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lunedì 1 febbraio 2016

L'Avana di andata e ritorno...di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 31/1/16


Se si domanda a qualsiasi avanero dove situa il cuore dell’Avana, risponderà senza esitare che è nella Rampa. Questo pezzo di strada che si estende per una lunghezza di 500 metri lungo l’Avenida 23, nel Vedado, dalla gelateria Coppelia fino al mare, è la zona più centrale e frequentata della capitale. Il luogo ideale per la passeggiata, l’appuntamento galante, l’incontro di lavoro, la distrazione...Così è successo durante gli ultimi 60 anni nei quali La Rampa si è convertita, col Malecón, nel luogo più cosmopolita dell’urbe.
Andare alla Rampa, riunirsi in essa, sono abitudini dei cubani, come pure si prenderebbe come punto di riferimento per intraprendere il cammino, dopo, verso altri posti. Ci sono molti modi di percorrere l’Avana.
Una può essere quella di seguire la deriva che quì segna la storia.
Un’altra farlo in libera scelta, con fermate in quei luoghi che meritino una fermata lungo il cammino. Questo è, con La Rampa come punto di partenza, quello che faremo nelle pagine che seguono.

Stili diversi

Si insiste così tanto nei valori dell’Avana coloniale che si corre il rischio di supporre che il resto della nostra città non ne abbia. Dell’Avana moderna, il meglio è il Vedado, ha raggiunto il meglio dell’urbanismo cubano. Con l’instaurazione della Repubblica (1902), questo quartiere acquisì un’auge inusitata. Già l’Università si era installata in esso, i signori di lunga data e i nuovi ricchi fecero costruire le loro residenze nella zona.
Si impose quindi una modalità eclettica nell’architettura che raggiunse le sue migliori espressioni nella casa dove ha sede l’Unione degli Scrittori e Artisti di Cuba, nel palazzetto che ospita il Museo delle Arti Decorative e l’Auditorium Amadeo Roldán. È di stile genuinamente fiorentino la Casa de la Amistad e neobarocca la grande casa dov’è installato il caffè ristorante 1830 vicino alla foce del río Almendares.
Anche se esistevano, nella capitale, alcuni edifici alti – mai superiori ai 10 piani -, è nel Vedado dove prolifera la smania dei grattacieli – Quasi mai maggiori di 20. L’Hotel Nacional (1930) ad esempio ha solo otto livelli, ma col suo stile di provenienza spagnola fu la prima installazione alberghiera di vero lusso di cui dispose la città.
Poco dopo si costruiva l’edificio di appartamenti López Serrano, di stile Art Decó che fu il più alto dell’Avana fino alla decade del ’50.
È in questa epoca che il Vedado torna a rinascere. La Rampa, più che una strada comincia a convertirsi in uno stato d’animo. Si inaugurano grandi alberghi – Rosita de Hornedo, Capri, Riviera, Habana Hilton – e edifici come quelli del Fondo Pensioni Odontologico e quello Medico segnano punti di molto valore nell’architettura cubana. A questi si aggiunge l’edificio Focsa, una delle costruzioni più alte del Paese e meraviglia dell’ingegneria civile cubana.

La Piazza

Chiaro che se si parla di altezze raggiunte per mano dell’uomo niente supera, a Cuba, il monumento a José Martí nella Piazza della Rivoluzione. Dall’Avenida 23, l’Avenida Paseo conduce direttamente a questo luogo che è stato il centro politico della nazione dal 1959. In essa, il cubano ha vibrato di emozioni e gioia con le parole di Fidel, ha pianto, come la notte della straordinaria veglia per la morte del Che, si è indignato come nel commiato alle vittime dell’aereo cubano sabotato alle Barbados nel 1976, in ogni momento ha riaffermato il suo appoggio a una Rivoluzione e ad un leader vittoriosi. Nella calle G, chiamata anche Avenida de los Presidentes, colpisce il monumento al generale José Miguel Gómez, secondo presidente della nazione (1909-1913), costruito con colletta popolare nel 1936 e il Castillo del Príncipe è esponente  di uno dei baluardi definitivi della città coloniale. Già nella Piazza, incorniciata dagli edifici della Biblioteca José Martí e il Teatro Nacional, la sede di vari ministeri e il Palazzo della Revolución, la statua dell’eroe, di 18 metri d’altezza, si staglia contro un obelisco di 142 metri. Una scalinata di 567 gradini e un ascensore conducono al belvedere del monumento. Da lí con l’Avana ai piedi, si regala una prospettiva mozzafiato.

El Prado

Il Paseo del Prado segna il confine tra la città moderna e l’antica. Non si può concepire l’Avana senza questo corso; nemmeno senza il suo Parco Centrale, che si affaccia sul Paseo. Lì si trova anche quel palazzo dei palazzi che è il Capitolio, inaugurato nel 1929 e attualmente in restauro.
La cupola di questo edificio è, per il suo stile, il suo diametro e altezza, la sesta del mondo. Al momento della sua costruzione, il lucernario che lo sovrasta era superato solo da San Pietro a Roma e San Paolo a Londra. Sotto la cupola si apprezza la Statua della Repubblica, una tra le più alte fra le sculture che esistono in interni, si sa poco però circa la cubana che servì da modella per l’opera. Ai suoi piedi, incastonato nel pavimento del Salone dei Passi Perduti, un brillante che appartenne a una delle corone dell’ultimo Zar di Russia, segnava il kilometro zero di tutte le distanze dell’Isola.

Obispo

È un piacere percorrere la calle Obispo, arteria eminentemente commerciale che allaccia il Paseo del Prado con la Plaza de Armas nell’Avana Vecchia.
Questa piazza è la più antica della città e fu il politico-militare dell’Isola durante la Colonia. Uno degli edifici che si affaccia aquesto spazio è il Castillo de la Fuerza, la seconda delle fortezze che gli spagnoli costruirono in America e che sfoggia sulla sua torre ornamentale, La Girardilla, simbolo dell’Avana. Vicino alla Fuerza si eleva col suo patio andaluso e la sua facciata maestosa, il Palazzo del Secondo Capo (1772) e sull’altro lato della piazza, di fronte a quello occupato dall'hotel Santa Isabel, il Palazzo dei Capitani Generali (Museo della Città) si erge come il più genuino dell’architettura barocca avanera.
Nonostante lo splendore della Plaza de Armas, quella della Cattedrale è il complesso più armonioso dell’Avana di ieri, mentre quella di San Francisco esibisce, a lato del convento dallo stesso nome, la bellissima Fonte dei Leoni e la Plaza Vieja offre nelle sue edificazioni un compendio di stili che va dal barocco all’art nouveau.
È impensabile uscire dall’Avana Vecchia senza visitare la dimora della calle Leonor Pérez, 314. È modesta, non ci sono lussi in essa, ma per i cubani ha un significato speciale: lì nacque José Martí, l’Apostolo dell’Indipendenza di Cuba.

Il tunnel

È, senza discussione, “l’opera del secolo” a Cuba. La si considera una delle sette meraviglie dell’ingegneria civile cubana e uno studioso come Jacques Budet la include tra le grandi opere dell’umanità. In effetti nel suo libro The Great Works of Mankind (Londra, 1961) appare il Tunnel dell’Avana assieme alla città di Machu Picchu e l’Alhambra di Granada, la Grande Muraglia cinese e la Città Proibita, il cavo transatlantico e il Canale di Suez, il Ponte di Brooklyn e la modernizzazione di Mosca... Per la prima volta un viadotto sottomarino si costruiva in quel modo, il suo progetto e la sua tecnologia rivoluzioneranno il mondo delle costruzioni.
Pe renderlo possibile si dragarono 25.000 metri cubi di roccia e oltre 100.000 di sabbia. Ha un’estensione di 733 metri e una larghezza di 22 e le sue quattro corsie si disegnarono per permettere il transito di 1.500 veicoli all’ora in entrambe le direzioni. I tubi o cassoni che lo conformano si costruirono in un bacino asciutto, poi si trasportarono per galleggiamento per essere affondati sul fondo del canale della baia avanera dove si era scavato, in precedenza il fossato in cui sarebbero stati depositati.
Il Tunnel dell’Avana si inaugurò il 31 maggio del 1958, dopo tre anni di lavoro e con l’opera si faceva realtà il desiderio di allacciare in modo veloce e comodo L’Avana con l’allora chiamata Città dell’Est e un corollario di spiagge incantevoli con le loro sabbie bianche e acque cristalline. Basta attraversare sotto il mare la rada avanera e questo si fa in questione di secondi.

