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lunedì 18 agosto 2014
domenica 17 agosto 2014
sabato 16 agosto 2014
venerdì 15 agosto 2014
Il grido di Dolores, di Ciro Bianchi Ross
Il cubano
Félix B. Caignet, l'arcifamoso autore di El derecho de nacer, ebbe
sempre una grande e fervida stima per l'attrice Dolores del Río.
Ancora,
alla fine della sua vita, evocava l'ultimo incontro con quella che fu una delle
grandi figure dell'epoca d'oro del cine messicano.
Caignet
stava rimanendo cieco e per mezzo del governo cubano, che assumeva le spese, si
sottomise a trattamento medico-chirurgico nella clinica dei Fratelli Mayo,
negli Stati Uniti. Al suo ritorno all'Avana, lo scrittore, padre della
radionovella, passò dal Messico.
Caignet
ricordava che, già fuori dall'aeroporto, da una “limousine lunghissima” uscì un
autista uniformato che aprì lo sportello a a una bella donna. Era Dolores del
Río. L'autista gli sequestrò le valigie, le mise nell'automobile e l'attrice in
piedi davanti a lui: “Per nessuna ragione, signor Caignet, Lei non va in un
albergo; si ospita in casa mia...mi faccia questo onore”.
La casa
risultò essere una palazzina con servitù in uniforme e con le iniziali D. R.
ricamate sul taschino della giacca. Il cubano vi rimase diversi giorni. “Chi
avrebbe detto di no a Doña Dolores in Messico?”
Caignet
raccontava: “Tutti i pomeriggi, al calar del sole, lei usciva a passeggio nel
giardino. Con vestaglie messicane lunghe, di filo e di lino. Passeggiava sola,
sempre con un libro di poesia in mano. Il giardino aveva cespugli che davano
freschezza al luogo e per il prato passeggiava una dozzina di pavoni...”
Prima di
tornare all'Avana Dolores offrì, all'Hotel Regis, una festa al suo amico. Ad
essa assistettero, diceva Caignet, “tutti i grandi del Messico, Pedro
Armendáriz, María Félix, giornalisti, la televisione...”
Rosa
Fornés, che aveva raccolto tanti successi in Messico come artista – per sette
anni consecutivi la stampa messicana la descrisse come la gran vedette di quel
Paese – ha nelle sue memorie un ricordo per la protagonista di Fiore silvestre,
María Candelaria e La non amata, fra altri films.
Dice che
la presentarono cinque volte a Dolores del Río. “Era una donna eterea,
distante, seppur molto amabile, questo sì. E per quanto visto abbastanza
smemorata. Dopo la quinta presentazione non non poté evitare di esclamare: 'Per
favore, basta! Ci siamo già salutate cinque volte negli ultimi tempi”'. Lei
rise di gusto ed esclamò con ingenuità: 'Davvero con tanto piacere'. Quando la
conobbi veniva con l'aureola che
Holliwood assegna alle sue stelle e inoltre, marcata pwer una more interrotto
con orson Welles. Era molto bella e mi è sempre sembrata in piedi su una
nuvola”.
Si
potrebbe dire molto di questa donna che fu la prima attrice latinoamericana a
trinofare ad Hollywood. Prese parte a 450 films messicani, nordamericani e
spagnoli. Anche ad una dozzina di programmi televisivi e una decina di opere di
teatro. Hollywood che la considerò una versione femminile di Rodolfo Valentino,
cercò in lei da una nota esotica alla madre meticcia di Elvis Presley. Il suo
viso ispirò pittori come Diego Rivera e José Clemente Orozco, il grande Alfonso
Reyes le dedicò un poema nel 1952. Lo scrittore Bernard Shaw disse di lei: Le
due cose più belle del mondo sono il Taj Mahal e Dolores del Río”.
Oggi il
cronista preferisce evocare il passaggio di Dolores del Río a Cuba.
Succede
che a metà degli anni ’50, quando la televisione cubana era nel suo apogeo, un
impresa produttrice conseguì, tramite Félix B. Caignet, che Dolores del Río
venisse all’Avana e si presentasse in uno dei suoi programmi che andava in onda
sul Circuito CMQ-Canale 6. Era solo una scena di dieci minuti all’interno di
uno spazio musicale. La scrisse José M. Carballido rey, notevole autore di
radio e televisione dell’epoca, vincolato anche al mondo della pubblicità. Nel
frammento si muovevano solo due personaggi: la madre aristocratica, che era
Dolores e la figlia che era interpretata da Hada Béjar. L’azienda pagò una
somma notevole alla messicana.
