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martedì 3 maggio 2016

Piazza della Cattedrale, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 1°/5/16


Tre domeniche fa abbiamo fatto, in questa pagina, una rapida visita alla Plaza de San Francísco per poi passare a quella de Armas e per ultima alla cosiddetta Plaza Vieja. Allora si era detto che per ragioni di spazio, la Plaza de la Catedral sarebbe stata rimandata ad altra occasione. Quello che faremo adesso.
Ai suoi inizi si chiamò Plaza de la Cienaga (Palude, n.d.t.). Passò il tempo. L’Isola si divise in due diocesi e il vescovo José de Tres Palacios che reggeva la parte occidentale, ricostruì coi suoi soldi e con quelli dei suoi fedeli, la Santa Casa Lauretana, edificata dall’ordine gesuita, già espulsa dai domini spagnoli e la trasformò nella Santa Iglesia Catedral. Allo stesso tempo, il collegio che avevano costruito i gesuiti si ampliò per convertirsi in quello che doveva essere il famoso seminario di San Carlos y San Ambrosio.
Con l’apertura del nuovo tempio, il carattere e l’aspetto della piazza cambiarono. Nella zona esistevano già case di bello stile, ma a partire da allora si trasformarono tutte in magioni signorili di figure che ostentavano titoli di Castiglia e lo spazio cessò di essere conosciuto col suo vecchio nome dispregiativo, per cominciare ad essere la Plaza de la Catedral.
“L’antico pantano utilizzato come mercato e recinto del bestiame che fu sito di riunioni di pescatori, scrive lo storico Emilio Roig, si convertì in uno dei posti più eleganti della capitale, scenario di feste fastuose e cerimonie che cominciò a disputare la supremazia de la Plaza de Armas”.
Oggi continua ad essere la parte più bella e armoniosa della capitale. “La zona del primo incantesimo avanero”, la chiamò il grande scrittore cubano José Lezama Lima. E Alejo Carpentier, altro avanero irriducibile pur essendo nato a Losanna, in Svizzera, affermava che la facciata della Cattedrale era nientemeno che “musica trasformata in pietra”.

Recinto per muli e immondezzaio

Quella che sarebbe stata la Plaza de la Catedral prima fu, come si rileva dal suo nome originario, un posto pantanoso, malsano. Lì nel 1857, il governatore Gabriel de Luján, aprofittando delle sorgenti che sgorgavano in quel posto, fece costruire un contenitore o cisterna che manteneva sempre una quantità d’acqua sufficiente per rifornire le imbarcazioni in porto e la popolazione della città. Il flusso abbondante di queste sorgenti si  mantenne per lunghi anni, tanto che ancora nel secolo XIX, riforniva una installazione che col nome di “Bagni della Cattedrale” si installò all’angolo del Callejon del Chorro, dove apre le sue porte la galleria Víctor Manuel.
L’atto del Cabildo (antenato coloniale del municipio, n.d.t.) dell’Avana corrispondente al 23 agosto del 1577 rende conto che la palude impedisce il passaggio degli abitanti che vivono “all’altro lato della città, verso la vecchia fortezza” e li ostacola ad assistere alla messa. Da qui il Cabildo raccomanda la costruzione di un ponte e chiede che il fatto si comunichi ai pergiudicati e con loro si veda “le giornate che potrebbero dare per fare un ponte come si conviene”.
Nalla stessa data in cui si costruiva la cisterna, il governatore Luján incitava gli abitanti a costruire le loro case nell’area. Si erano già edificate alcune belle case e se ne costruivano altre per cui, affermava il  governatore, “questo luogo si va nobilitando”.
La terra si asciugava poco a poco e già nel 1623 si parlava della piazzetta della Palude. Nel 1625 il Cabildo proibiva negoziare parcelle nel centro dello spazio, “al fine che da ora in poi serva da piazza e da ornamento di quel quartiere e non si spiani né si conceda per edificio a nessuna persona”. E una Bolla Reale riaffermava, nel 1632, “che non si venda né si ceda per mercede, ma che si conservi per la città nello stato originale in cui si trova”.
Gli abitanti che si sentivano pregiudicati dalla misura protestarono.Uno di loro, a cui si negò il terreno per edificare la sua casa si lamentava, nel 1636, dello stato deplorevole dal quale la località non ne usciva, diceva, recinto di muli e immondezzaio con acqua che imputridiva; Il  danneggiato aggiungeva che si trattava di un’area molto brutta in una città che si stava abbellendo e costruendo begli edifici.
Una piazzetta deserta che causa solo inconvenienti e che si manteneva sopratutto per ricoverare il bestiame destinato al mattatoio.
Già dal 1597 la Zanja Real  sboccava nel cosiddetto Callejón del Chorro.
Sul posto c’è lapide che ricorda il fatto.

Pericolo di crollo

Nel secolo XVII, la futura Plaza de la Catedral era un luogo poco considerato dagli avaneri. La situazione cambiò col tempo. Già nel 1704 il Procuratore Generale della città si opponeva al proposito dei gesuiti di costruire lì la loro chiesa. Il Procuratore asseriva che non aveva un’altra piazza per lo svago degli abitanti, l’esercito aveva alienato al pubblico la Plaza de Armas. Quella della Ciénaga, in cambio, serviva per feste, esercitazioni e sfilate militari e poteva essere utilizzata anche come mercato. Aggiungeva che la città disponeva di poche marine e in quella della Ciénaga si poteva prestare un grande servizio alla Flotta in quanto a cucire vele, torcere cordami e immagazzinare l’acqua necessaria.
Siccome già allora la legge si rispettava, ma non si compiva, ci fu chi fece orecchie da mercante alla disposizione del Re, agli accordi del Cabildo e commerciò terreni che non pregiudicavano il tracciato della piazza. Il vescovo Compostela acquistò per 10.000 pesos la parcella dove si eleverà la missione e il collegio dei padri gesuiti che è lo stesso spazio che col tempo occuperà la Cattedrale. Sarebbe, da principio, un umile oratorio di travi e tetto di foglie, molto simile alle capanne dei pescatori erette in luogo. Muore Compostela, suo protettore e la Compagnia di Gesù convertirà la cappella in un edificio ampio che potesse ospitare la chiesa, il convento e il collegio. Il Procuratore tornò a occuparsene. Ai suoi vecchi argomenti aggiungeva, forse a ragione che la zona era conveniente e magari imprescindibile per la difesa dell’Avana.
I gesuiti vinsero la partita e nel 1748 conseguirono, non senza altri ostacoli, di collocare la prima pietra del loro edificio che avrebbero messo sotto la protezione di Nostra Signora di Loreto. Quasi 20 anni dopo terminarono la costruzione del collegio, non la chiesa né il convento, ma Carlos III li espulse dai loro domini.
Nel 1772 la Chiesa Parrocchiale Maggiore, situata di fronte alla Plaza de Armas –occupava parte di quello che sarà il Palazzo dei Capitani Generali, oggi Museo della Città-, presentava pericolo di crollo. Si determinò il suo trasloco per l’oratorio di San Felipe Neri, nella calle Aguiar e il 9 dicembre del 1977 i trasferì solennemente nell’edificio costruito dai gesuiti. Come si è già detto, il vescovo Tres Palacios gli fece modifiche per adeguarlo a Santa Chiesa Cattedrale, dedicata alla Santissima Concezione, mentre il collegio dei gesuiti fu ampliato e convertito nel Seminario di San Carlos y San Ambrosio.

