Delle centinaia di complici, civili e militari, del dittatore Fulgencio
Batista che fuggirono da Cuba dopo la vittoria del 1° gennaio del 1959, nessuno
fu estradato, nonostante le richieste del Governo cubano in questo senso. Sono
passati già più di 50 anni e non edovon essere molti quelli che sono ancora
vivi. Con la morte del generale di brigata Francisco Tabernilla Palmero, alias
Silito, segretario militare di Batista, dev’essersi estinta la cosca dgli alti
ufficiali della dittatura. Con quelli che si opposreo, a suo tempo, al
batistato e poi si affrontarono alla Rivoluzione per optare definitivamente per
l’esilio, succede lo stesso. Il tempo non trascorre invano. Sono
morti quasi tutti.
La Calambrina
Lo scriba prosegue, questa domenica, col tema iniziato la settimana scorsa.
Cosa è successo della gente che per un motivo o l’altro e non poche volte per
una ragione triste, godette di celebrità a Cuba prima del 1959? A cosa si è
dedicata dopo l’uscita dall’Isola? Alcuni nomi non appariranno, in una relazione
forzosamente incompleta
Il tenente colonnello Esteban Ventura Novo – il macellaio di Humboldt, fra
altri omicidi macabri – se ne andò da Cuba con lo stesso arereo di Batista.
Quello non era il suo posto, ma si introdusse sul velivolo passando a braccetto
del capitano Alfredo J. Sadulé, aiutante presidenziale, che cercavo di
controllare l’accesso di chi sarebbe partito con quel volo, secondo quanto mi
ha riferito lo stesso Sadulé a Miami, meno di un anno fa. Ci fu uno scambio di
parole forti; ma Batista dal suo sedile, li richiamò all’ordine e Ventura
rimase a bordo dell’apparecchio. Aveva tanta fretta di uscire dal Paese che non
solo si imbarcò sullaereo che non gli corrispondeva, ma che non attese l’arrivo
di sua moglie e le sue due figlie piccole le quali, in mezzo al caos, il
generale José Eleuterio Pedraza poté montare sull’ultimo velivolo che decollò
quel giorno dall’aeroporto militare. Giorni dopo, inviava sua moglie all’Avana
nel tentativo di recuperare 20.000 pesos che aveva nel suo conto in banca. La
signora che era dottoressa in Medicina, venne arrestata. Non tardò molto ad
essere rimessa in libertà e uscì nuovamente dal Paese.
Già a Miami, Ventura, scrisse le sue memorie e organizzò un’azienda di
servizi di sicurezza. Un giorno lo assalirono, non riuscirono a rubargli i
valori che custodiva, ma lo ferirono. Molti anni dopo, morì tranquillamente nel
suo letto a causa di un attacco cardiaco, il 24 maggio del 2001, a 87 anni
d’età.
Un suo compare nella Polizia Nazionale, il colonnello Conrado Carratalà,
capo della Direzione di quel corpo repressivo, vendette pizze a Portorico prima
di installarsi a Miami. Quelli che lo videro durante le sue ultime ora a Cuba,
racontano che andava in giro come sgonfio. Il colonnello Orlando Elena Piedra
Negueruela, accompagnò Batista nella sua fuga. Fu capo dell’Ufficio di
Investigazioni della Polizia Nazionale, ma più di questo era l’uomo a cui il
dittatore affidava la sua sicurezza.
Per mezzo della CIA, Piedra si assunse l’Operazione 40 che sorse al
calore dell’Operazione Pluto, nel 1961, che doveva essere parte
essenziale dell’invasione mercenaria di Playa Girón fatta dal corpo repressivo
della Brigata d’Assalto 2506, se questa riusciva aconsolidare le posizioni.
Uomini dell’Operazone 40 si sarebbe quindi impossessati degli archivi della
Sicurezza e della Polizia cubana, avrebbero occupato gli edifici dei principali
organismi dell’amministrazione centrale dello Stato e varbbero arrestato i
dirigenti più in vista.
Nel 1963, l’FBI interrogò Piedra con relazione alla morte di J.F. Kennedy.
In incartamenti sequestrati al presunto assassino, Lee Harvey Hoswald,
apparvero il nome e l’indirizzo del colonnello cubano. Nel 1944 col titolo
“Parla il colonnello Orlando Piedra”, pubblicò le sue memorie. Morì in un
ospizio per anziani, a quanto si dice, per effetto di percosse ricevute.