Il
giornalista Orlando Quiroga, testimone oculare del fatto, raccontò nel suo
libro Niente è impossibile che la
tensione era ben evidente, quel giorno, nello studio televisivo. Dietro le
telecamere, Dolores passeggiava nervosa da una parte all’altra mentre che
Osvaldo Salas, uno dei grandi fotografi cubani non le perdeva, con la sua
macchina fotografica nemeno un passo, cosa che peggiorava ulteriormente il
nervosismo dell’attrice.
Terminò il
numero musicale che era il preambolo, seguì un annuncio commerciale e uscì un
presentatore dicendo meraviglie di Dolores del Río. Che era una gloria del
Messico e con la sua presenza faceva un grande onore al programma e che Cuba la
riceveva a sua volta con grande onore. Allora, la TV era in diretta.
Nella
scena, la figlia doveva rinfacciare alla madre che non autorizzava la sua
relazione con un determinato giovane. Dolores all’improvviso, si alzò dal
divano dov’era seduta e camminò da un lato all’altro senza accennare a dire le
sue battute, mentre Hada Béjar cercava di aiutarla. Al fine di darle il “la”
ripeteva: “Sì, lo so quello che mi dirai, sono una figlia disubbidiente e
ingrata, che sono la vergogna della famiglia, che provi odio verso di me...”
Ma
Dolores, niente. Non si dava per intesa, era come se non si trattase di lei. La
tensione, ricordava Orlando Quiroga, cresceva nello studio; si poteva quasi
tagliare con un coltello. Adesso era Carballido Rey che passeggiava dietro le
telecamere, passandosi nervosamente le mani sulla testa. La grande Dolores non
reagiva. Alla fine emise un gridolino, “molto distinto”, dice Quiroga e cadde “svenuta”
nel divano dove era seduta fino a poco prima.
Il regista
del programma gridò dalla cabina e il suo coordinatore ripeté il suo grido
nello studio, per ordinare al balletto che continuasse il programma. Intanto,
attori e tecnici si accalcavano attorno a Dolores, ancora “svenuta”.
Il giorno
successivo, tutta Cuba parlava sul malore dell’attrice. Carballido e un
rappresentante degli sponsor andarono a trovarla nell’albergo che la ospitava.
Li ricevette il marito di Dolores molto dispiaciuto. No, l’attrice non poteva
riceverli, era in camera da letto, ancora indisposta. No, naturalmente che no,
nemeno pensarlo, chiaro che non accetterebbe l’assegno. Nemmeno per sogno
incassare per un lavoro che non si è svolto.
Carballido
lo fermò di colpo: “Sì, accetterà i soldi; qua c’è l’assegno, lo prenda. Lo
svenimento ha fatto parlare di più che se Dolores avesse recitato. È stato un
grande successo!”
Il giorno
seguente Dolores del Río tornava in Messico, senza rilasciare interviste.
El grito de Dolores
Ciro Bianchi Ross
El cubano Félix B. Caignet, el archifamoso autor de El derecho de
nacer, tuvo siempre una alta y viva estimación por la actriz Dolores
del Río.
Todavía al final de su vida evocaba su último encuentro con la que fue
una de las grandes figuras de la época de oro del cine mexicano.
Caignet se estaba quedando ciego y, por intermedio del gobierno
cubano, que corrió con los gastos, se le sometió a tratamiento
médico-quirúrgico en la clínica de los Hermanos Mayo, en Estados
Unidos. En su regreso a La Habana, el escritor, padre de la
radionovela, pasó por México.
Recordaba Caignet que ya fuera del edificio del aeropuerto, de “un
limousine larguísimo” salió un chofer uniformado que abrió la
portezuela a una bella mujer. Era Dolores del Río. Le secuestró el
chofer las maletas, las metió en el automóvil, y la actriz firme ante
él: “Nada de eso, señor Caignet, usted no se va para un hotel; usted
se hospeda en mi casa... Hágame ese honor”.