Ritorno alla piazza

Quando lo scriba cominciò a percorrere l’Avana Vecchia, verso il 1963, l’Ufficio dello Storico dell’Avana era installato nel Palazzo di Lombillo. Si trova all’angolo di Empedrado, alla sinistra uscendo dalla Cattedrale. Ha due facciate e nonostante essere molto bella, la meno importante è quella che guarda alla Plaza. Si tratta di un edificio che esisteva già nel 1739. Appartenne originariamente alla famiglia Pedroso e poi a quella dei Lombillo, sposato con una Pedroso.
Già nella Repubblica, fu acquistato da un avvocato e politico, Ricardo Dolz; risiedeva in quell’edificio con la sua famiglia e lì aveva il suo studio.
Nel 1932, quando per vendicare il suo amico e correligionario Clemenete Vázquez Bello, morto in un attentato, il dittatore Gerardo Machado ordinò di assassinare varie figure dell’opposizione, Dolz che era anche lui nella lista, salvò miracolosamente la vita perché, avvisato in tempo, riuscì a uscire da una porta mentre i sicari entravano da un’altra.
Nel 1937, vi funzionò il Ministero della Difesa Nazionale fino al suo trasferimento a Empedrado e Monserrate, allora lo occuparono diversi uffici del Municipio. Già in questo secolo, lo Storico vi installò un’altra volta il suo Ufficio e oggi è essenzialmente una sala da esposizioni.
Il palazzo del Marchese di Arcos confina con quello di Lombillo. Esisteva già nel 1739. Due anni dopo veniva acquisito da Diego Peñalver y Angulo, Tesoriere dell’Industria Reale.
 Suo figlio Ignacio fu nominato Marchese di Arcos nel 1792 come pagamento ai servigi prestati alla Corona, durante la presa dell’Avana degli inglesi, nel 1762. Si chiamò la Tesoreria quando la occuparono i Peñalver. Poi l’affittarono all’amministrazione delle poste e ricevette il nome di Casa delle Poste.
Fu, a partire dal 1844, sede del Liceo Artistico dell’Avana. Da lì il murale che ricorda grandi figure della cultura cubana e che si apprezza nella calle Mercaderes, perché questa casa ha due fronti, quello che guarda la Cattedrale e quello che guarda alla calle citata che è sempre stata quella principale.
A parere di specialisti, il Palazzo del Marchese di Arcos è il tipo più perfetto di casa coloniale che ci resta. Non c'è niente di più tipicamente avanero che l’atrio e la scala di questo edificio. La scala è quella dei grandi palazzi del Rinascimento. L’impressione che si ha nel salirvi è di grandezza. È la scala di un palazzo.
Al fondo della Plaza, al lato opposto, e di fronte alla Cattedrale, si eleva l’amabile casa dei conti di Casa Bayona. Anch’essa è anteriore alla Cattedrale; data dal 1720. La si considera uno dei nostri palazzi più tipici nell’aspetto esterno, per la simmetria dei suoi interni, per i materiali che si impiegarono per la sua costruzione...”Grande casa di vita all’interno, fatta per godere l’intimità e che offre solo, al passante, un freddo ermetismo. Che distinzione il suo interno! Le stanze sono ampie e accoglienti, i cortili chiusi, ombreggiati, pieni di rumori di fronde e dell’acqua delle fonti. Le gallerie, ridenti; i saloni vastissimi...” dice uno specialista.
Già nel XX secolo fu acquisita dal Collegio degli Scrivani. Poi vi ebbe sede il giornale La Discusión e più tardi gli uffici della distilleria di rum Arechabala. Oggi è il Museo dell’Arte Coloniale.
Il Palazzo del Marchese di Aguas Claras è l’attuale ristorante El Patio, Francisco Filomeno Ponce de León, lo costruì nel XVIII secolo e i suoi discendenti lo vendettero nel 1870 al Conte di Peñalver. In uno degli appartamenti superiori di questo edificio, visse Victor Manuel, iniziatore della pittura moderna a Cuba.
Completa la piazza un’altra stupenda magione, senza portici, molto meno palazzo e molto meno tipica delle sue vicine. In una delle sue pareti c’è la targa commemorativa della costruzione della prima Zanja (Fossato, n.d.t.)
Merita di essere citata per il destino disgraziato di due dei suoi principali abitanti. Nonostante le loro ricchezze e importanza sociale, entrambi finirono in carcere e vi morirono, in differenti periodi del XVIII secolo. Uno per opporsi al governatore Güemes de Horcasitas, Conte di Revillagigedo; l’altro per aver collaborato con l’occupante britannico nel 1762.


Plaza de la Catedral

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
30 de Abril del 2016 21:41:18 CDT

Hace tres domingos hicimos en esta página una rápida visita a la Plaza de San Francisco para pasar después a la de Armas y, por último, a la llamada Plaza Vieja. Consignamos entonces que, por razones de espacio, la Plaza de la Catedral quedaría para otra ocasión. Lo haremos ahora.
Se le llamó en sus comienzos Plaza de la Ciénaga. Pasó el tiempo. La Isla se dividió en dos diócesis, y el obispo José de Tres Palacios, que regía en su parte occidental, reconstruyó con su dinero y con los de su prelacía, la Santa Casa Lauretana, edificada por la orden jesuita, expulsada ya de los dominios españoles, y la transformó en Santa Iglesia Catedral. Al mismo tiempo, el colegio que construyeron los jesuitas se amplió para convertirse en lo que habría de ser el famoso seminario de San Carlos y San Ambrosio.
Con la apertura del nuevo templo cambió el aspecto y el carácter de la plaza. Existían ya en la zona casas de buen estilo, pero a partir de ahí todas se convirtieron en mansiones señoriales de figuras que ostentaban títulos de Castilla, y el espacio dejó de ser conocido por su nombre viejo y despectivo, para empezar a ser la Plaza de la Catedral.
«El antiguo desaguadero utilizado como mercado y corral de ganado que fue sitio de reunión de pescadores, escribe el historiador Emilio Roig, se convirtió en uno de los lugares más elegantes de la capital, escenario de fiestas fastuosas y ceremonias, que comenzó a disputarle la primacía a la Plaza de Armas».
Hoy sigue siendo la parte más bella y armoniosa de la capital. «La zona del primer hechizo habanero», la llamó el gran escritor cubano José Lezama Lima. Y Alejo Carpentier, otro habanero irreductible aunque nació en Lausana, Suiza, afirmaba que la fachada de la Catedral era nada más y nada menos que «música convertida en piedra».

Muladar y basurero

Lo que sería la Plaza de la Catedral fue antes, como se desprende de su nombre original, un sitio anegadizo, un lugar malsano. Allí, en 1587, el gobernador Gabriel de Luján, aprovechando los manantiales que brotaban en ese sitio, hizo construir un aljibe o cisterna que mantenía siempre una cantidad de agua suficiente para abastecer las embarcaciones en puerto y a la población de la villa. El abundante caudal de esos manantiales se mantendría durante largos años, tantos que todavía en el siglo XIX surtía un establecimiento que, con el nombre de «Baños de la Catedral», se instaló en la esquina del Callejón del Chorro, donde abre sus puertas la galería Víctor Manuel.
El acta del Cabildo de La Habana correspondiente a 23 de agosto de 1577 da cuenta de que la ciénaga impide el paso de los vecinos que viven «en la otra banda de la villa, hacia la fortaleza vieja», y les obstaculiza asistir a misa. De ahí que el Cabildo recomiende la construcción de un puente y pide que el asunto se comunique a los perjudicados y se vea con ellos «los jornales que podrán dar para hacer un puente como conviene».
En la misma fecha en que se construía el aljibe, el gobernador Luján instaba a los vecinos a que construyesen sus viviendas en el área. Ya se han edificado algunas buenas casas y se levantan otras con lo que, afirmaba el Gobernador, «este lugar se va ennobleciendo».
La tierra se secaba poco a poco y ya en 1623 se hablaba de la plazuela de la Ciénaga. En 1625 el Cabildo prohibía mercedar solares en el centro del espacio, «a fin de que ahora y para todo el tiempo sirva de plaza y adorno de aquel barrio, y no se labre ni conceda para edificio a ninguna persona». Y una Real Cédula reafirmaba en 1632 «que no se venda ni enajene por vía de la merced, sino que se conserve para la ciudad en el antiguo estado en que se encuentra».
Protestaban los vecinos que se sentían perjudicados por la medida. Uno de ellos, al que se le negó el terreno para levantar su vivienda, se quejaba, en 1636, del deplorable estado del lugar que no pasaba de ser, expresaba, muladar y basurero, con un agua que se pudre e infecta la ciudad. Añadía el perjudicado que se trataba de un área de mucha fealdad en una urbe que se va ilustrando y hermoseando de edificios.
Una plazuela desierta que solo causa perjuicios y que se utilizaba sobre todo para sustentar el ganado destinado al matadero.
Ya desde 1597 la Zanja Real vertía en el llamado Callejón del Chorro.
Hay en el lugar una lápida que conmemora el suceso.

Peligro de derrumbe

En el siglo XVII la futura Plaza de la Catedral era un lugar poco estimado por los habaneros. La situación varió con el tiempo. Ya en 1704 el Procurador General de la ciudad se oponía al propósito de los jesuitas de construir allí su iglesia. Aducía el Procurador que La Habana no contaba con otra plaza para el esparcimiento de los vecinos, pues el Ejército había enajenado al pueblo la de Armas. La de la Ciénaga, en cambio, servía para fiestas, ejercicios y desfiles militares y hasta podía utilizarse como mercado. Añadía que la ciudad disponía de pocas marinas, y en la de la Ciénaga se podía prestar un gran servicio a la Armada en cuanto a coser velas, torcer jarcias y almacenar el agua necesaria.
Como ya entonces la ley se respetaba, pero no se cumplía, hubo quien hizo caso omiso a la disposición del Rey y a los acuerdos del Cabildo y mercedó terrenos que no perjudicaban el trazado de la plaza. El obispo Compostela adquiere por 10 000 pesos la parcela donde se levantaría la misión y el colegio de los padres jesuitas, que es el mismo espacio que con el tiempo ocuparían la Catedral. Sería, de entrada, un humilde oratorio de horcones y techo de guano, muy parecido a las chozas de pescadores erigidas en el lugar. Muere Compostela, su protector, y quiere la Compañía de Jesús convertir la ermita en un edificio amplio que albergase iglesia, convento y colegio. Volvió a oponérsele el Procurador. A sus viejos argumentos añadía quizá con razón que la zona era conveniente y acaso imprescindible para la defensa de La Habana.
Ganaron los jesuitas la partida y en 1748 consiguieron, no sin otros obstáculos, colocar la primera piedra de su edificio, que pondrían bajo la advocación de Nuestra Señora de Loreto. Casi 20 años después terminaron la construcción del colegio, no la iglesia ni el convento, pero Carlos III los expulsó de sus dominios.
En 1772 la Iglesia Parroquial Mayor, situada frente a la Plaza de Armas —ocupaba parte de lo que sería el Palacio de los Capitanes Generales, hoy Museo de la Ciudad—, presentaba peligro de derrumbe. Se determinó su traslado para el oratorio de San Felipe de Neri, en la calle Aguiar, y el 9 de diciembre de 1777 se trasladó solemnemente para el edificio construido por los jesuitas. Como ya se dijo, el obispo Tres Palacios le hizo modificaciones para adecuarlo a la Santa Iglesia Catedral, dedicada a la Santísima Concepción, en tanto que el colegio establecido por los jesuitas fue ampliado y convertido en el Seminario de San Carlos y San Ambrosio.

