Pubblicato su Juventud Rebelde del 18/10/15
Il Paseo del Prado a di Martí
come lo conosciamo oggi con la sua corsia centrale a terrazza, le sue panchine
di pietra e marmo, fanali, coppe, mensole e i suoi allori, venne inaugurato il
10 ottobre del 1928. Poco dopo, il 1°gennaio dell’anno seguente, si
installavano gli otto leoni sui loro piedestalli. Al contrario di quello che
pensavano non poche persone, nessuno di essi venne mai rubato.
Alla fine del XIX secolo,
forse un poco prima, o all’inizio del XX, aristocratici, borghesi e
professionisti furono ad abitare al Prado. Dalla cronaca avanera emerge, come
abitante della zona, il dottor Manuel Piedra, eminente clinico che diagnosticò
il primo caso di colera all’Avana che si salvò miracolosamente la vita al
contrarre questa malattia. Anche i medici Miguel Franca, Benigno Souza e
Joaquín Lebredo, di cui porta il nome la maternità municipale di Arroyo
Naranjo. L’ingegner José Toraya e il magistrato Antonio Barrera che bisognerà
sempre ringraziare per le sue notti insonni, date per mantenere viva l’opera del
narratore Alfonso Hernández Catá. Il giornalista José María Gálvez che
presiedette il Partito Autonomista. In Prado 9, in casa della sua nonna materna
visse, parte della sua infanzia, il gran poeta José Lezama Lima. Prima, in
Prado entre Ánimas y Trocadero, ebbe la
sua residenza don Pancho Marty, famoso negriero, padrone del Teatro Tacón e del
monopolio del pesce nella capitale.
All’angolo di Trocadero si
ergono sul marciapiede di sinistra, andando da Neptuno verso il mare. La prima
di esse che ancora all’inizio del XX secolo si considerava la più lussuosa
dell’Avana, fu costruita per una signora francese di cognome Scull e poi comprata,
dopo averci vissuto, da Felipe Romero, conte di Casa Romero, sposato con la
figlia maggiore del conte di Fernandina, della quale si dice che sia l’avanera
più bella di tutti i tempi.
Attraversando Trocadero,
appare la casa che fu del maggior generale José Miguel Gómez, oggi sede
dell’Alianza Francesa. Prima, in questo stesso luogo si ergeva la casa di Marta
Abreu che il capoccia liberale demolì per costruire la sua.
Le due case attigue a
questa, furono pure di proprietà di Marta; non è come si insiste ada affermare,
quella di Prado e Refugio, sullo stesso marciapiedi. Quest’altra grande
residenza la edificò Frank Steinhart, un nordamericano che giunse a Cuba come
sergente e che col tempo arrivò ad essere console generale del suo Paese
nell’Isola oltre che un agiato uomo d’affari, padrone dell’azienda dei tram.
Sul finale del XIX secolo ci
fu in questo spazio una casa che si distaccava in modo notevole dal resto del
quartiere. Era una casa il cui pavimento era un paio di metri più basso di
quello del Paseo del Prado per cui, dalla strada si vedevano fuoruscire
dall’edificio, gli alberi da frutta e per l’ombreggiamento che aveva nel suo
giardino la famiglia che l’abitava.
Questa casa si demolì e lì
Steinhart costruì la sua secondo i suoi gusti. Dopo diversi anni della vittoria
della Rivoluzione, la’abitava ancora sua figlia. Rimase sola con un cuoco
cinese. Non si parlavano e non si vedevano nemmeno. Lei era invalida e occupava il piano superiore e
non poteva scendere. Lui, pure invalido, era limitato al pianterreno e non
poteva salire. Chi li visitò allora, ricorda l’ambiente surreale della casa
dove sembrava che il tempo si fosse fermato e la figlia di Steinhart
pallidissima, nel suo letto antico, in una camera chiusa, dove tendaggi di
velluto impedivano il passaggio della luce.
