occasionava il duro lavoro a cui erano sottomessi nelle piantagioni di canna, ingeriva zucchero in grandi quantità, quasi sempre in blocchi e il delizioso guarapo che è il succo della canna. In tempi difficili, il cubano è ricorso alla “zuppa di gallo” che non è altro che acqua con zucchero grezzo.
Come la frutta, alcuni ortaggi sono molto utilizzati nella pasticceria cubana. Con boniato e yuca si prepara quella delizia delle delizie che sono i buñuelos. Si cuociono la yuca e il boniato in acqua bollente e senza lasciarli ammorbidire troppo. Poi si macinano e si impastano con uova sbattute, anice, sale e farina. Si divide questa pasta in porzioni, si da aqueste porzioni la forma del numero 8, si friggono in olio bollente e poi i buñuelos con un buon sciroppo, al momento di servirli...
Viene l’acquolina in bocca.



 La buena mesa también es cubana
Ciro Bianchi Ross digital@juventudrebelde.cu
7 de Noviembre del 2015 20:36:09 CDT

Ajiaco es una voz cubana que quiere decir, metafóricamente, cualquier
cosa revuelta de muchas diferencias confundidas. Es un plato en el que
las carnes más variadas se mezclan con vegetales y hortalizas. Para
algunos es el equivalente de la olla española, y tal vez tengan razón,
pues el ajiaco fue en un comienzo, allá en el lejano siglo XVI,  el
encuentro del cocido español con las viandas cubanas. Todavía en el
siglo XIX la olla cubana o ajiaco incluía los garbanzos entre sus
ingredientes. Mas un buen día se suprimieron los garbanzos y ahí mismo
la cocina comenzó a ser cubana.
No fue un hecho casual. El cambio de gusto acompañó a la afirmación de
la nacionalidad. Entonces beber café tinto y comer arroz blanco con
frijoles negros era una manera que los cubanos tenían de distinguirse
de los españoles, quienes preferían el chocolate, los garbanzos y la
paella. Y ya desde  entonces, para los cubanos, el amor entraba por la
cocina.
Los grandes afluentes de la cocina cubana son la española y la
africana. A ellas se suman con el tiempo, pero con menos fuerza,
elementos de las cocinas árabe, china, italiana y caribeña. Lo
norteamericano, más que en la cocina en sí, influirá en el empleo de
algunos productos y en un estilo de comer.
Coinciden los entendidos en que la cocina cubana se diferencia de la
española cuando el esclavo doméstico asume la cocina de los amos, ya
que estos no traían cocineros de España. Sería el esclavo negro o el
criado chino los que sentarían la diferencia.
Por la vía de esclavos y criados negros se instalaron en el paladar
cubano  platos como el bacalao, el arroz con pollo, el tasajo, el fufú
de plátano y esas dos glorias de la culinaria nacional que son el
congrí y el arroz moro. También el arroz blanco como cereal básico y
plato esencial para combinar con otros alimentos. El arroz mojado con
el guiso es una característica de la cocina cubana. En la mayor parte
de las casas el arroz se sirve en las dos comidas y, por muchos que
sean los platos a la mesa, el cubano siente que «no ha comido» si no
comió arroz.
La preferencia por los dulces es otra de las constantes del paladar
cubano; gusto este que impuso, y de qué forma, la industria azucarera.
También lo frito, al extremo que Nitza Villapol aseveraba que
«cualquier comida que esté frita es cubana».
La predilección del cubano por las carnes queda anotada en las Cartas
habaneras (1821) de Francis R. Jamesson, primer cónsul británico en la
capital cubana. Buen ejemplo de esa preferencia lo ofrece Cirilo
Villaverde en su novela Cecilia Valdés. En ella, al describir el
almuerzo de la familia  Gamboa, enumera los platos que lo conformaban:
carne de vaca, carne de puerco frita, carne guisada, carne estofada,
picadillo de ternera servido en una torta de casabe mojado, pollo
asado relumbrante en manteca y ajo, huevos fritos casi anegados en
salsa de tomate, arroz, plátano maduro frito en luengas y melosas
tajadas, ensaladas de berro y lechuga y, para rematar, sendas tazas de
café con leche para cada uno de los comensales.
La  norteamericana Julia Howe en su Viaje a Cuba (1860) apunta «la
desordenada profusión de manjares» de la mesa cubana. No se piense en
la mesa buffet, sin embargo. En su libro Un artista en Cuba, escribe
Walter Goodman, pintor inglés que vivió aquí entre 1864 y 1869, que
cada plato se presentaba por separado, por lo que a veces había más de
14 fuentes en la mesa.
La Condesa de Merlin recuerda la costumbre de los habaneros de
ingerir, muy temprano en la mañana, una taza de café —lo que en
Santiago de Cuba se denominaba el «tentempié», vocablo que llega hasta
hoy e identifica la ingestión de cualquier alimento ligero a falta de
algo mejor—. Dos o tres horas después degustaban un jarro de
chocolate.
Julia Howe es más explícita con el menú de las comidas que hiciera en
la Isla: habla del pan y del café negro, «frecuentemente muy malo», al
levantarse, y del desayuno entre las nueve y las diez de la mañana, a
base de pescado, arroz, bistec, plátanos fritos, bacalao salado con
tomates, callos estofados, un clarete mediocre y una taza de café o de
té verde. La comida, entre las tres y las cuatro de la tarde, no es
menos abundante: sopa, carne asada, pollo y pavo, jamón, guiso,
chayote, plátano, ensalada. Y de postre, una cucharada de conserva de
las Indias Occidentales, naranjas, bananas y una taza de café o de té.
Cualquier pretexto sirve al cubano del siglo XIX para el yantar. Hay
comidas en los velorios, meriendas en los intermedios de las comedias
y las obras dramáticas. Villaverde no pasa por alto el ambigú luego de
un baile en la Sociedad Filarmónica de La Habana, ni el inglés Goodman
tampoco, en Santiago de Cuba.
Es Goodman quien, en Un artista en Cuba, ofrece el menú del velorio al
que se vio obligado a asistir en Santiago, reclamado por los
familiares del difunto a fin de que hiciera su retrato. Allí, donde
los asistentes ahogan su tristeza en la copa que alegra y en la charla
que anima, se sirvieron dulces, bizcochos, café, chocolate y puros
habanos.