La casa resultó un palacete, con criados uniformados y con las
iniciales D. R. bordadas en el bolsillo de las chaquetas. Allí
permaneció varios días el cubano. “¿Quién le decía que no a doña
Dolores en México?”.
Contaba Caignet: “Todas la tardes, al caer el sol, ella salía a pasear
por el jardín. Con batas mexicanas largas, de encaje y lino. Paseaba
sola, siempre con un libro de poesía en las manos. El jardín tenía
surtidores que daban frescura al lugar, y por el césped paseaba una
docena de pavos reales...”
Antes de regresar a La Habana, Dolores ofreció, en el Hotel Regis, una
fiesta a su amigo. A ella asistieron, decía Caignet, “todos los
grandes de México, Pedro Armendáriz, María Félix, periodistas, la
televisión...”
Rosa Fornés, que tantos éxitos cosechó en México como artista --durante
siete años consecutivos la prensa mexicana la arropó como la gran
vedette de ese país-- tiene en sus memorias un recuerdo para la
protagonista de Flor silvestre, María Candelaria y La malquerida,
entre otros filmes.
Dice que a Dolores del Río se la presentaron cinco veces. “Era una
mujer etérea, distante, aunque muy amable, eso sí. Y por lo visto
bastante olvidadiza. Tras la quinta presentación no pude menos que
exclamar: "¡Por favor, no más! Ya nos hemos saludado cinco veces en
los últimos tiempos". Ella rió con ganas y exclamó con ingenuidad: "De
veras, mucho gusto". Cuando la conocí venía con la aureola que otorga
Hollywood a sus estrellas y, además, marcada por un amor trunco con
Orson Welles. Era muy bella y siempre me pareció que estaba detenida
en una nube”.
Mucho pudiera decirse de esta mujer que fue la primera actriz
latinoamericana que triunfó en Hollywood. Participó en unos 450 filmes
mexicanos, norteamericanos y españoles. También en una docena de
programas televisivos y en unas diez obras de teatro. Hollywood, que
la consideró una versión femenina de Rodolfo Valentino, buscó en ella
desde una nota exótica hasta la madre mestiza de Elvis Presley. Su
rostro inspiró a pintores como Diego Rivera y José Clemente Orozco y
el gran Alfonso Reyes le dedicó un poema en 1952. El escritor Bernard
Shaw dijo de ella: “La dos cosas más hermosas del mundo son el Taj
Mahal y Dolores del Río”.
Prefiere hoy el cronista evocar un pasaje de Dolores del Río en Cuba.
Sucede que a mediados de los años 50, cuando la televisión cubana
estaba en su apogeo, una empresa productora consiguió, a través de
Félix B. Caignet, que Dolores del Río, viniera a La Habana y se
presentara en uno de sus programas que pasaba por el Circuito
CMQ-Canal 6. Era apenas una escena de diez minutos dentro de un
espacio musical. La escribiría José M. Carballido Rey, notable autor
radial y televisivo de la época, vinculado asimismo al mundo de la
publicidad. Solo dos personajes se moverían en el fragmento: la madre
aristocrática, que sería Dolores, y la hija, que interpretaría Hada
Béjar. La empresa pagaría un dineral a la mexicana.
El periodista Orlando Quiroga, testigo presencial del suceso, relató
en su libro Nada es imposible que ese día la tensión era bien evidente
en el estudio televisivo. Tras las cámaras, Dolores se paseaba
nerviosa de un lado a otro mientras que Osvaldo Salas, uno de los
grandes fotógrafos cubanos, no le perdía, con su cámara, pie ni
pisada, lo que empeoraba visiblemente los nervios de la actriz.
Terminó el número musical que era el preámbulo, siguió un comercial y
salió un locutor a decir maravillas de Dolores del Río. Que era una
gloria de México, que con su presencia le hacía un alto honor al
programa, que Cuba la recibía con todos los honores. Entonces la TV
era en vivo.
En la escena, la hija debía reprochar a la madre que no autorizara sus
relaciones con determinado joven. Dolores, de manera abrupta, se
levantó del sofá donde estaba sentada y caminó de un lado para otro
sin atinar a decir su parlamento, mientras que Hada Béjar trataba de
ayudarla. A fin de darle el pie, repetía: ”Sí, ya sé lo que me vas a
decir, soy una hija desobediente y malagradecida, que soy la vergüenza
de la familia, que sientes odio hacia él y hacia mí...”
