Pubblicato su Juventud rebelde del 15/6/14
Lo scriba vuole permettersi di cominciare, oggi, la pagina con un ricordo di famiglia. Succede che nel 1947 o 48 suo padre, un umile cameriere di bar caffé, ricevette l'incarico dal padrone dell'esercizio in cui prestava servizio, un baretto situato nel vestibolo di un edificio di Paseo del Prado, di fronte al Capitolio, di trasferirsi a Sancti Spiritus.
Tutti gli anni, in occasione della Fiera del bestiame che si effettuava lì, era il padrone del bar che si trasferiva in questa città della regione centrale al fine di montare e gestire il bar che assieme a José María, proprietario del negozio La Sirena di quella località, improvvisava nella rassegna del bestiame. Lorenzo García, il padrone del caffé e José María – lo scriba non ha mai saputo il suo cognome -, entrambi spagnoli, erano soci in affari che comprendevano un terreno di canna da zucchero. Li univa una lunga amicizia che si rinnovava in occasione dei viaggi di José María all'Avana e di quella visita annuale di García alla città chiamata del Yayabo (nome indigeno del fiume che l’attraversa, n.d.t.). Per una ragione o per l'altra, già in quella data lontana, Garcí non poté fare il viaggio previsto e affidò l'incarico a mio padre. E qua viene il ricordo di famiglia che voglio raccontare.
Il primo giorno della Fiera, appena aperto il bar, si avvicinò al banco un signore di una certa età. Lo accompagnava una donna giovane e chiese un bicchiere di cognac Felipe II per sé e un'altra, di vino di mele, per la ragazza. Bevvero le consumazioni il cui prezzo non doveva arrivare a un peso di allora e l'uomo allungò un biglietto a mio padre. Mio padre gli diede il resto e...
-Mi scusi, giovane, qua c'é un errore – disse l'uomo – Ho pagato con un biglietto da 20 pesos e lei mi da il resto di cinque.
-No, lei mi ha dato cinque pesos – rispose mio padre che era una lince per i numeri.
-No, no le ho dato 20 pesos – e senza dare il tempo a mio padre di rispondere, domandò: -Lei lo sa chi sono io?
-E come posso non saperlo lei è conosciuto in tutta Cuba. Lei è il dottor Miguel Mariano Gòmez, il sindaco dell'Avana ed ex Presidente della Repubblica.
-Pensa che un uomo come me le ruberebbe un resto?
La domanda lasciò mio padre senza parole. Chiaro che non concepiva un ex presidente della nazione, agiato allevatore per di più, rubando a un dipendente di un caffé. Però era sicuro che Miguel Mariano aveva pagato con un biglietto da cinque pesos. In quel momento, José María che seguiva la scena dalla porta del magazzino chiamò mio padre per sapere cosa succedeva.
Se dice che ti ha dato 20 pesos, ti ha dato 20 pesos, come se ti dicesse che te ne ha dati cento. Gli si da il resto e basta. A Sancti Spiritus non si discute con Miguel Mariano e men che meno in questa casa, disse il comproprietario del bar.
Mio padre doveva riparare l'errore che non aveva commesso. Passò dalla cassa e prese il resto dei soldi.
Mi scusi, dottore, effettivamente lei mi ha pagato con un biglietto da 20. Ecco il suo resto completo. Non disse altro. Miguel Mariano gradí il gesto, sorrise, prese i soldi e uscí dal bar dalla stessa parte in cui entrò.
Fu grande la sorpresa di mio padre nel vederlo riapparire con lo stesso sorriso, la stessa ragazza e le sue folte ciglia. Fece la stessa ordinazione del giorno precedente, solo che al momento di pagare prese un biglietto da un rotolo voluminoso che aveva in tasca e allungandolo a mio padre disse:
-Guardi bene che sono 20 pesos.