Señas de identidad

Cuba tiene una cocina con acento propio, rica y variada. Su cocina
regional es también digna de tomarse en cuenta. Más que los platos en
sí, lo cubano en la cocina es la sazón y la forma de elaborar y
presentar los alimentos.
Así, por cocina cubana se entenderá no solo aquellos platos típicos,
sino cualquier comida que se adapte a la idiosincrasia y al paladar
cubano.  En resumen, que haya sido marinada, cocida y presentada a la
cubana. Entonces cualquier plato de la cocina internacional se
transforma para adquirir una connotación que lo empareja con los
llamados criollos o tradicionales.
Un plato tan internacional como la langosta a la indiana se «cubaniza»
si se utiliza ajo en su elaboración y se le disminuye el curry, en
tanto que la langosta termidor «cubanizada» lleva todos los
ingredientes que caracterizan a ese plato, y además ajo, ají guaguao,
tomillo y mostaza, que le dan sabor y olor diferentes. La paella
criolla sustituye el arroz tipo Valencia por el de grano largo.
El cubano prefiere el zumo de naranja agria para marinar las carnes
rojas, y el limón para el pollo, los pescados y los mariscos. Elemento
indispensable para el adobo son la pimienta molida, otras especias
secas y algunas yerbas aromáticas. También el ajo, el tomate, el ají,
la cebolla… Se trata de una cocina que abusa poco del picante y en la
que la salsa no mata nunca el sabor auténtico del plato. Es una comida
que la población, por lo general, degusta muy hecha —incluso los
pescados— y que muestra poco aprecio por las verduras y los frutos del
mar.  Es rica en féculas y evidencia una idolatría casi fetichista por
las carnes rojas.
El patrón alimentario del cubano incluye el arroz, como cereal básico,
 un guiso de frijoles, algún alimento frito y un dulce. La variedad la
da el cambio en el color del frijol. O en el arroz y la clase de
vianda o forma de prepararla. El desayuno es casi siempre frugal. Se
trata de un patrón muy arraigado y, por tanto, no fácil de sustituir.
De ahí que se rechacen las recomendaciones de los dietistas de suplir
las viandas y el arroz por verduras y vegetales con menos contenido de
carbohidratos y más ricos en vitaminas, minerales, fibras y celulosas.
Se atribuye al arroz cierta tendencia a la obesidad que se evidencia
en los cubanos, pero en opinión de especialistas la cuestión no es
tal. Más que el arroz en sí, es la forma de cocinarlo y mezclarlo con
otros alimentos.
Es costumbre del cubano, desde tiempos inmemoriales, llevarse el plato
a la nariz y con un husmeo audible rechazarlo o servirse de él. En
ninguna circunstancia ni en ningún lugar el cubano come sin invitar a
los presentes. A todo cubano, antes de comer, le complace, como gracia
especial suya, ofrecer: ¿Gusta usted? ¿Quisiera usted acompañarme a la
mesa?
Una cena típica nuestra no dejaría fuera al congrí —guiso de arroz
blanco con frijoles colorados— y las masas de cerdo fritas, suaves y
fragantes; platos que se acompañarían con otro de la deliciosa yuca
salcochada y aderezada con un mojo de naranja agria y ajo, y con un
platillo de plátanos verdes fritos y aplastados a puñetazos —los
llamados tostones o tachinos o patacones, como se les conoce en otras
latitudes.
Tan cubana como esa cena podría ser otra que incluya el arroz moro —o
moros con cristianos— y que no es más que arroz blanco y frijoles
negros guisados juntos, y el picadillo a la habanera. Este plato, tan
recurrido, no es más que carne molida bien condimentada con laurel,
cebolla, ajo, pimentón, tomate, orégano, pimienta, aceitunas y pasas,
y a la que se le pone encima, cabalgándola, si se desea, un huevo
frito y se adorna con pimientos morrones.
Con el maíz tierno molido se hace el tamal en forma de guiso —se le
llama aquí «en cazuela»— o envuelto en las hojas de la propia mazorca.
Su elaboración es todo un arte e involucra, comúnmente, a más de un
miembro de la familia.
La ropa vieja sobresale asimismo entre los platos emblemáticos
cubanos. Villaverde la menciona en su Cecilia Valdés, y lo hace
también Carlos Loveira en su novela Juan Criollo (1928). Ideal para
combinar con un buen guiso de frijoles negros, al igual que la carne
asada, que se marina con zumo de naranja agria, sal pimentada,
orégano, comino y laurel.

