Pubblicato su Juventud Rebelde del 24/4/16
Il
senatore James Buchanan che con l’andare del tempo (1857) risulterà eletto
presidente degli Stati Uniti, scriveva alla sua amica Cornelia Roosvelt, in
occasione dell’assenza del suo amico, il pure senatore e più tardi vice
presidente della nazione, William Rufus King, ciò che segue: “Adesso sono solo,
solitario, perché non ho compagnia in casa con me. Ho corteggiato diversi
cavalieri, ma non ho avuto successo con nessuno di loro. Sento che per un uomo
non è belloe essere solo e non mi stupirei di trovarmi sposato, un gioeno, con
una zitellona che mi curi quando sono malato, mi faccia dei buoni cibi quando
sto bene e che non si aspetti da me nessuna affetto ardente e romantico”.
Gli
storici nordamericani consumarono molte pagine nell’analisi della relazione fra
questi due ambiziosi uomini politici che nel 1844 decisero di candidarsi come
presidente e vice presidente del Paese, cosa che gli impedì il Partito
Democratico, al quale appartenevano entrambi. Anche se alcuni esperti dicevano
che non c’era niente di strano, all’epoca che due uomini condividessero lo
stesso letto e che i termini affettivi che potevano usare nella corrispondenza
trasmessa tra di loro, non significava nessun indizio romantico e catalogarono
Buchanan e Rufus come “asessuati e scapoloni”, l’amicizia tra i due suscitò la curiosità dei loro compagni al
Congresso che finirono per definirli “ la signorina Nancy” e la “zia Nancy”,
eufemismi usati allora per indicare che un uomo era effemminato. A Buchanan e
Rufus che vennero a sapere di questi commenti, non importò mai molto e
continuarono la loro vita in comune e il loro lavoro di legislatori. Dal 1834
fino a che Rufus fu nominato ambasciatore in Francia – separazione che motivò
la lettera di Buchanan a Cornelia – condiviso lo stesso tetto a Washington e
assistevano assieme agli atti in Campidoglio e agli eventi sociali.
Un
legislatore diceva che Rufus era la “mezza mela” di Buchanan e un altro si
riferiva a loro come ai “gemelli siamesi”, ebbene, stavano sempre assieme.
Rufus diceva che questa amicizia era una “comunione”.
Buchanan
ebbe una fidanzata con cui ruppe prima di arrivare al matrimonio interessato,
sopratutto com’era, alla dote della ragazza. A Rufus non si conobbe nessuna
relazione con donne. Alla morte di entrambi – Rufus morì nel 1853 e Buchanan
nel 1868 – le rispettive famiglie distrussero la corrispondenza fra di loro. Le lettere che
si salvarono, senza dubbio lasciarono molti argomenti interessanti.
Il vice che non fu
Non è
interesse dello scriba e lo esprime, a qualsiasi intimità, come usava dire
un noto avvocato, prima del 1959 mentre si appoggiava con entrambe le mani al
suo bastone, abbondare nell’orientamento sessuale di William Rufus King. Vuole,
sì, sottolineare un fatto inedito nella storia degli Stati Uniti. Rufus,
tredicesimo vice presidente di questo Paese – con Franklin Pierce come
presidente -, giurò per il suo alto incarico nella casa di abitazione dello
zuccherificio Adriadna, a Limonar in provincia di Matanzas. Si avvicinava la
date del giuramento e collaboratori e amici si convinsero che il soggetto che
cercava di recuperarsi a Cuba, non sarebbe arrivato a Washington. Stava tanto
male di salute che per la cerimonia si dovette mantenerlo in piedi sostenendolo
per le due braccia.
Pass diversi giorni in più nella zona e giunse a casa sua il 17 aprile del 1853.
Morì il giorno dopo, nella sua fattoria nella contea di Dallas, in Alabama. Si
mantenne in carica solo un mese. Non poté disimpegnare nessun incarico inerente
alla sua alta investitura.
Fu lo
storico matanzero Raúl Ruíz già deceduto, a portare alla luce, anni fa, questa
storia dimenticata, pagine che compilò in un libro quasi introvabile, Aguas de la ciudad.,
Alla
fine della decade del 1940 o all’inizio del 1950, la Alabama Historial Society,
volle perpetuare il fatto con la collocazione di una targa in una delle colonne
vicine all’entrata principale del Palazzo Municipale matanzero: targa non
conosciuta dallo scriba.