Batista era abituato a premiare i suoi collaboratori con un anello che portava
incastonata un’ametista. L’anello con ametista di Piedra è adesso in possesso
di Julián Pérez, un membro dell’Ufficio di Investigazioni che si era distinto
come custode della casa presidenziale di Columbia che riuscì a scappare con un
areo rubato e che adesso dirige il Museo Storico Cubano di Miami.
Non tutti i batistiani fuggirono per aria. Il senatore Rolando Masferrer,
capo dei paramilitari conosciuti come Le Tigri che tasnte morti e dolori hanno
seminato specialmente nella regione orientale dell’Isola, fuggì con uno yacht
ormeggiato a Barlovento, attuale Marina Hemingway, dopo aver obbligato il suo
equipaggio a buttarsi in mare. A Miami Masferrer si dedicò a estorcere i
piccoli commercinati cubani che vi si erano stabiliti e, in definitiva, al
banditismo politico fino alla sua morte, il 31 ottobre del 1975, per lo scoppio
di una bomba collocata sotto la sua auto.
Civili e Militari
Il pure senatore Santigo Rey, ministro degli Interni cercò rifugio, con
altri funzionari del batistato, nell’Ambasciata del Cile. Visse tra Miami e
Santo Domingo fino alla sua morte nel 2003. Guillermo de Zéndegui, direttore
dell’Istituto Nazionale della Cultura, si propose di lavorare nella OEA
(Organizzazione degli Stati Americani, n.d.t.) anche fosse come portiere. “Un
portiere con mantello”, diceva per scherzo. Ottenne la direzione della rivista
Américas. Anch’egli per via diplomatica abbandonó il Paese il senatore Eusebio
Mujal, segretario generale dalla Confederazione dei Lavoratori di Cuba. Cercó
rifugio nell’Ambasciata argentina. All aeroporto, una moltitudine furiosa cercò
di aggredirlo quando si disponeva a salire sull’aereo. Il Governo
Rivoluzionario gli rilasciò il salvacondotto a condizione che le autorità
argentine lo trattenessero fino a che la Cancelleria cubana presentasse il
fascicolo per l’estradizione, accordo che il Governo argentino si compromise a
rispettare. Ma Mujas, senza che nessuno glie lo impedisse, si trasferì da
Buenos Aires a Miami dove gli si dette rifugio. Lì, vincolato alla
cotrorivoluzione, fondò un Sindacato che gli permise di lucrare fino alla sua
morte, occorsa nel 1986, nel Maryland.
Non ebbe questa fortuna Jouaquín Martínez Sáenz, presidente del Banco
Nacional e responsabile della politica finanziaria della dittatura. Lo
arrestarono il 1° gennaio nel suo stesso ufficio, in compagnia del suo secondo,
lo storico Emeterio Santovenia. Già nella forteza della Cabaña, Santovenia
addusse problemi di salute e Che Guevara gli permise di andare a casa sua, dove
doveva attendere il reclamo della giustizia. Nel viaggio di andata verso il suo
domicilio, si mise in un’ambasciata. Martínez Sáenz rimase in prigione Nello stesso
anno 1959, pubblicò all’Avana il suo libro “Per l’indipendenza economica di
Cuba”, col quale pretese giustificare la sua gestione del Banco e il cui
prologo è datato nella prigione militare.
Nemmeno sfuggirono alla giustizia rivoluzionaria il brigadiere generale
Hernando Hernández, ex capo della Polizia Nazionale e il generale di brigata
Julio Sánchez Gómez, dell’Esercito, capo de La Cabaña prima e poi del campo di
Managua, accusato per la sua attitudine repressiva durante lo sciopero del 9
aprile 1958 e per i morti che apparvero in Ciudad Jardín.
Antibatistiani
L’ex candidato presidenziale Carlos Márquez Sterling, sconfitto nelle
elezioni del 1958, fu professore all’Università di Columbia. Passava lunghe ore
chino sulla sua macchinetta Smith Corona e scrisse diversi libri, ma mai le sue
memorie. Conosceva troppo bene la vita repubblicana e non voleva scoprire
pubblicamente basse passioni, meschinità e intrighi, ma esaltare il meglio dei
suoi compatrioti, nascondendo i loro difetti.