Los postres

El 24 de septiembre de 1528, mediante una Real Cédula, el emperador
Carlos V ordenaba a las autoridades coloniales de la Isla de Cuba que
favorecieran y ayudaran a un tal Francisco de Soto «en todo lo que
buenamente hubiera lugar». Soto era un repostero famoso y de postín,
un hombre que como dulcero sirvió a la reina Isabel la Católica y al
rey Felipe el Hermoso, abuela y padre del emperador, y aunque es de
suponer que no vino a Cuba a hacer dulces, sino a enriquecerse con las
mercedes de tierra y las encomiendas de indios, es bueno pensar  que
contribuyera a fomentar la tradición de la repostería criolla.
Los dulces cubanos deslumbraron a Fanny Erskine Inglis, Marquesa de
Calderón de la Barca. Corre el año de 1839 y a su paso por La Habana
es invitada a una cena y advierte en su testimonio «que colocaron
sobre la mesa… inmensos floreros y candelabros de alabastro, así como
centenares de platos de dulces y de frutas; los dulces eran de todas
las descripciones inimaginables…» Concluye la Marquesa que aquí «el
postre resulta una curiosidad por lo variado y numeroso».
La preferencia por el dulce es una de las constantes del paladar
cubano. El azúcar forma parte de nuestra cultura alimentaria. Es un
gusto que impone la industria azucarera: los negros esclavos para
sobreponerse a la fatiga que ocasionaba el duro trabajo al que se les
sometía en las plantaciones cañeras, ingerían azúcar en grandes
cantidades, casi siempre en forma de raspadura y el delicioso guarapo,
que es el zumo de la caña. En tiempos difíciles, el cubano  ha
recurrido a la sopa de gallo, que no es más que agua con azúcar
prieta.
Al igual que las frutas, algunas viandas son muy utilizadas en la
repostería cubana. Con boniato y yuca  se prepara esa delicia de
delicias que son los buñuelos. Se cocinan la yuca y el boniato en agua
hirviendo y sin que se ablanden demasiado. Se muelen entonces y se
amasan con huevo batido, anís, sal y harina. Se toma esa masa por
porciones, se da a esas porciones forma de número 8 y se fríen en
aceite caliente y se bañan los buñuelos con una buena almíbar en el
momento de servirlos…
La boca se hace agua.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blog







giovedì 5 novembre 2015

Primi "effetti Obama" concreti...

Fonte: El Nuevo Herald


CUBA

NOVIEMBRE 5, 2015
Cuba autoriza a primera empresa de EEUU para instalarse en Zona de Mariel
La empresa productora de tractores Cleber se ha convertido en la primera compañía de EEUU en recibir autorización para instalarse en la Zona de Mariel
La empresa busca establecer una ensambladora de pequeños tractores en la ZEDM
Cuba inauguró este lunes FIHAV 2015, que reúne a más de 900 empresas presentes en la cita, entre ellas 26 procedentes de Estados Unidos



Vista de la futura Zona Especial de Desarrollo del Mariel, en Artemisa, Cuba. Alejandro Ernesto EFE