Spari
e cinema sonoro
Il Paseo del Prado conserva
molti ricordi. Buoni e cattivi. Tristi e allegri. Fu il 9 giugno del 1913, lo
scenario di un duello irregolare dove perse la vita il generale Armando de la
Riva, capo della Polizia Nazionale. Vent’anni dopo, il 12 agosto 1933
all’angolo di Virtudes, cadeva fulminato da un colpo preciso, il colonnello
Antonio Jiménez, capo della così detta Porra, gruppo paramilitare col quale il
dittatore Gerardo Machado perseguiva ed eliminava i suoi oppositori. Sempre in
Prado e Virtudes ebbe luogo il duello irregolare fra i legislatori Quiñones e
Collado. Discussero aspramente e quando la disputa sembrava verso la fine,
Quiñones voltò le spalle al suo compagno di emiciclo, occasione di cui
approfittò questi per sparargli a tradimento. Un poco più in la, in Prado fra
Ánimas e Trocadero, di fronte agli uffici del Primo Ministro, al numero 257
della strada, l’allora sergente Lutgardo Martín Pérez – giungerà a tenente
colonnello e capo della Motorizzata ai tempi della dittatura di Batista – e il
parlamentare Rolando Masferrer, dal triste ricordo, ultimarono con pallottole
Emilio Grillo Ávila, alias “Pistolita”, uomo dal grilletto facile. Fu in questo
agguato che per confusione o errore, trovò pure la morte Francisco Madariaga
Mulkay, nel momento in cui cercava di comprare un biglietto per recarsi, in
aereo, all’isola di Aruba dove viveva.
Gli avaneri cominciarono a
conoscere il cinema sonoro in Prado. Il fatto, di rilievo culturale, successe
nel cine Fausto, in Prado e Colón. In Prado e Neptuno, in una sala per le feste
nacque, con il titolo La engañadora,
il primo chacahachá di cui fu autore Enrique Jorrín. All’angolo di San Miguel
l’hotel Telégrafo esibì, nella sua facciata, il primo annuncio luminoso che si
sia conosciuto all’Avana. Si trattava di una bandiera cubana fatta con
lampadine incandescenti e in movimento, con la quale si promuoveva la birra La
Tropical. L’11 di agosto del 1948, verso le tre del pomeriggio, aveva luogo
nella succursale di The Royal Bank of Canada, di Prado 307, il maggior furto di
contante che si è avuto a Cuba, nel sottrarre oltre mezzo milione di pesos.
Nella casa contrassegnata oggi dal numero 309, morì il poeta Julián del Casal.
I migliori alberghi della
città aprivano, allora, le loro porte sul Paseo del Prado, luogo dove confluiva
la corrente turistica straniera, sopratutto nordamericana, con i visitatori
dell’interno. Al momento della sua inaugurazione, nel 1875 all’angolo di San
Rafael, l’Inglaterra si annunciava come un hotel completamente illuminato dalla
luce elettrica e provvisto di ascensori, stanza da bagno in ogni camera,
cantina, barbiere e interpreti in ogni lingua. Il Sevilla, fondato nel 1908,
aveva il suo ingresso da Trocadero fino a che negli anni 20, costruì una torre
di diversi piani che unì all’edificio originale ed estese i suoi servizi e
dipendenze fino a Prado. L’hotel Miramar, all’angolo con Malecón, era il più
caro della città. Piccolo, ma confortevole; lussuoso, con chéf di cucina
francesi, con un ordine e pulizia estremi. Il Telégrafo disponeva di servizio
telegrafico esclusivo e telefono in ogni stanza, cosa che lo rese il preferito
dagli uomini d’affari e giornalisti stranieri di passaggio perl’Isola.
Questo esercizio, come
l’hotel Miramar, era proprietà di Pilar Somoano de Toro. Entrambi cessarono di
essere commercializzati per cause che lo scriba non conosce. Il Miramar cominciò
a perdere il favore della clientela verso il 1920 e quell’esercizio preferito
dal oindo elegante era, nel 1934, stabile di uffici – lì aveva il suo Sergio
Carbó, il giornalista più popolare di Cuba in quel momento – fino a che fu destinato a sala per feste e scenario di combattimenti di boxe.
Era ancora in piedi negli
anni ’60: era un caseggiato buio e vuoto. L’hotel Telégrafo, nel 1958, era una
triste pensione.
Per
mangiare bene
La cronaca riferisce che il
ristorante dell’hotel Miramar fu uno dei luoghi dove si mangiava meglio
all’Avana. Posti dove mangiare bene e a volte meglio, non sono mai mancati in
Prado. Molti ricordano ancora il servizio del Centro Vasco, all’inizio del
Paseo, prima del suo trasferimento al Vedado e i cibi de la Tasca Española, al numero
51 della via. Il Frascati, al 537, si innalza ancora nel ricordo di quelli che
lo conobbero come una casa insuperabile della cucina italiana, poco diffusa
nella Cuba di allora.