Pero Dolores, nada. No se daba por aludida, era como si no fuese con
ella. La tensión, recordaba Orlando Quiroga, crecía en el estudio;
casi podía cortarse con un cuchillo. Ahora era Carballido Rey quien se
paseaba tras las cámaras, pasándose nerviosamente las manos por la
cabeza. La gran Dolores del Río no reaccionaba. Por fin emitió un
gritico, “muy distinguido”, dice Quiroga, y cayó <<desmayada>> en el
sofá donde hasta poco antes estuvo sentada.
El director del programa gritó en la cabina y el coordinador repitió
su grito en el estudio para ordenar al ballet que continuara el
programa. Mientras, actores y técnicos se agolpaban en torno a
Dolores, todavía <<desmayada>>.
Al día siguiente toda Cuba hablaba sobre el desvanecimiento de la
actriz. Carballido y un representante de los patrocinadores fueron a
verla al hotel donde se alojaba. Los recibió el esposo de Dolores, muy
apenado. No, la actriz no podía recibirlos, estaba en la recámara,
todavía indispuesta. No, por supuesto que no, ni pensarlo, claro que
no aceptaría el cheque. Nada de eso de cobrar por un trabajo que no
realizó.
Carballido lo cortó de golpe: “Sí aceptaría el dinero; aquí está el
cheque, tómelo. El desmayo ha dado más que hablar que si Dolores
hubiese actuado. ¡Ha sido todo un éxito!”
Al día siguiente, Dolores del Río retornaba a México sin conceder entrevistas.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
Ciro Bianchi Ross
El cubano Félix B. Caignet, el archifamoso autor de El derecho de
nacer, tuvo siempre una alta y viva estimación por la actriz Dolores
del Río.
Todavía al final de su vida evocaba su último encuentro con la que fue
una de las grandes figuras de la época de oro del cine mexicano.
Caignet se estaba quedando ciego y, por intermedio del gobierno
cubano, que corrió con los gastos, se le sometió a tratamiento
médico-quirúrgico en la clínica de los Hermanos Mayo, en Estados
Unidos. En su regreso a La Habana, el escritor, padre de la
radionovela, pasó por México.
Recordaba Caignet que ya fuera del edificio del aeropuerto, de “un
limousine larguísimo” salió un chofer uniformado que abrió la
portezuela a una bella mujer. Era Dolores del Río. Le secuestró el
chofer las maletas, las metió en el automóvil, y la actriz firme ante
él: “Nada de eso, señor Caignet, usted no se va para un hotel; usted
se hospeda en mi casa... Hágame ese honor”.
La casa resultó un palacete, con criados uniformados y con las
iniciales D. R. bordadas en el bolsillo de las chaquetas. Allí
permaneció varios días el cubano. “¿Quién le decía que no a doña
Dolores en México?”.
Contaba Caignet: “Todas la tardes, al caer el sol, ella salía a pasear
por el jardín. Con batas mexicanas largas, de encaje y lino. Paseaba
sola, siempre con un libro de poesía en las manos. El jardín tenía
surtidores que daban frescura al lugar, y por el césped paseaba una
docena de pavos reales...”
Antes de regresar a La Habana, Dolores ofreció, en el Hotel Regis, una
fiesta a su amigo. A ella asistieron, decía Caignet, “todos los
grandes de México, Pedro Armendáriz, María Félix, periodistas, la
televisión...”
Rosa Fornés, que tantos éxitos cosechó en México como artista --durante
siete años consecutivos la prensa mexicana la arropó como la gran
vedette de ese país-- tiene en sus memorias un recuerdo para la
protagonista de Flor silvestre, María Candelaria y La malquerida,
entre otros filmes.