Scrisse anche vari libri il colonnello Ramón Barquín, leader della
cosiddetta cospirazione dei puri che assieme a un gruppo di ufficiali, lo
condusse in carcere nel 1956. Dopo la fuga di Batista asunse, ancora vestito da
carcerato e senza consultare nessuno, il comando delle forze armate, ma il suo
mento era passato. Il 1° di gennaio non era il 4 aprile, scoraggiato finì
trapassando il comando al comandante Camilo Cienfuegos. Ancora coi gradi di
colonnello fu consigliere dell’Esercito di Liberazione. Dice nel suo libro “I miei
dialoghi con Fidel, Raúl, Camilo e il Che”, apparso dopo la sua morte, che per
ragioni famigliari e di salute, respinse il Ministero della Difesa.
Acceto l’incarico di ambasciatore straordinario e ambasciatore
plenipotenziario di Cuba in Europa, una missione speciale e di carattere
itinerante che gli avrebbe permesso di familiarizzarsi con armi, tecniche e
programmi di eserciti europei. Nel 1961 si stabilì a Portorico, dove ebbe una
grande ed esitosa carriera come proprietario e direttore di un gran collegio.
Come corridore di fondo, pertecipò e vinse non poche gare per uomini della
teraz età. Uno stadio portoricano porta il suo nome. Morì il 3 marzo del 2008.
Finì anch’egli a Portorico il dottor José Miró Cardona, presidente del
Collegio degli Avvocati di Cuba e segretario esecutivo della Società Degli
Amici della Repubblica. Il Governo Rivoluzionario gli affidò l’incarico di
primo ministro che disimpegnò per poche settimane. Dopo fu ambasciatore in
Spagna. Disertò e Washington lo designò, alla vigilia dell’invasione di Girón,
presidente di un ipotetico Governo cubano nell’esilio. Morì nel 1963.
Aureliano Sánche Arango, ministro dell’Educazione del presidente Prío, morì
nel 1976 negli Stati Uniti, dove viveva col modesto salario di ispettore
scolastico. Nicolás Castellanos, ex sindaco dell’Avana, morì a Portorico il 10
febbraiuo del 1985. Era tornato al suo vecchio mestiere e curava una ferriera.
Mario Salabarría, uno dei protagonisti dei fatti di Orfila (1947), morì a Miami
a 94 anni, per il cuore. La Contessa de Revilla de Camargo morì nel 1963 in
Spagna. La lettera con cui accusa i dirigenti cubani di essersi appropriati
dela sua palazzina del Vedado è falsa. Lo scriba chiese ai suoi nipoti sulla
veridicità della missiva e risposero che la loro zia aveva troppa classe per un
gesto come quello.
Padre e figlia
María Luisa Lobo, figlia di Julio, venne a Cuba nel 1975 col proposito di
reclamare alcuni manoscritti di Napoleone che suo padre aveva lasciato in
deposito. Non poté recuperarli, ma cominciò a guardare l’Isola senza rancore.
Tornò molte volte e lavorò quì su un libro sull’Avana che apparve, dopo la sua
morte, nel 1998. I quoi quattro figli, allora, vennero a Cuba e sparsero le sue
ceneri nello zuccherificio Tinguaro, a Matanzas, il preferito dalla sua
famiglia.
Quando partì da Cuba, nel 1960, Julio Lobo aveva una fortuna che –
d’accordo ai parametri attuali – si calcola in 5 miliardi di dollari, ma
secondo quanto confessò potò nel suo esilio solo una valigetta e uno spazzolino
da denti. A differenza di altri grandi capitalisti cubani come i Falla Bonet
che prima dell’arrivo della Rivoluzione, fecero uscire dal Paese tra i 40 e i
50 milioni di dollari, lobo comprò tre zuccherifici nel 1959 e continuò
ingrossando la sua collezione di opere d’arte. Specialisti assicurano che si
rovinò due volte; una a Cuba e l’altra a Wall Street, quando si vide obbligato
a pagare i tre zuccherifici menzionati.
Nel 1965, in Spagna, cominciò la seconda tappa del suo esilio. Il suo
capitale si era ridotto a circa 200 mila dollari, ma anche senza lo splendore
di prima seppe vivere, disse sua figlia, felice e senza amarezze. L’uomo che
ebbe tra le sue amanti le attrici più celebri di Hollywood che sopravvisse a
tre infarti e a un attentato con una pallottola che gli strappò un pezzo di
cranio, occasionandogli conseguenze motorie permanenti, passò gli ultimi due
anni della sua vita con il corpo completamente paralizzato, salvo la bocca e le
ciglia, seguito con cura dalla sua prima moglie che finì perdonandogli tutte le
sue infedeltà. Morì il 30 gennaio del 1983 a 84 anni d’età e lo inumarono vesto
di guayabera e avvolto in una bandiera cubana. Così lo aveva voluto.
Destinos (II y final)
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
5 de Septiembre del 2015 22:39:04 CDT
De los cientos de cómplices, civiles y
militares, del dictador
Fulgencio Batista que huyeron de Cuba tras el
triunfo del 1ro. de
enero de 1959, ninguno fue extraditado, pese a
las reclamaciones del
Gobierno cubano en ese sentido. Pasaron ya más
de 50 años y no deben
ser muchos los que queden vivos. Con la muerte
del general de brigada
Francisco Tabernilla Palmero, alias Silito,
secretario militar de
Batista, debe haberse extinguido la camarilla de
la alta oficialidad
de la dictadura. Con los que en su momento se
opusieron al batistato y
se enfrentaron después a la Revolución para
optar en definitiva por el
camino del exilio, sucede lo mismo. El tiempo no
transcurre en vano.
Casi todos han muerto.
El escribidor prosigue este domingo con el tema
que inició la semana
pasada. ¿Qué se hizo de gente que por una razón
u otra, y no pocas
veces por una triste razón, gozó de celebridad
en Cuba antes de 1959?
¿A qué se dedicó tras su salida de la
Isla? Algunos nombres salen al
paso en una relación forzosamente incompleta.
La Calambrina
El teniente coronel Esteban Ventura Novo —el
carnicero de Humboldt,
entre otros asesinatos macabros— salió de Cuba
en el mismo avión de
Batista. No era ese su sitio, pero se coló en la
aeronave al pasar por
debajo del brazo al capitán Alfredo J. Sadulé,
ayudante presidencial,
que intentaba controlar la entrada de quienes
irían en ese vuelo,
según me refirió el propio Sadulé en Miami hace
menos de un año. Hubo
entre ambos un intercambio de palabras fuertes;
pero Batista, desde su
asiento, los llamó al orden y Ventura permaneció
a bordo del aparato.
Tenía tanta prisa en salir del país que no solo
abordó el avión que no
le correspondía, sino que no esperó la llegada
de su esposa y sus dos
pequeñas hijas, a las que en medio del caos, el
general José Eleuterio
Pedraza pudo montar en la última nave que
despegó ese día en el
aeropuerto militar. Días después, enviaba a su
esposa a La Habana en
el intento de recuperar los 20 000 pesos
depositados en su cuenta
bancaria. La señora, que era doctora en
Medicina, fue detenida. No
demoró en ser puesta en libertad y salió otra
vez del país.
Ya en Miami, Ventura escribió sus memorias y
montó una empresa de
seguridad. Un día lo asaltaron, no
pudieron robarle los valores que
custodiaba, pero resultó herido. Muchos años
después murió
tranquilamente en su cama, de un ataque
cardiaco, el 24 de mayo de
2001, a los 87 años de edad.
Un compinche suyo en la Policía Nacional, el
coronel Conrado
Carratalá, jefe de Dirección de ese cuerpo
represivo, vendió pizzas en
Puerto Rico antes de instalarse en Miami. Los
que lo vieron durante
sus últimas horas en Cuba cuentan que andaba
como desinflado.
El coronel Orlando Eleno Piedra Negueruela
acompañó a Batista en su
fuga. Fue jefe del Buró de Investigaciones de la
Policía Nacional,
pero más que eso, el hombre a quien el dictador
confiaba su seguridad.
Por conducto de la CIA, Piedra se sumó a la
Operación 40, que surgió
al calor de la Operación Pluto, en 1961, y que
debía ser parte
esencial de la invasión mercenaria de Playa
Girón; el cuerpo represivo
de la Brigada de Asalto 2506, si esta llegaba a
consolidar posiciones.
Hombres de la Operación 40 se apoderarían
entonces de los archivos de
la Seguridad y la Policía cubanas, ocuparían los
edificios de los
principales organismos de la administración central
del Estado y
detendrían a los dirigentes más destacados.
En 1963, el FBI interrogó a Piedra con relación
a la muerte de J. F.
