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lunedì 24 agosto 2015

Esplorando Amargura, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 23/8/15

Amargura è una strada che corre tra due piazze, quella del Cristo e quella di San Francisco. O fra due ristoranti, La Maravilla, famoso negli anni ’50 per le sue bistecche con patate fritte e che già non esiste e il Café Oriente, locale di tendenza gourmet che si pregia di essere uno dei più lussuosi del’Avana e come ben sa lo scriba, anche uno dei più cari. Ma nessuno di loro apre la sua facciata su Amargura. La Maravilla lo fa su Villegas, mentre l’altro guarda la calle Oficios. Anche il palazzo del Marqués de San Felipe e Santiago de Bejucal, guarda su questa strada, oggi è un hotel con aspetto barocco, 27 camere e categoria 5 stelle.
Amargura non fu mai mecca del commercio o della moda. Non era nemmeno fra le strade che la gente scegliava per la passeggiata mattutina o serale, né il luogo ideale per vedere ed essere visti.. Non ci sono stati in essa caffè o bar degni di memoria, i suoi due hotel – Nueva Luz al 303 della via e La Unión, all’angolo con Cuba – non sono passate dall’essere installazioni di seconda categoria e alla lunga si decommercializzarono. Oggi sono due case di abitazione. La Unión fu, nei suoi tempi buoni, quello che si chiama va un albergo “decente”. Un edificio solido di cinque piani, in cemento, con 150 stanze e 150 bagni, dove il poeta spagnolo Federico García Lorca passó, nel 1930, la maggior parte del suo soggiorno cubano.
Amargura era un’altra cosa. Segnavas uno dei limiti del distretto bancario avanero, la nostra piccola Wall Street che si estendeva da O’ Reilly e giungeva fino a Mercaderes, fino a Compostela.

Banche e studi professionali

Lì avevano sede la Camera di Commercio della Repubblica di Cuba – nell’attuale hotel Raquel, all’angolo della calle San Ignacio – e la Compagnia Cubana di Prestiti – al 203 della via; edificio che adesso è sede dell’Istituto di Antropologia. Al numero 53 si trovava il Banco Continental Cubano che contava con 57 succursali e 1.169 dipendenti in tutta la Repubblica, in questo senso era la maggire delle entità bancarie nazionali e la quinta in quanto alla somma dei depositi che superavano i 92 milioni di pesos, equivalenti a dollari. La General Electric e la Esso Standard Oil figuravano, fra altre aziende, come suoi clienti principali.
All’angolo con Cuba e l’ingresso principale di questa strada, si trovava la Sede Nazionale della Lotteria, adesso ufficio centrale del Bandec e in quello di Aguiar, il Banco Gelats, il più antico fra i cubani – fu fondato nel 1876 – l’azienda bancaria preferita dal capitale spagnolo residente sull’Isola e che operava i conti della Chiesa Cattolica cubana e gli interessi del Vaticano a Cuba, così come il conto in dollari del commercio fra Cuba e la Spagna. Gelats che si impiccò nella sua casa di 17 angolo H nel Vedado, nel 1959, aveva anche come clienti la Compagnia Cubana di Elettricità e la Compagnia Cubana dei Telefoni ed era possessore di buoni del Governo nordamericano. Amargura era una strada di aziende e uffici di avvocati. Un conto frettoloso e possibilmente inesatto, nella guida del telefono del 1958, registra i nomi di 28 letterati residenti nella via; alcuni di lro molto conosciuti come Carlos Márquez Sterling, presidente della Commissione Costituente del 1940 e candidato alla presidenza della Repubblica nelle elezioni del novembre del 1958, al numero 357, e Pelayo Cuervo Navarro al numero 8, già introvabile nella strada.
Pelayo fu detenuto da agenti del Buró di Investigazioni della Polizia di Batista nel pomeriggio del 13 marzo 1957, dopo i fatti dell’assalto al Palazzo Presidenziale e apparve pestato e morto, il giorno seguente, nel Laguito Country Club avanero. Non ebbe nessuna implicazione in quel fatto, né era un elemento che si potesse classificare come sovversvivo. Per lui, la “soluzione cubana” passava dalla politica enon dalla rivoluzione. Era sì, una figura amata e rispettata ei un’enorme popolarità. Delegato alla convenzione costituente del 1940 e senatore della Repubblica da allora fino al 1952 quando Batista, dopo il colpo di Stato del 10 marzo, lasciò in sospeso il Congresso. Come presidente del Partito Ortodosso storico, Pelayo Cuervo era la personalità più distinta dell’opposizione politica cubana e una voce implacabile a difesa dell’economia nazionale e della tasca del cittadino cubano comune.
Dei 28 avvocati indicati, cinque avevano ufficio nell’edificio contrassegnato dal numero 103 della via, mentre altri 10 operavano i loro affari in quello dal numero 205, sede del Buffete Mendoza, uno dei più importanti e il più antico specializzato in questioni commerciali. Era stato fondato nel 1854 e fu pioniere nel dirigere la sua pratica professionale verso il mondo degli affari.

La Croce Verde

Nel suo libro La Habana: Apuntes históricos, Emilio Roig non indica il perché del nome di questa strada. Lo fa invece José María de la Torre nel suo libro Lo que fuimos y lo que somos o La Habana antigua y moderna, pubblicato nel 1857.
De la Torre scrfive che in tutti i pomeriggi di quaresima, usciva dal Terzo Ordine di San Francisco, una processione che nadava per questa strada fino alla chiesa del Cristo che era el Humilladero. Per la stessa ragione, si vedono strade con lo stesso nome in molti centri cristiani, riferisce il cronista, a imitazione di quello della Via Crucis di  Gerusalemme che si chiamò dell’Amarezza. Nella via c’erano croci per tutte le stagioni. Il terzo fratello D. Miguel de Castro Palomino y Borroto aveva devozione particolare e manteneva la dodicesima stagione nell’anno del 1749 e la adornava con un tappeto, due candelieri d’argento e un quadro di Gesù Crocificato.
Aggiunge José Marí de la Torre che Amargura si chiamò anche la strada della Cruz Verde che esisteva (ed esiste) all’angolo di Mercaderes. Da lì partiva la processione della via crucis. Fu residenza dei conti di Lagunillas e oggi ospita il Museo del Cioccolato che propone un percorso nella storia del cacao, la sua coltivazione, produzione e commercializzazione. D’altra parte, questo esercizio garantisce a chi lo visiti la possibilità di degustare una bevanda preparata alla maniera tradizionale e bon bon elaborati artigianalmente.
Il tratto di Amargura compreso fra le strade Villegas e Compostela – due isolati – si chiamò, afferma de la Torre, de las Piadosas Mujeres, perché nella casa all’angolo con Aguacate vivevano le beate Josefa e Petrona Urrutia che i venerdì illuminavano un bellissimo tabernacolo. La croce che esisteva in quest’angolo segnava, nella via crucis la stazione che corrispondeva alle donne pietose che accompagnarono Cristo al Calvario.
L’angolo di Compostela si chiamò Del Mallorquín, per Juan Pascual, un soggettto proveniente da Majorca che vi installò una farmacia, mentre all’angolo dei conti di San Felipe y Santiago fu conosciuta come quella di Menéndez per l’uomo che la fabbricò. Lì morì nel 1807 Joaquin de Santa cruz y Cárdenas, terzo conte di Jaruco e primo conte di Mopox, padre della contessa di Merlin. Fu, ai suoi tempi, l’uomo più ricco dell’Isola. Però era illuso e poco pratico. Sognava con grandi imprese e quasi tutte fracassarono, nonostante mancanse di scrupoli, il suo capitale decresceva e i suoi debiti aumentavano. Quando morì, lasciò a suo figlio l’immensa fortuna – per l’epoca – di nove milioni di pesos, condizionata da un debito di sette milioni che nel testamento era obbligato a onorare.