Dice que a Dolores del Río se la presentaron cinco veces. “Era una
mujer etérea, distante, aunque muy amable, eso sí. Y por lo visto
bastante olvidadiza. Tras la quinta presentación no pude menos que
exclamar: "¡Por favor, no más! Ya nos hemos saludado cinco veces en
los últimos tiempos". Ella rió con ganas y exclamó con ingenuidad: "De
veras, mucho gusto". Cuando la conocí venía con la aureola que otorga
Hollywood a sus estrellas y, además, marcada por un amor trunco con
Orson Welles. Era muy bella y siempre me pareció que estaba detenida
en una nube”.
Mucho pudiera decirse de esta mujer que fue la primera actriz
latinoamericana que triunfó en Hollywood. Participó en unos 450 filmes
mexicanos, norteamericanos y españoles. También en una docena de
programas televisivos y en unas diez obras de teatro. Hollywood, que
la consideró una versión femenina de Rodolfo Valentino, buscó en ella
desde una nota exótica hasta la madre mestiza de Elvis Presley. Su
rostro inspiró a pintores como Diego Rivera y José Clemente Orozco y
el gran Alfonso Reyes le dedicó un poema en 1952. El escritor Bernard
Shaw dijo de ella: “La dos cosas más hermosas del mundo son el Taj
Mahal y Dolores del Río”.
Prefiere hoy el cronista evocar un pasaje de Dolores del Río en Cuba.
Sucede que a mediados de los años 50, cuando la televisión cubana
estaba en su apogeo, una empresa productora consiguió, a través de
Félix B. Caignet, que Dolores del Río, viniera a La Habana y se
presentara en uno de sus programas que pasaba por el Circuito
CMQ-Canal 6. Era apenas una escena de diez minutos dentro de un
espacio musical. La escribiría José M. Carballido Rey, notable autor
radial y televisivo de la época, vinculado asimismo al mundo de la
publicidad. Solo dos personajes se moverían en el fragmento: la madre
aristocrática, que sería Dolores, y la hija, que interpretaría Hada
Béjar. La empresa pagaría un dineral a la mexicana.
El periodista Orlando Quiroga, testigo presencial del suceso, relató
en su libro Nada es imposible que ese día la tensión era bien evidente
en el estudio televisivo. Tras las cámaras, Dolores se paseaba
nerviosa de un lado a otro mientras que Osvaldo Salas, uno de los
grandes fotógrafos cubanos, no le perdía, con su cámara, pie ni
pisada, lo que empeoraba visiblemente los nervios de la actriz.
Terminó el número musical que era el preámbulo, siguió un comercial y
salió un locutor a decir maravillas de Dolores del Río. Que era una
gloria de México, que con su presencia le hacía un alto honor al
programa, que Cuba la recibía con todos los honores. Entonces la TV
era en vivo.
En la escena, la hija debía reprochar a la madre que no autorizara sus
relaciones con determinado joven. Dolores, de manera abrupta, se
levantó del sofá donde estaba sentada y caminó de un lado para otro
sin atinar a decir su parlamento, mientras que Hada Béjar trataba de
ayudarla. A fin de darle el pie, repetía: ”Sí, ya sé lo que me vas a
decir, soy una hija desobediente y malagradecida, que soy la vergüenza
de la familia, que sientes odio hacia él y hacia mí...”
Pero Dolores, nada. No se daba por aludida, era como si no fuese con
ella. La tensión, recordaba Orlando Quiroga, crecía en el estudio;
casi podía cortarse con un cuchillo. Ahora era Carballido Rey quien se
paseaba tras las cámaras, pasándose nerviosamente las manos por la
cabeza. La gran Dolores del Río no reaccionaba. Por fin emitió un
gritico, “muy distinguido”, dice Quiroga, y cayó <<desmayada>> en el
sofá donde hasta poco antes estuvo sentada.
El director del programa gritó en la cabina y el coordinador repitió
su grito en el estudio para ordenar al ballet que continuara el
programa. Mientras, actores y técnicos se agolpaban en torno a
Dolores, todavía <<desmayada>>.
Al día siguiente toda Cuba hablaba sobre el desvanecimiento de la
actriz. Carballido y un representante de los patrocinadores fueron a
verla al hotel donde se alojaba. Los recibió el esposo de Dolores, muy
apenado. No, la actriz no podía recibirlos, estaba en la recámara,
todavía indispuesta. No, por supuesto que no, ni pensarlo, claro que
no aceptaría el cheque. Nada de eso de cobrar por un trabajo que no
realizó.