Nel ristorante dell’hotel
Siboney, in Prado 355, l’allora giovane Gilberto Smith, preparava piatti di
cucina ebraica – era presente la Comunità Ebraica Chavet Ahim, al numero 557, -
fino a che già con la cucina in palmo di mano, passò a Los Tres Ases, in Prado
356. Questo esercizio godeva già di una clientela scelta: ricchi imprenditori,
politici di moda, professionisti dal solido prestigio. Fra di loro c’era il
giornalista Enrique de la Osa, capo della sezione En Cuba della rivista Bohemia, sempre con una coppa di Veterano di
Osborne in mano, circondato da amici e a caccia di notizie. Era un cliente
splendido che ricompensava largamente il buon servizio. Anche l’ex primo
ministro Carlos Saladrigas, pieno di sé e taciturno e Bobby Maduro, uno dei
padroni del Gran Stadium del Cerro e della Financiera Nacional, loquace e
sorridente, soddisfatto della vita. Il senatore eduardo Chibás che non dette
mai mance, era innamorato dell costine di maiale Baden che Smith preparava a
Los Tres Ases.
Escuela de Televisión,
animata da Gaspar Pumarejo, il pioniere della TV a Cuba, trasmetteva tutte le
sere dal locale che fu il cine Prado, al numero 210 della via che è dove hanno
sede gli studi del sonoro dell’ICAIC. Oltre al menzionato Fausto, in Prado si
trovava anche il cinema Negrete, all’angolo di Trocadero, al pianterreno, il
Centro dei Lavoratori del Commercio dell’Avana e i cine Lara, al 533 e
Capitolio al 563. Il teatro Payret all’angolo di San José, si inaugurò il 23
gennaio del 1877 e nel suo scenario sfilarono famosi cantanti d’opera, attrici
come Sarah Bernardt e ballerine come Anna Pavlova. Fu acquistato nel 1948 dagli
eredi di Laureano Falla Gutiérrez. I nuovi proprietari decisero di rimodellare
l’edificio. Quando si riaprì, nel 1951, si dedicò sopratutto alle pellicole
spagnole.
Il
piccolo caffè di garcía
Pensioni e alberghetti di
seconda categoria, ma con una buona cucina come il Biarritz, in Prado 519,
erano diversi nel Paseo. Ci sarebbe da menzionarne altri come Regis, al 163;
Areces, nel 106; Caribbean, al 164;
Pasaje, al 515; e Saratoga al 603. I negozi di souvenir per turisti, erano
ugualmente numerosi. Lo stesso come i bar come Partagas, al 359; Wonder Bar, al
351 e la Barrita de Don Juan, al 567. Erano abbondanti i piccoli caffè, come il
Ninoska, poi chiamato Barón Bar al numero 115, frequentato da Fidel prima dei
fatti del Moncada e da Max Lesnik leader della Gioventù Ortodossa.
Nell’ingresso dell’edificio segnato dal numero 565, il piccolo caffè del basco
Lorenzo García serviva da facciata a un lucroso giro di prestiti a strozzo, nel
qual il pittoresco personaggio giocava sempre al sicuro. Lì lavorava il padre
dello scriba che nonostante la modestia del suo impiego, ricordò fino
all’ultimo con allegria, quella tappa della sua vita.
Diario de la Marina,
giornale fondato nel 1932, ebbe non meno di nove domicili fino alla sua definitiva installazione in Prado e
Teniente Rey, edificio costruito al costo di un milione e mezzo di pesos. Il
decano della stampa cubana, come si chiamava ancora nel 1960, fu portavoce
della borghesia, specialmente degli interessi spagnoli a Cuba e in minor
misura, di banchieri e possidenti.
Quasi all’altro estremo del
Paseo, al numero 53, si ergeva il cosiddetto Palacio de la Radio, sede di RHC
Cadena Azul e la Cadena Roja, emittenti appartenenti ad Amado Trinidad. Altre
emittenti radio della strada erano Radio Mambí (107) e Radio Caribe che
dall’edificio del Club dei Baristi si manteneva in onda per le 24 ore. Radio
Continental, al 206 e Radio García Serra, al 260. Nel Paseo del Prado avevano
sede anche la corrispondenza de la Prensa Unida (158) e le redazioni di Diario
de Cuba (412) e la rivista Lux (615).