Gli amici del Paese

In Amargura quasi angolo San Ignacio ebbe la sua casa don Francisco de Arango e Parreño, il cosiddetto “statista senza stato”, eminenza grigia della saccarocarzia creola. Fu il primo dei nostri economisti; promosse l’introduzione di un’agricoltura moderna e auspiciò anche la costituzione dell Juna de Comercio e del Tribunal Mercantil.
Direttore della Sociedad Patriótica. Deputato a Cortes. Come Consejero de Indias, nel 1816 ottenne lo sblocco del tabacco e la libertà di commercio. Grazxie alla sua gestione, questa meraviglia che è il ghiaccio, fu introdotto a Cuba. Nel 1824 respinse la nomina di sovraintendente generale dell’Industria e a partire da lì passò i suoi anni finali allontanato dalla vita pubblica. Morì nel 1837.
La casa di questo esimio avanero, opportumente restaurata, la occupa, da poco tempo la Oficina del Historiador de la Ciudad. Al numero 66 della via ebbe sede la Sociedad Económica Amigos del País e in questo stesso luogo e durante una prima tappa, prima di traslocare alla Manzana de Gómez, funzionò la Institución Hispanocubana de Cultura. Fu una proposta di Fernando Ortiz alla giunta di governo degli Amici del Paese incamminata a incrementarele relazioni intellettuali tra Cuba, la Spagna e le nazioni hispanoamericane grazie all’interscambio di scienziati,scrittori, artisti e studenti.
Al numero 63, domicilio di Evaristo Estenoz, - un immobile che non esiste più – si fondò il 7 di agosto del 1998, il Partido Independiente de Color. Altro fatto che non può rimanere fuori da questo racconto. Dalla casermetta dei Pompieri del Commercio, sita nella calle San Ignacio, fecero una chiamata telefonica al secondo capo di questo corpo che risiedeva nella casa contrassegnata, oggi, dal numero 110 A della calle de la Amargura. È la prima chiamata telefonica in spagnolo che si registra nella storia. Nella calle de la Amargura viveva anche la protagonista di un fatto di sangue successo nel 1745, quando l’Avana era piccola. Lo raccoglie la cronaca avanera e forse è il fatto di sangue più antico che includa una donna.
Un’abitante fra le principali della città, María de Rojas, discendente da Rojas il Magnifico che accompagnò Velázquez nella colonizzazione e fu pertanto uno dei primi abitanti dell’Avana aveva relazione, con base matrimoniale, col capitano Diego de Hinojosa, del reggimento di Almanza. Di María, al capitano, interessavano solo i soldi e la posizione. La ragazza aveva ben poco di cui essere grata alla natura e alla sua bruttezza si aggiungeva il carattere: era cida, esplosiva, violenta e per colmo, gelosa. Non aveva giornate buone né notti tranquille da quando cominciò il suo fidanzamento. Immaginava continuamente il suo fidanzato fra le braccia di un’altra. E in ciò non era certo lontana la Rojas. C’era, nella vita del capitano, un’altra donna bella e allegra come la primavera. Aveva 20 anni e anche se ava suinato a lungo i campanelli non nascondeva già la sua passione per don Diego.
Si chiamava Cándida, sebbene non conoscesse la candidezza. Il sotterfugio di suo marito non tardò molto a giungere all’orecchio di María. Conobbe colei che le rubava il suo cavaliere e in una scena burrascosa, gettò in faccia al capitano la sua perfidia. Don Diego buttò tutto in scherzo, senza sapere che non c’è scherzo che tenga per una donna gelosa.
Una mattina, all’uscita della chiesa di San Augustín, la Rojas aspettava Cándida con un revolver carico a sale e punto al viso della ragazza. Nel trascorso dei giorni lo scandalo si placò fino a che le due donne tornarono a incontrarsi di nuovo di fronte alla chiesa. Cándida ringraziò quindi per i nei che la polvere dello sparo lasciò sul suo viso. “Don Diego dice che adesso sembro più bella di prima”, le disse e ribatté: “Entri nel tempio e chieda che don Diego la ami; lo chieda a Santa Rita è l’avvocatessa dell’impossibile...”

Cándida volse le spalle per entrare in chiesa, ma non lo potè fare. Suonò un sparo e cadde morta sul colpo. Questa volta la Rojas le aveva sparato con proiettili veri.


Explorando Amargura

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
22 de Agosto del 2015

Amargura es una calle que corre entre dos plazas, la del Cristo y la de San Francisco. O entre dos restaurantes, La Maravilla, famoso, en los años 50,  por sus bistec con papas fritas, que ya no existe, y el Café del Oriente, establecimiento de tendencia gourmet que se precia de ser uno de los más lujosos de La Habana, y, bien lo sabe el escribidor, de los más caros también. Pero ninguno de ellos abre su fachada sobre Amargura. La Maravilla lo hace sobre Villegas, mientras que el otro mira hacia la calle Oficios. También mira hacia esa calle el Palacio del Marqués de San Felipe y Santiago de Bejucal, hoy un hotel con portada barroca, 27 habitaciones y categoría de cinco estrellas.
Amargura no fue nunca meca del comercio ni de la moda. Tampoco era de las calles que la gente escogía para el paseo matinal o vespertino, ni el sitio ideal para ver y dejarse ver. No hubo  en ella café ni bares dignos de memoria, y sus dos hoteles —Nueva Luz, en el 303 de la calle,  y La Unión, en la esquina con Cuba— no pasaron de ser instalaciones de segunda y a la larga se descomercializaron: son hoy casas de vecindad. La Unión fue, en sus buenos tiempos, lo que se llamaba un hotel “decente”. Un  edificio sólido, de cinco plantas, en chaflán, con 150 habitaciones y 150 baños, donde el poeta español Federico García Lorca pasó, en 1930, la mayor parte de su estancia cubana.
Amargura era otra cosa. Marcaba uno de los límites del distrito bancario habanero, nuestro pequeño  Wall Street, que se extendía desde O’Reilly y abarcaba desde Mercaderes hasta Compostela.