Nonostante
i suoi compagni di emiciclo si burlavano
di un uomo melenso e stravagante che usava coprirsi con parrucche impolverate
che ai suoi tempi erano già fuori moda Rufus fu, si dice, un legislatore capace
e un oratore impressionante. Alla sua morte, Buchanan lo definì “tra i
migliori, più puri e più consistenti uomini pubblici che abbia conosciuto”, ma
l’apprezzamento veniva da molto vicino.
In ogni
modo la sua carriera politica fu folgorante. Discendente di irlandesi e di
ugonotti francesi, William Rufus King nacque nella contea di Sampson, Carolina
del Nord, il 7 aprile 1786. La sua era una famiglia grande, benestante e con
molti buoni contatti. Fece gli studi universitari e nel 1806 fu eletto deputato
alla rappresentanza del suo Stato di nascita. Disimpegnò in tre
occasioni l’atto di Rappresentante alla Camera a Washington e partecipò come
delegato alla convenzione organizzata dal Governo dello Stato dell’Alabama. Nel
1819, nel riconoscere questo territorio come il ventiduesimo Stato dell’Unione,
fu eletto al Senato, camera dove giunse a presiedere la commissione per le
Relazioni Esterne.
Alla
morte del presidente Zachary Taylor, il vice Millar Filmore occupò la prima
magistratura, per cui la vice presidenza rimase vacante. William Rufus King,
già vice presidente del Senato, fu posto, come previsto dalla Costituzione, nella
prima linea di successione presidenziale.
I suoi
contemporanei lo consideravano moderato in temi come la schiavitù, separazione
tra il nord e il sud ed espansione verso l’Ovest. Siccome lui e la sua famiglia
erano proprietari di grandi piantagioni di cotone e di circa 500 schiavi, si
dice che era un difensore della schiavitù.
Il suo
maggior successo fu l’elezione, per il Partito Democratico, alla vice
presidenza degli Stati Uniti.
Un uomo ammalato
In quel
momento era già un uomo molto ammalato. Minato dalla tubercolosi, i medici gli
raccomandarono di andare a Cuba in cerca di un possibile ristabilimento della
salute. Fece il viaggio subito dopo la sua elezione.
All’inizio
del suo soggiorno nell’Isola, alloggiò nella residenza di William Scott Jencks
Updicke, proprietario di uno zuccherificio e suo amico personale. Una magnifica
magione di due piani ubicata a la Cumbre, attuale reparto Versalles, vicino
alla baia matanzera. Era una zona raccomandata dai medici e lì Rufus rimase,
dice l’investigatore Raúl Ruíz, per un periodo di due settimane, fino a che le
moleste perturbazioni del nord con pioggia e freddo, raccomandarono il suo
trasferimento in altro luogo.
Coi due
nipoti che lo accompagnavano e i collaboratori, allora si trasferì allo
zuccherificio Ariadna, nella zona di Limonar, bel lontano dalla costa e con un
clima eccellente, proprietà di JuanChartrand-Dubois, padre di Esteban e Felipe,
gli eccellenti paesaggisti. Era la stessa fabbrica di zucchero dove, nel 1851,
si era installata la svedese Fredrika Bremer, occasione in cui aprofittò di
scfrivere buona parte del suo libro Cartas
desde Cuba che lei stessa illustrò.
Rufus,
nello zuccherificio Ariadna, vide lo stesso panorama che precedentemente aveva
apprezzato la svedese e che lo scriba rivive grazie a lei. Una grande ceiba in pieno vigore e magnificenza. I
margini delle strade bordeggiati, alcune da palme, altre da manghi. I frutteti.
Il ballo dei negri la domenica, quando gli si permetteva una pausa nel duro
lavoro. Il baraccone degli schiavi, una specie di muraglia bassa, costruita
attorno ai quattro lati di un gran patio, col portone su un lato che si
chiudeva la sera. Dentro questa muraglia c;erano le stanze degli schiavi – una
stanza per ogni famiglia e nel centro del patio, la cucina e il lavandino. –
Felipe era sui 25 anni e Esteban che giunse ad essere il più famoso dei due sui
20. La signora della casa, la moglie di Chartrand-Dubois, aveva doti musicali e
una voce che ara un vero piacere ascoltare. Dimostrava un carattere tranquillo e
dolce, come attivo e vivace era quello del marito, un francese oriundo di Santo
Domingo che fece la sua ricchezza grazie alla fortuna, era vivace, ciarliero e
cortese, possedeva grande acume e sagacia.