Carballido lo cortó de golpe: “Sí aceptaría el dinero; aquí está el
cheque, tómelo. El desmayo ha dado más que hablar que si Dolores
hubiese actuado. ¡Ha sido todo un éxito!”
Al día siguiente, Dolores del Río retornaba a México sin conceder entrevistas.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
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giovedì 14 agosto 2014
Congresso Internazionale Labiofam 2014
Fonte Cuba Contemporanea
Por Redacción
14 Agosto, 2014 - 09:20
El Grupo
Empresarial de Producciones Biofarmacéuticas y Químicas (Labiofam) presentará
nuevos productos terapéuticos contra el cáncer durante el Congreso
Internacional Labiofam 2014, que se celebrará en La Habana del 22 al 25 de
septiembre.
Durante el
evento en el Palacio de Convenciones habanero se hablará sobre productos naturales
en la salud humana, los programas integrales de prevención y control de
vectores transmisores de enfermedades, la terapéutica y profilaxis en los
animales, bioplaguicidas y biofertilizantes para la agricultura y la cosmética,
informó a la prensa el director de la institución, José Antonio Fraga Castro.
El
Congreso cuenta con el apoyo de la Organización Panamericana de la Salud (OPS),
los ministerios de la Agricultura y Ciencia, Tecnología y Medio Ambiente y el
Instituto de Medicina Tropical Pedro Kourí (IPK), y debe reunir a
investigadores, profesores, profesionales, técnicos, estudiantes,
organizaciones y empresas afines o relacionadas con la investigación,
desarrollo, producción y comercialización de medicamentos.
Actualmente,
Labiofam produce inmunizantes biológicos, vacunas virales, bacterianas, medios
diagnósticos, fármacos veterinarios, plaguicidas biológicos, alimentos y
productos de higiene industrial y personal, además de contar con una amplia
gama de proyectos en desarrollo e investigaciones.
El Grupo
responde por el 98% de los productos de uso veterinario que requiere Cuba, e
impulsa más de 50 tecnologías para la obtención de biofertilizantes y
bioplaguicidas en la agricultura, y otras 30 en la medicina veterinaria.
Entre sus
productos está Heber Provac, una vacuna terapéutica aplicada en la etapa
avanzada del cáncer de próstata antes de que el paciente reciba radioterapia o
quimioterapia, y que ha tenido un comprobado efecto positivo en la calidad de
vida de los enfermos.
Otro
producto natural es el Vidatox 30CH, una alternativa terapéutica para pacientes
con tumores intracraneales y de colon con base en el veneno del escorpión azul,
cuya toxina se extrae mediante estímulos eléctricos y tiene un efecto
analgésico, antiinflamatorio y antitumoral.
Principio del formulario
Restauro e museo di vecchie locomotive
Fonte Cuba Contemporanea/Efe
Un taller museo de locomotoras en La Habana
Por Redacción
Fotos Claudia Camps
3 Agosto,
2014 - 23:53
Locomotora del antiguo central Providencia cerca de los Almacenes de San
José, en el puerto habanero.
En pocos
meses debe desaparecer de su sitio junto al Capitolio habanero el taller de
locomotoras a vapor que desde 2007 ha recuperado decenas de máquinas, algunas
del siglo XIX, como tributo a la historia del ferrocarril y al patrimonio industrial
cubano.
Desde
2007, las viejas locomotoras -fabricadas entre 1878 y 1925 y provenientes de
toda Cuba- fueron concentradas y reparadas paulatinamente en un terreno junto a
la conocida fábrica de habanos Partagás, cerca del Capitolio Nacional, donde un
equipo ha trabajado para rescatarlas.
"Se
trajeron desde muchos lugares de Cuba, donde hay una relación sentimental con
esas locomotoras. Su historia está imbricada con la historia del azúcar, y esa
es, a su vez, la historia del pueblo cubano", dijo a Efe Ariel Causa, uno
de los encargados del proyecto.
Causa
trabaja para la Oficina del Historiador de La Habana, la entidad que decidió
restaurar, con vistas a su exhibición pública y como atractivo turístico, un
total de 40 locomotoras de vapor entre las más de 200 que hay en la Isla,
consideradas parte del patrimonio nacional desde 2004.