Mio padre assentì. Senza dubbio erano 20 pesos. Quando tornò col resto, Miguel Mariano gli disse che non lo voleva per nessuna ragione, che il resto era suo. Tornò il giorno seguente e l'altro e l'altro, fino a che si concluse la Fiera del bestiame e si smontò il bar, lo fece sempre con la stessa accompagnatrice – probabilmente sua figlia – e la sua richiesta invariabile di “Felipe II e vino di mele per la ragazza”, per lasciare, alla fine quella mancia smisurata di circa 19 pesos contanti e sonanti. Mio padre aveva già comprato, per il suo matrimonio, un arredamento per la sala e una ghiacciaia usata, quando tornò all'Avana comprò, nuovo di zecca, l'arredamento per la camera da letto che gli mancava per potersi sposare. Come il lettore può immaginare, lì nacqui io e quei mobili girano ancora da qualche parte per ciò che noi cubani pretendiamo che qualcosa ci duri tutta la vita e lasciarlo a quelli che arrivano poi.
Ricco profilio di età
Non so se è l'età che ci rende ripetitivi, ma ogni volta che torno a Sancti Spiritus trovo sempre l'occasione per ripetere questa storia.
Siccome, fra tante altre donne, ho avuto la fortuna di sposare una spirituana – in realtà è oriunda di Cabaiguan, ma è lo stesso – sono tornato molte volte e trovo sempre qualcuno che vuole ascoltare il racconto.
Adesso siamo tornati, invitati dal governo spirituano ai festeggiamenti per i 500 anni di vita della città. Sono stati tre giorni con l'agenda ben colma in una città ringiovanita, nonostante la sua età e che cresce nell'interesse dei visitatori. Per festeggiare l'anniversario si effettuarono molte opere di conservazione e riscatto di edifici pubblici e privati, parchi e piazze, centri gastronomici e commerciali e si eseguirono anche investimenti a carattere economico e sociale.
Sancti Spiritus è la sua architettura, il fulgore delle sue leggende, il fascino delle sue tradizioni, la ricchezza della sua storia l’allegria dei suoi viandanti e il suo forte movimento corale e trovatoriale. Il suo centro storico, conservato grazie all’impegno e alla dedicazione di chi vi abita, è fra i complessi urbani più notevoli dell’Isola. Nell’opinione della Dottoressa Alicia García Santana è la più medievale delle nostre città fondate, ebbene è dibventato comune lì, costruire sul vecchio, ciò ha dato come risultato un ricco profilo di età sovrapposte.
Questa volta siamo tornati ad alloggiarci nel Hostal del Rijo, dalla facciata maestosa e soffitti altissimi; un esercizio di 16 camere dove l’eleganza e il comfort si danno la mano e vi si coniugano tradizione e modernità. Fu la residenza della famiglia di Antonio Rudersindo del Rijo, un medico benefattore assassinato una sera, alla periferia della città, mentre rincasava dopo aver assistito un malato.L’hotel è risultato ideale per le passeggiate in città. Di fronte, praticamente a un sassata, attraversando il giardinetto dove si eleva la statua del Dottor del Rijo, si trova la chiesa Parrocchia Maggiore, restaurata con accuratezza per l’anniversario. È la più antica della città. Ha caratteristiche di evidente ascendenza postmedievale e per opinione della Dottoressa García Santana e il tempio meglio conservato fra quelli costruiti nel XVII secolo. Non sono poche le leggende che si associano a questa edificazione che con le sue campane fuse in oro, argento e bronzo, abilmente manovrate dal campanaro Cuco Pasamontes, sveglia tutti i giorni il vicinato. Altra leggenda vincolata a questo luogo, parla di una certa signora ricca, di cattivo carattere e superba che, già sul letto di morte, chiese di essere inumata sotto l’entrata principale del tempio al fine che chiunque entrasse o salisse passasse sopra i suoi resti. Pretendeva, con questa decisione di raggiungere, prima o poi, l’indulgenza divina. La accontentarono, dice la leggenda e gli spirituani conoscono questa porta come quella del perdono. Si dice che a questo tempio arrivò, un giorno, un pellegrino e chiese permesso per riposare al suo interno. Il vicinato gli fornì gli alimenti attraverso una finestra fino a che sparì senza lasciare traccia.