Bancos y bufetes

Allí encontraban asiento la Cámara de Comercio de la República de Cuba —en el actual Hotel Raquel, en la esquina con San Ignacio— y la Compañía Cubana de Fianzas —en el 203 de la calle; edificio que sirve ahora de sede al Instituto de Antropología. En el número 53 se hallaba el Banco Continental Cubano, que contaba con 57 sucursales y 1 169 empleados en toda la República, en ese sentido la mayor de todas las entidades bancarias nacionales, y la quinta en cuanto al monto de sus depósitos que superaban los 92 millones de pesos equivalentes a dólares. La General Electric y la Esso Satndart Oil figuraban, entre otras empresas, como sus clientes principales.
En la esquina con Cuba, y entrada principal por esta calle, se hallaba la Renta Nacional de Lotería, ahora oficina central del Bandec, y en la de Aguiar, el Banco Gelats, el más antiguo entre los cubanos —fue fundado en 1876—, la firma bancaria preferida por el capital español radicado en la Isla y que operaba las cuentas de la Iglesia Católica cubana y los intereses del Vaticano en Cuba, así como la cuenta en dólares del comercio entre Cuba y España. Gelats, que se ahorcó en su casa de 17 esquina a H, en el Vedado, en 1959, tenía también como  clientes a la Compañía Cubana de Electricidad y a la Compañía Cubana de Teléfonos y era tenedor de bonos del Gobierno norteamericano.
Amargura era una calle de firmas y oficinas de abogados. Un conteo apresurado y posiblemente inexacto, en el Directorio Telefónico de 1958, registra los nombres de 28 letrados asentados en esa calle; algunos de ellos tan conocidos como Carlos Márquez Sterling, presidente de la convención constituyente de 1940 y candidato a la presidencia de la República en las elecciones de   noviembre de 1958, en el número 357, y Pelayo Cuervo Navarro, en un ya inencontrable número 8 de la calle.
Pelayo fue detenido por agentes del Buró de Investigaciones de la Policía de Batista en la tarde del 13 de marzo de 1957, tras los sucesos del asalto al Palacio Presidencial y apareció golpeado y muerto a la mañana siguiente en el Laguito del Country Club habanero. No tuvo implicación alguna en ese hecho, ni era un elemento que pudiera tildarse de subversivo. Para él, la “solución cubana” pasaba por la política y no por la revolución. Era, sí, una figura querida y respetada y de una popularidad enorme. Delegado a la convención constituyente de 1940 y senador de la República desde entonces y hasta 1952 cuando Batista, tras el golpe de Estado del 10 de marzo, dejó en suspenso el Congreso. Como presidente del Partido Ortodoxo histórico, Pelayo Cuervo era la personalidad más distinguida de la oposición política cubana y una voz implacable en defensa de la economía nacional y el bolsillo del ciudadano de a pie.
De los 28 abogados consignados, cinco tenían oficinas en el edificio marcado con el número 103 de la calle, en tanto que otros diez despachaban sus asuntos en el del número 205, sede del Bufete Mendoza, uno de los más importantes y el más antiguo especializado en asuntos mercantiles. Había sido fundado en 1854 y fue pionero en dirigir su práctica profesional hacia el mundo de los negocios.

La Cruz Verde

En su libro La Habana: Apuntes históricos, Emilio Roig no consigna el porqué del nombre de esta calle. Sí lo hace José María de la Torre en su libro Lo que fuimos y lo que somos o La Habana antigua y moderna, publicado en 1857.
Escribe De la Torre que en todas las tardes de cuaresma salía de la Tercera Orden de San Francisco una procesión que iba por esa calle hasta la iglesia del Cristo, que era el Humilladero. Por la misma razón, se ven calles con igual nombre en muchas poblaciones cristianas, refiere el cronista, a imitación de la del vía crucis de Jerusalén, que se llamó de la Amargura. En la calle había cruces para cada estación. El hermano tercero D. Miguel de Castro Palomino y Borroto tenía particular devoción y costeaba la duodécima estación por los años de 1749, y la adornaba con una alfombra, dos candeleros de plata y un cuadro de Jesús Crucificado.
Añade José María de la Torre que Amargura se llamó también calle de la Cruz Verde, por la que existía (y existe) en la esquina con Mercaderes. De ahí partía la procesión del vía crucis. Fue residencia de los condes de Lagunillas y da albergue hoy al Museo del Chocolate que propone un recorrido por la historia del cacao, su cultivo, producción y comercialización. Por otra parte, este establecimiento asegura a quien lo visite la posibilidad de degustar una bebida preparada a la manera tradicional y bombones elaborados artesanalmente.
El tramo de Amargura comprendido entre las calles de Villegas y Compostela —dos cuadras— se llamó, afirma De la Torre, de las Piadosas Mujeres, porque en la casa de la esquina con Aguacate vivían las beatas Josefa y Petrona Urrutia que alumbraban los viernes un hermoso Custodio. La cruz que existía en esa esquina marcaba en el vía crucis la estación que correspondía a las piadosas mujeres que acompañaron a Cristo en su calvario.
La esquina de Compostela se llamó Del Mallorquín, por Juan Pascual, un sujeto proveniente de Mallorca que instaló allí una botica, mientras que la esquina de la residencia de los condes de San Felipe y Santiago fue conocida como la de Menéndez, por el hombre que la fabricó. Allí murió en 1807 Joaquín de Santa Cruz y Cárdenas, tercer conde de Jaruco y primer conde de Mopox, padre de la condesa de Merlin. Fue, en su tiempo, el hombre más rico de la Isla. Pero era iluso y poco práctico. Soñaba con grandes empresas y casi todas fracasaron; pese a que carecía de escrúpulos, su capital decrecía y sus deudas aumentaban. Cuando falleció, legó a su hijo la inmensa fortuna —para la época— de nueve millones de pesos, condicionada por una deuda de siete millones que en el testamento le obligaba a honrar.