Sin grúas
y con métodos arcaicos, una veintena de hombres encabezados por el contratista
Raúl Abreu sacó las máquinas de centrales azucareros o áreas rurales con
poleas, ganchos e improvisadas rampas para subirlas a los remolques que las
trasladaron a La Habana.
Abreu, un
técnico de experiencia que se crió en una familia de ferroviarios, confesó a
Efe que realizar ese traslado les costó siete años y se hizo sin apenas recursos,
por lo que ha sido el logro "más importante" del proyecto.
"Nuestro
trabajo es diferente al de otras partes del mundo. No usamos tecnología, no
compramos piezas nuevas, lo hacemos todo de modo rudimentario", comentó.
En lo que
resta de 2014 deben concluir las reparaciones para completar la colección, cuyo
valor mínimo de subasta antes de la rehabilitación se calculó en casi siete
millones de dólares.
Al menos
siete máquinas datan del siglo XIX y una de ellas, la más antigua, es de 1878 y
estuvo activa durante 127 años.
Dos
locomotoras son de origen alemán y el resto fueron construidas por fabricantes
de Estados Unidos en el siglo XIX, como Baldwin Locomotives y Rogers
Locomotives Works. Sirvieron a la industria azucarera o al transporte público
durante los años de esplendor del ferrocarril en Cuba, que fue en 1837 el
primer país de Iberoamérica en tener vía férrea.
Aunque la
era del vapor llegó a su fin aproximadamente a mediados del siglo XX, Cuba
siguió utilizando las locomotoras, sobre todo en el sector del azúcar. Algunas
quedaron en desuso o abandonadas entre 2002 y 2004 con el proceso de
reestructuración en esa industria.
Las
primeras locomotoras reparadas por la Oficina del Historiador fueron colocadas
en un parque junto a la Estación de Trenes de La Habana y en otros espacios
como los antiguos Almacenes de San José, una instalación actualmente dedicada a
la venta de artesanía como parte de un mega proyecto cultural en el puerto
habanero.
El destino
del grupo que resta todavía no es definitivo, aunque una parte podría acabar en
el Museo del Ferrocarril, ahora en reparación y emplazado en Cristina, una de
las estaciones pioneras de la capital cubana.
Para los
últimos meses del proyecto, se prevé poner en marcha en un emplazamiento
turístico de La Habana un equipo de Cagney Brothers, un fabricante
estadounidense que se especializó en locomotoras en miniatura.
Abreu
explicó que la máquina, construida en 1902 y con solo dos metros de largo, es
la locomotora de su tipo más antigua y en funcionamiento del mundo, por lo que
podría entrar al libro de records Guinness.
mercoledì 13 agosto 2014
martedì 12 agosto 2014
lunedì 11 agosto 2014
Tropicana verso i suoi 75, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud rebelde del 10/8/14
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
9 de Agosto del 2014 19:11:45 CDT
Por increíble que parezca, el cuartel de bomberos de Magoon, en la
calle Zulueta, carecía de agua y los carros-bomba debían tomarla de un
hidrante situado en las inmediaciones del cine Payret.
El 20 de mayo de 1925 cogía candela el edificio que albergaba el
Círculo del Partido Liberal. Los bomberos no pudieron sofocar las
llamas y el inmueble quedó reducido a ruinas, pese a que el Círculo se
ubicaba frente por frente al cuartel. Fue un mal augurio. Ese día el
Partido Liberal volvía al poder en la persona del general Gerardo
Machado, que a las 12 meridiano accedía a la presidencia de la
República, y aquel incendio anticipó lo que al país se le venía
encima.
El escribidor trae ese hecho a colación porque ahí está el antecedente
más remoto del cabaré Tropicana. En efecto, el ítalo-brasileño Víctor
de Correa, que regenteara centros nocturnos en Panamá, quiso montar un
cabaré al aire libre en La Habana y para hacerlo escogió las ruinas de
la antigua instalación de los liberales. El nuevo establecimiento se
llamó Eden Concert e hizo época, en la década de los 30, con sus
grandes espectáculos. Algunos de sus artistas no demoraron en
convertirse en figuras internacionales. Tal fue el caso de Rita Conde,
una vedette de 17 años de edad, a quien Correa lanzó a la fama y
allanó el camino de Hollywood.