Allora cominciarono pioggia e vento. Il fiume Yayabo crebbe; un uragano furioso fustigò la località. Quando sopravvenne la calma apparì, in una delle cappelle, l’immagine di Crsto Santo dell’Umiltà e la Pazienza. Lì, nella cappella con questo nome, c’è ancora l’immagine in una chiesa consacrata allo Spirito Santo, patrono della città, assieme alla fonte battesimale e l’unico arco toroide di legno che è giunto ai nostri giorni, entrambi del secolo XVII.
Trittico d’oro
Il maestro Blas Cabrera merita di essere ricordato a Sancti Spiritus. Fra le tante altre cose, fu il costruttore del teatro Principale e, in collaborazione con il maestro Domingo Valverde, del ponte sul fiume Yayabo, uno dei simboli della città e per molti, la reliquia coloniale più emblematica di tutto il centro dell’Isola. Gli specialisti assicurano che questo ponte di mattoni, montati su cinque grandi archi a mezzo punto –straordinariamente ben conservato dal passare del tempo – e il teatro Principale, simile al Tacón dell’Avana, conformano assieme all’edificio del Carcere Reale, nella periferia della città, il trittico d’oro dell’architettura spirituana.
Meriatno una visita la Casa della Guayabera, nella tenuta Santa Elena e il Museo di Arte Coloniale, entambi nelle vicinanze del ponte. La prima conserva una collezione di 203 pezzi. Il museo si è installato nella casa della famiglia di Fernando Alonso del Valle, un avanero che si sposò a Sancti Spiritus con Ana Antonia del Castillo, cittadina emerita appartenente bal clan dei fondatori della città.
Fernando e Anna didero vita a una famiglia il cui scudo manifestava tutta la loro arroganza e opulenza. Diceva: “Quello che vale di più non vale come i dei Valle”. E qualcos di sicuro c’erra nel fatto perchè mentre altrettanti benestanti e potenti come loro si rovinavano o vedevano declinare le loro fortune, quella dei del valle aumentava o rimaneva inalterata. L’ultimo Valle abitò la casa fino alla sua morte, nel 1967.
Il parco Serafín Sánchez segna il centro della città. Lo circondano, fra gli altri, gli edifici che ospitano l’hotel Plaza e il Museo Provinciale di Storia. Anche l’edifico dell’antica società El Progreso (oggi biblioteca pubblica) dai cui balconi, nei giorni iniziali del 1959, Fidel si diresse al popolo spirituano nella sua prima visita alla città dopo la vittoria della Rivoluzione. Un altro dei lati del parco lo occupa l’antico hotel Perla e alla fine del boulevard si trova l’edificio che fu della Colonia Spagnola, come disse la collega Rosa Miriam Elizalde corrisponde, per gli spirituani, a quello che è per gli avaneri il Capitolio, tutti esponenti rilevanti dell’architettura eclettica repubblicana. Artisti della plastica come Julio Neira e José Perdomo, coi loro murales e Félix Madrigal, con le sue sculture di personaggi popolari, completano l’immagine della città.
Abbraccio finale
Ci fu anche stavolta, come sempre a Sancti Spiritus, musica di terzetti e l’opportunità di tornare a sentire la fantastica orchestra di ghitarre di Roberto. Si inaugurarono non poche mostre di pittura, come quella di Antonio Díaz, il pittore della città che continua creando nelle sue tele una città reale e immaginata. Ci furono tintinnii di bicchieri e la possibilità di abbracciare e condividere il tempo con amici di sempre come María Antonieta Jiménez Margolles, una delle fonti di informazione più solide e sicure, quando si tratta di storia spirituana.