Los Amigos del País

En Amargura casi esquina a San Ignacio tuvo su casa don Francisco de Arango y Parreño, el llamado “estadista sin Estado”, eminencia gris de la sacarocracia criolla. Fue el primero de nuestros economistas; promovió la introducción de una agricultura moderna y auspició asimismo la constitución de la Junta de Comercio y el Tribunal Mercantil. Director de la Sociedad Patriótica. Diputado a Cortes. Como Consejero de Indias, en 1816 logró el desestanco del tabaco y la libertad de comercio. Gracias a su gestión, esa maravilla que es el hielo fue introducido en Cuba. En 1824 rechazó el nombramiento de superintendente general de Hacienda y a partir de ahí pasó sus años finales alejado de la vida pública. Falleció  en 1837.
La casa de este esclarecido habanero, convenientemente restaurada, la ocupa desde hace poco tiempo la Oficina del Historiador de la Ciudad. En el número 66 de la calle radicó la  sede de la Sociedad Económica de Amigos del País, y en ese mismo sitio y durante una primera etapa y antes de trasladarse a la Manzana de Gómez, funcionó la Institución Hispanocubana de Cultura. Fue una propuesta de Fernando Ortiz en la junta de gobierno de los Amigos del País encaminada a incrementar las relaciones intelectuales entre Cuba, España y las naciones hispanoamericanas gracias al intercambio de científicos, escritores, artistas y estudiantes.
En el número 63, domicilio de Evaristo Estenoz, —un inmueble que ya no existe— se fundó el 7 de agosto de 1998, el Partido Independiente de Color. Otro hecho no puede quedar fuera de este recuento. Desde el cuartelillo de los Bomberos del Comercio, sito en la calle San Ignacio, hicieron una llamada telefónica al segundo jefe de ese cuerpo que residía en la casa marcada  hoy con el número 110 A de la calle Amargura. Es la primera llamada telefónica en español que se registra en la historia.
También en la calle Amargura vivía la protagonista de un suceso de sangre ocurrido en 1745, cuando La Habana era chiquita. Lo recoge la crónica habanera y quizá sea el hecho de sangre más antiguo que involucre a una mujer.
Una vecina principal de la villa, María de Rojas, descendiente de Rojas el Magnífico, que acompañó a Velásquez en la colonización y fue, por tanto, uno de los primeros vecinos de La Habana, llevaba relaciones, sobre la base del matrimonio, con el capitán Diego de Hinojosa, del regimiento de Almanza.  De María, al capitán solo le interesaban el dinero y la posición. Tenía la muchacha muy poco que agradecer a la naturaleza, y a su fealdad se añadía el carácter: era ácida, explosiva, violenta y, para colmo, celosa. No tenía día bueno ni noche tranquila desde que empezó su noviazgo. Imaginaba continuamente a su novio en brazos de otra. En eso, en verdad, no andaba desencaminaba la Rojas. Había en la vida del capitán otra mujer, linda y alegre como la primavera. Tenía 20 años de edad y aunque mucho había sonado ya los cascabeles no ocultaba su pasión por don Diego. Se llamaba Cándida, si bien no conocía la candidez.  No tardó en llegar a oídos de María el trapicheo de su prometido. Conoció a la que le robaba a su galán, y, en una escena borrascosa, echó en cara al capitán su perfidia. Don Diego lo tiró todo a broma, sin saber que no hay broma que valga con una mujer celosa.
Una mañana, a la salida de la iglesia de San Agustín, la Rojas esperaba a Cándida con un revólver cargado de sal y apuntó al rostro de la muchacha. El transcurrir de los días aplacó el escándalo antes de que las dos mujeres volvieran a encontrarse otra vez frente a la iglesia. Cándida le dio entonces las gracias por los lunares que la pólvora del pistoletazo dejó en su rostro. ”Dice don Diego que ahora luzco más linda que antes”, le dijo y la machacó: “Entre al templo y pida que don Diego la quiera; pídaselo a Santa Rita, es la abogada de los imposibles…”
Cándida volvió la espalda para entrar a la iglesia, pero no pudo hacerlo. Sonó un disparo y cayó muerta en el acto. Esa vez la Rojas le había disparado con balas de verdad.


domenica 23 agosto 2015

Tendinite

TENDINITE: malattia da campeggiatore

venerdì 21 agosto 2015

Un pezzo di Cuba a Modena

Una volta di più, Modena, riceve un "pezzettino" di Cuba. Esiste un passato abbastanza recente di comunicazione e iniziative della città emiliana rivolte a Cuba ed ai cubani.
Questa volta si tratta di una mostra fotografica effettuata congiuntamente da due professionisti che operano in altro settore e che sono uniti, oltre che da amicizia personale dalla passione per la fotografia. Si tratta del dottor Luca Lombroso, volto noto dei notiziari meteo e primo collaboratore di Fabio Fazio nella trasmissione "Che tempo che fa". Oltre ad essere professore, è autore di articoli, saggi e libri sulla Meteorologia e sulla conservazione dell'ambiente. Il suo omologo, si può considerare il "Bernacca" cubano, mi si passi il paragone anche se può risultare irrispettoso, ma è fatto con affetto verso l'indimenticato e indimenticabile colonnello. José Rubiera è colui che ha introdotto i notiziari meteorologici alla televisione cubana fin dai primi anni '60.
Oggi, il dottor Rubiera, oltre a continuare ad apparire negli spazi meteo, anche di Cubavision International, dove ha creato un suo "format" sulla Meteorologia internazionale, dirige il Centro Nazionale di Meteorologia, è membro di varie organizzazioni internazionali e considerato uno dei massimi esperti di uragani tropicali, di cui è responsabile di settore nell'organizzazione per le Americhe.
La mostra ha per tema, per adesso non ancora ufficiale o ufficializzato, il fatto che la Meteorologia e la Fotografia non hanno confini o frontiere, entrambe sono diffuse in tutto il pianeta, ciascuna nella propria dimensione.
Qua sotto fornisco le prime informazioni, inviatemi dall'amico Luca, per chi volesse prenderne nota e visitare la mostra:


"Nel prossimo mese di settembre Josè Rubiera, volto noto della meteorologia cubana ed esperto internazionale di uragani, sarà in Italia.
Oltre ai suoi impegni professionali e personali, grazie al contatto e all’amicizia con Luca Lombroso, sono in corso di organizzazione alcune iniziative a Modena ed in particolare;

·        Una mostra di fotografia presso la Galleria Photogallery (via Peschiera 6, Modena) curata da Sara Cestari, fotografa modenese. La mostra sarà visitabile dal 20 al 30 settembre dalle 16 alle 19, seguiranno i dettagli sull’inaugurazione e sulla data di  un incontro con Josè nella giornata in cui sarà a Modena
·        Una conferenza al Dipartimento di Ingegneria Enzo Ferrari dell’Università di Modena e Reggio Emilia, anche qui data e dettagli in corso di definizione.


maggiori info saranno a disposizione nei prossimi giorni su questo blog e sul sito e i social network di Luca Lombroso".





giovedì 20 agosto 2015

Telecamera

TELECAMERA: locale distante

Alberto Juantorena eletto vice presidente della IAAF

Nell'ultima elezione per i vertici della Federazione Internazionale di Atletica il britannico Sebastian Coe è stato eletto Presidente, mentre fra i quattro vice è stato eletto il cubano Alberto Juantorena.