Kennedy. En papeles que se le ocuparon al
supuesto asesino, Lee Harvey
Oswald, aparecieron el nombre y la dirección del
ex coronel cubano. En
1994, bajo el título de Habla el coronel Orlando
Piedra, publicó sus
memorias. Falleció en un asilo de ancianos, al
parecer, dicen, a
consecuencia de una golpiza. Batista
acostumbraba a premiar a sus
colaboradores con una sortija que llevaba una
amatista engarzada. La
sortija con la amatista de Piedra está en poder
ahora de Julián Pérez,
un miembro del Buró de Investigaciones destacado
como custodio en la
casa presidencial de Columbia, que logró
escaparse en un avión robado
y que dirige el Museo Histórico Cubano de Miami.
No todos los batistianos salieron por el aire.
El senador Rolando
Masferrer, jefe de los paramilitares conocidos
como Los Tigres, que
tanta muerte y dolor sembraron sobre todo en la
región oriental de la
Isla, huyó en un yate fondeado en Barlovento,
actual Marina Hemingway,
luego de obligar a su tripulación a hacerse a la
mar. En Miami,
Masferrer se dedicó a extorsionar a los pequeños
comerciantes cubanos
allí establecidos y, en definitiva, al
gansterismo político hasta su
muerte, el 31 de octubre de 1975, al estallar
una bomba colocada
debajo de su auto.
Civiles y militares
El también senador Santiago Rey, ministro de
Gobernación (Interior)
buscó refugio, con otros funcionarios del
batistato, en la Embajada
de Chile. Vivió entre Miami y Santo Domingo
hasta su muerte, en 2003.
Guillermo de Zéndegui, director del Instituto
Nacional de Cultura, se
propuso trabajar en la OEA, aunque fuera de
portero. “Un portero con
levita”, decía en broma. Obtuvo la
dirección de la revista Américas.
También por la vía diplomática abandonó el país
el senador Eusebio
Mujal, secretario general de la Confederación de
Trabajadores de Cuba.
Buscó refugio en la Embajada argentina. En el
aeropuerto, una multitud
enardecida lo escarneció cuando se disponía a
abordar el avión. El
Gobierno Revolucionario le otorgó el
salvoconducto que le permitiría
salir de la Isla, a condición de que las
autoridades argentinas lo
retuvieran hasta que la Cancillería cubana
presentara el expediente de
extradición, acuerdo que el Gobierno argentino
se comprometió a
respetar. Pero Mujal, sin que nadie se lo
impidiera, se trasladó desde
Buenos Aires a Miami, donde se le dio amparo.
Allí, vinculado a la
contrarrevolución, fundó una CTC, que le
posibilitó seguir lucrando
hasta su muerte, ocurrida en 1986, en Maryland.
No tuvo esa suerte Joaquín Martínez Sáenz,
presidente del Banco
Nacional y responsable de la política financiera
de la dictadura. Lo
apresaron el 1ro. de enero en su propia oficina,
en compañía de su
segundo, el historiador Emeterio Santovenia. Ya
en la fortaleza de la
Cabaña, Santovenia alegó problemas de salud y
Che Guevara le permitió
irse a su casa, donde debía esperar el reclamo
de la justicia. En el
viaje de ida hacia su domicilio, se metió en una
embajada. Martínez
Sáenz guardó prisión. En el mismo año de 1959
publicó en La Habana su
libro Por la independencia económica de Cuba,
con el que pretendió
justificar su gestión en el Banco y cuyo prólogo
está fechado en la
prisión militar.
Tampoco escaparon a la justicia revolucionaria
el brigadier general
Hernando Hernández, ex jefe de la Policía
Nacional, y el general de
brigada Julio Sánchez Gómez, del Ejército, jefe
de la Cabaña primero y
luego del campamento de Managua, acusado por su
actitud represiva
durante la Huelga del 9 de abril de 1958 y por
los muertos que
aparecieron en Ciudad Jardín.
Antibatistianos
El ex candidato presidencial Carlos Márquez
Sterling, derrotado en las
elecciones de 1958, fue profesor de la
Universidad de Columbia. Pasaba
largas horas inclinado sobre su maquinita Smith
Corona y escribió
varios libros, pero nunca sus memorias. Conocía
demasiado bien la vida
republicana y no deseaba descubrir públicamente
bajas pasiones,
mezquindades e intrigas, sino exaltar lo mejor
de sus compatriotas y
disimular sus defectos.
También escribió varios libros el coronel Ramón
Barquín, líder de la
llamada conspiración de los puros, que, junto
con un grupo de
oficiales, lo llevó a la cárcel en 1956. Tras la
huida de Batista
asumió, vestido todavía de preso y sin
encomendarse a nadie, la
jefatura de las fuerzas armadas, pero su momento
había pasado. El 1ro.
de enero no era el 4 de abril, y, desalentado,
terminó traspasando el
mando al comandante Camilo Cienfuegos. Aun con
sus grados de coronel,
fue asesor del Ejército Rebelde. Dice en su
libro Mis diálogos con
Fidel, Raúl, Camilo y el Che, que apareció
después de su muerte, que
por razones familiares y de salud, rechazó el
Ministerio de Defensa.
Aceptó el cargo de embajador extraordinario y
ministro
plenipotenciario de Cuba en Europa, una misión
especial y de carácter
itinerante que le permitiría familiarizarse con
armamentos, técnicas y
programas de ejércitos europeos. En 1961 se
estableció en Puerto Rico,
donde tuvo una exitosa carrera como propietario
y director de un gran
colegio. Como corredor de largas distancias,
participó y ganó no pocas
competencias para hombres de la tercera edad. Un
estadio
puertorriqueño lleva su nombre. Falleció el 3 de
marzo de 2008.
Terminó asimismo en Puerto Rico el doctor José
Miró Cardona,
presidente del Colegio de Abogados de Cuba y
secretario ejecutivo de
la Sociedad de Amigos de la República. El
Gobierno Revolucionario le
confió el cargo de primer ministro, que
desempeñó por pocas semanas.
Fue después embajador en España. Desertó, y
Washington lo designó, en
vísperas de la invasión de Girón, presidente de
un hipotético Gobierno
cubano en el exilio. Murió en 1963.
Aureliano Sánchez Arango, ministro de Educación
del presidente Prío,
murió en 1976 en Estados Unidos, donde vivía con
su modesto salario de
inspector de escuelas. Nicolás Castellanos, ex
alcalde de La Habana,
falleció en Puerto Rico el 10 de febrero de
1985. Había vuelto a su
antiguo oficio y atendía una herrería. Mario
Salabarría, uno de los
protagonistas de los sucesos de Orfila (1947),
murió en Miami con 94
años, del corazón. La Condesa de Revilla de
Camargo murió en 1963, en
España. La carta en la que reprocha a los
dirigentes cubanos haberse
apropiado de su palacete del Vedado, es falsa.
El escribidor preguntó
a sus sobrinos sobre la veracidad de la misiva,
y respondieron que su
tía tenía demasiada clase para un gesto como
ese.
Padre e hija
María Luisa Lobo, la hija de Julio, vino a Cuba
en 1975 con el
propósito de reclamar unos manuscritos de Napoleón
que su padre había
dejado en depósito. No pudo recuperarlos, pero
empezó a mirar la Isla
sin rencor. Volvió muchas veces y trabajó aquí
en un libro sobre La
Habana que apareció después de su muerte, en
1998. Sus cuatro hijos
entonces viajaron a Cuba y esparcieron sus
cenizas en el central
Tinguaro, en Matanzas, el preferido de la
familia.
Cuando salió de Cuba en 1960, Julio Lobo tenía
una fortuna que —de
acuerdo con los parámetros actuales— se calcula
en 5 000 millones de
dólares, pero según confesó solo llevó a su
exilio una pequeña maleta
y un cepillo de dientes. A diferencia de otros
grandes capitalistas
cubanos como los Falla Bonet que, ante la
llegada de la Revolución,
sacaron del país entre 40 y 50 millones de
dólares, Lobo compró tres
centrales azucareros en 1959 y continuó
engrosando su colección de
obras de arte. Especialistas aseguran que se
arruinó dos veces; una en
Cuba y la otra en Wall Street, cuando se vio
obligado a pagar los tres
centrales mencionados.
En 1965, en España, comenzó la segunda etapa de
su exilio. Su capital
se había reducido a unos 200 000 dólares; pero,
aun sin el esplendor
de antes, supo vivir, dijo su hija, feliz y sin
amargura. El hombre
que tuvo entre sus amantes a las actrices más
célebres de Hollywood,
que sobrevivió a tres infartos y a un atentado
de bala que le arrancó
un pedazo de cráneo y le ocasionó secuelas
motoras permanentes, pasó
los dos últimos años de su vida con el cuerpo
totalmente paralizado,
salvo la boca y los párpados, atendido con
esmero por su primera
esposa, que terminó perdonándole todas sus
infidelidades. Murió el 30
de enero de 1983, a los 84 años de edad, y lo
inhumaron vestido de
guayabera y envuelto en una bandera cubana. Así
lo había decidido.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
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