Explorando Prado (II y final)
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
18 de Octubre del 2015
El Paseo del Prado o de Martí tal como lo
conocemos hoy con su senda
central de terrazo, sus bancos de piedra y
mármol, farolas, copas y
ménsulas, y sus laureles, quedó inaugurado el 10
de octubre de 1928.
Un poco después, el 1ro. de enero del año
siguiente, se emplazaban los
ocho leones sobre sus pedestales. En contra de
lo que suponen no pocas
personas, ninguno de ellos fue robado jamás.
A fines del siglo XIX, quizá un poco antes, y
comienzos del XX,
aristócratas, burgueses y profesionales se
fueron a vivir al Prado. De
la crónica habanera emerge, como vecino del
lugar, el doctor Manuel
Piedra, eminente clínico que diagnosticó el
primer caso de cólera en
La Habana y que salvó la vida milagrosamente al
contraer dicha
enfermedad. También los médicos Miguel
Franca, Benigno Souza y
Joaquín Lebredo, cuyo nombre lleva la maternidad
municipal de Arroyo
Naranjo. El ingeniero José Toraya y el
magistrado Antonio Barrera, a
quien siempre habrá que agradecer sus desvelos
por mantener viva la
obra del narrador Alfonso Hernández Catá. El periodista
José María
Gálvez, que presidió el Partido Autonomista. En
Prado 9, en la casa de
su abuela materna, vivió parte de su infancia el
gran poeta José
Lezama Lima. Antes, en Prado entre Ánimas y
Trocadero, tuvo su
residencia don Pancho Marty, célebre negrero,
dueño del Teatro Tacón y
del monopolio del pescado en la capital.
Dos residencias fastuosas se alzan en la esquina
de Trocadero, sobre
la acera de la izquierda, según se avanza desde
Neptuno hacia el mar.
La primera de ellas, que todavía a comienzos del
siglo XX se
consideraba la más lujosa de La Habana, fue
construida por una dama
francesa de apellido Scull y adquirida, luego de
haberla vivido ella
con su familia, por Felipe Romero, conde de Casa
Romero, casado con la
mayor de las hijas del conde de Fernandina, de
quien se dice que es la
habanera más bella de todas las épocas.
Cruzando Trocadero aparece la casa que fuera del
mayor general José
Miguel Gómez, sede hoy de la Alianza Francesa.
Antes, en ese mismo
sitio, se alzó la casa de Marta Abreu, que el
caudillo liberal demolió
para construir la suya.
Las dos casas contiguas a esa fueron también
propiedad de Marta; no
así, como se insiste en afirmar, la de Prado y
Refugio, sobre la misma
acera. Esta otra gran mansión la edificó
Frank Steinhart, un
norteamericano que arribó a Cuba como sargento y
que con el tiempo
llegó a ser cónsul general de su país en la
Isla y un acaudalado
hombre de negocios, dueño de la empresa de los
tranvías.
En las postrimerías del siglo XIX hubo en ese
espacio una vivienda que
se singularizaba de manera notable del resto de
los edificios de la
barriada. Era una casa cuyo piso estaba unos dos
metros más bajo que
el nivel del Paseo del Prado, por lo que desde
la calle se veían,
sobresaliendo de la edificación, los árboles frutales
y de sombra que
la familia que la habitaba tenía en su patio.
Esa casa se demolió y allí a su gusto construyó
Steinhart la suya.
Años después del triunfo de la Revolución,
todavía la vivía su hija.
Quedó sola con un cocinero chino. No se
hablaban, ni siquiera se
veían. Ella, inválida, ocupaba el piso superior
y no podía bajar. Él,
también inválido, estaba limitado a la planta
baja y no podía subir.
Quienes los visitaron entonces recuerdan el
ambiente surrealista de la
casa, donde parecía que el tiempo se había
detenido, y a la hija de
Steinhart, muy pálida, en su cama antigua, en
una habitación cerrada,
donde cortinas de terciopelo impedían el paso de
la luz.
Tiros y cine hablado
Muchos recuerdos atesora el Paseo del Prado.
Buenos y malos. Tristes y alegres.