Nos fuimos a Sancti Spíritus
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
14 de Junio del 2014 19:57:29 CDT
Quiere el escribidor permitirse comenzar hoy su página con un recuerdo
de familia. Sucede que en 1947 o 48, su padre, un humilde empleado de
café, recibió la encomienda del propietario del establecimiento donde
prestaba servicio, un cafecito radicado en el zaguán de un edificio
del Paseo del Prado, frente al Capitolio, de trasladarse a Sancti
Spíritus.
Todos los años, en ocasión de la feria ganadera que tenía lugar allí,
era el dueño del café quien se trasladaba a esa ciudad de la región
central a fin de montar y atender el bar que en unión de José María,
el propietario de la tienda La Sirena, de aquella localidad,
improvisaba en la exhibición agropecuaria. Lorenzo García, el dueño
del café, y José María --nunca supo el escribidor su apellido--, ambos
españoles, eran socios en negocios que incluían una colonia cañera.
Los unía una larga amistad que se renovaba en ocasión de los viajes de
José María a La Habana y de aquella visita anual de García a la villa
del Yayabo. Por una razón o por otra, en aquella ya lejana fecha,
García no pudo hacer el viaje acostumbrado y confió la tarea a mi
padre. Y aquí viene el recuerdo de familia que quiero relatar.
El primer día de feria, recién abierto el bar, se acercó al mostrador
un señor de cierta edad. Lo acompañaba una mujer joven y pidió una
copa de coñac Felipe II para él y otra de sidra para la muchacha.
Consumieron el pedido, cuyo precio no debe haber llegado a un peso de
los de entonces, y el hombre extendió un billete a mi padre. Le dio mi
padre el cambio y...
--Perdóneme, joven, aquí hay un error --dijo el hombre. Pagué con un
billete de 20 pesos y usted me trae el cambio de cinco.
--No, usted me dio cinco pesos --respondió mi padre, que era un lince
para los números.
--No, no, le di 20 pesos --insistió el hombre y sin dar a mi padre
tiempo a responder, preguntó:
--¿Sabe usted quién soy yo?
--¿Cómo no saber quién es usted? Cuba entera lo conoce. Usted es el
doctor Miguel Mariano Gómez, ex alcalde de La Habana y ex presidente
de la República.
--¿Piensa que un hombre como yo lo timaría a usted en un vuelto?
La interrogante dejó a mi padre sin palabras. Claro que no concebía a
un ex primer mandatario de la nación, acaudalado ganadero por demás,
timando a un dependiente de café. Pero estaba seguro de que Miguel
Mariano había pagado con un billete de cinco pesos. En eso José María,
que seguía la escena desde la puerta del almacén, llamó a mi padre
para interesarse por lo que pasaba.
--Si dice que te dio 20 pesos, te dio 20 pesos, como si dice que te dio
cien. Se le da el cambio y ya. Con Miguel Mariano no se discute en
Sancti Spíritus, y menos en esta casa, advirtió el copropietario del
bar.
Debía mi padre rectificar el error que no había cometido. Pasó por la
caja y tomó el resto del dinero.
--Perdone, doctor. En efecto, usted me pagó con un billete de 20. Aquí
está su vuelto completo. No dijo más. Miguel Mariano agradeció el
gesto, sonrió, tomó el dinero y salió del bar por donde mismo entró.
Grande sería la sorpresa de mi padre al verlo aparecer al día
siguiente con la misma sonrisa, la misma muchacha y sus cejas peludas.
Hizo igual pedido que el día anterior, solo que a la hora de pagar
cogió un billete del rollo voluminoso que llevaba en el bolsillo y,
extendiéndoselo a mi padre, dijo:
--Fíjese bien que son 20 pesos.