EFE
·          
·           LA HABANA 

La empresa productora de tractores Cleber se ha convertido en la primera compañía estadounidense en recibir la autorización del gobierno de Cuba para instalarse en la Zona Especial de Desarrollo de Mariel (ZEDM), según informó el miércoles la televisión estatal de la isla.
La empresa estadounidense, con sede en Alabama, busca establecer una ensambladora de pequeños tractores en la ZEDM, un proyecto todavía en construcción de un puerto mercante y un gran centro empresarial, con el que Cuba pretende impulsar la economía nacional, generar exportaciones, captar inversión extranjera y generar empleo.
Según el reporte televisivo, los propietarios de Cleber, los empresarios Horace Clemmons y Saul Berenthal, esperan aún por la aprobación de su proyecto por la Oficina de Control de Activos Extranjeros (Ofac) del Departamento del Tesoro de los Estados Unidos para poder instalarse allí.
Uno de los empresarios de Cleber, que asiste a la 33 Feria Internacional de La Habana (FIHAV 2015), dijo al telediario que a finales de julio pasado realizaron su petición de licencia a la Ofac.
La firma fue autorizada hace unos meses por el gobierno de Cuba para instalar un centro de ensamblaje y manufacturación de tractores en el país.
La directora general de la Oficina de la ZEDM, Ana Teresa Igarza, animó a empresas estadounidenses a interesarse por las posibilidades de esa zona a pesar de que la ley del embargo que Washington aplica contra Cuba todavía les impide invertir directamente en la isla, en unas declaraciones a medios oficiales de la isla.
El proyecto del Mariel y la Ley de Inversión Extrajera, aprobada en la isla en marzo de 2014, son dos de los instrumentos emprendidos por Cuba para relanzar su debilitada economía y captar los 2,500 millones de dólares anuales que necesita la isla para que su economía sea sostenible.
Hasta el momento están aprobadas en el Mariel inversiones de ocho empresas, de ellas seis extranjeras: dos belgas, dos mexicanas, una española y la estadounidense.
En la Zona Especial del Mariel se trabaja actualmente en la captación de inversiones, la creación de infraestructura, como las carreteras y vías férreas que conectan con el puerto.
Cuba inauguró este lunes FIHAV 2015, que reúne a más de 900 empresas presentes en la cita, entre ellas 26 procedentes de Estados Unidos, marco en el que también se reunió por primera vez en La Habana el Consejo de Negocios Cuba-EEUU, creado en Washington el pasado septiembre por las Cámaras de Comercio de ambos países.



mercoledì 4 novembre 2015

Venale

VENALE: relativo alla circolazione

martedì 3 novembre 2015

Il messaggio a García, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 1°/11/15 

Correva la sera del 22 febbraio 1899 e il giornalista nordamericano Elbert Green Hubbard, della rivista Philistine pressato per l’ora della chiusura, si arrovellava il cervello davanti al foglio bianco. I temi che aveva scartabellato per la giornata e quelli di cui aveva alcuni appunti gli sembravano, giunto il momento di scriverli, troppo senza sostanza o carenti di interesse, incapaci di entusiasmare il lettore e farlo leggere fino alla fine. Improvvisamente credette di avere una buona storia, ma la scartò quando non era ancora arrivato alla metà del secono foglio. Se annoiava lui, allora come lo accoglierebbe quindi chi lo leggesse? Accigliato, asciugò il pennino metallico della penna sul bordo del calamaio e la posò con cura sulla scrivania, come se dovesse rimanere così per molto tempo. In circostanze simili, gli tornava utile giocare con gli oggetti che adornavano il suo scrittorio, sopratutto con quella palla dalle iscrizioni incomprensibili che gli regalò suo padre quando era bambino e che conservava, da allora, come una reliquia, ma ad esso nemmeno quello.
Hubbard si alzò in piedi e uscì dallo studio nel sentire che suo figlio Bert si muoveva nel salone attiguo. La conversazione, senza capo ne coda, li condusse al tema della guerra che gli Stati Uniti sferrò contro la Spagna a Cuba e Hubbard affermò che il maggior generale Calixto García, Luogotenente dell’Esercito di Liberazione, nel garantire con successo lo sbarco di 16.000 soldati nordamericani e nel tracciare il piano d’azione che portò alla resa della città di Santiago de Cuba, nel quale ufficiali e soldati cubani assunsero il ruolo peggiore, era l’eroe della contesa. Bert non nascose il suo disaccordo. Il vero eroe della cosiddetta guerra hispano-cubano-americana, disse con enfasi, non era il generale Holguinero, ma il tenente Andrew Summers Rowan.
Rowan! Questo sì era un tema che valeva la pena sfruttare. Hubbard tornò al suo studio per applicarsi al suo nuovo lavoro. Adesso la penna scorreva sulla carta, poteva a malapena seguire il ritmo del suo pensiero. Senza il minor rispetto per la verità storica, Hubbard trasformò il viaggio del tenente Rowan a Cuba, al fine di trasmettere a Calixto un messaggio verbale del Presidente degli Stati Uniti, “in un’odissea individuale, carica di pericoli, combattimenti e imprese incredibili, realizzabili solo da un nordamericano, chiara evidenza del senso razzista che animava il suo testo”.

Nasce un best seller

Nsceva così El mensaje a García (A message to García). Una rivista di Filadelfia aveva incaricato a Hubbard un articolo di contorno e il giornalista in cambio fabbricava “una legenda degna di un romanzo di avventure”. SuccesCentraso editoriale che finì per convertirsi nel primo best seller della letteratura e giornalismo degli Stati Uniti. Non era trascorsa una settimana dalla sua pubblicazione originale, quando la Compañia de Noticias chiese l’autorizzazione all’autore per stampare mille copie del messaggio e la Ferrovia Centrale di New York ottenne di riprodurlo in milioni di volantini. Un mese più tardi era già stato riprodotto da 200 riviste e giornali di quel Paese.
Al principe Andrei Hilakoff, direttore delle Ferrovie di Russia, il materiale sembrò interessante e lo fece tradurre in russo per ripartirne copia a tutti i dipendenti della sua azienda. Si rese popolare in Francia, Spagna e Germania. Nel 1905, nella guerra col Giappone, ogni soldato russo aveva nel suo zaino un esemplare de Il Messaggio a García. Mosca perse quella contesa, ma Tokio attribuí un valore maggiore al testo e tradotto, ne fu distribuita una copia a ognuno dei sudditi civili e militari del Sol Nascente.
Anche Hollywood mise il suo granello di sabbia. Con l’attuazione di Wallace Beary, uno dei più avanzati dell’allora balbettante “sistema delle stelle”, nella parte del tenente Rowan, si portò al cine l’articolo di Hubbard. Diciamo, di passo, che una incipiente Hollywood sfruttò la guerra di Cuba non solo nell’area della fiction, ma anche nel documentario: la Vitagraph Company filmò qua le prime immagini in movimento di una guerra reale.
Nel 1909, dieci anni dopo aver visto la luce per la prima volta, raggiungeva tirate di 40 milioni di esemplari. Una recente informazione asseriva che tradotto a lingue potabili o non potabili, raggiungeva già i cento milioni di copie. Fino dove sa lo scriba, Il Messaggio a García continua ad essere motivo di studio e riferimento nelle scuole nordamericane e la sua lettura è obbligatoria per quelli che mediante corsi autonomi si sforzano di sapere come si raggiunge il comando.

Diplomato di West Point

Nell’aprile del 1898, giorni prima che Washington dichiarasse formalmente la guerra alla Spagna – c William iò che accadde il 25 di quel mese – il presidente William McKinley chiamò nel suo studio della Casa Bianca il generale Nelson Miles, capo dell’Esercito. Si richiedeva un ufficiale che entrasse a Cuba e si mettesse in contatto col maggior generale Calixto García, secondo al comando delle truppe mambisas e capo della zona orientale. Questo ufficiale sarebbe entrato nell’Isola vestito da civile e senza nessun documento d’identità e avrebbe trasmesso verbalmente il messaggio del Presidente.
McKinley voleva conoscere la composizione dell’Esercito di Liberazione e ottenere da Calixto l’im, capo dell’intelligenzapegno di appoggiare lo sbarco nordamericano e la guerra che da lì si sarebbe scatenata.
Consultato da Miles, il colonnello Artur Wagner capo dell’Intelligenza, raccomandò il tenente Andrew Summers Rowan, un diplomato dell’Accademia di West Point che dominava la lingua spagnola e aveva compiuto missioni segrete in America Latina.
Penetrare in modo clandestino in un Paese in guerra con motivo di intervistarsi, in rappresentazione di una potenza straniera, con uno dei massimi capi dell’insurrezione, è una missione rischiosa e difficile. Richiede coraggio ed equanimità per svolgerla. Il tenente Rowan la compì con successo. Al suo ritorno a Washington vene ricompensato con la promozione al grado di tenente colonnello.
Quello che omette il giornalista Ebert Green Hubard nel suo articolo, è che Rowan
dal momento in cui gli si affidò il compito fino al suo ritorno negli Stati Uniti, ebbe l’appoggio di decine di cubani conoscitori delle coste orientali e dei territori occupati dalle forze independentiste. Nello sbarcare nell’insenatura di Mora, al sud dell’antica provincia di Oriente, lo aspettavano giovani ufficiali, alcuni di loro educati negli Stati uniti che gli servirono da guida fino alla città di Bayamo dove, dopo l’intervista, Calixto lo invitò alla festa che organizzarono in suo onore varie famiglie cubane.
Niente di questo si dice nelle pagine scritte da Hubbard. In cambio, il giornalista, parla di come Rowan riceve e trasmette il messaggio senza che nessuno gli fornisca informazioni o mezzi per incontrare García. Percorrerà l’Isola a piedi da costa a costa e lo farà in mezzo a una natura ostile che pure è su nemica: fiumi ingrossati, montagne inaccessibili, temporali inclementi. Correrà mille pericoli e alla fine, senz domandare niente a nessuno, arriverà dove García si nasconde nelle selve cubane.
Al di la delle peripezie di Andrew Summers Rowan a Cuba e il già notato senso razzista nella sua cronaca, emerge in Il messaggio a García la capacità del protagonista di superare qualunque ostacolo con obbedienza cieca,, esponente com’è di un popolo che si crede eletto per reggere i destini dell’umanità. L’importante è espletare il compito in modo immediato, senza reticenze o vacillazioni, dice Hubbard e risalta inoltre la parte del compromesso e la volontà di eseguire i compiti che si assumono. Sostiene che il mondo ha bisogno di “molti Rowan” e che esistono sospesi da consegnare , molti “messaggi a García”. Nella cultura nordamericana “il messaggio a García” è una frase che incita a realizzare compiti difficili.
Scrive, Hubbard: “Esiste un uomo la cui immagine si deve incidere in bronzo immortale...un uomo che fu leale alla fiducia depositata in lui...quello che portò il messaggio a García”.