mercoledì 19 agosto 2015

Telaggio

TELAGGIO: te l'ho...(Napoli)

lunedì 17 agosto 2015

I lettori scrivono, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 16/8/15

Il lettore Rolando Estévez e una lettrice che firma Cristi il suo messaggio elettronico e che deve muoversi nell’ambito della cinematografia, scrivono al fine di richiamare l’attenzione sull’errore che hanno riscontrato nella pagina della settimana scorsa, apparsa col titolo “Dal fructuoso mi hanno mandato un messaggio” che si è dedicata al prestigioso Ospedale Ortopedico Fructuoso Rodríguez in occasione del 70 anniversario della sua apertura.
Quello che il lettore Estévez qualifica come “scivolone”, lo scriba lo definisce come una solenne e sovrana stupidaggine e ne accetta completamente la responsabilità. Non ha letto attentamente le sue fonti e nel indicare il sostituto del dottor Martínez Páez alla direzione di questa casa di salute ha scritto che “il Dr. Blardoni, ha saputo mantenere fino ad oggi la tradizione docente-assistenziale del Fructuoso...” Questo risulta impossibile perché il distinto professore si è ammalato gravemente alla fine del 2008 ed è deceduto nella metà dell’anno seguente. La direzione, quindi, passò ad altre mani.
Il professor Diego Artiles, specialista in Ortopedia di questa istituzione, commenta che il carico assistenziale pregiudicò apparecchi e deteriorò l’edificazione, cosa che obbligò la chiusura periodica dell’unità chirurgica. Nonostante ciò si continuò lavorando alacremente nelle sfere docenti-assistenziali e investigative. Un risultato di grande rilievo furono i 614 interventi di frattura dell’anca che durante lo scorso anno si realizzarono lì in una sola sala operatoria del Corpo di Guardia, cifra che costituisce il 34% di questo tipo di fratture operate all’Avana e il 9,3% degli interventi in tutto il Paese.
Il dottor Artiles precisa che con motivo dei 70 anni dell’ospedale, si è inaugurata l’unità chirurgica e una sala di degenza per chirurgia di alta complessità.

Da Portorico

Con relazione alla pagina di due settimane fa, scrive due messaggi elettronici da Portorico il lettore Gerardo Barrera. Il primo di essi dice: “Col tema della poliomelite, mi hai portato alla memoria la prima metà degli anni ’50 all’Avana, quando vivevamo tutti terrorizzati da questo maledetto virus che grazie a Dio non ha attaccato nessuno della mia famiglia. Col passere degli anni, ho conosciuto varie persone che portavano le conseguenze di questa malattia.
Il dottor Ricardo Machín che menzioni nel tuo articolo di oggi, era primo cugino di mio padre, ma siccome nessuno dei due ebbe fratelli maschi, si considerarono fratello fra loro due.
Ricardo Machín era come un missionario della Medicina. Riceveva nel suo ambulatorio decine di persone senza mezzi, ai quali non faceva pagare un centesimo. Per certo, lui e mio padre, furono arrestati all’aeroporto di Miami negli anni della Seconda Guerra Mondiale quando andavano a comprare un pezzo di ricambio per una barca, perché lo zio Ricardo era rappresentante di prodotti medici dei laboratori tedeschi Merck A.G., i quali non si ricevevano a Cuba fin da poco prima dell’inizio del conflitto.
Zio Ricardo era padre di ‘Tavo’ Machín che morí in Bolivia assieme al Che. Adesso, come già d’abitudine, invierò il tuo interessante articolo a circa 50 amici e conoscenti che ne godono tutte le settimane”.
Nella pagina dell’altra settimana, lo scriba si riferiva ai fratelli Alberto e Clemente Inclán Costa, ortopedico il primo e pediatra il secondo, oltre ad essere rettore dell’Università dell’Avana. Nel suo secondo messaggio, il lettore Barrera racconta di quello che dice il dottor Enrique Lamoutte Inclán, magistrato del Tribunale dei fallimenti a Portorico, in relazione a questi due eminenti professionisti della Salute:
“I dottori Inclán Costa erano cugini di mio nonno Serafín Inclán Arango. Asturiani. Mio nonno diceva che gli Inclán professionisti si recarono a Cuba e gli agricoltori a Portorico. Mamma ricorda quando l’artista Marión Inclán, figlia di uno di loro, rimase con la famiglia a Portorico. Chiariva sempre che gli Inclán del Messico non erano parenti”.

Il flagello della Polio

E già che si menzionò che questo terribile flagello che si eliminò a Cuba dopo il 1959, riproduco alcuni dati sulla sua incidenza nell’Isola, trovati in vecchi incartamenti. Si dice che fece la sua apparizione a Cuba nel 1908. Allora si diagnosticarono tre casi. L’anno seguente si registravano 135 malati a Santa Clara e paesi vicini. A partire da lì, con intervalli, si succedettero getti epidemici importanti, come quello di giugno-dicembre del 1935 che registrò oltre 500 vittime. Con un numero più o meno similare si chiuderà l’epidemia del 1946.

La casa di Marina

Sulla casa di Marina chiede un lettore di cui non colto il nome.
Marina Cuenya fu la più famosa maitresse dell’Avana anteriore al 1959. Era di origine galiziana e aveva due figli. Un maschio e una femmina che viveva in Argentina alla quale faceva periodici invii di denaro.
Ci furono molti postriboli all’Avana prima del 1959. L’unico che passà alla cronaca è quello di Marina, nella calle Colón numero 258, nel molto avenero quartiere dallo stesso nome, una della zone di tolleranza della capitale cubana dell’epoca. Marina non ebbe mai case in Infanta né nella calle Marina. Quello che succede è che col suo nome si è battezzata più di una proprietaria di bordelli.
Per le sue tariffe e le personalità che lo frequentavano, era un luogo abbastanza esclusivo. Il “servizio” si prestava per dieci pesos – una fortuna nella decade del 1940 – e la porta principale si apriva solo al cliente conosciuto o, a discrezione, a chi arrivava raccomandato o poteva chiamare per nome qualcuna delle ragazze che “lavoravano” nella casa. La saletta dove si esibiva una grande immagine in rilievo  di Santa Barbara, enorme, con la sua corona e la spada d’oro, apriva il passaggio al patio centrale arredato con un bar ben assortito. Lì, ragazze ben vestite e profumate aspettavano il cliente per perdersi nela piano superiore.
Un album raccoglieva le foto di tutte le “pupille” di Marina cosa che permetteva al cliente di risparmiare tempo al momento di scegliere e fare la sua scelta a distanza. Questo modo di offrire le prostitute, fu tutta una novità all’Avana di quel tempo. Si dice che l’album circola ancora da qualche parte. L’immagine di Santa Barbara rimane nella saletta, di quello che fu il postribolo, già senza la sua corona né la sua spada d’oro.
Un giorno il generale Quirino Uría, capo della Polizia Nazionale e Lomberto Díaz, ministro degli Interni, apparvero sul giornale El Mundo, in Virtudes 257, angolo Águila. Si dirigevano al Palazzo Presidenziale e decisero di fare il tragitto a piedi. Attraversarono il quartiere di Colón e arrivarono scandalizzati alla magione dell’Esecutivo. Il ministro suggerì al presidente Prío che prendesse alcune misure verso la zona di tolleranza e Prìo gli rispose di fare quello che stimasse conveniente. Da quella conversazione scaturì il famoso decreto che chiudeva il quartiere di Colón e che ispirò il compositore Eliseo Grenet quel saporito sucu-sucu che diceva: “I massaggi non hanno grotta/Felipe Blanco l’ha tappata...già”.
Alcuni giorni dopo, già con le prostitute sloggiate e i bordelli chiusi, il dottor Hector Garcini, un distinto avvocato con studio all’Avana, visitò il ministro degli Interni nel suo studio ufficiale al Collegio di Belén. Andava ad avocare per il quartiere. Lomberto Díaz gli commentò che i padroni degli immobili che ospitavano i postriboli dovevano sentirsi contenti dello sfratto, così potevano rivendicare la zona di Colón e affittare a famiglie locali.
Garcini scosse la testa in senso negativo. La cosa non era tanto facile. Una famiglia avrebbe pagato per quelle case tra i 25 e i 40 pesos al massimo, mentre che la stessa casa adibita a postribolo fruttava non meno di trecento pesos mensili.
L’avvocato aggiunse: “Si immagini lei la rabbia dei proprietari”. Il ministro domandò quindi a chi si riferisse e la risposta venne rapidamente.
-A parte di pochi immobili che appartengono a una o altra persona, il quartiere ha un solo proprietario – disse l’avvocato e si avvicinò all’orecchio del Ministro per pronunciare il suo nome che lo scriba, anche se lo sa, non lo va a ripetere per adesso.
Con il quartiere chiuso, Marina con le sue ragazze, si installò nella casa delle cupole che si trova all’uscita del ponte Almendares, alla sinistra se si va dal Vedado verso Playa. Da lì le sloggiarono le signore del rione Kohly, capitanate dalla moglie dell’avvocato Dorta Duque, professore dell’Università Cattolica di Santo Tomás de Villanueva. Fu allora che fabbricò il Mambo Club, al chilometro tre della strada di Rancho Boyeros, un centro notturno con postribolo compreso.
Col tempo, Colón, tornó ad aprire come zona di tolleranza. Marina conservava la sua casa, non l’aveva mai abbandonata del tutto: aveva lasciato in essa un paio di domestiche con l’incarico di sorvegliare e curare la proprietà. Vinse la Rivoluzione, cambiarono i patroni sociali e il quartiere entrò in un declino inarrestabile, fino a che non lo chiusero davvero.
Marina allora dette incarico a suo marito, molto più giovane di lei, che togliesse dalla casa la corona e la spada d’oro dall’immagine di Santa Barbara con altri oggetti di valore. Se ne andò da Cuba e si persero le sue tracce.

Lo sa, lei?

Il dottor Alex Muñoz Alvarado, investigatore del Centro di Linguistica Applicata, di Santiago de Cuba, si rivolge allo scriba in cerca di aiuto. Investiga sul nome di alcune istituzioni e gli urge sapere se il nome ufficiale della gelateria principale dell’Avana è Coppelia e se questo nome è legato all’omonimo balletto. Scrive che a Santiago la gelateria principale mostrava una ballerina di danza classica nell’insegna dell’entrata, per cui la gente si riferisce all’esercizio chiamandolo Coppelia, mentre il suo nome ufficiale è La Arboleda. Domanda, infine, se la gelateria della capitale mostrava un’immagine simile a quella di Santiago o qualcosa che la relazionasse col balletto Coppelia. Se non fosse così, dice, con cosa ha a che fare questo nome?
Se qualcuno ha delle risposte per queste domande, per favore si comunichi con il colonnista.


Los lectores escriben




Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
15 de Agosto del 2015 19:35:46 CDT

El lector Rolando Estévez y una lectora que firma Cristi su mensaje electrónico y que debe moverse en la esfera de la cinematografía, escriben a fin de llamar la atención sobre el error que advirtieron en la página de la semana pasada, aparecida con el título Del Fructuoso me han dado un recado, y que se dedicó al prestigioso Hospital Ortopédico Fructuoso Rodríguez en ocasión del aniversario 70 de su apertura.
Lo que el lector Estévez califica como “desliz”, el escribidor lo define como un solemne y soberano disparate, y acepta totalmente su responsabilidad. No contrastó suficientemente sus fuentes y, al aludir al sustituto del doctor Martínez Páez en la dirección de esa casa de salud, escribió que “el Dr. Blardoni ha sabido mantener hasta la actualidad la tradición docente-asistencial del Fructuoso…”. Ello resulta imposible porque el distinguido profesor enfermó de cuidado a fines de 2008 y falleció a mediados del año siguiente. La dirección pasó entonces a otras manos.
Comenta el profesor Diego Artiles, especialista en Ortopedia de esa institución, que la carga asistencial del hospital perjudicó equipos y deterioró la edificación, lo que obligó al cierre por períodos de la unidad quirúrgica. Pese a eso se continuó trabajando arduamente en las esferas docente-asistenciales e investigativas. Un logro de relieve fueron las 614 intervenciones de fractura de cadera que durante el año pasado se realizaron allí en un solo quirófano del Cuerpo de Guardia, cifra que constituye el 34 por ciento de ese tipo de fracturas operadas en La Habana y el  9,3 por ciento de las intervenidas en todo el país.
Precisa el doctor Artiles que con motivo de los 70 años del hospital, se inauguró la unidad quirúrgica y una sala de hospitalización para cirugía de alta complejidad.

Desde Puerto Rico

En relación con la página de hace dos semanas, remite, desde San Juan de Puerto Rico, dos mensajes electrónicos el lector Gerardo Barrera. Dice el primero de ellos:
“Con el tema de la poliomielitis, trajiste a mi memoria la primera mitad de los años 50 en La Habana, cuando todos vivíamos aterrados con ese maldito virus que, gracias a Dios, no atacó a nadie en mi familia. Con el pasar de los años, conocí a varias personas que sufrían las secuelas de esa enfermedad.
El doctor Ricardo Machín, que mencionas en tu artículo de hoy, era primo hermano de mi padre, pero como ninguno de los dos tuvo hermanos varones, ellos se consideraban hermanos entre sí.
Ricardo Machín era como un misionero de la Medicina. Atendía en su consultorio a decenas de personas sin recursos, a los que no les cobraba un centavo. Por cierto, él y mi padre fueron arrestados en el aeropuerto de Miami en los años de la Segunda Guerra Mundial cuando iban a comprar repuestos para una lancha, porque tío Ricardo era representante de unos productos médicos de los laboratorios alemanes Merck, A.G., los cuales no se recibían en Cuba desde poco antes de comenzar el conflicto.
Tío Ricardo era el padre de ‘Tavo’ Machín, que murió en Bolivia junto al Che. Ahora, como ya es habitual, voy a enviar tu interesante artículo a unos 50 amigos y conocidos que todas las semanas lo disfrutan”.
En la página de la semana antepasada, el escribidor aludía a los hermanos Alberto y Clemente Inclán Costa, ortopédico el primero, y pediatra el segundo, además de rector de la Universidad de La Habana. En su segundo mensaje, el lector Barrera da cuenta de lo que en relación con estos eminentes profesionales de la Salud, le dice el doctor Enrique Lamoutte Inclán, magistrado del Tribunal de Quiebras, de Puerto Rico:
“Los doctores Inclán Costa eran primos de mi abuelo Serafín Inclán Arango. Asturianos. Mi abuelo decía que los Inclán profesionales fueron a Cuba y los agricultores a Puerto Rico. Mami recuerda cuando la artista Marion Inclán, hija de uno de ellos, se quedó con la familia en Puerto Rico. Siempre aclaraba que los Inclán de México no eran familia”.

El flagelo de la polio

Y ya que se mencionó ese terrible flagelo, que se eliminó en Cuba después de 1959, voy a reproducir algunos datos sobre su incidencia en la Isla, encontrados en viejos papeles.
Se dice que hizo su aparición en Cuba en 1908. Tres casos se diagnosticaron entonces. Al año siguiente, 135 enfermos se registraban en Santa Clara y pueblos vecinos. A partir de ahí, con intervalos, ocurrieron brotes epidémicos de importancia, como el de junio-diciembre de 1935, que registró más de 500 víctimas. Con un número más o menos similar cerraría la epidemia de 1946.

La casa de Marina

Sobre la casa de Marina inquiere un lector cuyo nombre no recogí.
Marina Cuenya fue la más famosa matrona en La Habana anterior a 1959. Era de origen gallego y tenía dos hijos. Un varón y una hembra que vivía en la Argentina y a la que hacía envíos periódicos de dinero.
Hubo muchos prostíbulos en La Habana anterior a 1959. El único que pasó a la crónica es el de Marina, en la calle Colón número 258, en el muy habanero barrio del mismo nombre, una de las zonas de tolerancia de la capital cubana en la época. Marina no tuvo nunca casas en Infanta ni en la calle Marina. Lo que sucede es que con su nombre se ha bautizado a más de una propietaria de burdeles.
Era, por sus tarifas y las personalidades que lo frecuentaban, un sitio bastante exclusivo. El “servicio” se prestaba por diez pesos —una fortuna en la década de 1940—, y la puerta principal se abría solo al cliente conocido y, a discreción, al que llegaba recomendado o podía mencionar, por su nombre, a alguna de las muchachas que “laboraba” en la casa. La saleta, donde se exhibía una imagen de bulto enorme de Santa Bárbara, con su corona y su espada de oro, daba paso al patio central rematado por un bar bien surtido. Allí muchachas bien vestidas y perfumadas esperaban por el cliente para perderse en el piso de arriba.
Un álbum recogía las fotos de todas las “pupilas” de Marina, lo que permitía al cliente ahorrar tiempo a la hora de escoger y hacer su selección a distancia. Esa manera de ofrecer a las prostitutas fue toda una novedad en La Habana de su tiempo. El álbum, se dice, todavía anda por ahí. La imagen de Santa Bárbara permanece en la saleta de lo que fue el prostíbulo, ya sin su corona ni su espada de oro.
Un día, el general Quirino Uría, jefe de la Policía Nacional, y Lomberto Díaz, ministro de Gobernación (Interior), salieron del periódico El Mundo, en Virtudes 257 esquina a Águila. Se dirigirían al Palacio Presidencial y decidieron hacer el trayecto a pie. Atravesaron el barrio de Colón y llegaron escandalizados a la mansión del Ejecutivo. El Ministro sugirió al presidente Prío que tomara alguna medida con la zona de tolerancia, y Prío le respondió que hiciera lo que estimara oportuno. De aquella conversación salió el famoso decreto que clausuraba  el barrio de Colón y que inspiró al compositor Eliseo Grenet aquel sabroso sucu-sucu que decía: “ Los majases no tienen cueva / Felipe Blanco se la tapó…. Ya”.
Días más tarde, ya con las putas desalojadas y los prostíbulos cerrados, el doctor Héctor Garcini, un distinguido abogado con bufete en La Habana, visitó al Ministro de Gobernación en su despacho oficial del viejo colegio de Belén. Iba a abogar por el barrio. Lomberto Díaz le comentó que los dueños de los inmuebles que albergaban los prostíbulos debían sentirse contentos del desalojo, pues podrían así reivindicar Colón y alquilar a familias los locales.
Garcini movió la cabeza en sentido de negación. La cosa no era tan fácil. Una familia pagaría por aquellas casas entre 25 y 40 pesos como máximo, mientras que la misma casa dispuesta para prostíbulo rentaba no menos de trescientos pesos mensuales. Añadió el abogado: “Imagine usted el disgusto de los propietarios”. Preguntó entonces el Ministro a quiénes se refería, y la respuesta llegó rápida.
—Aparte de unos pocos inmuebles que pertenecen a una o a otra persona, el barrio tiene un solo propietario —dijo el abogado y se acercó al oído del Ministro, para pronunciar su nombre y que el escribidor, aunque lo sabe, no va a repetir por ahora.
Con el barrio clausurado, Marina, con sus muchachas, se instaló en la casa de las cúpulas que se halla a la salida del puente Almendares, a la izquierda, según se va del Vedado hacia Playa. De ahí la desalojaron las señoras del reparto Kohly, encabezadas por la esposa del abogado Dorta Duque, profesor de la Universidad Católica de Santo Tomás de Villanueva. Fue entonces que fabricó el Mambo Club, en el kilómetro tres de la carretera de Rancho Boyeros, un centro nocturno con prostíbulo incluido.
Con el tiempo, Colón volvió a abrir como zona de tolerancia. Marina conservaba su casa, pues nunca la abandonó del todo; había dejado en ella a un par de sirvientas con el encargo de cuidar y mantener la propiedad. Triunfó la Revolución; cambiaron los patrones sociales y el barrio entró en un declive indetenible, hasta que lo cerraron de verdad. Marina entonces encargó a su marido, mucho más joven que ella, que sacara de la casa la corona y la espada de oro de la imagen de Santa Bárbara, y otros objetos de valor. Salió de Cuba y se le perdió el rastro.

¿Lo sabe usted?

El doctor Alex Muñoz Alvarado, investigador del Centro de Lingüística Aplicada, de Santiago de Cuba, acude al escribidor en busca de ayuda. Investiga sobre el nombre de algunas instituciones y le urge saber si el nombre oficial de la principal heladería de La Habana es Coppelia y si ese nombre está ligado al del ballet homónimo. Escribe que en Santiago la heladería principal mostraba una bailarina de ballet clásico en el letrero de la entrada, por lo que la gente alude a la instalación llamándola Coppelia, cuando su nombre oficial es La Arboleda. Inquiere, por último, si la heladería de la capital mostraba una imagen similar a la de Santiago o algo que la relacionara con el ballet Coppelia. ¿De no ser así, expresa, con qué tiene que ver ese nombre?
Si alguien tiene respuestas para estas interrogantes, favor de comunicarse con este columnista.



                              

sabato 15 agosto 2015

Kerry visita l'Avana Vecchia

Dopo essere stato ricevuto al Ministero degli esteri dal ministro Bruno Rodríguez Parrilla ed aver partecipato a una conferenza stampa congiunta, Kerry ha fatto un breve percorso in luoghi caratteristici del Centro Storico. 
Durante la conferenza non si sono nascoste le differenze politiche, ideologiche ed economiche tra i due Paesi, ma si è stabilito che nella prima o seconda settimana di settembre si riuniranno, all'Avana le Commissioni dei due Paesi per affrontare i problemi, prioritari, su cui lavorare per continuare il cammino di normalizzazione.
Nel pomeriggio Kerry si è riunito con un gruppo della dissidenza ed avrebbe detto loro che fino a che non ci saranno evidenti cambiamenti nelle libertà civili sarà molto difficile che il Congresso nordamericano possa togliere l'embargo. Personalmente credo che sia anche una delle questioni "ufficiali" sul tappeto, non mi sembra abbia fatto dichiarazioni eclatanti ai dissidenti, forse lo avrà detto da "politico" per rassicurarli...

Fonte : El Nuevo Herald
Cuba

AGOSTO 14, 2015
Kerry incluye en su apretada agenda un breve recorrido por La Habana Vieja




El secretario estadounidense de Estado, John Kerry (c), realiza un recorrido por el centro histórico de La Habana (Cuba), acompañado por el historiador de la ciudad Eusebio Leal (fuera de cuadro) hoy, viernes 14 de agosto de 2015, luego de presidir la ceremonia de izado de la bandera estadounidense en la embajada de ese país en la capital de la isla.Alejandro Ernesto EFE
EFE
LA HABANA 

El secretario de Estado de Estados Unidos, John Kerry, tras encabezar el acto de reapertura formal de la embajada norteamericana, dedicó hoy un espacio de su apretada agenda de poco más de diez horas en La Habana, para dar un paseo por el centro histórico de la capital cubana.
En desafío de un sol implacable y alejado del protocolo oficial, Kerry se quitó la chaqueta y la corbata que lo acompañaba desde su llegada a Cuba esta mañana, y optó por quedarse en mangas de camisa para su visita a La Habana Vieja.
Kerry, primer secretario de Estado norteamericano que visita Cuba desde 1945 y después del deshielo diplomático entre los dos países, tuvo como anfitrión en el recorrido al historiador de la Ciudad, Eusebio Leal, principal impulsor de las obras de restauración de la antigua e histórica Habana Vieja.
Acompañado de integrantes de su delegación y de periodistas que están cubriendo su visita a la isla, Kerry llegó hasta la Basílica Menor del antiguo convento San Francisco de Asís, que se levanta en una plaza del mismo nombre.
Tras esa primera parada en la Plaza del centro histórico habanero, el secretario estadounidense se detuvo ante un quiosco de ventas de artesanías y se interesó vivamente por un humidor, una caja para guardar puros habanos confeccionada con maderas preciosas.
El secretario norteamericano completó su breve itinerario habanero con una breve mirada al hostal “Marqués de San Felipe” y el el “Café del Oriente”, guiado por el historiador Leal, quien fue hoy uno de los invitados a la ceremonia inaugural de la embajada de EE.UU. en La Habana y el pasado 20 de julio también participó en la apertura de la sede diplomática cubana en Washington.
Leal dijo a Kerry que anteriormente le había mostrado La Habana Vieja al expresidente Jimmy Carter, en una de sus visitas a la isla, pero además se interesó por su estado de salud tras saber que el político norteamericano reveló que padece cáncer.
Como colofón del trayecto, Kerry tuvo oportunidad de comprobar el buen estado de conservación de uno de los numerosos autos antiguos de fabricación norteamericana que todavía circulan por las calles de la isla.
Previamente, Kerry se había reunido con el ministro de Asuntos Exteriores de Suiza, Didier Burkhalter, con su homólogo cubano, Bruno Rodríguez, con el que ofreció una rueda de prensa conjunta, y con el cardenal y Arzobispo de La Habana, Jaime Ortega.


venerdì 14 agosto 2015

Inaugurata ufficialmente la sede dell'Ambasciata USA all'Avana.

Fialmente l’anonimo edificio racchiuso tra Calzada e Malecón si è trasformato ufficialmente in “Embassy of the United States of America” Non è più “l’Ufficio d’Interessi” curato dall’Ambasciata Svizzera. Dopo diversi decenni le note di “The Star-Spangled Wessel” è risuonato sul lungomare avanero, suonato nientemeno che da una banda dei Marines degli Stati Uniti, mentre si innalzava la bandiera del loro Paese. Simbolicamente, il vessillo, è stato consegnato alle nuove generazioni dai tre marines che all'epoca lo avevano ammainato dallo stesso pennone. Mentre la bandiera si nnalzava è partita un'ovazione dala folla presente. In precedenza avevano eseguito “La Bayamesa”, ovvero l’inno nazionale cubano cantato in coro dalla moltitudine partecipante alla cerimonia.
Brevi parole d’introduzione e poi il discorso di John Kerry con il saluto del presidente Obama e un riassunto di quanto è accaduto dal 17 dicembre 2014 e quanto ancora c’é da fare. Ha sottolineato molto “di non avere paura” degli Stati Uniti e che i rapporti  diplomatici di entrambi i Paesi, sia dal lato economico che politico, oltre che quello di collaborazione in ogni campo saranno meglio per tutti.
Due ali di folla composta erano di contorno alla manifestazione, nessun cenno di dissenso, persone evidentemente felici di questa distensione. Applausi all’apparire di kerry e alla fine del suo discorso. Un’ovazione quando si è alzata la bandiera a stelle e strisce, poi, tutti a casa.