Asintió mi padre. Eran sin duda 20 pesos. Cuando regresó con el
cambio, Miguel Mariano le dijo que no, que de ninguna manera, que el
cambio era suyo. Volvió al día siguiente y al otro y al otro hasta que
concluyó la feria ganadera y se desmontó el bar, y lo hizo siempre con
la misma acompañante --su hija, presumiblemente-- y su pedido invariable
de “Felipe II para mí y sidra para la muchacha”, para dejar al final
aquella propina desmedida de alrededor de 19 pesos contantes y
sonantes. Ya mi padre había comprado para su boda un jueguito de sala
y una neverita de uso, y cuando regresó a La Habana adquirió, nuevo de
paquete, el juego de cuarto que le faltaba para casarse. Como
imaginará el lector, ahí nací yo y aquellos muebles todavía andan por
ahí por aquello que tenemos los cubanos de pretender que algo nos dure
toda la vida y legarlo a los que vienen detrás.
Rico perfil de edades
No sé si es que la edad nos hace repetitivos, pero cada vez que vuelvo
a Sancti Spíritus encuentro siempre ocasión para repetir esa historia.
Como entre muchas mujeres, tuve el acierto de escoger para casarme a
una espirituana --en realidad, es oriunda de Cabaiguán, pero es lo
mismo-- he vuelto muchas veces y encuentro siempre a alguien que quiere
oír el cuento.
Ahora regresamos invitados por el gobierno espirituano a los festejos
por los 500 años de la villa. Fueron tres días con una agenda bien
apretada en una ciudad rejuvenecida, pese a su edad, y que crece en
interés para el visitante. Para festejar el aniversario se acometieron
numerosas obras de conservación y rescate de edificaciones públicas y
privadas, parques y plazas, centros gastronómicos y comerciales, y se
ejecutaron asimismo importantes inversiones de carácter económico y
social.
Sancti Spíritus es su arquitectura, el fulgor de sus leyendas, el
encanto de sus tradiciones, la riqueza de su historia, la alegría de
sus pasacalles y su fuerte movimiento coral y trovadoresco. Su casco
histórico, conservado sobre todo gracias al empeño y la dedicación de
los que lo habitan, es de los conjuntos urbanos más notables de la
Isla. En opinión de la Doctora Alicia García Santana es la más
medieval de nuestras villas fundacionales pues se hizo habitual allí
construir sobre lo viejo, lo que dio por resultado un rico perfil de
edades superpuestas.
Esta vez volvimos a alojarnos en el Hostal del Rijo, con majestuosa
fachada y techos altísimos; un establecimiento de 16 habitaciones
donde elegancia y confort se dan la mano y se conjugan tradición y
modernidad. Fue la residencia de la familia de Antonio Rudersindo del
Rijo, un médico benefactor asesinado una noche, en las afueras de la
ciudad, cuando regresaba a su casa luego de haber asistido a un
enfermo.
El hotel resultó ideal como centro para las caminatas por la ciudad.
Frente, prácticamente a un tiro de piedra, cruzando el parquecito
donde se alza la estatua del Doctor del Rijo, se halla la iglesia
Parroquial Mayor, restaurada con esmero para el aniversario. Es la más
antigua de la ciudad. Tiene características de evidente ascendencia
mudéjar y en opinión de la Doctora García Santana es el mejor
conservado de todos los templos construidos en el siglo XVII. No son
pocas las leyendas que se asocian a esta edificación que con sus
campanas fundidas en oro, plata y bronce, hábilmente manejadas por el
campanólogo Cuco Pasamontes, despiertan cada día al vecindario.
Otra leyenda vinculada a este sitio habla de cierta señora rica,
malhumorada y altanera quien, ya en su lecho de muerte, pidió ser
inhumada bajo la entrada principal del templo a fin de que todo el que
entrase y saliese pasara por encima de sus restos. Pretendía con esa
determinación alcanzar alguna vez la indulgencia divina. La
complacieron, dice la leyenda, y los espirituanos conocen esa puerta
como la del perdón.