Fue, el 9 de junio de 1913, escenario del duelo
irregular en que
perdió la vida el general Armando de la Riva,
jefe de la Policía
Nacional. Veinte años más tarde, el 12 de agosto
de 1933, en la
esquina de Virtudes, caía fulminado por un
disparo certero el coronel
Antonio Jiménez, jefe de la llamada Porra, grupo
paramilitar con que
el dictador Machado perseguía y eliminaba a sus
opositores. También
en Prado y Virtudes tuvo lugar el duelo
irregular entre los
legisladores Quiñones y Collado. Discutieron con
aspereza, y cuando la
disputa pareció tocar a su fin, Quiñones dio la
espalda a su compañero
de hemiciclo, ocasión que aprovechó este para
balearlo a traición. Un
poco más allá, en Prado entre Ánimas y
Trocadero, frente a las
oficinas del Primer Ministro, en el número 257
de la calle, el
entonces sargento Lutgardo Martín Pérez
—llegaría a teniente coronel y
jefe de la Motorizada en tiempos de la dictadura
de Batista— y el
parlamentario Rolando Masferrer, de triste
recordación, ultimaron a
balazos a Emilio Grillo Ávila, alias
«Pistolita», caballero de gatillo
alegre. Fue en esta refriega en la que, por
confusión o error,
encontró también la muerte Francisco Madariaga
Mulkay, en el momento
en que intentaba adquirir un pasaje para
trasladarse en avión a la
isla de Aruba, donde vivía.
En Prado comenzaron los habaneros a conocer el
cine hablado. El hecho,
de relieve cultural, ocurrió en el cine Fausto,
en Prado y Colón. En
Prado y Neptuno, en una sala de fiesta surgió,
con el título de La
engañadora y autoría de Enrique Jorrín, el
primer chachachá. En la
esquina de San Miguel, el hotel Telégrafo
exhibió en su fachada el
primer anuncio lumínico que se conoció en La
Habana. Se trataba de una
bandera cubana hecha con bombillos
incandescentes y en movimiento,
con la que se promocionaba la cerveza La
Tropical. El 11 de agosto de
1948, sobre las tres de la tarde, tenía lugar en
la sucursal de The
Royal Bank of Canadá, de Prado 307, el robo
mayor de dinero en
efectivo que haya ocurrido en Cuba, al
sustraerse más de medio millón
de pesos. En la casa marcada hoy con el número
309 murió el poeta
Julián del Casal.
Los mejores hoteles de la ciudad abrían entonces
sus puertas sobre el
Paseo del Prado, sitio donde confluían la
corriente turística
extranjera, sobre todo norteamericana, y
los visitantes del interior.
En el momento de su inauguración, en 1875, en la
esquina de San
Rafael, el Inglaterra se anunciaba como un hotel
enteramente iluminado
con luz eléctrica y provisto de elevadores,
cuarto de baño en cada
habitación, cantina, barbería e intérpretes en
todos los idiomas. El
Sevilla, fundado en 1908, tenía su entrada por
Trocadero, hasta que en
los años 20 construyó una torre de varios pisos
que anexó al edificio
original y extendió sus servicios y dependencias
hasta Prado. El hotel
Miramar, en la esquina con Malecón, era el más
caro de la ciudad.
Pequeño, pero muy confortable; lujoso, con
chefs de cocina franceses
y un orden y limpieza extremados. El Telégrafo
disponía de servicio
telegráfico exclusivo y teléfono en cada
habitación, lo que lo hizo el
preferido de hombres de negocio y periodistas
extranjeros de paso por
la Isla.
Este establecimiento, al igual que el hotel
Miramar, era propiedad de
Pilar Somoano de Toro. Ambos se
descomercializaron por causas que
desconoce el escribidor. El Miramar empezó a
perder el favor de la
clientela hacia 1920 y aquella instalación
preferida por el mundo
elegante era en 1934 edificio de oficinas —allí
tenía la suya Sergio
Carbó, el periodista más popular de Cuba
en ese momento—, hasta que
se destinó a sala de fiestas y a escenario
de peleas de boxeo.
Todavía en los años 60 estaba en pie: era un
caserón oscuro y vacío.
El hotel Telégrafo, en 1958, era una triste casa
de huéspedes.
Para
comer bien
Refiere la crónica que el restaurante del hotel
Miramar fue uno de los
lugares donde mejor se comió en La Habana.
Sitios donde comer bien, y
a veces mejor, en Prado nunca faltaron.
Muchos recuerdan aún el
servicio del Centro Vasco, a comienzos del
Paseo, antes de su traslado
al Vedado, y las comidas de la Tasca Española,
en el número 51 de la
calle. El Frascati, en el 357, se alza
todavía en el recuerdo de los
que lo conocieron como una casa insuperable de
la cocina italiana,
poco extendida en la Cuba de entonces.