Con l’Approvazione del Congresso
Gli
investigatori non si mettono d’accordo nel fissare il luogo esatto dove William
Rufus King giurò come vice presidente degli Stati Uniti.
Alcuni
insistono a dire che la cerimonia si effettuò a la Cumbre, la residenza di
William Updicke, latifondista e interprete della Marina spagnola. Altri su una
nave da guerra che Washington inviò a Matanzas per l’occasione. La versione
ufficiale assicura che questo giuramento si portò a termine all’Avana. È poco
probabile che a questo punto Rufus che era molto malato, in quello stato, si
trasferisse alla capitale dell’Isola. D’altra parte il Fulton, una nave della
Marina Militare nordamericana che lo portò a Matanzas, fu lo stesso che lo
riportò negli Stati Uniti e questa imbarcazione, col suo illustre passeggero a
bordo, salpò dall’Atene di Cuba.
Rimane
quindi l’ipotesi sostenuta da Raúl Ruíz che la cerimonia ebbe luogo nei
possedimenti dei Chartrand.
Si
avvicinava la data della presa di possesso e Rufus capì che gli risultava
impossibile fare il viaggio. I suoi correligionari e amici iniziarono allora le
pratiche per ottenere l’autorizzazione, al fine che il giuramento si
effettuasse a Cuba.
La
petizione contò dell’approvazione del Congresso. In virtù della decisione,
William Sharley, console degli Stati Uniti all’Avana, si sarebbe presentato a
Matanzas e avrebbe preso il giuramento di Rufus nello zuccherificio Adriadna.
Giunto il momento, si dovette sostenerlo per le braccia per compiere le
formalità.
Conclusa
la cerimonia, Rufus King conversò coi presenti e si ritirò in una stanza.
Dodici giorni dopo, partiva di ritorno agli Stati Uniti. Nel porto di Mobile,
una moltitudine aspettava il passeggero che dopo una breve sosta in luogo,
rimontò il fiume Alabama fino alla sua tenuta, di Dallas, dove morì.
La
legislatura territoriale dell’Oregon creò la contea di King a suo nome. Molti
anni dopo, le autorità di questa località emendarono la designazione e il suo
logotipo per onorare la memoria di Martin Luther King, l’eroe afroamericano che
lottò contro la discriminazione razziale.
Un Vicepresidente de EE.UU. juró en Limonar
Ciro Bianchi
Ross • digital@juventudrebelde.cu
23 de Abril del 2016 20:44:44 CDT
El senador James Buchanan que
andando el tiempo (1857) resultaría electo presidente de los Estados Unidos,
escribía a su amiga Cornelia Roosevelt, con motivo de la ausencia de su amigo,
el también senador y más tarde vicepresidente de la nación, William Rufus King,
lo
siguiente: «Ahora estoy solo y
solitario porque no tengo compañía en la casa conmigo. He cortejado a varios
caballeros pero no he tenido éxito con ninguno de ellos. Siento que no es bueno
para un hombre el estar solo, y no me sentiría asombrado de encontrarme un día
casado con una solterona que me cuide cuando estoy enfermo, me provea buenas
comidas cuando estoy bien y que no espere de mí ningún afecto ardiente y
romántico».
Muchas páginas consumieron los
historiadores norteamericanos en el análisis de la relación entre esos dos
ambiciosos políticos que en 1844 decidieron postularse como presidente y vice
del país, lo que les impidió el Partido Demócrata, al que ambos pertenecían.
Aunque algunos conocedores plantean que no había nada raro en la época en que
dos hombres compartieran la misma cama, que los términos afectivos que podían
utilizar en la correspondencia cursada entre ellos no significaba ningún tipo
de apego romántico, y catalogan a Buchanan y a Rufus como «asexuales y
solterones», la amistad entre ambos despertó la curiosidad de sus compañeros en
el Congreso, que terminaron aludiendo a ellos como la «señorita Nancy» y la
«tía Nancy», eufemismos empleados entonces para sugerir que un hombre era
afeminado. A Buchanan y a Rufus, que llegaron a conocer de esos comentarios,
nunca les importó mucho pues prosiguieron su vida en común y su trabajo como
legisladores. Desde 1834 hasta que Rufus fue nombrado embajador en Francia
—separación que motivó la citada carta de Buchanan a Cornelia—, compartieron en
Washington el mismo techo y juntos asistían a las sesiones del Capitolio y a
los actos sociales.
Un legislador decía que Rufus era la
«media naranja» de Buchanan, y otro se refería a ellos como los «hermanos
siameses», pues siempre andaban juntos. Rufus diría que esa amistad era una
«comunión».
Buchanan tuvo una novia con la que
rompió antes de llegar al matrimonio, interesado como estaba sobre todo, se
dice, en la dote de la muchacha. A Rufus no se le conoció ninguna relación con
mujeres. A la muerte de ambos —Rufus falleció en 1853, y Buchanan, en 1868— las
familias respectivas destruyeron la
correspondencia entre ellos. Las cartas que quedaron, sin embargo, dan mucha
tela por donde cortar.
El vice que no fue
No es interés del escribidor, y lo
expresa a toda intimidad, como solía decir un abogado notable antes de 1959
mientras se apoyaba con ambas manos en su bastón, abundar en la orientación
sexual de William Rufus King. Quiere, sí, destacar un hecho inédito y hasta
ahora no repetido en la historia de Estados Unidos. Rufus, décimo tercer
vicepresidente de ese país —con Franklin Pierce como primer mandatario—, juró
su alto cargo en la casa de vivienda del ingenio azucarero Adriadna, en
Limonar, provincia de Matanzas. Se acercaba la fecha del juramento, y amigos y
colaboradores se convencieron de que el sujeto, que intentaba recuperarse en
Cuba, no llegaría a Washington. Estaba tan mal de salud que, para que pudiera
mantenerse en pie durante la ceremonia, hubo que sostenerlo por ambos brazos.
Pasó varios días más en la zona y
llegó a su casa el 17 de abril de 1853. Murió al día siguiente, en su hacienda
del condado de Dallas, en Alabama. Se mantuvo en el cargo apenas un mes. No
pudo desempeñar ninguna de las funciones inherentes a su alta investidura.
Fue el historiador matancero Raúl
Ruiz, ya fallecido, quien sacó a relucir años atrás esta historia olvidada,
páginas que compiló en un libro ya casi inencontrable, Aguas de la ciudad. A
fines de la década de 1940 o a comienzos de la de 1950, la Alabama Historial
Society quiso perpetuar el hecho con la colocación de una tarja en una de las
columnas cercanas a la entrada del Palacio Municipal matancero; tarja de la que
desconoce el escribidor.
Aunque sus compañeros de hemiciclo
se burlaban de un hombre melindroso y cursi, que solía cubrirse con pelucas
empolvadas que en su tiempo estaban ya fuera de moda, Rufus fue, se dice, un
legislador capaz y un orador impresionante. A su muerte, Buchanan lo ubicó
«entre los mejores, más puros y más consistentes hombres públicos que he
conocido», pero la recomendación venía desde muy cerca.
De cualquier manera su carrera
política fue meteórica. Descendiente de irlandeses y de hugonotes franceses,
William Rufus King nació en el condado de Sampson, Carolina del Norte, el 7 de
abril de 1786. Era la suya una familia extensa, acaudalada y con muy buenas
conexiones. Hizo estudios universitarios y en 1806 fue electo diputado a la
legislatura de su estado natal. Desempeñó en tres ocasiones un acta de
Representante a la Cámara en Washington y participó como delegado en la
convención organizada por el Gobierno del estado de Alabama. En 1819, al
reconocerse ese territorio como el vigésimo segundo estado de la Unión, fue
electo al Senado, cámara donde llegó a presidir la comisión de Relaciones
Exteriores.
A la muerte del presidente Zachary
Taylor, el vice Millar Fillmore ocupó la primera magistratura, con lo que la
vicepresidencia quedó vacante. William Rufus King, ya presidente del Senado, se
colocó, como estipulaba entonces la Constitución, en la primera línea de la
sucesión presidencial.
Sus contemporáneos lo consideraron
moderado en temas como esclavitud, separación entre el norte y el sur,
expansión hacia el Oeste. Como él y su
familia eran propietarios de grandes plantaciones de algodón y de unos 500
esclavos, se dice que era un defensor de la esclavitud.
Su mayor éxito fue su elección en
1852, por el Partido Demócrata, a la vicepresidencia de Estados Unidos.
Un hombre enfermo
A esas alturas era ya un hombre muy
enfermo. Minado por la tuberculosis, los médicos le recomendaron que viajara a
Cuba en busca del posible restablecimiento de la salud. Hizo el viaje
inmediatamente después de su elección.
Se alojó, al comienzo de su estancia
en la Isla, en la residencia de William Scott Jencks Updike, propietario de un
ingenio azucarero y su amigo personal. Una magnífica mansión de dos plantas
ubicada en la Cumbre, actual reparto Versalles, junto a la bahía matancera. Era
una zona recomendada por los médicos y allí Rufus permaneció, dice el
investigador Raúl Ruiz, por espacio de dos semanas hasta que los molestos
nortes, con lluvia y frío, recomendaron su traslado a otro sitio.
Con los dos sobrinos que lo
acompañaban y colaboradores se trasladó entonces al ingenio Adriadna, en la
zona de Limonar, bien alejado de la costa y con un clima excelente, propiedad
de Juan Chartrand-Dubois, padre de Esteban y Felipe, los excelentes
paisajistas. Era la misma fábrica de azúcar donde, en 1851, se había instalado
la sueca Fredrika Bremer, ocasión que aprovechó para escribir buena parte de su
libro Cartas desde Cuba, que ella misma ilustró.
Rufus, en el ingenio Adriadna, ve el
mismo paisaje que antes apreció la sueca y que el escribidor revive gracias a
ella. Una gran ceiba en pleno vigor y magnificencia. Las guardarrayas
bordeadas, unas de palmas y otras, de mangos. Los frutales. El baile de los
negros los domingos, cuando se les permite un alto en el duro trabajo. El
barracón de los esclavos, una especie de muralla baja, construida en torno a
los cuatro lados de un gran patio, con un portón por un lado, que se cierra por
la noche. Dentro de esa muralla están las viviendas de los esclavos —una
habitación para cada familia, y en el centro del patio, la cocina y el lavadero.
Felipe anda por los 25 años, y Esteban, que llegaría a ser el más famoso de los
dos, por los 20. La señora de la casa, la esposa de Chartrand-Dubois, tiene
dotes musicales y una voz que es verdaderamente un placer escuchar. Da muestras
de un carácter tan tranquilo y suave, como activo y vivaz es el del marido, un
francés oriundo de Santo Domingo que hizo su fortuna gracias a la suerte, y es
vivo, charlatán y cortés, y posee gran agudeza y sagacidad.
Con la aprobación del congreso
No se ponen de acuerdo los
investigadores al fijar el lugar exacto donde William Rufus King juró como
vicepresidente de los Estados Unidos.
Algunos insisten en que la ceremonia
se efectuó en la Cumbre, la residencia de William Updike, hacendado e intérprete
de la Marina española. Otros, en un barco de guerra que Washington envió a
Matanzas para la ocasión. La versión oficial asegura que ese juramento se llevó
a cabo en La Habana. Es poco probable porque a esas alturas Rufus se encontraba
muy enfermo y en ese estado no se trasladaría a la capital de la Isla. Por otra
parte, el Fulton, un buque de la Marina de Guerra norteamericana, que lo llevó
a Matanzas, fue el mismo que lo regresó a Estados Unidos, y esa embarcación,
con su ilustre pasajero a bordo, zarpó de la bahía de la Atenas de Cuba.
Queda entonces la hipótesis
sostenida por Raúl Ruiz, de que la ceremonia del juramento tuvo lugar en el
predio de los Chartrand.
Se acercaba la fecha de la toma de
posesión, y Rufus comprendió que le resultaría imposible hacer el viaje. Sus
correligionarios y amigos inician entonces las gestiones para lograr la
autorización, a fin de que el juramento se efectuara en Cuba.
La petición contó con la aprobación
del Congreso. En virtud de la decisión, William Sharley, cónsul de Estados
Unidos en La Habana, se personaría en Matanzas y tomaría juramento a Rufus en
el ingenio Adriadna. Llegado el momento, hubo que sostenerlo por los brazos
para cumplir con las formalidades.
Concluida la ceremonia, Rufus King
conversó con los asistentes y se retiró a una habitación. Doce días después
partía de regreso a Estados Unidos. En el puerto de Mobile una multitud
aguardaba al viajero que, tras una breve estancia en el lugar, remontó el río
Alabama hasta su hacienda, en Dallas, donde murió.
La legislatura territorial de Oregón
creó el condado King en su nombre. Muchos años después, las autoridades de esa
localidad enmendaron la designación y su logo para honrar la memoria de Martin
Luther King, el héroe afroamericano que luchó contra la discriminación racial.
Ciro Bianchi
Ross
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