Se dice que a ese templo llegó un día un peregrino y pidió permiso
para reposar en su interior. Los vecinos le pasaron el alimento por
una ventana hasta que desapareció sin dejar rastro.
Comenzaron entonces la lluvia y el viento. El río Yayabo creció; un
furioso huracán azotó la localidad. Cuando sobrevino la calma apareció
en una de las capillas de la iglesia la imagen del Santo Cristo de la
Humildad y la Paciencia. Allí, en la capilla de ese nombre, está
todavía la imagen en una iglesia consagrada al Espíritu Santo, patrono
de la villa, junto a una pila bautismal y el único arco toral de
madera que ha llegado a nuestros días, ambos del siglo XVII.
Tríptico de oro
El maestro Blas Cabrera merecería ser más recordado en Sancti
Spíritus. Fue, entre otras muchas obras, el constructor del teatro
Principal y, en colaboración con el maestro Domingo Valverde, del
puente sobre el río Yayabo, uno de los símbolos de la villa y, para
muchos, la reliquia colonial más emblemática de todo el centro de la
Isla. Aseguran especialistas que ese puente de ladrillos, montado
sobre cinco grandes arcos de medio punto --extraordinariamente bien
conservado pese al paso y el peso del tiempo--, y el teatro Principal,
similar al Tacón, de La Habana, conforman, junto con el edificio de la
Real Cárcel, en las afueras de la urbe, el tríptico de oro de la
arquitectura colonial espirituana.
Merecen la visita la Casa de la Guayabera, en la quinta Santa Elena, y
el Museo de Arte Colonial, ambos en las inmediaciones del puente. La
primera preserva una colección de 203 piezas. El museo se instaló en
la casa de la familia de Fernando Alfonso del Valle, un habanero que
se casó en Sancti Spíritus con Ana Antonia del Castillo, vecina
principal perteneciente al clan de los fundadores de la ciudad.
Fernando y Ana dieron pie a una familia cuyo escudo ponía de
manifiesto toda su arrogancia y opulencia. Decía: “El que más vale no
vale tanto como vale Valle”. Y algo de cierto había en el asunto
porque mientras otros tan acaudalados y poderosos como ellos se
arruinaban o veían descender sus fortunas, la de los Valle se
incrementaba o permanecía inalterable. El último Valle habitó la casa
hasta su muerte, en1967.
El parque Serafín Sánchez marca el centro de la ciudad. Lo rodean,
entre otros, los edificios que albergan el hotel Plaza y el Museo
Provincial de Historia. También la edificación de la antigua sociedad
El Progreso (hoy biblioteca pública) desde cuyos balcones, en los días
iniciales de 1959, Fidel se dirigió al pueblo espirituano en su
primera visita a la ciudad tras el triunfo de la Revolución. Otro de
los costados del parque lo ocupa el antiguo hotel Perla, y al final
del bulevar se halla el edificio que fuera de la Colonia Española,
que, como dijo la colega Rosa Miriam Elizalde, es para los
espirituanos lo que el Capitolio para los habaneros; todos exponentes
relevantes de la arquitectura ecléctica republicana. Artistas
plásticos como Julio Neira y José Perdomo, con sus murales, y Félix
Madrigal, con sus esculturas de personajes populares, completan una
imagen de la ciudad.
Abrazo final
Hubo esta vez, como siempre en Sancti Spíritus, música de tríos y la
oportunidad de volver a escuchar la fantástica orquesta de guitarras
de Roberto. Se inauguraron no pocas exposiciones de pintura, como la
de Antonio Díaz, el Pintor de la Ciudad, que sigue recreando en sus
lienzos una urbe real e imaginada. Hubo chin chin de copas y la
posibilidad de abrazar y compartir con amigos de siempre como María
Antonieta Jiménez Margolles, una de las fuentes de información más
sólidas y seguras cuando de la historia espirituana se trata.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
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