I fatti

Appena Rowan seppe a Washington, dopo la sua intervista con il capo dell’Esercito, della missione che doveva compiere, prese il treno espresso con deztinazione New York. Lì, il 15 aprile, Gonzalo de Quesada e Tomás Estrada Palma, delegato del Partito Rivoluzionario Cubano, lo istruirono per trasferirsi in Giamaica e si intervistasse con Octavio Lay, rappresentante del Partito a Kingston. Partì il 18 e Lay lo mise in contatto con il comandante Gervasio Sabio che doveva portarlo a Cuba. Sabio e Rowan, in compagnia di vari cubani, fecero il viaggio in una fragile imbarcazione e nell’insenatura di Mora, ai piedi della Sierra Maestra, li aspetta uno squadrone di cavalleria al comando del tenente Eugenio Fernández Barrot. Questi portò i neo arrivati alla presenza del generale Salvador Ríos, capo delle truppe cubane di Manzanillo, il quale ordinò a tenente Fernández di portare il militare nordamericano all’accapamento di Calixto García, ovunque si trovasse.
Fernández seppe subito che Calixto era a Bayamo. Nella casa, di qusta città che gli serviva da quartier generale, il capitano Aníbal Escalante (padre), aiutante di guardia, ricevette Rowan. Immediatamente annunciò il suo arrivo al colonnello Tomás Collazo, capo di Stato Maggiore di calixto e il Generale non tardò a ricevere il visitatore. Solo il colonnello Collazo asistette al colloquio. Terminato questo, Rowan si riunì con gli aiutanti del Generale ed ebbe frasi di elogio per l’insigne capo che gli dispensò un’accoglienza tanto grata. Era il 1° maggio. Quello stesso giorno, l’armata americana distrusse completamente, in solo poche ore, la squadra spagnola del Pacifico nella baia di Cavite, Filippine.
Nelle prime ore del giorno 2, Rowan cercò la costa nord e si mise in mare con una barca. Lo accompagnavano il generale Enrique Collazo, il colonnello Charles Hernández e il tenente Nicolás Valbuena Mayedo (marinaio) che portavano la risposta di Calixto García al governo di Washington. Una nave con bandiera americana li raccolse in alto mare eli condusse a Key West. Da lì proseguirono il viaggio verso la capitale nordamericana.

Finale

Il giornalista Elbert Green Hubbard nacque il 19 di giugno del 1851 a Bloomington, Illinois. Morì il 7 maggio del 1915 quando la nave in cui viaggiava. Il transatlantico Lusitania,fu silurato da un sommerghibile tedesco a una decina di miglia al sud dell’Irlanda, azione che provocò oltre cento morti e determinò l’ingresso degli Stati Uniti nella prima Guerra Mondiale.
Rowan morì nel 1943. Allora si installò un suo busto, opera del cubano Hernàndez Giró, nello scomparso parco Maine, nel Malecón avanero, a un lato dell’hotel Nacional. Lì c’erano: il presidente Batista che pagò il piedestallo di marmo della scultura, il vice presidente Cuervo Rubio e il primo ministro Ramón Zaydín, soprannominato “Mongo Pillería”. Non mancavano altre figure del Governo e del corpo diplomatico. Ci furono diversi oratori, fra di loro, l’incaricato d’affari degli Stati Uniti e alla fine sfiló un gruppo di mambises e una rappresentanza dell forze armate. Il tenente Eugenio Fernández non appare nella lista degli invitati all’atto.


El mensaje a García
Ciro Bianchi Ross • 
digital@juventudrebelde.cu
31 de Octubre del 2015 23:35:11 CDT

Transcurría la noche del 22 de febrero de 1899 y el periodista
norteamericano Elbert Green Hubbard,  de la revista Philistine,
apremiado por la hora del cierre, se devanaba los sesos ante el papel
en blanco. Los temas que había barajado para la jornada y de los que
tenía algunos apuntes, le parecían, llegado el momento de escribirlos,
 demasiado insustanciales o carentes de interés, incapaces de
entusiasmar al lector y hacerlo leer hasta el final. De golpe creyó
tener una buena historia, pero la rechazó cuando todavía no había
llenado la mitad de la segunda cuartilla. Si lo aburría a él, cómo la
acogería entonces el que la leyera. Abrumado, escurrió la pluma de
punto metálico en los bordes del tintero y la colocó con cuidado  en
la escribanía, como si debiera permanecer así durante largo tiempo. En
situaciones semejantes, le daba resultado jugar con los objetos que
adornaban su escritorio, sobre todo con aquella bola de inscripciones
incomprensibles que, de niño, le regaló su padre y que conservaba
desde entonces como una reliquia, pero ahora ni eso.
Hubbard se puso de pie y salió del estudio al escuchar que su hijo
Bert se movía en el salón contiguo. La conversación, sin orden ni
concierto, los llevó al tema de la guerra que Estados Unidos libró en
Cuba contra España, y Hubbard aseguró que el mayor general Calixto
García, Lugarteniente General del Ejército Libertador,  al garantizar
el desembarco exitoso de 16 000 soldados norteamericanos y trazar el
plan de acción que conduciría a la rendición de la ciudad de Santiago
de Cuba, en el que oficiales y soldados cubanos llevaron la peor
parte, era el héroe de la contienda. Bert no ocultó su desacuerdo. El
verdadero héroe de la llamada guerra hispano-cubano-americana, dijo
con énfasis, no era el general holguinero, sino el teniente Andrew
Summers Rowan.
¡Rowan!  Ese sí era un tema que valía la pena explotar. Hubbard volvió
a su estudio para aplicarse de nuevo sobre su trabajo. Ahora la pluma
corría sobre el papel, pero apenas podía seguir el ritmo de su
pensamiento. Sin el menor respeto por la verdad histórica, Hubbard
transformó el viaje del teniente Rowan a Cuba, a fin de transmitir a
Calixto un mensaje verbal del Presidente de los Estados Unidos, «en
una odisea individual, cargada de peligros, combates y hazañas
increíbles, solo realizables por un norteamericano, clara evidencia
del sentido racista que animaba su texto».

Nace un best seller

Nacía así El mensaje a García (A Message to García). Una revista de
Filadelfia había encargado a Hubbard un artículo de relleno y el
periodista fabricaba en cambio «una leyenda digna de una novela de
aventuras». Suceso editorial que terminó convirtiéndose en el primer
best seller de la literatura y el periodismo de Estados Unidos. No
había transcurrido una semana de su publicación original cuando la
Compañía de Noticias pidió autorización al autor para imprimir mil
copias del mensaje, y el Ferrocarril Central de Nueva York obtuvo
reproducirlo en un millón de folletos. Un mes más tarde había sido
reproducido ya por 200 revistas y periódicos de ese país.
Al príncipe Andrei Hilakoff, director de los ferrocarriles de Rusia,
el material le pareció interesante y lo hizo traducir al ruso y
repartió copias entre todos los empleados de su empresa. Se popularizó
en Francia, España y Alemania. En 1905, en la guerra con Japón, cada
soldado ruso llevaba en su mochila un ejemplar de El mensaje a García.
Moscú perdió aquella contienda,  pero Tokio le atribuyó un valor
especial al texto y, traducido, destinó una copia a cada uno de los
súbditos civiles y militares del imperio del Sol Naciente.
Hollywood puso también su granito de arena. Con la actuación de
Wallace Beary, uno de los adelantados del entonces balbuceante
«sistema de estrellas», en el papel del teniente Rowan, se llevó al
cine el artículo de Hubbard. Digamos de paso que un incipiente
Hollywood explotó la guerra de Cuba no solo en el área de la ficción,
sino además en la documental: la Vitagraph Company filmó aquí las
primeras imágenes en movimiento de una guerra real.
En 1909, diez años después de haber visto la luz por primera vez,
alcanzaba tiradas por 40 millones de ejemplares. Una información
reciente aseguraba que, traducido a idiomas potables e impotables,
llegaba ya a los cien millones de copias. Hasta donde sabe el
escribidor, El mensaje a García sigue siendo motivo de estudio y
referencia en escuelas norteamericanas, y su lectura es obligatoria
para los que mediante cursos de autoayuda se esfuerzan por saber cómo
se logra el liderazgo.

Graduado de West Point

En abril de 1898, días antes de que Washington declarara formalmente
la guerra a España —lo que ocurre el 25 de ese mes—  el presidente
William McKinley llamó a su despacho de la Casa Blanca al general
Nelson Miles,  jefe del Ejército. Se requería de un oficial que
entrase en Cuba y localizase al mayor general Calixto García, segundo
al mando de las tropas mambisas y jefe de la zona oriental.  Ese
oficial entraría a la Isla vestido de paisano y sin ninguna
documentación, y transmitiría verbalmente el mensaje del Presidente.
McKinley quería conocer la composición del Ejército Libertador y
obtener de Calixto el compromiso de apoyar el desembarco
norteamericano y la guerra que a partir de ahí se desencadenaría.
Consultado por Miles, el coronel Arthur Wagner, jefe de la
Inteligencia, recomendó al teniente Andrew Summers Rowan, un graduado
de la academia militar de West Point que dominaba el idioma español y
había cumplido misiones secretas en América Latina.
Penetrar de manera clandestina en un país en guerra con el objetivo de
entrevistarse, en representación de una potencia extranjera, con uno
de los máximos jefes de la insurrección, es una misión arriesgada y
difícil. Se requiere de valor y ecuanimidad para acometerla. El
teniente Rowan la cumplió con éxito. A su regreso a Washington se le
recompensó con el ascenso al grado de teniente coronel.
Lo que omite el periodista Elbert Green Hubbard en su artículo es que
Rowan, desde el momento en que se le confió la tarea hasta su regreso
a Estados Unidos, tuvo el apoyo de decenas de cubanos conocedores de
las costas orientales y de los territorios ocupados por las fuerzas
independentistas. Al desembarcar en la ensenada de Mora, al sur de la
antigua provincia de Oriente, lo esperaban jóvenes oficiales, educados
algunos de ellos en Estados Unidos, que le sirvieron de guía hasta la
ciudad de Bayamo donde, después de la entrevista, Calixto lo invitó a
la fiesta que en su honor auspiciaban varias familias cubanas.
Nada de eso se dice en las páginas escritas por Hubbard. Habla en
cambio el periodista de cómo Rowan recibe y transmite el mensaje sin
que nadie le proporcione información ni medios para encontrar a
García. A pie recorrerá la Isla de costa a costa, y lo hará en medio
de una naturaleza hostil que también es su enemiga: ríos crecidos,
montañas infranqueables, temporales inclementes.  Correrá mil peligros
y al final, sin preguntar nada a nadie, llegará donde García, que se
esconde en las selvas cubanas.
Más allá de las peripecias de Andrew Summers Rowan en Cuba y el ya
apuntado sentido racista de su historia, sobresale en El mensaje a
García la capacidad del protagonista de superar cualquier obstáculo
con ciega obediencia, exponente como es de un pueblo que se cree
elegido para regir los destinos de la humanidad. Lo importante es
cumplir la tarea de manera inmediata, sin reticencias ni vacilaciones,
dice Hubbard, y resalta además el papel del compromiso y  la voluntad
de ejecutar las tareas que se asumen. Sostiene que el mundo necesita
«muchos Rowan» y que existen pendientes por entregar muchos «mensajes
a García». En la cultura popular norteamericana, «el mensaje a García»
es una frase que incita a realizar tareas difíciles.
Escribe Hubbard: «Existe un hombre cuya figura debe fundirse en bronce
inmortal… un hombre que fue leal a la confianza en él depositada… el
que llevó el mensaje a García».