Verso l’est

La città si era estesa verso sud e verso occidente, mentre l’est continuava costretto alle sue spiagge che attraevano sempre più l’attenzione dei vacanzieri e gente desiderosa di investire in esse.
Per la lontananza e lo stato deplorevole delle strade, arrivare a queste spiagge fu un martirio fino alla costruzione della Via Blanca a metà degli anni ’40. E una volta inaugurata questa, il viaggio continuava facendosi di una lunghezza non necessaria, quando un tunnel avrebbe garantito una via rapida e avrebbe rivalutato i terreni siti al di la delle fortezze del Morro e la Cabaña.
I grandi proprietari dell’est non cessavano nel loro impegno e nel 1949 si effettuavano studi di fattibilità per il Tunnel dell’Avana. Già nel 1954 l’idea era irrefrenabile. Grazie al tunnel si sarebbe spostato il centro dell’Avana e in principio la città sarebbe cresciuta verso est per gli stessi 18 km. in cui, per 40 anni, era cresciuta verso ovest.
Le spiagge, da parte loro, continuavano la loro espansione inarrestabile.
Guanabo era già una città-spiaggia e Santa Maria del Mar era cresciuta enormemente e molto ben pianificata, in meno di dieci anni. Si parcellizzò e si costruìrono Boca Ciega, Tarará e Bacuranao, la Via Blanca propiziò il sorgere di quartieri residenziali in Colinas de Villa Real, Alamar, Bahia...mentre Cojimar si confermava come paese di pescatori non esente da interesse turistico.
Se dalla parte ovest dell’Avana viveva un milone di avaneri e poi continuava verso la provincia di Pinar del Río, la “Cenerentola”, povera e dimenticata, dalla parte est risiedeva la maggior parte della popolazione cubana e si apriva un territorio di emergente o potenziale ricchezza.

La strada più veloce

Il Malecón risulta essere la strada più veloce per raggiungere l’ovest avanero.
Qualunque dei due tunnel che passano al di sotto del río Almendares – uno dei quali soppiantò il famoso ponte di Pote, che si apriva in due parti al fine di dare passaggio alle imbarcazioni – allaccia il Vedado con Miramar, il quartiere dei diplomatici e imprenditori per eccellenza, con una Quinta Avenida fastosa. Più in la, per la via Panamericana, la marina Hemingway apre una porta all’avventura.
L’avanero si dimentica spesso dell’Almendares. Invece, questo fiume, è uno dei due simboli dell’Avana e parte integrante della sua identità.
Dal Parco Metropolitano arrivano all’Avana i parchi naturali, il polmone verde di cui necessita la capitale e di cui formano parte, nella capitale dell’urbe, il Parco Lenin, il Giardino Botanico, i terreni di Expocuba, Río Cristal e lo Zoologico Nazionale. È difficile riprodurre a parole tanta meraviglia.
Dal sud, lungo l’Avenida di Rancho Boyeros, si può tornare al Vedado. La Città Sportiva si trova su questo cammino e di fronte a lei, La Fonte Luminosa. Si lascia indietro la Piazza della Rivoluzione e si sfocia un’altra volta, di colpo, nell’Avenida 23. Se si prosegue per G verso il mare, si apprezzano i monumenti a Salvador Allende, Benito Juarez, Omar Torrijos, Eloy Alfaro e Simón Bolívar e più sotto, all’incrocio col Malecón, quello che rende omaggio al generale independista cubano Calíxto García. Alla sinistra c’è la Casa de las Américas, una delle grandi istituzioni culturali del continente.
Si Impone un ritorno alla Rampa. Che ne dite di un gelato di ciocolato o vaniglia? Ebbene, lì c’è Coppelia, più che una gelateria, un’istituzione nazionale, dove a volte è possibile degustare i migliori gelati del mondo.


La Habana de ida y vuelta
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
30 de Enero del 2016 20:20:34 CDT

Si se le pregunta a cualquier habanero dónde sitúa el corazón de La Habana, responderá sin vacilar que en La Rampa. Ese pedazo de calle que se extiende a lo largo de 500 metros por la Avenida 23, en el Vedado, desde la heladería Coppelia hasta el mar, es lo más céntrico y concurrido de la capital. El sitio ideal para el paseo, la cita amorosa, el encuentro de trabajo, la distracción… Así ha sucedido a lo largo de los últimos 60 años en los que La Rampa se convirtió, junto al Malecón, en el lugar más cosmopolita de la urbe.
Ir a La Rampa, reunirse en ella, son costumbres de los cubanos, como también lo es tomarla como punto de referencia para emprender camino después hacia otros sitios. Hay muchas maneras de recorrer La Habana.
Una puede ser la de seguir el derrotero que marca aquí la historia.
Otra es hacerlo a libre arbitrio, con paradas en aquellos lugares que merezcan un alto en el camino. Eso es lo que, con La Rampa como punto de partida, haremos en las páginas que siguen.

Estilos diversos

Se insiste tanto en los valores de La Habana colonial que se corre el riesgo de suponer que el resto de la ciudad no los tiene. De La Habana moderna lo mejor es el Vedado, logro mayor del urbanismo cubano. Con la instauración de la República (1902), esa barriada adquirió auge inusitado. Ya la Universidad se había instalado en ella y los señores de abolengo y los nuevos ricos hicieron construir sus residencias en la zona.
Se impuso entonces una modalidad ecléctica en la arquitectura que alcanzó sus mejores exponentes en la casa donde radica la Unión de Escritores y Artistas de Cuba, el palacete que alberga el Museo de Artes Decorativas y el Auditórium Amadeo Roldán. Es de estilo genuinamente florentino la Casa de la Amistad, y neobarroca la casona donde está instalado el café-restaurante 1830 junto a la desembocadura del río Almendares.
Aunque existían en la capital algunos edificios altos —nunca mayores de diez pisos—, es en el Vedado donde prolifera el afán de los rascacielos —casi nunca mayores de 20. El Hotel Nacional (1930) sin embargo tiene solo ocho niveles, pero —con su estilo plateresco español— fue la primera instalación hotelera de verdadero lujo de que dispuso la ciudad. Poco después se construía el edificio de apartamentos López Serrano, de estilo art decó, que fue el más alto de La Habana hasta la década de los 50.
Es por esta época en que el Vedado vuelve a renacer. La Rampa, más que una calle, comienza a convertirse en un estado de ánimo. Se inauguran grandes hoteles —Rosita de Hornedo, Capri, Riviera, Habana Hilton— y edificios como los del Retiro Odontológico y el Retiro Médico marcan puntos muy valiosos en la arquitectura cubana. A estos se une el edificio Focsa, una de las construcciones más altas del país y maravilla de la ingeniería civil cubana.

La plaza

Claro que si de alturas conseguidas por la mano del hombre se trata, nada supera en Cuba al monumento a José Martí en la Plaza de la Revolución. Desde la Avenida 23, la Avenida Paseo conduce directamente a ese sitio que ha sido centro de la vida política de la nación desde 1959. En ella, el cubano ha vibrado de emoción y júbilo con las palabras de Fidel, ha llorado como en la noche de la extraordinaria velada por la muerte del Che, se ha indignado como en la despedida del duelo de las víctimas del avión cubano saboteado en Barbados, en 1976, y en todo momento ha reafirmado su apoyo a una Revolución y a un líder victoriosos.
En la calle G, llamada también Avenida de los Presidentes, impacta el monumento al mayor general José Miguel Gómez, segundo mandatario de la nación (1909-1913), construido por cuestación popular en 1936, y el Castillo del Príncipe es exponente de uno de los baluartes definitivos de la ciudad colonial. Ya en la Plaza, enmarcada por los edificios de la Biblioteca José Martí y el Teatro Nacional, la sede de varios ministerios y el Palacio de la Revolución, la estatua del héroe, de 18 metros de alto, se recorta contra un obelisco de 142 metros. Una escalera de 567 peldaños y un ascensor conducen al mirador del monumento. Desde allí, con La Habana a los pies, se regala una perspectiva que corta el aliento.

El prado

El Paseo del Prado marca la frontera entre la ciudad moderna y la antigua. No se concibe a La Habana sin esa calzada; tampoco sin su Parque Central, que se asoma sobre el Paseo. Allí también se ubica ese palacio de palacios que es el Capitolio, inaugurado en 1929 y ahora en restauración.
La cúpula de este edificio es, en su estilo, por su diámetro y altura, la sexta del mundo. A la linterna que la remata, en el momento de construirse el edificio solo la superaban la de San Pedro, en Roma, y la de San Pablo, en Londres. Bajo la cúpula se aprecia la Estatua de la República, una de las más altas entre todas las esculturas que existen bajo techo, aunque poco se sabe acerca de la cubana que sirvió de modelo para la obra. A sus pies, empotrado en el piso del Salón de los Pasos Perdidos, un brillante que perteneció a una de las coronas del último zar de Rusia marcaba el kilómetro cero de todas las distancias de la Isla.

Obispo

Da gusto caminar la calle Obispo, arteria eminentemente comercial que enlaza el Paseo del Prado con la Plaza de Armas en La Habana Vieja.
Esa plaza es la más antigua de la ciudad y fue el centro político-militar de la Isla durante la Colonia. Una de las edificaciones que a ese espacio se asoma es el Castillo de la Fuerza, la segunda de las fortalezas que los españoles construyeron en América y que luce en su torre de homenaje a La Giraldilla, símbolo de La Habana. Junto a la Fuerza se alza, con su patio andaluz y su portada mayestática, el Palacio del Segundo Cabo (1772) y en otro lado de la plaza, frente al que ocupa el hotel Santa Isabel, el Palacio de los Capitanes Generales (Museo de la Ciudad) se yergue como el exponente más genuino de la arquitectura barroca habanera.
Pese al esplendor de la Plaza de Armas, la de la Catedral es el conjunto más armonioso de La Habana de ayer, en tanto que la de San Francisco exhibe, aledaña al convento de ese nombre, la bellísima Fuente de los Leones, y la Plaza Vieja ofrece en sus edificaciones un compendio de estilos que va del barroco al art nouveau.
Resulta impensable salir de La Habana Vieja sin visitar la morada de la calle Leonor Pérez, 314. Es modesta, nada de lujos hay en ella, pero tiene para los cubanos una significación especial: allí nació José Martí, el Apóstol de la Independencia de Cuba.

El túnel

Es, sin discusión, «la obra del siglo» en Cuba. Se le considera una de las siete maravillas de la ingeniería civil cubana y un estudioso como Jacques Boudet la incluye entre las grandes obras de la humanidad. En efecto, en su libro The Great Works of Mankind (Londres, 1961) aparece el Túnel de La Habana junto a la ciudad de Machu Pichu y el Alhambra de Granada, la Gran Muralla china y la Ciudad Prohibida, el cable trasatlántico y el Canal de Suez, el puente de Brooklyn y la modernización de Moscú… Por primera vez un viaducto submarino se construía de esa forma y su proyecto y su tecnología revolucionarían el mundo de las construcciones.
Para hacerlo posible se dragaron 250 000 metros cúbicos de roca y más de 100 000 de arena. Tiene una extensión de 733 metros y un ancho de
22 y sus cuatro carriles se diseñaron para permitir el tránsito de 1
500 vehículos por hora en ambas direcciones. Los tubos o cajones que lo conforman se construyeron en un dique seco y luego se trasladaron por flotación para ser hundidos en el fondo del canal de la bahía habanera, donde previamente se había excavado la zanja en que se depositarían.
El Túnel de La Habana se inauguró el 31 de mayo de 1958, después de tres años de trabajo, y con la obra se hacía realidad el anhelo de enlazar de una manera rápida y cómoda a La Habana con lo que entonces se llamaba la Ciudad del Este y un rosario de playas de encantamiento con sus arenas blancas y aguas cristalinas. Basta con atravesar bajo el mar la rada habanera y eso se hace en cuestión de segundos.

Hacia el este

La ciudad se había expandido hacia el sur y hacia occidente, mientras que el este seguía constriñéndose a sus playas que atraían cada vez más la atención de vacacionistas y gente deseosa de invertir en ellas.
Por la lejanía y el estado deplorable de los caminos, llegar a esas playas fue un martirio hasta la construcción de la Vía Blanca a mediados de los años 40. Y una vez inaugurada esta, el viaje seguía haciéndose innecesariamente largo cuando el túnel garantizaría una vía expedita y revalorizaría los terrenos situados más allá de las fortalezas del Morro y la Cabaña.
Los grandes propietarios del este no cejaban en su empeño y en 1949 se acometían estudios de factibilidad del Túnel de La Habana. En 1954 la idea era ya indetenible. Gracias al túnel, se desplazaría el centro de La Habana y, en principio, la capital crecería hacia el este los mismos 18 kilómetros que durante 40 años había crecido hacia el oeste.
Las playas, por su parte, continuaban su expansión indetenible.
Guanabo era ya una ciudad-playa y Santa María del Mar había crecido enormemente, y muy bien planificada, en menos de diez años. Se parceló y construyó en Boca Ciega, Tarará y Bacuranao, y la Vía Blanca propició el surgimiento de repartos residenciales en Colinas de Villa Real, Alamar, Bahía… mientras que Cojímar se consolidaba como un poblado de pescadores no exento de interés turístico.
Si del lado oeste de La Habana vivían un millón de habaneros y seguía luego la provincia de Pinar del Río, la «Cenicienta», pobre y olvidada, del lado este radicaba la mayor parte de la población cubana y se abría un territorio de pujante o potencial riqueza.

La vía más rápida

El Malecón resulta la vía más rápida para alcanzar el oeste habanero.
Cualquiera de los dos túneles que cruzan bajo el río Almendares —uno de los cuales suplantó al famoso puente de Pote, que se abría en dos partes a fin de dar paso a las embarcaciones— enlaza el Vedado con Miramar, el barrio diplomático y empresarial por excelencia, con una Quinta Avenida fastuosa. Más allá, por la carretera Panamericana, la Marina Hemingway abre una puerta a la aventura.
El habanero se olvida a menudo del Almendares. Sin embargo, ese río es uno de los símbolos de La Habana y parte entrañable de su identidad.
Por el Parque Metropolitano llegan a la capital los parques naturales, el pulmón verde que la capital necesita y del que forman parte, en la capital de la urbe, el Parque Lenin, el Jardín Botánico, los terrenos de Expocuba, Río Cristal y el Zoológico Nacional. Es difícil reproducir con palabras tanta maravilla.
Desde el sur, por la Avenida de Rancho Boyeros, puede retornarse al Vedado. La Ciudad Deportiva se encuentra en ese paso y, frente a ella, la Fuente Luminosa. Queda atrás la Plaza de la Revolución y se desemboca otra vez, de golpe, en la Avenida 23. Si se sigue por G hacia el mar, se apreciarán los monumentos a Salvador Allende, Benito Juárez, Omar Torrijos, Eloy Alfaro y Simón Bolívar y, más abajo, en la intersección con Malecón, el que rinde homenaje al general independentista cubano Calixto García. A la izquierda está la Casa de las Américas, una de las grandes instituciones culturales del continente.
Se impone una vuelta a La Rampa. ¿Qué tal un helado de chocolate o de vainilla? Bueno, ahí está Coppelia, más que una heladería, una institución nacional, donde a veces es posible degustar los mejores helados del mundo.

Ciro Bianchi Ross




sabato 30 gennaio 2016

Turismo e tuttologia a Cuba

Con un po’ di pazienza, per l'attesa che si aprisse, sono riuscito a leggere questo articolo di Repubblica apparso nella finestra dedicata alla rassegna stampa del blog. Un pezzo che per quello che si riferisce all’aspetto puramente turistico si può dire ben fatto. Diverso è se si tengono conto le opinioni della giornalista su aspetti climatici, politici e sociali. Uno dei più gravi errori che si commettono, non so se solo parlando di Cuba, ma sicuramente in maniera più accentuata, in questo caso, è di “avere capito tutto” soltanto dopo un breve o anche medio soggiorno. Nel caso specifico immagino sia stato breve e considerata l’esperienza del momento come “assoluta” e generale, specie parlando del tempo (meteorologico) che probabilmente ha trovato la redattrice del reportage. Anche certe affermazioni sulla situazione politica sembrano dettate da fonti improvvisate e non “incrociate” con altre. Ho evidenziato in neretto quello che non mi sembra rispondente alla realtà e qua sotto riporto il testo integrale e i miei commenti.
Da La Repubblica:
Scoprire la vera Cuba. Prima che l'embargo abbia effetto
Da Avana a Trinidad a Santiago. Un itinerario con tappe nelle casas particulares, i bed & breakfast locali. Per assaporare l'anima dell'isola caraibica adesso
di Geraldine Schwarz
26 gennaio 2016
Scordatevi di vedere già gli effetti della fine dell’embargo. Anche se dopo più di cinquant’anni lo scorso luglio è finita l’era glaciale tra Usa e Cuba,  i primi  risultati si vedono per lo più,  nella curiosità di un afflusso turistico che aumenta di giorno in giorno e non nella vita reale dei cubani. Del resto, se state programmando un viaggio a Cuba, dovete essere pronti a vedere due isole: Le due Cuba, quella dei turisti e quella dei cubani, Cubamerica e Cubafrica, per uno shock culturale assicurato. Se non altro per l’accoglienza e il calore del popolo cubano, che guarda negli occhi l’interlocutore ed è pronto ad arrivare in aiuto per qualsiasi esigenza. I cubani infatti sono spinti dalla consapevolezza che il turismo sia un valore aggiunto per l’isola, e quindi vogliono preservarne il valore, inoltre sono curiosi, avendo le frontiere chiuse, di avere uno scambio di opinioni con gli stranieri. Anche se a volte, che si tratti di uomo o donna, si “accollano” esageratamente al turista, l’atteggiamento ospitale fa superare questa caratteristica. Se avete quindici giorni da spendere e un viaggio da programmare, se volete resettare un “download emotivo” o spezzare il ritmo occidentale, Cuba è il posto giusto.


Dall’Havana a Santiago, da est a Oriente, come dicono i cubani, passando per la “suave” Trinidad considerata un museo a cielo aperto, dove arrivavano gli schiavi dall’Africa, per la coloniale Camaguey, per le spiagge bianche dei cayos (le isolette sparse su tutto il territorio, collegate alla terraferma con strade costruite sull’acqua) e per decine di villaggi sterrati che ricordano l’Africa, l’isola delle contraddizioni, offre natura spettacolare, prevalentemente sole tutti i giorni dell’anno (non da ottobre a novembre e durante il periodo delle pioggie a maggio) mare caraibico e movida cittadina a base di moijito, rum e sorrisi. E soprattutto musica, ad ogni angolo di strada, anche sugli autobus, se li prenderete.  Ma così come ci sono due Cuba, ci sono anche due modi di vivere l’isola. Potete fare i turisti con pacchetti preconfezionati, alloggiare negli alberghi, frequentare i villaggi delle isole, (i cayos) e andare in quel paradiso di Varadero o di Guardalavaca. Potete viaggiare in taxi, e spostarvi con gli autobus della viaAzul la linea che trasporta solo turisti e conoscere altri stranieri nei locali suggeriti dalla guide e nelle discoteche per occidentali.

O altrimenti, se volete vivere una Cuba più spartana e più vera potete anche viverla un po’ come i cubani ma ci vuole un po’ di spirito di avventura. Allora cambierete una parte dei soldi in dollari cubani (Cuc o pesos convertibile) e una in moneda nacional (i pesos locali che usano i cubani) non prenoterete nulla, e alloggerete nelle casas particulares, come dei bed & breakfast gestiti dai privati nelle loro case di persone comuni e che preparano ottime colazione a base di frutta e tortillas (da cercare senza prenotazione appena giunti nei luoghi che intendete visitare). Vi metterete al centro della carretera (la strada maestra) ad aspettare la “guagua” autobus del trasporto pubblico nazionale (frequentati quasi esclusivamente da per cubani) che passano a tutte le ore del giorno e della notte e che se non sono pieni, si fermano ad un cenno della mano anche nel cuore della notte. E chissà, magari viaggerete un po’ come dei rifugiati, anche sui camiones, vecchi camion di trasporto merci, ora adibiti alla meno peggio anche al trasporto passeggeri dove per pochi pesos nacionales si attraversa il paese con qualche rigidità ma con molto divertimento. Comunque vogliate affrontare il viaggio tra le mete da visitare ecco l’Havana, la capitale. La più affascinante è senza dubbio la parte dell’Habana Vieja che nel suo intreccio di vie strette ricche di testimonianze architettoniche del passato e di attrazioni per i turisti concentra in sé tutte le contraddizioni dell’isola. Ritenuta dall’Unesco Patrimonio dell’umanità, come altri 9 siti dell’isola, qui si alternano bellezze barocche e coloniali recuperate nei loro vividi colori, a palazzi fatiscenti, negozi di pregio a botteghe scalcinate, gruppi di turisti a gente in fila con la tessera per ritirare la libreta, un certo quantitativo di cibo giornaliero (riso, zucchero e olio, per lo più) che il governo concede ad ogni cittadino cubano, cosa che in altri paesi dell’America Latina purtroppo non avviene. 
La passeggiata si snoda  da Plaza de la Catedral a la plaza Vieja, con uno sfoggio nella centrale calle Opispo piena di negozi e turisti che conduce al parque central. Altre mete cittadine da non perdere sono Plaza de la Revolucion, il cimitero coloniale, il  quartiere del Vedado con i suoi boulevard e i mille locali dove bere e mangiare e una sgambata sul Malecon, il celebre lungomare, preferibilmente al tramonto. Dall’Havana si raggiungono facilmente in giornata anche alcune località della Playa del Est, da Playa santa Maria a Guanabo e merita almeno una gita o qualcosa di più la zona di Pinar del Rio e la valle di Vinales, molto lontana dal rumore cittadino della capitale e immersa in un’atmosfera naturale sospesa, in un paesaggio unico, disseminato di colline verdi di formazione calcarea a forma di panettone che qui chiamano mogotes dove si possono visitare fabbriche di sigari e piantagioni di tabacco.

Per continuare il viaggio a 400 Km dall’Habana c’è Trinidad, una cittadina coloniale del ‘500 perfettamente conservata, protetta dall’Unesco per il suo carattere inimitabile. Coloratissima, ridente, piccola e a misura d’uomo, con il mare e la spiagga de l’Ancon a venti minuti, lo scenario qui è ancora diverso. Immersa nella valle de Los ingenios, tra piantagioni di canna da zucchero e antichi ricordi degli schiavi, tra carretti a cavallo che attraversano le strade, e contadini, la gente semplice del luogo accoglie i turisti che possono fermarsi  dormire in una delle centinaia di case particular. Apparentemente tranquilla, questa cittadina che sembra vivere in un’altra era, rivela al calar del sole la sua vitalità notturna con la casa de la Musica che ogni sera sin dalle 20 propone dal vivo salsa e ritmi afrocubani. Piena di ristoranti ricavati in ex case coloniali per tutti i gusti (dove però alla fine si mangia sempre solo, riso e pollo o bistecca di maiale o le celebri piccole aragostine rivisitate in tutte le salse) la notte di Trinidad fa le ore piccole tra corsi di salsa, balli e cocktail a base di rum.

Da provare, solo qui la Canchanchara a base di miele, limone e uno shottino di rum. Tante le mete da un giorno che si possono raggiungere da qui. Dalla Valle de los Ingegnios dove ci sono ancora piantagioni di canna da zucchero, e lagune di acqua dove tuffarsi sotto una casacata, che si può anche visitare a cavallo, alla Sierra del Escambray da cui partono bellissimi sentieri naturalistici in montagna. Chi ama il Che Guevara può fare una sosta a Santa Clara, dove c’è il Museo Memoriale dedicato all’eroe della rivoluzione per ripercorrere la sua storia grazie anche alle fotografie storiche e ai tanti oggetti personali a lui appartenuti. E da qui non è difficile raggiungere i cayos settentrionali,  le piccole isolette caraibiche quasi attaccate alla costa che stanno diventando dei luoghi molto frequentati dai turisti grazie alla formula all inclusive dei villaggi. Praticamente interdetti ai cubani, che possono frequentarli solo in viaggio di nozze o se vi lavorano, i cayos sono solo, per i turisti, anche per i prezzi che hanno (circa 50 euro a notte) e si raggiungono pagando un pedaggio di sei euro (sei CUC in dollari cubani).
Chi decide di proseguire verso Santiago ha ancora molta strada da fare e per centinaia di chilometri vedrà solo villaggi sterrati e natura incontaminata. Lungo la strada, colpisce l’assenza di pubblicità a parte qualche cartellone di propaganda con il volto di Fidel Castro e degli eroi nazionali che hanno partecipato alla rivoluzione. Una tappa intermedia prima di Santiago può essere Camaguey. La città, dal forte fascino coloniale, dichiarata patrimonio dell’Umanità dall’Unesco  è una delle sette città fondate da Diego Velasquez nel 1515.  Ricca di chiese è stata visitata anche da Giovanni Paolo II ed  ha un centro storico molto ben conservato su cui spicca la bellissima piazza san Juan de Dios. Infine ecco la rumorosa Santiago casa degli  afrocubani vera mezcla di culture e di razze. Qui la musica del Son è in strada, ad ogni angolo, la vita è ancor più chiassosa che a L’Havana e le feste cittadine animano di notte come di giorno, tantissime piazze. Un consiglio su tutti: Lasciatevi travolgere

Come la vedo io...:

La “vera” Cuba???  Ce n’è forse una “falsa”???? Forse lo diventerà dopo la fine dell’embargo che prima o poi ci sarà? Cuba è sempre “vera” solo che cambiano le leggi, gli usi e i costumi. Come ovunque. In ogni caso, se interpreto bene il concetto di “vera”, ormai ne rimane comunque ben poca rispetto all’onda dei primi trent’anni o poco più di regime rivoluzionario. Ormai non è già più “vera”, se la si considerava tale negli anni del grande entusiasmo ogni caso, anche quella di prima della Revolución era “vera”, solo che diversa dalle altre due.

Le due Cuba, quella dei turisti e quella dei cubani: io direi quella dei turisti e di alcuni cubani (sempre più numerosi) e quella della maggioranza dei cubani, specie delle province interne, meno della capitale.

Frontiere chiuse????? Al di la del fatto che in entrata, le frontiere non sono MAI state chiuse, in uscita se ci sono state grosse difficoltà di uscita per la stragrande maggioranza di cittadini da qualche anno a questa parte, la medesima stragrande maggioranza, può uscire senza difficoltà ( se se lo può permettere ed ha il corrispondente visto/i per il Paese/i che vuole visitare).

Piogge (magari togliendo la “i”): guarda caso, normalmente i mesi di ottobre e novembre sono i più favorevoli essendo quasi terminata la stagione delle piogge con precipitazioni più scarse e minor (non nessun) rischio ciclonico. La stagione delle piogge va proprio da maggio a novembre e non vuol dire che ci siano precipitazioni costanti, ma che specie in ore pomeridiane (di norma) ci sono acquazzoni tropicali di grande intensità, ma non di lunga durata, pertanto si può perfettamente giodere di diverse ore di sole, prima e dopo.

Dollari cubani?????  (ripetuto) Mai sentiti nominare.

Obispo

Cayos interdetti ai cubani???? Evidentemente la gentile Geraldine Schwarz si è avvalsa di informazioni fornite da qualche nostalgico oppositore del regime. Nelle strutture turistiche, come per i viaggi, l’accesso è libero a tutti coloro che se lo possono permettere. Le limitazioni descritte risalgono a prima del VI° Congresso del Partito Comunista e in parte erano già state sollevate anche prima del medesimo, quindi vecchie di qualche anno, con buona pace dell'uguaglianza e ugualitarismo della "vera" Cuba. Pertanto delle due l'una: o la signora è in malafede cosa che penso e spero non sia, o come "osservatrice" non ha saputo osservare attorno a lei che le strutture turistiche, oggi, sono frequentate da migliaia di clienti cubani, fidandosi delle solite malelingue e senza approfondire. 

Camagüey.




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martedì 26 gennaio 2016

Disposto alleggerimento dell'embargo

Fonte: El Nuevo Herald



CUBA

ENERO 26, 2016 10:21 AM
EEUU anuncia nuevas medidas para facilitar exportaciones y viajes a Cuba
EEUU anunció nuevas relajaciones a las restricciones que siguen afectando a las exportaciones y viajes a Cuba
Los departamentos del Tesoro y de Comercio anunciaron nuevas enmiendas al régimen de sanciones asociado al embargo económico impuesto a la isla
Se “eliminarán restricciones” a ciertas condiciones de pago y financiación de las exportaciones autorizadas a Cuba
WASHINGTON 

Estados Unidos anunció el martes nuevas relajaciones a las restricciones que siguen afectando a las exportaciones y viajes a Cuba, en el marco del acercamiento bilateral iniciado hace poco más de un año.
En un comunicado conjunto, los departamentos del Tesoro y de Comercio anunciaron nuevas enmiendas al régimen de sanciones asociado al embargo económico impuesto a la isla que, entre otras cosas, “eliminarán restricciones” a ciertas condiciones de pago y financiación de las exportaciones autorizadas a Cuba.
Además, otras de las modificaciones anunciadas el martes “facilitarán aún más” los viajes a Cuba dentro de las categorías autorizadas.
El secretario del Tesoro, Jack Lew, subrayó en el comunicado conjunto que estas acciones, al igual que las que se han ido tomando durante el último año, “envían un claro mensaje al mundo: que Estados Unidos se ha comprometido a potenciar y permitir avances económicos para el pueblo cubano”.
“Continuaremos tomando las medidas necesarias para ayudar al pueblo cubano a alcanzar la libertad política y económica que merece”, anotó Lew.
En diciembre pasado, en coincidencia con el primer aniversario del inicio del acercamiento bilateral, los dos países anunciaron un acuerdo para restablecer los vuelos regulares directos.
No obstante, todavía pasarán varios meses hasta que las aerolíneas estadounidenses puedan empezar a vender billetes para volar a Cuba y tampoco va a ser inmediato el restablecimiento del servicio postal directo, acordado también en diciembre y que comenzará a través de un plan piloto de transporte de correo y paquetería.
Entre los temas más complicados aún por resolver para la normalización completa figura el de las compensaciones económicas mutuas por los bienes nacionalizados a estadounidenses tras el triunfo de la Revolución y por los daños derivados del embargo económico que reclama la isla.
En cuanto al embargo, aunque el presidente Barack Obama ha tomado medidas ejecutivas para flexibilizar los viajes y algunas transacciones comerciales, su levantamiento completo depende del Congreso, controlado hoy en su totalidad por los republicanos, que se oponen mayoritariamente a su eliminación.
Durante su último discurso sobre el Estado de la Unión, pronunciado el pasado 12 de enero, Obama instó de nuevo al Congreso a reconocer que “la Guerra Fría ha terminado” con el levantamiento del embargo a Cuba.
El Gobierno de Estados Unidos espera ahora más acciones de parte del régimen cubano para programar una posible visita de Obama a la isla este año.


lunedì 25 gennaio 2016

Un eroe dimenticato, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 24/1/16

Mariano Barberán e Joaquín Collar, due eroici aviatori spagnoli, il 10 giugno del 1933, furono protagonisti del volo Siviglia – Camagüey che li portò ad attraversare, senza scalo, l’Atlantico nella sua parte più larga. Impresa mai tentata fino ad allora. In 39 ore e 50 minuti coprirono la distanza che separa queste città a bordo di un velivolo dal nome di Cuatro Vientos.
Da Camagüey il Cuatro Vientos volò all’Avana. Barberán e Collar passarono diversi giorni nella nostra capitale. Si ospitarono nell’hotel Plaza e furono assediati da corporazioni cubane e spagnole. Erano gli eroi del momento. Da qui partirono verso il Messico, dove erano attesi. Diversi specialisti cubani raccomandarono a loro di ritardare la partenza. Barberán e Collar che erano arrivati malati, non riposarono abbastanza all’Avana, dove si videro sottoposti a un regime di vita sociale inusitato per loro. Inoltre imperava il brutto tempo quella mattina in cui il Cuatro Vientos partì da Cuba e non si sapeva bene se gli inconvenienti tecnici rilevati all’apparecchio erano stati riparati convenientemente. M Barberán e Collar dovevano arrivare in Messico a una’ora convenuta ed era imprescindibile, per loro, partire. Non giunsero mai a destinazione. E non si conosce ancora oggi, con esattezza, quale fu la loro sorte.
Tutto ciò è storia conosciuta. Quello che si conosce meno è che 80 anni or sono, nei primi giorni del 1936, un aviatore cubano si dispose ad attraversare l’Atlantico da ovest a est e senza nessuna pretesa di battere qualche record, restituire alla Spagna la visita che Barberán e Collar avevano fatto a Cuba.

Senza radio e con maltempo

L’aviatore cubano, tenente della Marina di Guerra, si chiamava Antonio Menéndez Peláez e fece il viaggio a bordo di un aereo battezzato come 4 Settembre: un monoplano Lockheed Sirius 88 trasformato in monoposto e al quale si fecero adattamenti importanti per la traversata.
Menéndez Peláez decollò da Camagüey alle sette di mattina del 13 gennaio per prendere terra a Campo Alegre, in Venezuela, da lì si trasferì all’aerodromo della Pan American a Maiquetía. Il giorno seguente si alzò per Port of Spain nell’isola di Trinidad, passò ad Amsterdam nell’antica Guyana Britannica e a Leguiar per concludere a Pará in Brasile, nel delta del Río delle Amazzoni, il 3 febbraio.
Due giorni dopo si spostò fino a San Luis de Maranhao e Fortaleza per culminare, il giorno seguente, atterrando a Natal al fine di attraversare, da quel punto, l’oceano per arrivare in Africa.
Sull’Atlantico, Menéndez Peláez trovò venti forti e maltempo cosa che lo costrinse a volare, in molte occasioni, a scarsa altitudine dall’acqua. Siccome a bordo non aveva radio, dovette confidare nella sua perizia di navigante e prese come riferimento le navi in rotta che avvistava dal suo apparecchio. Riuscì ad atterrare a Bathhurst, Senegal, dopo aver percorso 3.160 km. sull’oceano.
Il cubano volò da Bathhurst al capo Yuby, nell’antico Sahara Spagnolo, il 12 febbraio e due giorni dopo arrivò finalmente a Siviglia per prendere terra nell’aeroporto militare di Tablada da dove, tre anni prima, parti il Cuatro Vientos nel suo storico viaggio a Camagüey. A Tablada si tributò un caloroso ricevimento al militare cubano, lo stesso che avrebbe ricevuto una settimana dopo, arrivando all’aerodromo che portava il famoso nome dell’apparecchio utilizzato da Barberán e Collar.
Riassumendo, il tenente Antonio Menéndez Peláez, a bordo del 4 Settembre, percorse 14.454 km. in 72 ore e 27 minuti per restituire l’abbraccio che nel 1933 due valorosi aviatori portarono dalla Spagna. A Madrid, come prima a Siviglia, fu salutato coi più alti onori. Lo ricevettero il Ministro di Stato e altre importanti autorità civili e militari. Il Ministro della Guerra e il Direttore Generale dell’Aeronautica assistettero alla corrida che gli fece omaggio l’Aero Club spagnolo e ci fu un tintinnare di coppe all’ambasciata di Cuba. Le Forze Armate spagnole lo decorarono con la Croce al Merito Militare e la Croce al Merito Navale e l’Esercito cubano annunciò dall’Avana la sua promozione a primo tenente.
Fra gli altri giornalisti lo intervistò il corrispondente, nella capitale spagnola, della rivista Caras y Caretas di Buenos Aires. Lo vide nella sede diplomatica cubana e “rispondeva ai saluti con un sorriso e rispondeva con monosillabi. Dava l’impressione dell’uomo che si sorprende per un fatto che non riesce ancora a spiegarsi. L’uomo che rimane stordito nel sapere che ha realizzato una prodezza straordinaria che per lui continua ad essere una cosa completamente semplice”.
- Vengo a restituire il volo degli eroici aviatori spagnoli Barberán e Collar. Porto in Spagna il saluto di Cuba. I miei genitori vivono in un paesino delle Asturie e gli farò la sorpresa della mia visita – dichiara alla rivista argentina e il corrispondente annota; “Questo è quanto sa dire Menéndez, quasi con sobrietà di uomo valoroso e deciso. I giornalisti si sforzano per strappargli rivelazioni sensazionali e non ottengono che frasi corte, di una desolante semplicità”. La stampa chiede sui momenti di maggior pericolo durante il volo, se ha sentito paura in qualche momento; le sue emozioni. L’aviatore cubano dichiara: - La mia maggior emozione l’ho provata nel vedermi calpestare la terra di Spagna.
Lo storico spagnolo Juan A. Guerrero Misa commenta nel suo libro “El vuelo Sevilla-Cuba-México del avión Cuatro Vientos”: “Il gesto di menéndez ha messo il punto finale a un’epoca di eroismo e professionalità che oggi possiamo solo prendere come esempio e che affratellò, per sempre, le aviazioni di entrambi i lati dell’oceano. Dall’impresa di Barberán e Collar, il mare non ci separa più”.
Non sarà l’unica impresa di Antonio Menéndez Peláez. Solo un anno dopo, fu uno dei protagonisti del Volo Panamericano Pro Faro di Colombo, uno degli episodi più tragici e tristi dell’aviazione in America Latina. Il 29 dicembre del 1937, i tre aerei cubani che formavano la squadriglia, di cui il pilota cubano era tecnico capo e navigatore, soffrirono un terribile incidente nella tratta Cali-Panama, quando avevano già lasciato dietro le tappe più difficili del percorso. Nel disastro morirono il giornalista Ruy de Lugo Viña, cronista ufficiale del volo, i meccanici Naranjo, Castillo e Medina e i piloti Risech Amat, Jiménez Alum e Menendez Peláez. Solo quando arrivò a Panama il maggiore dominicano Frank F. Miranda, capo del corpo di aviazione del suo Paese che per il suo grado viaggiava sul più potente dei quattro aerei ed era il capo della spedizione, seppe della sorte dei suoi compagni.

Versione delle versioni

Erigere un monumento a Colombo era un vecchio desiderio dei Governi latino americani. L’idea, comunque, non cominciò a concretizzarsi fino al 1923 quando, a Santiago del Cile la Conferenza Internazionale Americana, chiamò le nazioni dell’area a unire gli sforzi con tale proposito. Si sarebbe perpetuata la memoria dell’Ammiraglio con un faro monumentale che avrebbe portato il suo nome e si sarebbe situato nella Repubblica Dominicana. Si bandì un concorso e quasi 450 architetti di 48 nazioni presentarono i loro progetti. I risultati della gara vennero resi pubblici a Rio de Janeiro nel 1931. Risultò vincitore e si compensò con una borsa di diecimila dollari, l’architetto inglese J. L.Gleave.
Nel maggio 1937, la Società Colombista Panamericana, con sede all’Avana, incita i Governi di Cuba e della Repubblica Dominicana a formare una squadriglia che percorra il continente in un viaggio di buona volontà con vista alla realizzazione del monumento. Cuba apporta tre aerei Stinson Reliant da 285 hp e Dominicana un Curtis Wright da 420 hp. Questi porterà il nome di Colombo; gli altri quelli delle navi dell’Ammiraglio. Ogni apparecchio volerà col suo meccanico a bordo. Nel Santa Maria, pilotato da Menéndez Peláez andrà il cronista Lugo Viña, pure rappresentante della Colombista. Il progetto si chiamò Volo Pro Faro di Colombo si pensò che salisse da Santo Domingo il 12 ottobre del 1937, ma un imprevisto lo ritardò per tutto un mese.
Finalmente partì il 12 novembre da un aeroporto affollato dal pubblico. Il generale Trujillo, presidente dominicano, capeggiò il saluto.
Avrebbero visitato 26 Paesi, qualcosa senza precedenti in questi voli di buona volontà. Portorico, Caracas, Trinidad, Guyana Olandese e Belem, Fortaleza, Natal, Recife, Bahia e Rio de Janeiro, in Brasile. Il 29 novembre volarono a Montevideo. Era intenzione della squadriglia di trasferirsi ad Asunción, ma i casi di febbre gialla riportati nella capitale del Paraguay li dissuasero da questo impegno. Volarono a Buenos Aires, Santiago del Cile, Bolivia, Perù, Ecuador e Colombia.
A Cali il gerente della Società Colombo Alemana de Transporte Aereo (Scadta) mise a disposizione dei viaggiatori uno dei suoi Junkers perché potessero trasferirsi a Bogotá, a 2.250 metri di altitudine, perché gli aerei cubani mancavano di potenza per un volo come quello. Il 28 il gruppo era di nuovo a Cali. Il 29 avrebbe messo la prua verso Panama. Non si sa bene perché Menéndez Peláez che era il navigatore della squadriglia, persistette nel suo proposito di attraversare il Pacifico da Cali a Buenaventura. Era una rotta già scartata dai piloti della Scadta, una rotta molto pericolosa che si renbdeva meno raccomandabile data la mancanza di potenza degli aerei cubani. Era più sicuro seguire il corso del fiume Cauca fino a Medellín e uscire da Turbo per Panama; gli Stinson dei cubani non potevano rimontare la cordigliera da Cali a Buenaventura. Gli specialisti assicurano che le cattive condizioni atmosferiche e la mancanza di visibilità fecero il resto. I cubani si misero in un imbuto di montagne che si andò chiudendo fino a prtarli a un punto di non ritorno. Nel cercare di virare si schiantarono uno dopo l’altro. Il Curtis della Dominicana, più potente, poté sorvolare le montagne o prese la via del letto del fiume.

Finale

I resti delle vittime furono portati all’Avana a bordo dell’incrociatore Patria, della Marina di Guerra e vegliati con gli onori nel salone dei Passi Perduti del Capitolio. Il 18 gennaio 1938 li inumarono nel Pantheon dell Forze Armate. Nel febbraio dello stesso anno il maggiore Frank F. Miranda e il suo meccanico tornarono al loro Paese in nave.

Portavano il Colombo disarmato. In occasione del primo anniversario della tragedia. Il Governo della Repubblica in coordinazione con le autorità colombiane, dispose l’erezione di un obelisco nel luogo dell’incidente. Successivamente l’alfiere Rivery, a bordo di un aereo che portava il nome di Tenente Menéndez Paláez, realizzò un viaggio di buona volontà in città dell’America Latina. L’Associazione dei Reporters istituì, nel suo momento, il Premio Ruy de Lugo Viñas (mille pesos) per reportages. Il maggiore Frank F. Miranda proseguì la sua carriera nell’aviazione militare dominicana e raggiunse il grado di brigadiere generale. Morì il 20 giugno del 1954. L’aereo Colombo si conserva in un piccolo parco all’ingresso della base aerea di San Isidro, in Dominicana. Il faro di Colombo alla fine fu costruito. Sotto il Governo del Dottor Joaquín Balaguer si iniziarono le opere che si conclusero nel 1992, in occasione del V centenario dell’arrivo degli europei in America. Serve da tomba all’Ammiraglio, i cui resti non uscirono mai da Santo Domingo.


Un héroe olvidado
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
23 de Enero del 2016 19:43:11 CDT

Mariano Barberán y Joaquín Collar, dos heroicos aviadores españoles, fueron protagonistas, el 10 de junio de 1933, del vuelo Sevilla-Camagüey, que los llevó a atravesar, sin escalas, el Atlántico por su parte más ancha. Hazaña no intentada hasta entonces. En 39 horas con 50 minutos cubrieron la distancia que separa a esas ciudades a bordo del avión conocido con el nombre de Cuatro Vientos.
De Camagüey el Cuatro Vientos voló a La Habana. Pasaron Barberán y Collar varias jornadas en nuestra capital. Se alojaron en el hotel Plaza y fueron agasajados por corporaciones cubanas y españolas. Eran los héroes del momento. De aquí partieron rumbo a México, donde se les esperaba. Varios especialistas cubanos les recomendaron entonces que retrasaran la partida. Barberán y Collar, que habían llegado enfermos, no descansaron lo suficiente en La Habana, donde se vieron sometidos a un régimen de vida social inusitado para ellos. Además, imperaba el mal tiempo en aquella mañana en que el Cuatro Vientos salió de Cuba y no se sabía bien si los desperfectos técnicos advertidos en el aparato habían sido convenientemente reparados. Pero Barberán y Collar debían arribar a México en una hora ya convenida y les era imprescindible partir. Jamás llegaron a su destino. Y se desconoce todavía con exactitud cuál fue su suerte.
Todo eso es historia conocida. Lo que se conoce menos es que, hace 80 años, en los primeros días de 1936 un aviador cubano se dispuso a cruzar el Atlántico de oeste a este y, sin pretensión de batir marca alguna, devolver a España la visita que Barberán y Collar habían hecho a Cuba.

Sin radio y con mal tiempo

El aviador cubano, teniente de la Marina de Guerra, se llamaba Antonio Menéndez Peláez e hizo el viaje a bordo del avión bautizado como 4 de Septiembre; un monoplano Lockheed Sirius 88 transformado en monoplaza y al que se le hicieron adaptaciones importantes para la travesía.
Despegó Menéndez Peláez en Camagüey, a las siete de la mañana del 13 de enero para tomar tierra en Campo Alegre, Venezuela, y de allí se trasladó al aeródromo de la Pan American, en Maiquetía. Al día siguiente se elevó hacia Puerto España, en la isla de Trinidad, y pasó a Ámsterdam, en la antigua Guayana Británica, y a Leguiar, para concluir en Pará, Brasil, en el delta del Amazonas, el 3 de febrero.
Dos días más tarde se desplazó hasta San Luis de Maranho y Fortaleza y culminó en la jornada siguiente la primera fase de su vuelo al aterrizar en Natal a fin de cruzar desde ese punto el océano para arribar a África.
Sobre el Atlántico, el teniente Menéndez Peláez encontró vientos fuertes y mal tiempo, lo que lo obligó a volar, en muchas ocasiones, a escasa altura sobre el agua. Como no llevaba radio a bordo, debió confiar en su pericia como navegante y tomó de referencia los barcos en ruta que avistaba desde su aparato. Consiguió aterrizar en Bathhurst, Senegal, después de haber recorrido 3 160 kilómetros sobre el océano.
Desde Bathhurst voló el cubano al cabo Yuby, en el antiguo Sahara español, el 12 de febrero, y dos días después llegó por fin a Sevilla para tomar tierra en el aeropuerto militar de Tablada, desde donde, tres años antes, partió el Cuatro Vientos en su histórico viaje a Camagüey. En Tablada se tributó al militar cubano un caluroso recibimiento, el mismo que recibiría una semana después al arribar al aeródromo que llevaba el nombre famoso del aparato utilizado por Barberán y Collar.
En resumen, el teniente Antonio Menéndez Peláez, a bordo del 4 de Septiembre, recorrió 14 454 kilómetros en 72 horas y 27 minutos para devolver el abrazo que en 1933 dos valerosos aviadores trajeron desde España. En Madrid, como antes en Sevilla, fue saludado con los mayores honores. Lo recibió el Ministro de Estado y otras importantes autoridades civiles y militares. El Ministro de Guerra y el Director General de Aeronáutica asistieron a la comida con que lo congratuló el Aero Club español y hubo chinchín de copas en la embajada de Cuba. Las fuerzas armadas españolas lo condecoraron con la Cruz del Mérito Militar y la Cruz del Mérito Naval y el Ejército cubano le anunció desde La Habana su ascenso a primer teniente.
Lo entrevistó, entre otros periodistas, el corresponsal en la capital española de la revista Caras y Caretas, de Buenos Aires. Lo vio en la sede diplomática cubana y «respondía a los saludos con una sonrisa y contestaba con monosílabos. Daba la impresión del hombre que se sorprende por un acontecimiento que no acaba de explicarse. El hombre que está aturdido de saber que ha realizado una proeza extraordinaria que para él sigue siendo una cosa completamente sencilla».
—Vengo a retribuir el vuelo de los heroicos aviadores españoles Barberán y Collar. Traigo a España el saludo de Cuba. Mis padres viven en un pueblecito de Asturias y les daré la sorpresa de mi visita —declara a la revista argentina y el corresponsal apunta: «Esto es lo único que sabe decir Menéndez,  casi con una sobriedad de hombre valeroso y ejecutivo. Los periodistas hacen esfuerzos por arrancarle revelaciones sensacionales y no logran más que frases cortadas de una desesperante simplicidad». Inquiere la prensa sobre los momentos de mayor peligro durante el vuelo, si sintió miedo en algún momento; sus emociones. Expresa el aviador cubano: —Mi mayor emoción la he experimentado al verme pisando la tierra de España.
Comenta el historiador español Juan A. Guerrero Misa en su libro El vuelo Sevilla-Cuba-México del avión Cuatro Vientos: «El gesto de Menéndez puso punto final a una época de heroísmo y profesionalidad que hoy solo podemos tomar como ejemplo y que hermanó, ya para siempre, a las aviaciones de ambos lados del océano. Desde la hazaña de Barberán y Collar, el mar ya no nos separa».
No sería esa la única hazaña de Antonio Menéndez Peláez. Apenas un año después, fue uno de los protagonistas del Vuelo Panamericano Pro Faro de Colón, uno de los episodios más tristes y trágicos de la aviación en América Latina. El 29 de diciembre de 1937, los tres aviones cubanos que conformaban la escuadrilla, de la que el piloto cubano era jefe técnico y navegante, sufrieron un horrible accidente en el tramo Cali-Panamá, cuando ya habían quedado atrás las etapas más difíciles del trayecto. Perecieron en el desastre el periodista Ruy de Lugo Viña, cronista oficial del vuelo, los mecánicos Naranjo, Castillo y Medina y los pilotos Risech Amat, Jiménez Alum y Menéndez Peláez. Solo cuando arribó a Panamá, el mayor dominicano Frank F. Miranda, jefe del cuerpo de aviación de su país, y que por su grado y por viajar en el más potente de los cuatro aviones era el jefe de la expedición, se enteró de la suerte de sus compañeros.

Versión de versiones

Erigir un monumento a Colón era un viejo deseo de los Gobiernos latinoamericanos. La idea, sin embargo, no empezaría a concretarse hasta 1923 cuando en Santiago de Chile la Conferencia Internacional Americana llamó a las naciones del área a aunar esfuerzos con tal propósito. Se perpetuaría la memoria del Almirante con un faro monumental que llevaría su nombre y se emplazaría en República Dominicana. Se convocó a un concurso y casi 450 arquitectos de 48 naciones presentaron sus proyectos. Los resultados del certamen se hicieron públicos en Río de Janeiro, en 1931. Resultó triunfador, y se le recompensó con una bolsa de diez mil dólares, el arquitecto inglés J. L. Gleave.
En mayo de 1937, la Sociedad Colombista Panamericana, con sede en La Habana, insta a los Gobiernos de Cuba y República Dominicana a formar una escuadrilla que recorra el continente en un viaje de buena voluntad con vistas a la realización del monumento. Cuba aporta tres aviones Stinson Reliant de 285 Hp, y Dominicana un Curtis Wright de
420 Hp. Este llevaría el nombre de Colón; los otros, los de las naves del Almirante. Cada aparato volaría con su mecánico a bordo. En el Santa María, piloteado por Menéndez Peláez, iría el cronista Lugo Viña, representante asimismo de la Colombista. El proyecto se llamó Vuelo Pro Faro de Colón y se pensó que saliera de Santo Domingo el 12 de octubre de 1937, pero un imprevisto lo retrasó durante todo un mes.
Partió finalmente el 12 de noviembre de un aeropuerto abarrotado de público. El general Trujillo, presidente dominicano, encabezó la despedida.
Visitarían 26 países, algo sin precedentes en esos vuelos de buena voluntad. Puerto Rico, Caracas, Trinidad, Guayana Holandesa; y Belem, Fortaleza, Natal, Recife, Bahía y Río de Janeiro, en Brasil. El 29 de noviembre volaron a Montevideo. Era intención de la escuadrilla trasladarse a Asunción, pero los casos de fiebre amarilla reportados en la capital paraguaya los disuadieron de ese empeño. Volaron a Buenos Aires y Santiago de Chile, Bolivia, Perú, Ecuador y Colombia.
En Cali, el gerente de la Sociedad Colombo Alemana de Transporte Aéreo
(Scadta) puso a disposición de los viajeros uno de sus Junkers para que pudieran trasladarse a Bogotá, a 2 250 metros de altitud, porque los aviones cubanos carecían de potencia para un vuelo como ese. El 28, el grupo estaba de nuevo en Cali. Pondría el 29 proa a Panamá.
No se sabe bien porqué Menéndez Peláez, que era el navegante de la escuadrilla, persistió en su propósito de cruzar al Pacífico desde Cali a Buenaventura. Era una ruta desechada ya por los pilotos de la Scadta, una ruta muy peligrosa que se hacía menos recomendable dada la falta de potencia de los aviones cubanos. Más seguro resultaba seguir el curso del río Cauca hasta Medellín y salir por Turbo a Panamá; los Stinson de los cubanos no podían remontar la cordillera desde Cali a Buenaventura. Aseguran especialistas que las malas condiciones atmosféricas y la falta de visibilidad hicieron el resto. Los cubanos se metieron en un embudo de montañas que se les fue cerrando hasta llevarlos a un punto de no retorno. Al tratar de girar se estrellaron uno tras otro. El Curtis de Dominicana, más potente, pudo sobrevolar las montañas o tomó el camino del cauce del río.

Final

Los restos de las víctimas fueron traídos a La Habana a bordo del crucero Patria, de la Marina de Guerra, y velados con honores en el Salón de los Pasos Perdidos del Capitolio. El 18 de enero de 1938 los inhumaron en el Panteón de las Fuerzas Armadas. En febrero del mismo año el mayor Frank F. Miranda y su mecánico regresaron por barco a su país. Llevaban el Colón desarmado. En ocasión del primer aniversario de la tragedia, el Gobierno de la República, en coordinación con autoridades colombianas, dispuso la erección de un obelisco en el lugar del accidente. Posteriormente, el alférez Rivery, a bordo de un avión que llevaba el nombre de Teniente Menéndez Peláez realizó un viaje de buena voluntad por ciudades de América Latina. La Asociación de Reportes instituyó en su momento el Premio Ruy de Lugo Viñas (mil pesos) para reportajes. El mayor Frank F. Miranda continuó su carrera en la aviación militar dominicana y alcanzó el grado de brigadier general. Murió el 20 de junio de 1954. El avión Colón se conserva en un pequeño parque a la entrada de la base aérea de San Isidro, en Dominicana. El Faro de Colón fue finalmente construido. Bajo el Gobierno del Doctor Joaquín Balaguer se iniciaron las obras en 1986 y concluyeron en 1992, en ocasión del V centenario de la llegada de los europeos a América. Sirve de tumba al Almirante, cuyos restos jamás salieron de Santo Domingo.

Ciro Bianchi Ross