En el restaurante del hotel Siboney, en
Prado 355, preparaba el
entonces muy joven Gilberto Smith platos de
cocina judía —funcionaba
la Unión Hebrea Chavet Ahim, en el número 557—,
hasta que, ya con la
cocina en la palma de su mano, pasó a Los
Tres Ases, en Prado 356.
Gozaba esa instalación de una clientela selecta:
ricos empresarios,
políticos de moda, profesionales de sólido
prestigio. Entre ellos
estaba el periodista Enrique de la Osa,
jefe de la sección En Cuba,
de la revista Bohemia, siempre con una copa de
Veterano de Osborne en
la mano, rodeado de amigos y a la caza de la
noticia. Era un cliente
espléndido, que recompensaba con largueza el
buen servicio. También el
ex primer ministro Carlos Saladrigas,
ensimismado y taciturno, y Bobby
Maduro, uno de los dueños del Gran Stadium del
Cerro y de la
Financiera Nacional, locuaz y sonriente,
satisfecho de la vida. El
senador Eduardo Chibás, que nunca dio propinas,
se desvivía por las
costillas de cerdo Baden, que Smith preparaba
para él en Los Tres
Ases.
Escuela de Televisión, animada por Gaspar
Pumarejo, el pionero de la
TV en Cuba, transmitía todas las noches desde el
local que fuera del
cine Prado, en el número 210 de la calle y que
es donde radican los
estudios de sonido del Icaic. Además
del ya mencionado Fausto, se
encontraba en Prado el cine Negrete, en la
esquina de Trocadero, en
los bajos del Centro de Dependientes del
Comercio de La Habana, y los
cines Lara, en el 353, y Capitolio, en el
563. El teatro Payret, en
la esquina de San José, se inauguró el 23
de enero de 1877 y por su
escenario desfilaron famosos cantantes de ópera,
actrices como Sarah
Bernhardt y bailarinas como Anna Pavlova. Fue
adquirido en 1948 por
los sucesores de Laureano Falla Gutiérrez. Los
nuevos propietarios
decidieron remodelar el edificio. Cuando se
reinauguró en 1951 se
dedicó sobre todo a la exhibición de películas
españolas.
El
cafecito de García
Casas de huéspedes y hotelitos de segunda,
pero con una buena cocina
como el Biarritz, en Prado 519, eran varios en
el Paseo. Habría que
mencionar asimismo otros como Regis, en el
163; Areces, en el 106;
Caribbean, en el 164; Pasaje, en el 515, y
Saratoga, en el 603. Las
tiendas de suvenir para turistas eran igualmente
numerosas. Lo mismo
que los bares, como Partagás, en el
359; Wonder Bar, en el 351, y la
Barrita de Don Juan, en el 567. Abundaban
los pequeños cafés, como el
Ninoska, llamado después Barón Bar, en el número
115, frecuentado por
Fidel antes de los sucesos del Moncada, y por
Max Lesnik, líder de la
Juventud Ortodoxa. En el zaguán del
edificio marcado con el número
565, el cafecito del vizcaíno Lorenzo
García servía de tapadera a un
lucrativo negocio de préstamos al garrote, en el
que el pintoresco
sujeto jugaba siempre al seguro. Allí trabajaba
el padre del
escribidor que, pese a lo modesto de su empleo,
recordó hasta el final
con alegría aquella etapa de su vida.
Diario de la Marina, periódico fundado en 1832,
tuvo no menos de
nueve domicilios hasta su emplazamiento
definitivo en Prado y Teniente
Rey, edificio construido a un costo de millón y
medio de pesos. El
decano de la prensa cubana, como se le llamaba
todavía en 1960, fue
vocero de la burguesía y, en especial, de los
intereses españoles en
Cuba y en menor medida de banqueros y
hacendados.
Casi en el otro extremo del Paseo, en el número
53, se alzaba el
llamado Palacio de la Radio, sede de RHC Cadena
Azul y la Cadena Roja,
emisoras pertenecientes a Amado Trinidad. Otras
radioemisoras de la
calle eran Radio Mambí (107) y Radio
Caribe, que desde el edificio
del Club de Cantineros se mantenía 24 horas al
aire. Radio
Continental, en el 206, y Radio García Serra, en
el 260. En el Paseo
del Prado radicaban asimismo la corresponsalía
de la Prensa Unida
(158) y las redacciones de Diario de Cuba (412)
y la revista Lux
(615).
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogi