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lunedì 26 ottobre 2015

16° Festival Internazionale del Teatro dell'Avana

Anche in questa edizione del Festival, la Fundarte di Miami é stata presente con un doppio spettacolo: quello principale, era un monologo scritto da Griselda Ortiz e diretto da Carlos Miguel Caballero, interpretato da Mabel Roch con la partecipazione della ballerina e mimo brasiliana Lucia Aratanha e la cantante e percussionista haitiana Inez Barlatier, dal titolo "Scrivendo nella sabbia".
Questa opera era preceduta dalla performance dell'attrice statunitense Elizabeth Doud che nel ridotto del teatro Trianon, si è esibita ne "La Fabrica de lágrimas de Sirena".
Il monologo tratta sulla condizione degli emigrati negli Stati Uniti con le loro gioie e dolori, i ricordi del Paese d'origine e della vita lasciata dietro di sé, spesso con parte (o tutta) della famiglia. Una conquista economica e in qualche caso di libertà di essere apolitici e anonimi, pagata col sentirsi comunque stranieri, sia nella nuova terra che in quella natale quando si rientra per una visita famigliare o per lavoro.
Tre vite, provenienti da tre paesi diversi: Cuba, Brasile e Haiti, ma un unico comune denominatore in una città nordamericana dove l'1% della popolazione parla in "creolo", il 5% in portoghese e il 75% in spagnolo.
"Rimpatriata" con molta nostalgia.




Unicellulare

UNICELLULARE: telefono portatile esclusivo

Proiettato al teatro Flavio di Roma il documentario sulla vita di Tomás Milián


Giuseppe Sansonna
 ha condiviso il suo evento.

Stasera, alle 20, al Teatro Flavio, a due passi dal Colosseo, si proietta "The Cuban Hamlet". Ovvero un pezzo di cuore e di vita, diluito in immagini. Dedicato a quello stralunato, meraviglioso Don Chisciotte che è diventato Tomas Milian, dopo una vita passata a usurare troppe pelli e troppe maschere.
A realizzarlo hanno contribuito il ceruleo Sergio Grillo alla fotografia, il titanico Enrico Grammaroli al suono, il chirurgico Domenico De Orsi al montaggio, la sensibilità di Pasquale Mollo e Pippo Foglianese alle musiche, la premura implacabile di Stefano Donati di IXCO all'organizzazione, con Aldo Abuaf, nostro risolutivo uomo all'Havana. Ringrazio loro e tanti altri, e spero di vedervi stasera
Proiezione di "The Cuban Hamlet- Storia di Tomas Milian"
Oggi alle ore 20 · Teatro Flavio · Roma






sabato 24 ottobre 2015

Ultimare

ULTIMARE: finire fuori bordo

giovedì 22 ottobre 2015

La Habana no aguanta más e magie del turismo

Uno dei grandi successi degli anni '70/80 dei Van Van fu: La Habana no aguanta más, in pratica l'Avana non ne può più (ricevere), una bonaria satira musicale sulla massiccia emigrazione interna che portava "los palestinos" (gli abitanti dell'oriente del Paese) all'Avana, in cerca di migliori condizioni di vita.
Anche oggi "La Habana no aguanta más", ma si tratta dell'ingente flusso di visitatori stranieri concentrato dalla metà di ottobre alla metà di gennaio. a causa dei numerosi eventi che si sovrappongono in questo periodo. Seminari e congressi internazionali, appuntamenti economici e culturali.
Fra i più notevoli la Fiera Internazionale dell'Avana, il Festival del Teatro, quello del Cinema, il Congresso della Caricom (mercato comune dei Caraibi) giusto per citarne alcuni. Ma sono molti e richiamano protagonisti e visitatori. A metà dicembre inizia l'alta stagione turistica e il turismo "people to people" allargato dai provvedimenti di Barak Obama ha incrementato notevolmente l'ingresso di nordamericani.
In questo periodo è quasi impossibile trovare un alloggio o auto a noleggio, pertanto mi chiedo se si aprissero le porte ai normali voli commerciali, cosa succederebbe? E non solo in questo periodo di concentrazione di eventi e manifestazioni.
Naturalmente,  riallacciandomi al post ispiratomi da Alex Castro debbo aggiungere che qualche camera o qualche auto, potrebbe apparire se pagata in modo adeguato alla eventuale persona "giusta". Magie del turismo.

lunedì 19 ottobre 2015

Esplorando Prado (II e fine), di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 18/10/15

Il Paseo del Prado a di Martí come lo conosciamo oggi con la sua corsia centrale a terrazza, le sue panchine di pietra e marmo, fanali, coppe, mensole e i suoi allori, venne inaugurato il 10 ottobre del 1928. Poco dopo, il 1°gennaio dell’anno seguente, si installavano gli otto leoni sui loro piedestalli. Al contrario di quello che pensavano non poche persone, nessuno di essi venne mai rubato.
Alla fine del XIX secolo, forse un poco prima, o all’inizio del XX, aristocratici, borghesi e professionisti furono ad abitare al Prado. Dalla cronaca avanera emerge, come abitante della zona, il dottor Manuel Piedra, eminente clinico che diagnosticò il primo caso di colera all’Avana che si salvò miracolosamente la vita al contrarre questa malattia. Anche i medici Miguel Franca, Benigno Souza e Joaquín Lebredo, di cui porta il nome la maternità municipale di Arroyo Naranjo. L’ingegner José Toraya e il magistrato Antonio Barrera che bisognerà sempre ringraziare per le sue notti insonni, date per mantenere viva l’opera del narratore Alfonso Hernández Catá. Il giornalista José María Gálvez che presiedette il Partito Autonomista. In Prado 9, in casa della sua nonna materna visse, parte della sua infanzia, il gran poeta José Lezama Lima. Prima, in Prado entre  Ánimas y Trocadero, ebbe la sua residenza don Pancho Marty, famoso negriero, padrone del Teatro Tacón e del monopolio del pesce nella capitale.
All’angolo di Trocadero si ergono sul marciapiede di sinistra, andando da Neptuno verso il mare. La prima di esse che ancora all’inizio del XX secolo si considerava la più lussuosa dell’Avana, fu costruita per una signora francese di cognome Scull e poi comprata, dopo averci vissuto, da Felipe Romero, conte di Casa Romero, sposato con la figlia maggiore del conte di Fernandina, della quale si dice che sia l’avanera più bella di tutti i tempi.
Attraversando Trocadero, appare la casa che fu del maggior generale José Miguel Gómez, oggi sede dell’Alianza Francesa. Prima, in questo stesso luogo si ergeva la casa di Marta Abreu che il capoccia liberale demolì per costruire la sua.
Le due case attigue a questa, furono pure di proprietà di Marta; non è come si insiste ada affermare, quella di Prado e Refugio, sullo stesso marciapiedi. Quest’altra grande residenza la edificò Frank Steinhart, un nordamericano che giunse a Cuba come sergente e che col tempo arrivò ad essere console generale del suo Paese nell’Isola oltre che un agiato uomo d’affari, padrone dell’azienda dei tram.
Sul finale del XIX secolo ci fu in questo spazio una casa che si distaccava in modo notevole dal resto del quartiere. Era una casa il cui pavimento era un paio di metri più basso di quello del Paseo del Prado per cui, dalla strada si vedevano fuoruscire dall’edificio, gli alberi da frutta e per l’ombreggiamento che aveva nel suo giardino la famiglia che l’abitava.
Questa casa si demolì e lì Steinhart costruì la sua secondo i suoi gusti. Dopo diversi anni della vittoria della Rivoluzione, la’abitava ancora sua figlia. Rimase sola con un cuoco cinese. Non si parlavano e non si vedevano nemmeno. Lei  era invalida e occupava il piano superiore e non poteva scendere. Lui, pure invalido, era limitato al pianterreno e non poteva salire. Chi li visitò allora, ricorda l’ambiente surreale della casa dove sembrava che il tempo si fosse fermato e la figlia di Steinhart pallidissima, nel suo letto antico, in una camera chiusa, dove tendaggi di velluto impedivano il passaggio della luce.

Spari e cinema sonoro

Il Paseo del Prado conserva molti ricordi. Buoni e cattivi. Tristi e allegri. Fu il 9 giugno del 1913, lo scenario di un duello irregolare dove perse la vita il generale Armando de la Riva, capo della Polizia Nazionale. Vent’anni dopo, il 12 agosto 1933 all’angolo di Virtudes, cadeva fulminato da un colpo preciso, il colonnello Antonio Jiménez, capo della così detta Porra, gruppo paramilitare col quale il dittatore Gerardo Machado perseguiva ed eliminava i suoi oppositori. Sempre in Prado e Virtudes ebbe luogo il duello irregolare fra i legislatori Quiñones e Collado. Discussero aspramente e quando la disputa sembrava verso la fine, Quiñones voltò le spalle al suo compagno di emiciclo, occasione di cui approfittò questi per sparargli a tradimento. Un poco più in la, in Prado fra Ánimas e Trocadero, di fronte agli uffici del Primo Ministro, al numero 257 della strada, l’allora sergente Lutgardo Martín Pérez – giungerà a tenente colonnello e capo della Motorizzata ai tempi della dittatura di Batista – e il parlamentare Rolando Masferrer, dal triste ricordo, ultimarono con pallottole Emilio Grillo Ávila, alias “Pistolita”, uomo dal grilletto facile. Fu in questo agguato che per confusione o errore, trovò pure la morte Francisco Madariaga Mulkay, nel momento in cui cercava di comprare un biglietto per recarsi, in aereo, all’isola di Aruba dove viveva.
Gli avaneri cominciarono a conoscere il cinema sonoro in Prado. Il fatto, di rilievo culturale, successe nel cine Fausto, in Prado e Colón. In Prado e Neptuno, in una sala per le feste nacque, con il titolo La engañadora, il primo chacahachá di cui fu autore Enrique Jorrín. All’angolo di San Miguel l’hotel Telégrafo esibì, nella sua facciata, il primo annuncio luminoso che si sia conosciuto all’Avana. Si trattava di una bandiera cubana fatta con lampadine incandescenti e in movimento, con la quale si promuoveva la birra La Tropical. L’11 di agosto del 1948, verso le tre del pomeriggio, aveva luogo nella succursale di The Royal Bank of Canada, di Prado 307, il maggior furto di contante che si è avuto a Cuba, nel sottrarre oltre mezzo milione di pesos. Nella casa contrassegnata oggi dal numero 309, morì il poeta Julián del Casal.
I migliori alberghi della città aprivano, allora, le loro porte sul Paseo del Prado, luogo dove confluiva la corrente turistica straniera, sopratutto nordamericana, con i visitatori dell’interno. Al momento della sua inaugurazione, nel 1875 all’angolo di San Rafael, l’Inglaterra si annunciava come un hotel completamente illuminato dalla luce elettrica e provvisto di ascensori, stanza da bagno in ogni camera, cantina, barbiere e interpreti in ogni lingua. Il Sevilla, fondato nel 1908, aveva il suo ingresso da Trocadero fino a che negli anni 20, costruì una torre di diversi piani che unì all’edificio originale ed estese i suoi servizi e dipendenze fino a Prado. L’hotel Miramar, all’angolo con Malecón, era il più caro della città. Piccolo, ma confortevole; lussuoso, con chéf di cucina francesi, con un ordine e pulizia estremi. Il Telégrafo disponeva di servizio telegrafico esclusivo e telefono in ogni stanza, cosa che lo rese il preferito dagli uomini d’affari e giornalisti stranieri di passaggio perl’Isola.
Questo esercizio, come l’hotel Miramar, era proprietà di Pilar Somoano de Toro. Entrambi cessarono di essere commercializzati per cause che lo scriba non conosce. Il Miramar cominciò a perdere il favore della clientela verso il 1920 e quell’esercizio preferito dal oindo elegante era, nel 1934, stabile di uffici – lì aveva il suo Sergio Carbó, il giornalista più popolare di Cuba in quel momento – fino a che fu destinato a sala per feste e scenario di combattimenti di boxe.
Era ancora in piedi negli anni ’60: era un caseggiato buio e vuoto. L’hotel Telégrafo, nel 1958, era una triste pensione.

Per mangiare bene

La cronaca riferisce che il ristorante dell’hotel Miramar fu uno dei luoghi dove si mangiava meglio all’Avana. Posti dove mangiare bene e a volte meglio, non sono mai mancati in Prado. Molti ricordano ancora il servizio del Centro Vasco, all’inizio del Paseo, prima del suo trasferimento al Vedado e i cibi de la Tasca Española, al numero 51 della via. Il Frascati, al 537, si innalza ancora nel ricordo di quelli che lo conobbero come una casa insuperabile della cucina italiana, poco diffusa nella Cuba di allora.
Nel ristorante dell’hotel Siboney, in Prado 355, l’allora giovane Gilberto Smith, preparava piatti di cucina ebraica – era presente la Comunità Ebraica Chavet Ahim, al numero 557, - fino a che già con la cucina in palmo di mano, passò a Los Tres Ases, in Prado 356. Questo esercizio godeva già di una clientela scelta: ricchi imprenditori, politici di moda, professionisti dal solido prestigio. Fra di loro c’era il giornalista Enrique de la Osa, capo della sezione En Cuba della rivista Bohemia, sempre con una coppa di Veterano di Osborne in mano, circondato da amici e a caccia di notizie. Era un cliente splendido che ricompensava largamente il buon servizio. Anche l’ex primo ministro Carlos Saladrigas, pieno di sé e taciturno e Bobby Maduro, uno dei padroni del Gran Stadium del Cerro e della Financiera Nacional, loquace e sorridente, soddisfatto della vita. Il senatore eduardo Chibás che non dette mai mance, era innamorato dell costine di maiale Baden che Smith preparava a Los Tres Ases.
Escuela de Televisión, animata da Gaspar Pumarejo, il pioniere della TV a Cuba, trasmetteva tutte le sere dal locale che fu il cine Prado, al numero 210 della via che è dove hanno sede gli studi del sonoro dell’ICAIC. Oltre al menzionato Fausto, in Prado si trovava anche il cinema Negrete, all’angolo di Trocadero, al pianterreno, il Centro dei Lavoratori del Commercio dell’Avana e i cine Lara, al 533 e Capitolio al 563. Il teatro Payret all’angolo di San José, si inaugurò il 23 gennaio del 1877 e nel suo scenario sfilarono famosi cantanti d’opera, attrici come Sarah Bernardt e ballerine come Anna Pavlova. Fu acquistato nel 1948 dagli eredi di Laureano Falla Gutiérrez. I nuovi proprietari decisero di rimodellare l’edificio. Quando si riaprì, nel 1951, si dedicò sopratutto alle pellicole spagnole.

Il piccolo caffè di garcía

Pensioni e alberghetti di seconda categoria, ma con una buona cucina come il Biarritz, in Prado 519, erano diversi nel Paseo. Ci sarebbe da menzionarne altri come Regis, al 163; Areces, nel 106;  Caribbean, al 164; Pasaje, al 515; e Saratoga al 603. I negozi di souvenir per turisti, erano ugualmente numerosi. Lo stesso come i bar come Partagas, al 359; Wonder Bar, al 351 e la Barrita de Don Juan, al 567. Erano abbondanti i piccoli caffè, come il Ninoska, poi chiamato Barón Bar al numero 115, frequentato da Fidel prima dei fatti del Moncada e da Max Lesnik leader della Gioventù Ortodossa. Nell’ingresso dell’edificio segnato dal numero 565, il piccolo caffè del basco Lorenzo García serviva da facciata a un lucroso giro di prestiti a strozzo, nel qual il pittoresco personaggio giocava sempre al sicuro. Lì lavorava il padre dello scriba che nonostante la modestia del suo impiego, ricordò fino all’ultimo con allegria, quella tappa della sua vita.
Diario de la Marina, giornale fondato nel 1932, ebbe non meno di nove domicili fino alla  sua definitiva installazione in Prado e Teniente Rey, edificio costruito al costo di un milione e mezzo di pesos. Il decano della stampa cubana, come si chiamava ancora nel 1960, fu portavoce della borghesia, specialmente degli interessi spagnoli a Cuba e in minor misura, di banchieri e possidenti.

Quasi all’altro estremo del Paseo, al numero 53, si ergeva il cosiddetto Palacio de la Radio, sede di RHC Cadena Azul e la Cadena Roja, emittenti appartenenti ad Amado Trinidad. Altre emittenti radio della strada erano Radio Mambí (107) e Radio Caribe che dall’edificio del Club dei Baristi si manteneva in onda per le 24 ore. Radio Continental, al 206 e Radio García Serra, al 260. Nel Paseo del Prado avevano sede anche la corrispondenza de la Prensa Unida (158) e le redazioni di Diario de Cuba (412) e la rivista Lux (615).



Explorando Prado (II y final)
Ciro Bianchi Ross 
digital@juventudrebelde.cu
18 de Octubre del 2015 

El Paseo del Prado o de Martí tal como lo conocemos hoy con su senda
central de terrazo, sus bancos de piedra y mármol, farolas, copas y
ménsulas, y sus laureles, quedó inaugurado el 10 de octubre de 1928.
Un poco después, el 1ro. de enero del año siguiente, se emplazaban los
ocho leones sobre sus pedestales. En contra de lo que suponen no pocas
personas, ninguno de ellos fue robado jamás.
A fines del siglo XIX, quizá un poco antes, y comienzos del XX,
aristócratas, burgueses y profesionales se fueron a vivir al Prado. De
la crónica habanera emerge, como vecino del lugar,  el doctor Manuel
Piedra, eminente clínico que diagnosticó el primer caso de cólera en
La Habana y que salvó la vida milagrosamente al contraer dicha
enfermedad. También los médicos Miguel Franca,  Benigno Souza y
Joaquín Lebredo, cuyo nombre lleva la maternidad municipal de Arroyo
Naranjo. El ingeniero José Toraya y el magistrado Antonio Barrera, a
quien siempre habrá que agradecer sus desvelos por mantener viva la
obra del narrador Alfonso Hernández Catá. El periodista José María
Gálvez, que presidió el Partido Autonomista. En Prado 9, en la casa de
su abuela materna, vivió parte de su infancia el gran poeta José
Lezama Lima. Antes, en Prado entre Ánimas y Trocadero, tuvo su
residencia don Pancho Marty, célebre negrero, dueño del Teatro Tacón y
del monopolio del pescado en la capital.
Dos residencias fastuosas se alzan en la esquina de Trocadero, sobre
la acera de la izquierda, según se avanza desde Neptuno hacia el mar.
La primera de ellas, que todavía a comienzos del siglo XX se
consideraba la más lujosa de La Habana, fue construida por una dama
francesa de apellido Scull y adquirida, luego de haberla vivido ella
con su familia, por Felipe Romero, conde de Casa Romero, casado con la
mayor de las hijas del conde de Fernandina, de quien se dice que es la
habanera más bella de todas las épocas.
Cruzando Trocadero aparece la casa que fuera del mayor general José
Miguel Gómez, sede hoy de la Alianza Francesa. Antes, en ese mismo
sitio, se alzó la casa de Marta Abreu, que el caudillo liberal demolió
para construir la suya.
Las dos casas contiguas a esa fueron también propiedad de Marta; no
así, como se insiste en afirmar, la de Prado y Refugio, sobre la misma
acera. Esta otra gran mansión la edificó  Frank Steinhart, un
norteamericano que arribó a Cuba como sargento y que con el tiempo
llegó a ser cónsul general de su país en la Isla  y un acaudalado
hombre de negocios, dueño de la empresa de los tranvías.
En las postrimerías del siglo XIX hubo en ese espacio una vivienda que
se singularizaba de manera notable del resto de los edificios de la
barriada. Era una casa cuyo piso estaba unos dos metros más bajo que
el nivel del Paseo del Prado, por lo que desde la calle se veían,
sobresaliendo de la edificación, los árboles frutales y de sombra que
la familia que la habitaba tenía en su patio.
Esa casa se demolió y allí a su gusto construyó Steinhart la suya.
Años después del triunfo de la Revolución, todavía la vivía su hija.
Quedó sola con un cocinero chino. No se hablaban, ni siquiera se
veían. Ella, inválida, ocupaba el piso superior y no podía bajar. Él,
también inválido, estaba limitado a la planta baja y no podía subir.
Quienes los visitaron entonces recuerdan el ambiente surrealista de la
casa, donde parecía que el tiempo se había detenido, y a la hija de
Steinhart, muy pálida, en su cama antigua, en una habitación cerrada,
donde cortinas de terciopelo impedían el paso de la luz.

Tiros y cine hablado

Muchos recuerdos atesora el Paseo del Prado. Buenos y malos. Tristes y alegres.
Fue, el 9 de junio de 1913, escenario del duelo irregular en que
perdió la vida el general Armando de la Riva, jefe de la Policía
Nacional. Veinte años más tarde, el 12 de agosto de 1933, en la
esquina de Virtudes, caía fulminado por  un disparo certero el coronel
Antonio Jiménez, jefe de la llamada Porra, grupo paramilitar con que
el dictador Machado perseguía y eliminaba a sus opositores.  También
en Prado y Virtudes tuvo lugar el duelo irregular entre los
legisladores Quiñones y Collado. Discutieron con aspereza, y cuando la
disputa pareció tocar a su fin, Quiñones dio la espalda a su compañero
de hemiciclo, ocasión que aprovechó este para balearlo a traición. Un
poco más allá, en Prado entre Ánimas y Trocadero, frente a las
oficinas del Primer Ministro, en el número 257 de la calle, el
entonces sargento Lutgardo Martín Pérez —llegaría a teniente coronel y
jefe de la Motorizada en tiempos de la dictadura de Batista— y el
parlamentario Rolando Masferrer, de triste recordación, ultimaron a
balazos a Emilio Grillo Ávila, alias «Pistolita», caballero de gatillo
alegre. Fue en esta refriega en la que, por confusión o error,
encontró también la muerte Francisco Madariaga Mulkay, en el momento
en que intentaba adquirir un pasaje para trasladarse en avión a la
isla de Aruba, donde vivía.
En Prado comenzaron los habaneros a conocer el cine hablado. El hecho,
de relieve cultural, ocurrió en el cine Fausto, en Prado y Colón. En
Prado y Neptuno, en una sala de fiesta surgió, con el título de La
engañadora y autoría de Enrique Jorrín, el primer chachachá. En la
esquina de San Miguel, el hotel Telégrafo exhibió en su fachada el
primer anuncio lumínico que se conoció en La Habana. Se trataba de una
bandera cubana  hecha con bombillos incandescentes y en movimiento,
con la que se promocionaba la cerveza La Tropical. El 11 de agosto de
1948, sobre las tres de la tarde, tenía lugar en la sucursal de The
Royal Bank of Canadá, de Prado 307, el robo mayor de dinero en
efectivo que haya ocurrido en Cuba, al sustraerse más de medio millón
de pesos. En la casa marcada hoy con el número 309 murió el poeta
Julián del Casal.
Los mejores hoteles de la ciudad abrían entonces sus puertas sobre el
Paseo del Prado, sitio donde confluían la corriente turística
extranjera, sobre todo norteamericana,  y los visitantes del interior.
En el momento de su inauguración, en 1875, en la esquina de San
Rafael, el Inglaterra se anunciaba como un hotel enteramente iluminado
con luz eléctrica y provisto de elevadores, cuarto de baño en cada
habitación, cantina, barbería e intérpretes en todos los idiomas. El
Sevilla, fundado en 1908, tenía su entrada por Trocadero, hasta que en
los años 20 construyó una torre de varios pisos que anexó al edificio
original y extendió sus servicios y dependencias hasta Prado. El hotel
Miramar, en la esquina con Malecón, era el más caro de la ciudad.
Pequeño,  pero muy confortable; lujoso, con chefs de cocina franceses
y un orden y limpieza extremados. El Telégrafo disponía de servicio
telegráfico exclusivo y teléfono en cada habitación, lo que lo hizo el
preferido de hombres de negocio y periodistas extranjeros de paso por
la Isla.
Este establecimiento, al igual que el hotel Miramar, era propiedad de
Pilar Somoano de Toro. Ambos se descomercializaron por causas que
desconoce el escribidor. El Miramar empezó a perder el favor de la
clientela hacia 1920 y aquella instalación preferida por el mundo
elegante era en 1934 edificio de oficinas —allí tenía la suya  Sergio
Carbó, el periodista  más popular de Cuba en ese momento—, hasta que
se destinó a  sala de fiestas y a escenario de peleas de boxeo.
Todavía en los años 60 estaba en pie: era un caserón oscuro y vacío.
El hotel Telégrafo, en 1958, era una triste casa de huéspedes.

Para comer bien

Refiere la crónica que el restaurante del hotel Miramar fue uno de los
lugares donde mejor se comió en La Habana. Sitios donde comer bien, y
a veces mejor,  en Prado nunca faltaron. Muchos recuerdan aún el
servicio del Centro Vasco, a comienzos del Paseo, antes de su traslado
al Vedado, y las comidas de la Tasca Española, en el número 51 de la
calle. El Frascati, en el 357,  se alza todavía en el recuerdo de los
que lo conocieron como una casa insuperable de la cocina italiana,
poco extendida en la Cuba de entonces.
En el restaurante del hotel Siboney, en Prado  355, preparaba el
entonces muy joven Gilberto Smith platos de cocina judía —funcionaba
la Unión Hebrea Chavet Ahim, en el número 557—, hasta que, ya con la
cocina en la palma de su mano,  pasó a Los Tres Ases, en Prado 356.
Gozaba esa instalación de una clientela selecta: ricos empresarios,
políticos de moda, profesionales de sólido prestigio. Entre ellos
estaba el  periodista Enrique de la Osa, jefe de la sección En Cuba,
de la revista Bohemia, siempre con una copa de Veterano de Osborne en
la mano, rodeado de amigos y a la caza de la noticia. Era un cliente
espléndido, que recompensaba con largueza el buen servicio. También el
ex primer ministro Carlos Saladrigas, ensimismado y taciturno, y Bobby
Maduro, uno de los dueños del Gran Stadium del Cerro y de la
Financiera Nacional, locuaz y sonriente, satisfecho de la vida. El
senador Eduardo Chibás, que nunca dio propinas, se desvivía por las
costillas de cerdo Baden, que Smith preparaba para él en Los Tres
Ases.
Escuela de Televisión, animada por Gaspar Pumarejo, el pionero de la
TV en Cuba, transmitía todas las noches desde el local que fuera del
cine Prado, en el número 210 de la calle y que es donde radican los
estudios de sonido del Icaic.  Además del  ya mencionado Fausto, se
encontraba en Prado el cine Negrete, en la esquina de Trocadero, en
los bajos del Centro de Dependientes del Comercio de La Habana, y los
cines Lara, en el 353,  y Capitolio, en el 563. El teatro Payret, en
la esquina de San José,  se inauguró el 23 de enero de 1877 y por su
escenario desfilaron famosos cantantes de ópera, actrices como Sarah
Bernhardt y bailarinas como Anna Pavlova. Fue adquirido en 1948 por
los sucesores de Laureano Falla Gutiérrez. Los nuevos propietarios
decidieron remodelar el edificio. Cuando se reinauguró en 1951 se
dedicó sobre todo a la exhibición de películas españolas.

El cafecito de García

Casas de huéspedes y  hotelitos de segunda, pero con una buena cocina
como el Biarritz, en Prado 519, eran varios en el Paseo. Habría que
mencionar asimismo otros como  Regis, en el 163; Areces, en el 106;
Caribbean, en el 164; Pasaje, en el 515, y Saratoga, en el 603.  Las
tiendas de suvenir para turistas eran igualmente numerosas. Lo mismo
que los bares, como  Partagás, en el 359;  Wonder Bar, en el 351, y la
Barrita de Don Juan, en el 567.  Abundaban los pequeños cafés, como el
Ninoska, llamado después Barón Bar, en el número 115, frecuentado por
Fidel antes de los sucesos del Moncada, y por Max Lesnik, líder de la
Juventud Ortodoxa.  En el zaguán del edificio marcado con el número
565, el cafecito  del vizcaíno Lorenzo García servía de tapadera a un
lucrativo negocio de préstamos al garrote, en el que el pintoresco
sujeto jugaba siempre al seguro. Allí trabajaba el padre del
escribidor que, pese a lo modesto de su empleo, recordó hasta el final
con alegría aquella etapa de su vida.
Diario de la Marina, periódico fundado en 1832, tuvo no  menos de
nueve domicilios hasta su emplazamiento definitivo en Prado y Teniente
Rey, edificio construido a un costo de millón y medio de pesos. El
decano de la prensa cubana, como se le llamaba todavía en 1960, fue
vocero de la burguesía y, en especial, de los intereses españoles en
Cuba y en menor medida de banqueros y hacendados.
Casi en el otro extremo del Paseo, en el número 53,  se alzaba el
llamado Palacio de la Radio, sede de RHC Cadena Azul y la Cadena Roja,
emisoras pertenecientes a Amado Trinidad. Otras radioemisoras  de la
calle eran  Radio Mambí (107)  y Radio Caribe, que desde el edificio
del Club de Cantineros se mantenía 24 horas al aire. Radio
Continental, en el 206, y Radio García Serra, en el 260. En el Paseo
del Prado radicaban asimismo la corresponsalía de la Prensa Unida
(158) y las redacciones de Diario de Cuba (412) y la revista Lux
(615).

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogi

Ulivale

ULIVALE: certo merita quello che costa

domenica 18 ottobre 2015

Udito

UDITO: appendice della mano (Italia meridionale)

sabato 17 ottobre 2015

Tuciolo

TRUCIOLO: piccola persona repellente

venerdì 16 ottobre 2015

La presentazione di Buena Vista Social Club alla Casa Bianca nel suo ultimo tour

Fonte: El Nuevo Herald

CUBA

OCTUBRE 15, 2015
‘Chan Chan’ retumba en la Casa Blanca

Buena Vista Social Club es el primer grupo cubano en actuar en la Casa Blanca en más de 50 años.
Amenizaron una recepción con motivo del Mes de la Herencia Hispana, ante unos 400 asistentes


la agrupación interpretó “Chan Chan”, “Veinte años”, “El cuarto de Tula” y “Quizás, quizás, quizás”.




Miembros de Buena Vista Social Club durante su presentación en la Casa Blanca, con motivo del 25 aniversario del Mes de la Herencia Hispana. Susan Walsh AP



EFE
·          
·      WASHINGTON 
La emblemática banda Buena Vista Social Club se convirtió en el primer grupo cubano en actuar en la Casa Blanca en más de 50 años, al tocar en una recepción organizada por el presidente Barack Obama.
Casi tres meses después de que se restablecieran las relaciones diplomáticas entre los dos enemigos de la Guerra Fría, la banda cubana fue la encargada de amenizar la recepción de la Casa Blanca con motivo del Mes de la Herencia Hispana.
Ante unos 400 asistentes en la Sala Este de la Casa Blanca, entre ellos el embajador cubano en Washington, José Cabañas, la icónica banda hizo sonar cuatro de sus éxitos más famosos: “Chan Chan”, “Veinte años”, “El cuarto de Tula” y “Quizás, quizás, quizás”.
La conocida como “la novia del feeling”, Omara Portuondo, que lidera la actual formación del grupo, se dirigió en algunas ocasiones a los asistentes en inglés para agradecer los aplausos.
“Voy a tocar para ustedes una canción cubana de Buena Vista Social Club”, dijo Portuondo, de 84 años, antes de cantar “Veinte años”, en la que introdujo unos versos del clásico de jazz estadounidense “Summertime”, de George Gershwin.
Cuando la banda tocó “Quizás, quizás, quizás”, Portuondo instó a los asistentes a cantar la letra en inglés: “Perhaps, perhaps, perhaps”.
Le acompañaban sus compañeros Eliades Ochoa a la voz y guitarra; Barbarito Torres con el laúd, Manuel “Guajiro” Mirabal con la trompeta, y Jesús “Aguaje” Ramos con el trombón.
La banda se encuentra en medio de su aclamada gira mundial “Adiós Tour”, la última con el nombre de una formación cuyos miembros originales dieron origen a todo un fenómeno musical.
El primer disco de Buena Vista Social Club (“World Circuit”), grabado en 1996 en La Habana con algunos de los grandes nombres de la época dorada de la música cubana de los años 50 que habían quedado en el olvido, se convirtió en un éxito internacional y el disco más exitoso de la historia de la música de Cuba.
Aunque ellos son la primera banda cubana en tocar en la Casa Blanca, otros artistas originarios de la isla caribeña, como Gloria Estefan y el trompetista Arturo Sandoval, han actuado también en la mansión presidencial, ambos durante el mandato de Obama.