Vuelta a la plaza

Cuando el escribidor comenzó a recorrer La Habana Vieja, allá por 1963, la Oficina del Historiador de La Habana estaba instalada en el Palacio de Lombillo. Se halla en la esquina de Empedrado, a la izquierda según se sale de la Catedral. Tiene dos fachadas y pese a ser muy bella, la menos importante es la que mira a la Plaza. Se trata de un edificio que existía ya en 1739. Perteneció originalmente a la familia Pedroso y luego a la de Lombillo, casado con una Pedroso.
Ya en la República fue adquirido por el abogado y político Ricardo Dolz; residía en ese inmueble con su familia y tenía allí su bufete.
En 1932, cuando para vengar a su amigo y correligionario Clemente Vázquez Bello, muerto en un atentado, el dictador Gerardo Machado ordenó asesinar a varias figuras de la oposición, Dolz, que estaba también en la lista, salvó la vida milagrosamente porque avisado a tiempo, logró huir por una de las puertas mientras los sicarios entraban por la otra.
En 1937 funcionó allí el Ministerio de Defensa Nacional hasta su traslado a Empedrado y Monserrate, y lo ocuparon entonces diversas dependencias del Ayuntamiento. Ya en este siglo, el Historiador instaló otra vez allí su Oficina y hoy es esencialmente una sala de exposiciones.
El Palacio del Marqués de Arcos colinda con el de Lombillo. Existía ya en 1739. Dos años después era adquirido por Diego Peñalver y Angulo, Tesorero de la Real Hacienda. Su hijo Ignacio fue nombrado Marqués de Arcos en 1792, en pago a los servicios prestados a la Corona cuando la toma de La Habana por los ingleses, en 1762. Se le llamó de la Tesorería cuando la ocuparon los dos Peñalver. Luego la arrendaron a la administración de correos y recibió el nombre de Casa de Correos.
Fue, a partir de 1844, sede del Liceo Artístico Literario de La Habana. De ahí el mural que recuerda a grandes figuras de la cultura cubana y que se aprecia en la calle Mercaderes, porque esta casa tiene dos frentes, el que mira a la Catedral y el que da a la calle mencionada, que siempre se ha tenido como el principal.
En opinión de especialistas, el Palacio del Marqués de Arcos es el tipo más perfecto de casa colonial que nos queda. No hay nada más típicamente habanero que el zaguán y la escalera de este edificio. La escalera es la de los grandes palacios del Renacimiento. La impresión que se recibe al ascenderla es de grandeza. Es la escalera de un palacio.
En el fondo de la Plaza, en el lado opuesto y frente por frente a la Catedral, se alza la amable casona de los condes de Casa Bayona. Es también anterior a la Catedral; data de 1720. Se le considera una de nuestros palacios más típicos por su aspecto exterior, por la simetría de sus interiores, por los materiales que se emplearon en su construcción… «Casona de vida dentro, hecha para gozar de lo íntimo, que solo brinda al transeúnte un frío hermetismo. ¡Qué distinto su interior! Las habitaciones son amplias y acogedoras, los patios cerrados, umbrosos, pleno de rumores de fronda y del agua de las fuentes. Las galerías rientes; los salones, vastísimos…», dice un especialista.
Ya en el siglo XX fue adquirida por el Colegio de Escribanos. Radicó después allí el periódico La Discusión, y más tarde las oficinas de la ronera Arechabala. Hoy es el Museo de Arte Colonial.
El Palacio del Marqués de Aguas Claras es el actual restaurante El Patio. Francisco Filomeno Ponce de León lo construyó en el siglo XVIII y sus descendientes lo vendieron, en 1870, al Conde de Peñalver. En uno de los apartamentos superiores de este edificio vivió Víctor Manuel, iniciador de la pintura moderna en Cuba.
Completa la Plaza otra hermosa mansión, sin portales, mucho menos palacial y mucho menos típica que sus vecinas. En una de sus paredes está la tarja conmemorativa de la construcción de la Zanja primitiva.
Merece mención por el desgraciado destino de dos de sus moradores principales. Pese a sus riquezas e importancia social, ambos fueron a parar a la cárcel y murieron en ella, en diferentes etapas del siglo XVIII. Uno, por oponerse al gobernador Güemes de Horcasitas, Conde de Revillagigedo; el otro por haber colaborado con el ocupante británico en 1762.

Ciro Bianchi Ross








Dizionario del mare per lupi di terra

BARBA: onor del mento

lunedì 2 maggio 2016

Dopo oltre 50 anni una nave statunitense attracca al porto dell'Avana

Dopo la "prima volta" di un presidente, è venuta la "prima volta di una nave statunitense  dopo le rotture avvenute oltre 50 anni fa. Questa mattina è passata davanti al faro dei Tres Reyes del Morro, per scivolare lungo il canale costeggiato dalla fortezza di San Carlos de la Cabaña e dominato dal Cristo dell'Avana, la nave Adonia, appartenente al gruppo Carnival, leader mondiale delle crociere e che avrà una cadenza bisettimanale nei porti cubani di l'Avana, Cienfuegos e Santiago de Cuba per proseguire la sua crociera nei Caraibi con rientro a Miami, da dove ha origine.
Sulla nave c'erano 12 cittadini dal doppio passaporto, cubano e statunitense che però sono obbligati a rientrare esibendo il cubano e che fino ad ora non potevano fare viaggi in mare, autorizzati. 




domenica 1 maggio 2016

1 maggio 1916

Come ogni anno, grandiosa sfilata per la festa dei Lavoratori, molte le delegazioni straniere, più folta che mai quella turca. Con il contingente dell’Istituto per la Ricreazione e lo Sport ha sfilato, assieme ad altri volti popolari nei rispettivi contingenti, il tre volte campione olimpico e Presidente della Federazione di Atletica di Cuba, Alberto Juantorena con i figli e sempre disponibile col pubblico.





C'è voluta qualche ora e non so quanti tentativi falliti, ma ce l'ho fatta...




sabato 30 aprile 2016

Dizionario del mare per lupi di terra

BANDERUOLA: secondo Mina folle, stravagante...

venerdì 29 aprile 2016

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BANCHINA: usata nei barchi e ciardini, specialmente dai bensionati

giovedì 28 aprile 2016

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BAGNASCIUGA: penitenza, se all'infinito tortura

domenica 24 aprile 2016

Un vice presidente degli U.S.A. ha giurato a Limonar, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 24/4/16

Il senatore James Buchanan che con l’andare del tempo (1857) risulterà eletto presidente degli Stati Uniti, scriveva alla sua amica Cornelia Roosvelt, in occasione dell’assenza del suo amico, il pure senatore e più tardi vice presidente della nazione, William Rufus King, ciò che segue: “Adesso sono solo, solitario, perché non ho compagnia in casa con me. Ho corteggiato diversi cavalieri, ma non ho avuto successo con nessuno di loro. Sento che per un uomo non è belloe essere solo e non mi stupirei di trovarmi sposato, un gioeno, con una zitellona che mi curi quando sono malato, mi faccia dei buoni cibi quando sto bene e che non si aspetti da me nessuna affetto ardente e romantico”.
Gli storici nordamericani consumarono molte pagine nell’analisi della relazione fra questi due ambiziosi uomini politici che nel 1844 decisero di candidarsi come presidente e vice presidente del Paese, cosa che gli impedì il Partito Democratico, al quale appartenevano entrambi. Anche se alcuni esperti dicevano che non c’era niente di strano, all’epoca che due uomini condividessero lo stesso letto e che i termini affettivi che potevano usare nella corrispondenza trasmessa tra di loro, non significava nessun indizio romantico e catalogarono Buchanan e Rufus come “asessuati e scapoloni”, l’amicizia tra i due  suscitò la curiosità dei loro compagni al Congresso che finirono per definirli “ la signorina Nancy” e la “zia Nancy”, eufemismi usati allora per indicare che un uomo era effemminato. A Buchanan e Rufus che vennero a sapere di questi commenti, non importò mai molto e continuarono la loro vita in comune e il loro lavoro di legislatori. Dal 1834 fino a che Rufus fu nominato ambasciatore in Francia – separazione che motivò la lettera di Buchanan a Cornelia – condiviso lo stesso tetto a Washington e assistevano assieme agli atti in Campidoglio e agli eventi sociali.
Un legislatore diceva che Rufus era la “mezza mela” di Buchanan e un altro si riferiva a loro come ai “gemelli siamesi”, ebbene, stavano sempre assieme. Rufus diceva che questa amicizia era una “comunione”.
Buchanan ebbe una fidanzata con cui ruppe prima di arrivare al matrimonio interessato, sopratutto com’era, alla dote della ragazza. A Rufus non si conobbe nessuna relazione con donne. Alla morte di entrambi – Rufus morì nel 1853 e Buchanan nel 1868 – le rispettive famiglie distrussero  la corrispondenza fra di loro. Le lettere che si salvarono, senza dubbio lasciarono molti argomenti interessanti.

Il vice che non fu

Non è interesse dello scriba e lo esprime, a qualsiasi intimità, come usava dire un noto avvocato, prima del 1959 mentre si appoggiava con entrambe le mani al suo bastone, abbondare nell’orientamento sessuale di William Rufus King. Vuole, sì, sottolineare un fatto inedito nella storia degli Stati Uniti. Rufus, tredicesimo vice presidente di questo Paese – con Franklin Pierce come presidente -, giurò per il suo alto incarico nella casa di abitazione dello zuccherificio Adriadna, a Limonar in provincia di Matanzas. Si avvicinava la date del giuramento e collaboratori e amici si convinsero che il soggetto che cercava di recuperarsi a Cuba, non sarebbe arrivato a Washington. Stava tanto male di salute che per la cerimonia si dovette mantenerlo in piedi sostenendolo per le due braccia.
Pass diversi giorni in più nella zona e giunse a casa sua il 17 aprile del 1853. Morì il giorno dopo, nella sua fattoria nella contea di Dallas, in Alabama. Si mantenne in carica solo un mese. Non poté disimpegnare nessun incarico inerente alla sua alta investitura.
Fu lo storico matanzero Raúl Ruíz già deceduto, a portare alla luce, anni fa, questa storia dimenticata, pagine che compilò in un libro quasi introvabile, Aguas de la ciudad.,
Alla fine della decade del 1940 o all’inizio del 1950, la Alabama Historial Society, volle perpetuare il fatto con la collocazione di una targa in una delle colonne vicine all’entrata principale del Palazzo Municipale matanzero: targa non conosciuta dallo scriba.
Nonostante i suoi compagni  di emiciclo si burlavano di un uomo melenso e stravagante che usava coprirsi con parrucche impolverate che ai suoi tempi erano già fuori moda Rufus fu, si dice, un legislatore capace e un oratore impressionante. Alla sua morte, Buchanan lo definì “tra i migliori, più puri e più consistenti uomini pubblici che abbia conosciuto”, ma l’apprezzamento veniva da molto vicino.
In ogni modo la sua carriera politica fu folgorante. Discendente di irlandesi e di ugonotti francesi, William Rufus King nacque nella contea di Sampson, Carolina del Nord, il 7 aprile 1786. La sua era una famiglia grande, benestante e con molti buoni contatti. Fece gli studi universitari e nel 1806 fu eletto deputato alla rappresentanza del suo Stato di nascita. Disimpegnò in tre occasioni l’atto di Rappresentante alla Camera a Washington e partecipò come delegato alla convenzione organizzata dal Governo dello Stato dell’Alabama. Nel 1819, nel riconoscere questo territorio come il ventiduesimo Stato dell’Unione, fu eletto al Senato, camera dove giunse a presiedere la commissione per le Relazioni Esterne.
Alla morte del presidente Zachary Taylor, il vice Millar Filmore occupò la prima magistratura, per cui la vice presidenza rimase vacante. William Rufus King, già vice presidente del Senato, fu posto, come previsto dalla Costituzione, nella prima linea di successione presidenziale.
I suoi contemporanei lo consideravano moderato in temi come la schiavitù, separazione tra il nord e il sud ed espansione verso l’Ovest. Siccome lui e la sua famiglia erano proprietari di grandi piantagioni di cotone e di circa 500 schiavi, si dice che era un difensore della schiavitù.
Il suo maggior successo fu l’elezione, per il Partito Democratico, alla vice presidenza degli Stati Uniti.

Un uomo ammalato

In quel momento era già un uomo molto ammalato. Minato dalla tubercolosi, i medici gli raccomandarono di andare a Cuba in cerca di un possibile ristabilimento della salute. Fece il viaggio subito dopo la sua elezione.
All’inizio del suo soggiorno nell’Isola, alloggiò nella residenza di William Scott Jencks Updicke, proprietario di uno zuccherificio e suo amico personale. Una magnifica magione di due piani ubicata a la Cumbre, attuale reparto Versalles, vicino alla baia matanzera. Era una zona raccomandata dai medici e lì Rufus rimase, dice l’investigatore Raúl Ruíz, per un periodo di due settimane, fino a che le moleste perturbazioni del nord con pioggia e freddo, raccomandarono il suo trasferimento in altro luogo.
Coi due nipoti che lo accompagnavano e i collaboratori, allora si trasferì allo zuccherificio Ariadna, nella zona di Limonar, bel lontano dalla costa e con un clima eccellente, proprietà di JuanChartrand-Dubois, padre di Esteban e Felipe, gli eccellenti paesaggisti. Era la stessa fabbrica di zucchero dove, nel 1851, si era installata la svedese Fredrika Bremer, occasione in cui aprofittò di scfrivere buona parte del suo libro Cartas desde Cuba che lei stessa illustrò.
Rufus, nello zuccherificio Ariadna, vide lo stesso panorama che precedentemente aveva apprezzato la svedese e che lo scriba rivive grazie a lei. Una grande ceiba in pieno vigore e magnificenza. I margini delle strade bordeggiati, alcune da palme, altre da manghi. I frutteti. Il ballo dei negri la domenica, quando gli si permetteva una pausa nel duro lavoro. Il baraccone degli schiavi, una specie di muraglia bassa, costruita attorno ai quattro lati di un gran patio, col portone su un lato che si chiudeva la sera. Dentro questa muraglia c;erano le stanze degli schiavi – una stanza per ogni famiglia e nel centro del patio, la cucina e il lavandino. – Felipe era sui 25 anni e Esteban che giunse ad essere il più famoso dei due sui 20. La signora della casa, la moglie di Chartrand-Dubois, aveva doti musicali e una voce che ara un vero piacere ascoltare. Dimostrava un carattere tranquillo e dolce, come attivo e vivace era quello del marito, un francese oriundo di Santo Domingo che fece la sua ricchezza grazie alla fortuna, era vivace, ciarliero e cortese, possedeva grande acume e sagacia.

Con l’Approvazione del Congresso

Gli investigatori non si mettono d’accordo nel fissare il luogo esatto dove William Rufus King giurò come vice presidente degli Stati Uniti.
Alcuni insistono a dire che la cerimonia si effettuò a la Cumbre, la residenza di William Updicke, latifondista e interprete della Marina spagnola. Altri su una nave da guerra che Washington inviò a Matanzas per l’occasione. La versione ufficiale assicura che questo giuramento si portò a termine all’Avana. È poco probabile che a questo punto Rufus che era molto malato, in quello stato, si trasferisse alla capitale dell’Isola. D’altra parte il Fulton, una nave della Marina Militare nordamericana che lo portò a Matanzas, fu lo stesso che lo riportò negli Stati Uniti e questa imbarcazione, col suo illustre passeggero a bordo, salpò dall’Atene di Cuba.
Rimane quindi l’ipotesi sostenuta da Raúl Ruíz che la cerimonia ebbe luogo nei possedimenti dei Chartrand.
Si avvicinava la data della presa di possesso e Rufus capì che gli risultava impossibile fare il viaggio. I suoi correligionari e amici iniziarono allora le pratiche per ottenere l’autorizzazione, al fine che il giuramento si effettuasse a Cuba.
La petizione contò dell’approvazione del Congresso. In virtù della decisione, William Sharley, console degli Stati Uniti all’Avana, si sarebbe presentato a Matanzas e avrebbe preso il giuramento di Rufus nello zuccherificio Adriadna. Giunto il momento, si dovette sostenerlo per le braccia per compiere le formalità.
Conclusa la cerimonia, Rufus King conversò coi presenti e si ritirò in una stanza. Dodici giorni dopo, partiva di ritorno agli Stati Uniti. Nel porto di Mobile, una moltitudine aspettava il passeggero che dopo una breve sosta in luogo, rimontò il fiume Alabama fino alla sua tenuta, di Dallas, dove morì.

La legislatura territoriale dell’Oregon creò la contea di King a suo nome. Molti anni dopo, le autorità di questa località emendarono la designazione e il suo logotipo per onorare la memoria di Martin Luther King, l’eroe afroamericano che lottò contro la discriminazione razziale.



Un Vicepresidente de EE.UU. juró en Limonar

Ciro Bianchi Rossdigital@juventudrebelde.cu
23 de Abril del 2016 20:44:44 CDT

El senador James Buchanan que andando el tiempo (1857) resultaría electo presidente de los Estados Unidos, escribía a su amiga Cornelia Roosevelt, con motivo de la ausencia de su amigo, el también senador y más tarde vicepresidente de la nación, William Rufus King, lo
siguiente: «Ahora estoy solo y solitario porque no tengo compañía en la casa conmigo. He cortejado a varios caballeros pero no he tenido éxito con ninguno de ellos. Siento que no es bueno para un hombre el estar solo, y no me sentiría asombrado de encontrarme un día casado con una solterona que me cuide cuando estoy enfermo, me provea buenas comidas cuando estoy bien y que no espere de mí ningún afecto ardiente y romántico».
Muchas páginas consumieron los historiadores norteamericanos en el análisis de la relación entre esos dos ambiciosos políticos que en 1844 decidieron postularse como presidente y vice del país, lo que les impidió el Partido Demócrata, al que ambos pertenecían. Aunque algunos conocedores plantean que no había nada raro en la época en que dos hombres compartieran la misma cama, que los términos afectivos que podían utilizar en la correspondencia cursada entre ellos no significaba ningún tipo de apego romántico, y catalogan a Buchanan y a Rufus como «asexuales y solterones», la amistad entre ambos despertó la curiosidad de sus compañeros en el Congreso, que terminaron aludiendo a ellos como la «señorita Nancy» y la «tía Nancy», eufemismos empleados entonces para sugerir que un hombre era afeminado. A Buchanan y a Rufus, que llegaron a conocer de esos comentarios, nunca les importó mucho pues prosiguieron su vida en común y su trabajo como legisladores. Desde 1834 hasta que Rufus fue nombrado embajador en Francia —separación que motivó la citada carta de Buchanan a Cornelia—, compartieron en Washington el mismo techo y juntos asistían a las sesiones del Capitolio y a los actos sociales.
Un legislador decía que Rufus era la «media naranja» de Buchanan, y otro se refería a ellos como los «hermanos siameses», pues siempre andaban juntos. Rufus diría que esa amistad era una «comunión».
Buchanan tuvo una novia con la que rompió antes de llegar al matrimonio, interesado como estaba sobre todo, se dice, en la dote de la muchacha. A Rufus no se le conoció ninguna relación con mujeres. A la muerte de ambos —Rufus falleció en 1853, y Buchanan, en 1868— las familias  respectivas destruyeron la correspondencia entre ellos. Las cartas que quedaron, sin embargo, dan mucha tela por donde cortar.

El vice que no fue

No es interés del escribidor, y lo expresa a toda intimidad, como solía decir un abogado notable antes de 1959 mientras se apoyaba con ambas manos en su bastón, abundar en la orientación sexual de William Rufus King. Quiere, sí, destacar un hecho inédito y hasta ahora no repetido en la historia de Estados Unidos. Rufus, décimo tercer vicepresidente de ese país —con Franklin Pierce como primer mandatario—, juró su alto cargo en la casa de vivienda del ingenio azucarero Adriadna, en Limonar, provincia de Matanzas. Se acercaba la fecha del juramento, y amigos y colaboradores se convencieron de que el sujeto, que intentaba recuperarse en Cuba, no llegaría a Washington. Estaba tan mal de salud que, para que pudiera mantenerse en pie durante la ceremonia, hubo que sostenerlo por ambos brazos.
Pasó varios días más en la zona y llegó a su casa el 17 de abril de 1853. Murió al día siguiente, en su hacienda del condado de Dallas, en Alabama. Se mantuvo en el cargo apenas un mes. No pudo desempeñar ninguna de las funciones inherentes a su alta investidura.
Fue el historiador matancero Raúl Ruiz, ya fallecido, quien sacó a relucir años atrás esta historia olvidada, páginas que compiló en un libro ya casi inencontrable, Aguas de la ciudad. A fines de la década de 1940 o a comienzos de la de 1950, la Alabama Historial Society quiso perpetuar el hecho con la colocación de una tarja en una de las columnas cercanas a la entrada del Palacio Municipal matancero; tarja de la que desconoce el escribidor.
Aunque sus compañeros de hemiciclo se burlaban de un hombre melindroso y cursi, que solía cubrirse con pelucas empolvadas que en su tiempo estaban ya fuera de moda, Rufus fue, se dice, un legislador capaz y un orador impresionante. A su muerte, Buchanan lo ubicó «entre los mejores, más puros y más consistentes hombres públicos que he conocido», pero la recomendación venía desde muy cerca.
De cualquier manera su carrera política fue meteórica. Descendiente de irlandeses y de hugonotes franceses, William Rufus King nació en el condado de Sampson, Carolina del Norte, el 7 de abril de 1786. Era la suya una familia extensa, acaudalada y con muy buenas conexiones. Hizo estudios universitarios y en 1806 fue electo diputado a la legislatura de su estado natal. Desempeñó en tres ocasiones un acta de Representante a la Cámara en Washington y participó como delegado en la convención organizada por el Gobierno del estado de Alabama. En 1819, al reconocerse ese territorio como el vigésimo segundo estado de la Unión, fue electo al Senado, cámara donde llegó a presidir la comisión de Relaciones Exteriores.
A la muerte del presidente Zachary Taylor, el vice Millar Fillmore ocupó la primera magistratura, con lo que la vicepresidencia quedó vacante. William Rufus King, ya presidente del Senado, se colocó, como estipulaba entonces la Constitución, en la primera línea de la sucesión presidencial.
Sus contemporáneos lo consideraron moderado en temas como esclavitud, separación entre el norte y el sur, expansión  hacia el Oeste. Como él y su familia eran propietarios de grandes plantaciones de algodón y de unos 500 esclavos, se dice que era un defensor de la esclavitud.
Su mayor éxito fue su elección en 1852, por el Partido Demócrata, a la vicepresidencia de Estados Unidos.

Un hombre enfermo

A esas alturas era ya un hombre muy enfermo. Minado por la tuberculosis, los médicos le recomendaron que viajara a Cuba en busca del posible restablecimiento de la salud. Hizo el viaje inmediatamente después de su elección.
Se alojó, al comienzo de su estancia en la Isla, en la residencia de William Scott Jencks Updike, propietario de un ingenio azucarero y su amigo personal. Una magnífica mansión de dos plantas ubicada en la Cumbre, actual reparto Versalles, junto a la bahía matancera. Era una zona recomendada por los médicos y allí Rufus permaneció, dice el investigador Raúl Ruiz, por espacio de dos semanas hasta que los molestos nortes, con lluvia y frío, recomendaron su traslado a otro sitio.
Con los dos sobrinos que lo acompañaban y colaboradores se trasladó entonces al ingenio Adriadna, en la zona de Limonar, bien alejado de la costa y con un clima excelente, propiedad de Juan Chartrand-Dubois, padre de Esteban y Felipe, los excelentes paisajistas. Era la misma fábrica de azúcar donde, en 1851, se había instalado la sueca Fredrika Bremer, ocasión que aprovechó para escribir buena parte de su libro Cartas desde Cuba, que ella misma ilustró.
Rufus, en el ingenio Adriadna, ve el mismo paisaje que antes apreció la sueca y que el escribidor revive gracias a ella. Una gran ceiba en pleno vigor y magnificencia. Las guardarrayas bordeadas, unas de palmas y otras, de mangos. Los frutales. El baile de los negros los domingos, cuando se les permite un alto en el duro trabajo. El barracón de los esclavos, una especie de muralla baja, construida en torno a los cuatro lados de un gran patio, con un portón por un lado, que se cierra por la noche. Dentro de esa muralla están las viviendas de los esclavos —una habitación para cada familia, y en el centro del patio, la cocina y el lavadero. Felipe anda por los 25 años, y Esteban, que llegaría a ser el más famoso de los dos, por los 20. La señora de la casa, la esposa de Chartrand-Dubois, tiene dotes musicales y una voz que es verdaderamente un placer escuchar. Da muestras de un carácter tan tranquilo y suave, como activo y vivaz es el del marido, un francés oriundo de Santo Domingo que hizo su fortuna gracias a la suerte, y es vivo, charlatán y cortés, y posee gran agudeza y sagacidad.

Con la aprobación del congreso

No se ponen de acuerdo los investigadores al fijar el lugar exacto donde William Rufus King juró como vicepresidente de los Estados Unidos.
Algunos insisten en que la ceremonia se efectuó en la Cumbre, la residencia de William Updike, hacendado e intérprete de la Marina española. Otros, en un barco de guerra que Washington envió a Matanzas para la ocasión. La versión oficial asegura que ese juramento se llevó a cabo en La Habana. Es poco probable porque a esas alturas Rufus se encontraba muy enfermo y en ese estado no se trasladaría a la capital de la Isla. Por otra parte, el Fulton, un buque de la Marina de Guerra norteamericana, que lo llevó a Matanzas, fue el mismo que lo regresó a Estados Unidos, y esa embarcación, con su ilustre pasajero a bordo, zarpó de la bahía de la Atenas de Cuba.
Queda entonces la hipótesis sostenida por Raúl Ruiz, de que la ceremonia del juramento tuvo lugar en el predio de los Chartrand.
Se acercaba la fecha de la toma de posesión, y Rufus comprendió que le resultaría imposible hacer el viaje. Sus correligionarios y amigos inician entonces las gestiones para lograr la autorización, a fin de que el juramento se efectuara en Cuba.
La petición contó con la aprobación del Congreso. En virtud de la decisión, William Sharley, cónsul de Estados Unidos en La Habana, se personaría en Matanzas y tomaría juramento a Rufus en el ingenio Adriadna. Llegado el momento, hubo que sostenerlo por los brazos para cumplir con las formalidades.
Concluida la ceremonia, Rufus King conversó con los asistentes y se retiró a una habitación. Doce días después partía de regreso a Estados Unidos. En el puerto de Mobile una multitud aguardaba al viajero que, tras una breve estancia en el lugar, remontó el río Alabama hasta su hacienda, en Dallas, donde murió.
La legislatura territorial de Oregón creó el condado King en su nombre. Muchos años después, las autoridades de esa localidad enmendaron la designación y su logo para honrar la memoria de Martin Luther King, el héroe afroamericano que luchó contra la discriminación racial.

Ciro Bianchi Ross



Dizionario del mare per lupi di terra

BAGLIO: Aldo, comico con Giovanni e Giacomo

sabato 23 aprile 2016

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BACINO: segno di affetto

venerdì 22 aprile 2016

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giovedì 21 aprile 2016

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AVVOLGIFIOCCO: fai un bel nodo elegante

mercoledì 20 aprile 2016

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AUTOVUOTANTE: vicolo per spurghi

sabato 16 aprile 2016

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AUTOVIRANTE: automobile che svolta

venerdì 15 aprile 2016

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ATTRACCCARE: ingerire smisuratamente (derivazione spagnola)

giovedì 14 aprile 2016

È mancato Julio García Espinosa, un pezzo di storia del Cinema cubano

In questo “bisesto” 2016, continuano i lutti nel campo della Cultura cubana e in particolare nella Cinematografia, dopo la scomparsa la settimana scorsa del regista, soggettista e sceneggiatore Rogélio París,  ieri pomeriggio è mancato, all’età di 89 anni, Julio García Espinosa. Uno dei grandi, tra i primissimi fondatori del nuovo cinema cubano, assieme ad Alfredo Guevara e Tomàs Gutiérrez Alea (Titón) ed Enrique Pineda Barnet e Santiago Álvarez.
Julio ha frequentato il CSC di Roma tra il 1951 e il 1954, dove ha incontrato Gabriel García Márquez col quale ha conservato un’amicizia per la vita e con lui ed altri, come Alfredo, ha creato la Fondazione del Nuovo Cine Latinoamericano e la Scuola Internazionale di Cine e TV di San Antonio de los Baños.
A Roma ha anche stretto una lunghissima amicizia con Cesare Zavattini che è proseguita epistolarmente per molti anni.
È stato fondatore e presidente dell’ICAIC e del Festival del Nuovo Cine Latinoamericano che già da oltre tre decadi, porta il Cinema di questo continente, ma non solo, in una grande festa con centinaia di proiezioni nei cinema di tutto il Paese, accompagnate da eventi, conferenze e dibattiti, dove non mancano prestigiosi esponenti della cinematografia mondiale.
Nel 2013, Julio ha ricevuto, per mano dell’Ambasciatore italiano, la Stella al merito della Repubblica Italiana, in occasione del suo 83° compleanno.

Alla sua compagna di vita, per tantissimi anni, Dolores Calviño “Lola”, vadano le più sentite condoglianze.

martedì 12 aprile 2016

Pennellate avanere, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 10/4/16

Lo sapevate che la Plaza di San Francisco in una certa occasione ha avuto il nome ufficiale di Plaza de Key west? Ebbens sì. Successe nel 1947, ai tempi del sindaco Nicolás Castellanos Rivero e seppure si collocò in quello spazio una targa con la nuova denominazione, gli avaneri sembrarono non essersene accorti e continuarono chiamandola Plaza de San Francisco.
De San Francisco? All’inizio non poteva avere questo nome, ebbene la piazza esisteva dal 1559 e non fu fino al 1584 quando cominció a costruirsi il convento, un edificio di grandi proporzioni le cui opere furno concluse nel 1591, nonostante non fu pronto fino a dopo una grande riforma che si estese tra il 1731 e il 1738, per essere consacrato l’anno seguente.
Nel 1841 il Governo spagnolo confiscó i beni delle comunità religiose e i frati francescani dovettero abbandonarlo; allora cercarono a Guanabacoa e nella chiesa del convento di San Augustín, oggi di Sna Francisco, all’angolo di Cuba e Amargura. Il vecchio convento con il suo tempio diventó deposito di merci e dal 1856 funzionarono, nella sua area, l”Archivio Generale dell’Isola e la Dogana dell’Avana. Nel 1907 fu occupato dalla direzione delle Poste e Telegrafi e dopo un buon restauro ospitò la Direzione delle Comunicazioni, poi chiamata Segreterie e poi Ministero, fino al suo trasloco alla Plaza Cívica, oggi della Rivoluzione, nel 1957, quando si inaugurò il cosiddetto Palazzo delle Comunicazioni.
Dopo il 1959 si pensò di trasferirvi l’idea di installarvi un Museo Coloniale. Non si fece niente in questo senso e l’edificio servì da magazzino fino a che ospitò la Scuola Laboratorio Gaspar Melchor de Jovellanos, dell’Ufficio dello Storico dellla Città che lo restaurò con grande zelo.
Il 17 novembre del 1955, si conclusro i restauri del claustro nord del convento che gli restituirono l’aspetto originario.
Prima, il 4 ottobre del 1994, terminò il restauro della Basilica Minore di San Francesco di Assisi.
Oggi il convento ospita il Museo di Arte Sacra, con una prezioas collezione che comprende, fondamentalmente, immagini del XVIII° secolo, cosí come pezzi di caratttere religioso come le pantofole e la cappa impermeabile di Dionisio Rezino y Ormachea, primo Vescovo Ausiliare di Cuba, ricamate in Messico nel VII° secolo, in seta,fili d’oro e pietre preziose. La mostra ha importanti pezzi d’avorio (secoli XVII e XIX) e una collezione di ritrovamenti archeologici, provenienti in buona misura negli scavi realizzati nel medesimo edificio e un’ampia rappresentazione di oreficeria e mobili religiosi di epoche passate.
La Basilica Minore di San Francesco di Assisi, dedicata alla musica corale e da camera è una delle migliori sale da concerto della città. (vi si è esibita anche Katia Ricciarelli in una Settimana della Cultura italiana. n.d.t.).

Col nome di Céspedes

La Plaza de San Francisco si chiamò, per breve tempo e pure senza esito, Plaza de Fernando VII°. La Plaza de Armas fu originariamente la Plaza de la Iglesia, per la Parrochiale Maggiore che vi si affacciava e che occupava lo spazio dove poi si eresse il Palazzo dei Capitani Generali.
A parire dal 1581 si fanno sentire le gravi differenze tra Gabriel de Luján, governatore dell’Isola e Diego Fernández de Quiñones, reggente del Castillo de la Fuerza, per la supremazia e il comando della guarnigione che ra già di 200 elementi, Quiñones occupò la Plaza de la Iglesia perché la truppa vi facesse le sue esercitazioni militari e i luogo cominciò a chiamarsi Plaza de Armas, con la delusione del vicinato che perse lo spazio che dedicava al commercio e alla ricreazione.
Fu allora che il Comando politico decise l’acquisto di un terreno per la collocazione della nuova piazza, ma l’acquisto non si fece per mancanza di soldi. La piazza continuò ad essere la de Armas anche quando, passato il tempo, i soldati de La Fuerza cessarono di farvi le loro esercitazioni e il destino che spinse il bellicoso Quiñones, vi lasciò solo il nome.
Nel 1955 si sloggiò dal centro de la Plaza de Armas la statua di Ferdinando VII°, il re fellone, il più odiato dei regnanti spagnoli, situata lì nel 1834. Al suo posto si collocò l’immagine scultorica di Carlos Manuel de Céspedes, Padre della Patria, opera del cubano Sergio López Mesa: una statua di marmo, dimensioni rispettabili, nella quale il personaggio appare in piedi, con i vestiti dell’epoca e la testa scoperta, eretta sul medesimo piedestallo della statua del re che prima si conservò nei magazzini del Museo della Città e poi si collocò nel portico del Palazzo del Secondo Capo, fino a che passò a quello del citato Museo.
Céspedes, duole dirlo, non ha all’Avana un monumento degno della sua grandezza. Nel 1900 si creò l’Associazione Pro Monumento a Céspedes e Martí, ma si elevò solo quello dell’Apostolo nel Parque Central avanero. Nel 1919, per iniziativa di don Cosme de la Torriente, colonnello dell’Esercito di Liberazione e cancelliere della Repubblica, il Congresso votò una legge nella quale si finanziavano 175.000 pesos per erigere il monumento. Non se ne fece nulla. Nel 1923 il Municipio dell’Avana accordò, su proposta della rivista Cuba Contemporánea, di dare il nome di Carlos manuel de Céspedes alla Plaza de Armas.

Piazza nuova o vecchia?

La piazza che noi chiamiamo Vecchia fu, a suo tempo, La Plaza Nueva. Si formò, dice lo storico Arrate, nel 1559, quando sesitevano già la Plaza de la Iglesia e quella di San Francisco. Lo storico Pérez Beato afferma che la Plaza Nueva fu rispetto a quella de la Iglesia perché quella di San Francisco non esisteva. Forse esisteva, come afferma un’altro storico, Emilio Roig, solo che San Francisco al suo inizio, non era altro che una frangia di terra senza edifici.
L’autore de La Habana: apuntes históricos: “Un’angusta frangia di terreno sita tra le calli Oficios e quella della Marina, a modo di spiaggia, frangia che si estendeva tra l’atrio della Chiesa e la calle Lamparilla”.
Roig assicura che San Francisco fu il mercato pubblico fino a che questi, su richiesta dei francescani, si traferì all’attuale Plaza Vieja.
Nonostante fosse andato via da lì il vero mercato, San Francisco fu il centro commercial e di ogni transazione, durante la Colonia, “luogo di attesa, carico e scarico dei carrettoni che si recavano al molo e ai magazzini che circondavano quel luogo; deposito di merci e frutta...Su di essa sbarcarono anche gli immigranti che venivano, dalla Penisola, a fare soldi in America o a morire di febbre gialla senza aver raggiunto le loro speranze di ricchezza”.
Come quella di San Francisco, anche questa, anche questa port il nome di Fernando VII°. Per la verità ha avuto non pochi nomi lungo la sua lunga esistenza: Plaza Nueva, Plaza Real, Plaza Mayor, Plaza de Roque Gil, Plaza del Mercado, Plaza de la Verdura, Plaza de la Constitución, Plaza de Cristina, Plaza de la Concordia, Plaza Vieja e Parque Juan Bruno Zayas. Nel 1835 il governatore Miguel Tacón costruì al centro della Piazza un edificio quadrangolare di mattoni che si sarebbe destinato a mercato: il Mercato di Cristina, in omaggio all’allora regina spagnola. La Plaza Nueva cominciò a essere Vieja quando, a partire dal 1640 si costruì la Plaza Nueva del Cristo. Dal 1814 vi funzionò, in modo extra ufficiale un mercato e nel 1836, Tacón dispose che si chiamasse Mercato del Cristo, l’insieme di posteggi che ordinò di costruirvi.
A San Francisco si trovava la cosiddetta casa de Aróstegui, residenza dei governatori spagnoli  dal 1763 fino a che si costruì il Palazzo dei Capitani Generali. All’angolo tra Oficios e Amargura si trova la palazzina che fu dei successori del IV marchese di San Felipe Y Santiago, dove nel 1878 si alloggiò parte della comitiva dei duchi di Orleáns che più tardi avrebbero occupato il trono di Francia. Oggi è l’albergo Marqués de San Felipe y Santiago.

Il più ricco

Non poche famiglie principali della Colonia risiedettero nella Plaza Vieja. Si distingue fra di loro quella dei conti di San Juan de Jaruco.
Il terzo conte, don Juaquín de Santa Cruz y Cárdenas fu, al suo tempo (1769-1807) l’uomo più ricco di Cuba. Ma era illuso e poco pratico. Fondò grandi aziende e quasi tutte fracassarono; nonostante fosse carente di scrupoli, il suo capitale diminuiva e i debiti aumentavano. Quando morì. Lasciò l’immensa fortuna, per quell’epoca, di nove milioni di pesos, condizionata da un debito di sette milioni che il testamento lo obbligava ad onorare. Don Joaquín è il padre della celeberrima Contessa di Merlin autrice, nel 1844 di un libro delizioso, frutto di una breve visita all’Isola, Viaje a La Habana.
Ad opinione di specialisti, nella Plaza Vieja si edificarono alcune delle più belle magioni coloniali. Alcune di esse resistettero al passare del tempo. La sua armonia costruttiva e dignità architettonica, ben meritano il lavoro di restauro a cui si sotommise negli anni ’90, quando la demolizione di un parcheggio sotterraneo  che vi si costruì nel 1952, dette la spinta ai lavori di rimodernizzazione del centro storico. I suoi abitanti la considerarono sempre come la piazza principale della città.
In essa si fecero i proclami reali fino agli inizi del XIX° secolo ed ebbero luogo molti avvenimenti che segnarono i giorni della città. Nel 1942 si propose che vi si erigesse un monumento ai massoni caduti nelle lotte per l’indipendenza, giacché questo fu lo spazio dove, nel 1820, i membri della massoneria manifestarno, con i loro attributi, al fine di proclamare pubblicamente la loro adesione alla libertò e alla giustizia.

El Caballero de París

Si è lavorato molto in queste piazze. La Plaza de la Catedral rimane per una prossima pagina. In quella de las Armas si è appena terminato di restaurare il Palazzo del Secondo Capo. L’Hotel Marqués de San Felípe y Santiago de Bejucal apre le sue porte in San Francisco, come l’edificio della Loggia del Commercio, costruito nel 1909 e trasformato, nel 1996, in un immobile intelligente con una superficie affittabile di 9.000 metri quadrati.
Il Planetario e la Camera Oscura, nella Plaza Vieja, entusiasmano grandi e piccoli. Lì inoltre ci sono la Fototeca di Cuba e il Centro di Sviluppo delle Arti Visive e in via di restaurazione, il caffè El Escorial e la Factoría de Maltas y Cervesas così come la Victrola, esercizio, non statale di successo dove si conciliano la buona cucina e il buon gusto.
I resti mortali del Caballero de París, personaggio popolare dell’Avana di sempre, furono inumati nel convento di San Francisco.
In una delle porte di questo edificio cha da alla calle Oficios, si è posta una scultura in bronzo in cui l’artista cubano José Villa Soberón catturò il personaggio. Una nuova leggenda è nata nell’Avana Vecchia a partire da allora. si dice che a chi, da dietro la statua, riesce a toccargli la punta della barba con una mano e con l’altra la punta delle se dita, verrà arriso dalla fortuna. Sembra che non sia facile farlo, ma vale la pena di provarci.


Brochazos habaneros
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
9 de Abril del 2016 21:14:17 CDT

¿Sabía usted que la Plaza de San Francisco recibió en cierta ocasión el nombre oficial de Plaza de Key West? Pues sí. Ocurrió en 1947, en tiempos del alcalde Nicolás Castellanos Rivero, y aunque se colocó en dicho espacio una tarja con la nueva denominación, los habaneros parecieron no enterarse de ella y continuaron llamándole Plaza de San Francisco.
¿De San Francisco? En sus comienzos no pudo llevar ese nombre, pues la plaza existía antes de 1559 y no fue hasta 1584 cuando comenzó a construirse el convento, un edificio de grandes proporciones cuyas obras concluyeron en 1591, aunque no quedó listo hasta después de una amplia reforma que se extendió entre 1731 y 1738, para ser consagrado al año siguiente.
En 1841 el Gobierno español confiscó los bienes de las comunidades religiosas y los frailes franciscanos debieron abandonarlo; buscaron asiento entonces en Guanabacoa y en la iglesia y convento de San Agustín, hoy, de San Francisco, en la esquina de Cuba y Amargura. El viejo convento, con su templo, pasó a ser depósito de mercancías y desde 1856 funcionaron en sus áreas el Archivo General de la Isla y la Aduana de La Habana. En 1907 fue ocupado por la Dirección de Correos y Telégrafos y, luego de una acertada restauración, albergó la Dirección de Comunicaciones, llamada después Secretaría y luego Ministerio, hasta su traslado a la Plaza Cívica, hoy de la Revolución, en 1957, cuando se inauguró el llamado Palacio de las Comunicaciones.
Después de 1959 se manejó la idea de instalar allí un museo de historia colonial. Nada se hizo en ese sentido y el edificio sirvió de almacén hasta que dio albergue a la Escuela Taller Gaspar Melchor de Jovellanos, de la Oficina del Historiador de la Ciudad, que lo restauró con esmero.
El 17 de noviembre de 1995 concluyeron las obras de restauración del claustro norte del convento, que le devolvieron su aspecto original.
Antes, el 4 de octubre de 1994, terminó la restauración de la Basílica Menor de San Francisco de Asís.
Hoy el convento da albergue al Museo de Arte Sacro, con una valiosa colección que incluye, en lo fundamental, imágenes del siglo XVIII, así como piezas de carácter religioso como las zapatillas y la capa pluvial de Dionisio Rezino y Ormachea, primer Obispo Auxiliar de Cuba, bordadas en México en el siglo XVII, en seda, hilos de oro y piedras preciosas. La muestra tiene importantes piezas de marfil (siglos XVIII y XIX), una colección de hallazgos arqueológicos, procedentes en buena medida de las excavaciones realizadas en el propio edificio, y una amplia representación de la orfebrería y el mobiliario religiosos de épocas pasadas.
La Basílica Menor de San Francisco de Asís, dedicada a la música coral y de cámara, es una de las mejores salas de concierto de la ciudad.

Con el nombre de Céspedes

La Plaza de San Francisco también se llamó, por breve tiempo e igualmente sin éxito, Plaza de Fernando VII. La Plaza de Armas fue originalmente la Plaza de la Iglesia, por la Parroquial Mayor que se asomaba a ella y que ocupaba el espacio donde se erigió después el Palacio de los Capitanes Generales.
A partir de 1581 se hacen sentir las graves diferencias entre Gabriel de Luján, gobernador de la Isla, y Diego Fernández de Quiñones, alcaide del Castillo de la Fuerza, por la supremacía en el mando de la guarnición de la fortaleza, que era ya de 200 elementos. Quiñones ocupó la Plaza de la Iglesia para que la tropa hiciera sus ejercicios militares y el lugar empezó a llamarse Plaza de Armas, con el desconsuelo de la vecinería, que perdió el espacio que dedicaba al comercio y a la recreación.
Fue entonces que el Cabildo decidió la compra de un terreno para el asiento de una nueva plaza, pero la adquisición no se efectuó por falta de dinero. La plaza siguió siendo la de Armas, aun cuando pasado el tiempo, los soldados de la Fuerza dejaron de hacer allí su entrenamiento y del destino a la que la forzó el belicoso Quiñones no quedó más que el nombre.
En 1955 se desalojó del centro de la Plaza de Armas la estatua de Fernando VII, el rey felón, el más odiado de los monarcas españoles, emplazada allí en 1834. En su lugar se colocó la imagen de bulto de Carlos Manuel de Céspedes, Padre de la Patria, obra del cubano Sergio López Mesa; una estatua de mármol, de tamaño heroico, en la que el personaje aparece de pie, con la indumentaria de su época y la cabeza descubierta, erigida sobre el mismo pedestal de la estatua del monarca, que se guardó primero en los almacenes del Museo de la Ciudad y se colocó luego en el portal del Palacio del Segundo Cabo, hasta que pasó al portal del mencionado museo.
Céspedes, duele decirlo, no tiene en La Habana el monumento digno de su grandeza. En 1900 se creó la Asociación Pro Monumento a Céspedes y Martí, pero se levantó solo el del Apóstol, en el Parque Central habanero. En 1919, a iniciativa de don Cosme de la Torriente, coronel del Ejército Libertador y canciller de la República, el Congreso votó una ley en la que se consignaban 175 000 pesos para erigirle el monumento. Nada se hizo. En 1923 el Ayuntamiento de La Habana acordó, a propuesta de la revista Cuba Contemporánea, dar el nombre de Carlos Manuel de Céspedes a la Plaza de Armas.

¿Plaza nueva o vieja?

La plaza que nosotros llamamos Vieja fue, en su tiempo, la Plaza Nueva. Se formó, dice el historiador Arrate, en 1559, cuando ya existían la Plaza de la Iglesia y la de San Francisco. El historiador Pérez Beato afirma que fue Plaza Nueva con relación a la de la Iglesia, porque San Francisco no existía. Quizá existiera, comenta otro historiador, Emilio Roig, solo que San Francisco, en sus comienzos, no era más que una pequeña faja de tierra sin edificios.
Precisa el autor de La Habana: Apuntes históricos: «una angosta faja de terreno situada entre la calle de los Oficios y la Marina, a modo de playa, faja que se extendía entre el atrio de la iglesia y la calle de la Lamparilla».
Asegura Roig que San Francisco fue el mercado público hasta que este, por petición de los franciscanos, se trasladó a la actual Plaza Vieja.
A pesar de haber salido de allí el verdadero mercado, San Francisco fue durante la Colonia el centro de la vida comercial y de toda clase de transacciones, «lugar de espera, carga y descarga de los carretones que acudían al muelle y a los almacenes que rodean aquel lugar; depósito de mercancías y frutos… Por ella desembarcaban también los inmigrantes que venían de la Península a hacer dinero en América o a morir de fiebre amarilla sin haber logrado sus ansias de riqueza».
Como la de San Francisco, también llevó esta el nombre de Fernando VII. En verdad, ha tenido no pocos nombres a lo largo de su dilatada existencia: Plaza Nueva, Plaza Real, Plaza Mayor, Plaza de Roque Gil, Plaza del Mercado, Plaza de la Verdura, Plaza de la Constitución, Plaza de Cristina, Plaza de la Concordia, Plaza Vieja y Parque Juan Bruno Zayas. En 1835 el gobernador Miguel Tacón construyó en el centro de la plaza un edificio cuadrangular de mampostería que se destinaría a mercado: el Mercado de Cristina, en homenaje a la entonces reina española. La Plaza Nueva empezó a ser Vieja cuando a partir de 1640 se construyó la Plaza Nueva del Cristo. Desde 1814 funcionó aquí, de manera extraoficial, un mercado, y en 1836 Tacón dispuso que se llamara Mercado del Cristo al conjunto de casillas que ordenó construir en el lugar.
En San Francisco se localizaba la llamada Casa de Aróstegui, residencia de los gobernadores españoles desde 1763 hasta que se construyó el palacio de los Capitanes Generales. Y en la esquina de Oficios y Amargura se halla el palacete que fue de los sucesores del IV Marqués de San Felipe y Santiago, donde en 1798 se alojó parte de la comitiva de los duques de Orleáns, que más tarde ocuparían el trono de Francia. Hoy es el hotel Marqués de San Felipe y Santiago.

El más rico

No pocas familias principales de la Colonia residieron en la Plaza Vieja. Sobresale entre ellas la de los condes de San Juan de Jaruco.
El tercer conde, don Joaquín de Santa Cruz y Cárdenas, fue en su tiempo (1769-1807) el hombre más rico de Cuba. Pero era iluso y poco práctico. Acometió grandes empresas y casi todas fracasaron; pese a que carecía de escrúpulos, su capital decrecía y las deudas aumentaban. Cuando falleció, legó a su hijo mayor la inmensa fortuna, para la época, de nueve millones de pesos, condicionada por una deuda de siete millones que en el testamento le obligaba a honrar. Don Joaquín es el padre de la muy célebre Condesa de Merlin, autora, en 1844, de un libro delicioso, fruto de una breve visita a la Isla, Viaje a La Habana.
En opinión de especialistas, en la Plaza Vieja se edificaron algunas de las más bellas mansiones coloniales. Algunas de ellas resistieron el paso del tiempo. Su armonía constructiva y dignidad arquitectónica bien merecen el trabajo de restauración al que las sometieron en los años de 1990, cuando la demolición de un parque soterrado que allí se construyó en 1952 dio impulso a las labores de remozamiento del centro histórico. Sus vecinos la tuvieron siempre como la principal plaza de la villa.
En ella se hicieron las proclamaciones reales hasta los comienzos del siglo XIX y tuvieron lugar múltiples hechos que matizaron el día de la ciudad. En 1942 se propuso que se erigiera allí un monumento a los masones caídos en las luchas por la independencia, ya que fue ese el espacio donde, en 1820, los miembros de la masonería, portando todos sus atributos, salieron en manifestación a fin de proclamar públicamente su adhesión a la libertad y la justicia.

El Caballero de París

Mucho se ha trabajado en estas plazas. La Plaza de la Catedral queda para una página posterior. En la de Armas acaba de restaurarse el palacio del Segundo Cabo. El hotel Marqués de San Felipe y Santiago de Bejucal abre sus puertas en San Francisco, al igual que el edificio de la Lonja del Comercio, construido en 1909 y transformado en 1996 en un inmueble inteligente, con una superficie rentable de 9 000 metros cuadrados.
El Planetario y la Cámara Oscura, en la Plaza Vieja, entusiasman a grandes y chicos. Allí están además la Fototeca de Cuba y el Centro de Desarrollo de las Artes Visuales, y, en el orden de la restauración, el café El Escorial y la Factoría de Maltas y Cervezas, así como La Victrola, exitoso establecimiento del sector no estatal donde se concilian la buena cocina, un mejor servicio y el buen gusto.
Los restos mortales del Caballero de París, personaje popular de La Habana de siempre, fueron inhumados en el convento de San Francisco.
En una de las puertas de ese edificio que da a la calle Oficios, se colocó la escultura en bronce en la que el artista cubano José Villa Soberón atrapó al personaje. Una nueva leyenda le surgió a La Habana Vieja a partir de ella. Se dice que a quien, desde detrás de la estatua, logre tocarle con una mano la punta de la barba y con la otra uno de sus dedos, le sonreirá la fortuna. Parece que no es fácil conseguirlo, pero vale la pena intentarlo.

Ciro Bianchi Ross




Dizionario del mare per lupi di terra

ATTERRARE: fase finale di un volo

Come ho visto crescere e svilupparsi il turismo a Cuba, contenuto in sintesi

Il testo percorre, con una breve premessa su quello che era il turismo a Cuba , prima del 1959, quello che è diventato dopo la metà degli anni ’70 del secolo scorso, considerando che nella decade del ’60 di turismo non se ne parlava proprio per necessità contingenti del Paese.
Si tratta di documentazioni e aneddoti in prima persona, oltre ad alcune altre avute da chi è stato presente al momento vero e proprio dell’inizio dei viaggi di italiani, primi in Europa, a visitare Cuba dopo l'avvento dell'era rivoluzionaria.
Un percorso che va dagli anni dei primi “pionieri” con relativi disagi dovuti ai trasporti aerei e interni, oltre che alle precarie situazioni di alloggio, al giorno d’oggi dove il Paese si è messo in linea con moltissimi altri ed offre alternative che fino a non molto tempo fa erano impensabili.

Si conclude con la recente visita di Barack Obama all’Avana e le prospettive che si possono aprire anche  prima, ma sopratutto dopo, dell’abolizione totale dell’embargo economico imposto dagli Stati Uniti a Cuba che ha anche aspetti extra territoriali chiaramente contrari alle norme di Diritto Internazionale.