Los hechos

Tan pronto como Rowan supo en Washington, tras su entrevista con el
jefe del Ejército, de la misión que debía cumplir, tomó el tren
expreso con destino a Nueva York. Allí, el 15 de abril,  Gonzalo de
Quesada y Tomás Estrada Palma, delegado del Partido Revolucionario
Cubano, le instruyeron que se trasladara a Jamaica y se entrevistara
con Octavio Lay, representante del Partido en Kingston. Viajó el 18 y
Lay lo puso en contacto con el comandante Gervasio Sabio que debía
traerlo a Cuba. Sabio y Rowan, en compañía de varios cubanos, hicieron
el viaje en una débil barquilla y en la ensenada de Mora, al pie de la
Sierra Maestra, los esperaba un escuadrón de caballería al mando del
teniente Eugenio Fernández Barrot. Este llevó a los recién llegados a
presencia del general Salvador Ríos, jefe de las tropas cubanas de
Manzanillo, quien ordenó al teniente Fernández que llevara al militar
norteamericano al campamento de Calixto García, dondequiera que se
encontrarse.
Pronto supo Fernández que Calixto estaba en Bayamo. En la casa de esa
ciudad que le servía de cuartel general, el capitán Aníbal Escalante
(padre), ayudante de guardia, recibió a Rowan. Enseguida anunció su
llegada al coronel Tomás Collazo, jefe del Estado Mayor de Calixto, y
el General no demoró en recibir al visitante. Solo el coronel Collazo
asistió a la entrevista. Finalizada esta, Rowan se reunió con los
ayudantes del General y tuvo frases de elogio para el insigne caudillo
que le dispensara tan grata acogida. Era el 1ro. de mayo. Ese mismo
día, la armada norteamericana destruía totalmente en cuestión de horas
la escuadra española del Pacífico en la bahía de Cavite, Filipinas.
En las primeras horas del día 2, Rowan buscó la costa norte y se hizo
a la mar en un bote. Lo acompañaban el general Enrique Collazo, el
coronel Charles Hernández y el teniente Nicolás Valbuena  Mayedo
(práctico), quienes llevaban la respuesta de Calixto García al
Gobierno de Washington.  Un barco de bandera norteamericana los
recogió en alta mar y los condujo a Cayo Hueso. De ahí siguieron viaje
hacia la capital norteamericana.

Final

El periodista Elbert Green Hubbard nació el 19 de junio de 1851, en
Bloomington, Illinois. Murió el 7 de mayo de 1915 cuando el barco en
que viajaba, el trasatlántico Lusitania, a unas diez millas al sur de
Irlanda, fue bombardeado por un submarino alemán, acción que provocó
más de cien fallecidos y determinó la entrada de Estados Unidos en la
I Guerra Mundial.
Rowan murió en 1943. Entonces se emplazó un busto suyo, obra del
cubano Hernández Giró, en el desaparecido parque Maine, en el Malecón
habanero, a un costado del hotel Nacional. Allí estaban el presidente
Batista, que costeó el pedestal de mármol de la escultura, el
vicepresidente Cuervo Rubio y el primer ministro Ramón Zaydín, apodado
«Mongo Pillería». No faltaban otras figuras del Gobierno y el cuerpo
diplomático. Hubo varios oradores, entre ellos, el encargado de
negocios de Estados Unidos, y, al final, desfiló un grupo de mambises
y una representación de las fuerzas armadas. El teniente Eugenio
Fernández no aparece en la lista de los invitados al acto.

Ciro Bianchi Ross
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