Correa demostró en el Eden Concert su pericia en el montaje de
espectáculos al presentar, en el mismo corazón de La Habana,
producciones realmente fabulosas para aquellos tiempos. Amaba con
exaltación devota a sus artistas y los seleccionaba con positivo
acierto. En su pista promovió celebridades..., escribía Carlos M. Palma
en su imprescindible revista Show.
Lo acompañaban en la empresa su esposa, Teresita de España, cupletera
y primera bailarina; el director de orquesta Alfredo Brito y el
coreógrafo Sergio Orta. Los tres lo secundarían en la aventura de
Tropicana, pero ni Brito ni Orta permanecerían muchos años en el nuevo
cabaré. Brito, que era un músico cotizado, viaja a Europa, forma la
orquesta Siboney y asume con el tiempo la dirección musical de Tele
Mundo-Canal 2. Orta también se va a Europa. Trabaja en España y en
Italia. Regresa en 1956 para trabajar como coreógrafo en el cabaré
Montmartre. Luego vuelve a irse a Europa, posiblemente cuando cierran
ese centro nocturno como consecuencia del atentado en que pierde la
vida el teniente coronel Antonio Blanco Rico, jefe del Servicio de
Inteligencia Militar (SIM) de la dictadura de Batista. Regresa después
del triunfo de la Revolución, avanzados ya los años 60. Viene
excesivamente gordo. Pesa unas 500 libras. En el Hospital Diez de
Octubre (Dependientes) lo someten a una cura de adelgazamiento que
resulta exitosa, pero un cáncer termina pasándole la cuenta.
Diferente y sensacional
En Marianao, a la altura de la calle 72, había una finca de recreo
propiedad de Regino Du Rapaire Truffin. La bautizó Villa Mina en honor
de su esposa, Nieves Altuzarra Pérez Chaumont. Eran personas de la
alta sociedad. Truffin, nacido en Cuba de padre francés, fue cónsul de
Rusia en La Habana y presidente de la Cuban Sugar Corporation y del
Havana Yacht Club. Las hijas del matrimonio estaban casadas, una con
Clemente Vázquez Bello, presidente del Senado de la República en
tiempos de Machado y que sería víctima de un atentado en 1932, y la
otra con el millonario Tirso Mesa. Truffin murió alrededor de 1925, y
años después Mina contrajo matrimonio otra vez con un senador
norteamericano, pero volvió a enviudar enseguida: el hombre falleció
durante la misma noche de bodas. Es entonces que decide arrendar la
finca de algo más de dos hectáreas.
Víctor de Correa quería salirse de La Habana y buscaba un lugar
retirado para lanzarse de lleno a una aventura <<diferente, novedosa y
sensacional>>. Visitó la finca y le gustó la gran mansión rodeada de un
bosque tropical de maravilla; el sitio ideal para convertirlo en un
oasis del placer y del juego. No lo pensó dos veces y entró en arreglo
con la propietaria, que le alquiló el predio por cien pesos mensuales
y con el ruego de que respetara la vegetación. A esa altura, se dice,
De Correa era solo la cabeza visible del negocio: actuaba como
testaferro de dos norteamericanos que no daban la cara y que eran en
verdad los que decidían.
Dicen algunos que el cabaré, inaugurado en la noche de San Silvestre
de 1939, se llamó en sus inicios Boite de Nuit. Una antigua empleada
aseguraba haber visto en el Registro de la Patente Fiscal la
inscripción del cabaré como Tropicals Night Club, pero ese documento
no se ha localizado. El nombre de Tropicana --se afirma-- es idea de
Alfredo Brito que, a pedido de Correa, escribió una melodía con ese
título para que sirviera de opening. Pero eso tampoco es seguro, pues
alguien muy cercano al músico afirmó que Tropicana es el nombre de una
producción que se montó en el Eden Concert
--con música de Brito, por supuesto-- y que fue Orta, el coreógrafo,
quien lo sugirió como nombre para el cabaré de Marianao.
Aparece Martín Fox
Martín Fox era un apuntador de terminales en su natal Ciego de Ávila.
Le fue bien en el negocio de la bolita y ascendió de listero a
banquero. Obtenía entonces el grueso de los beneficios, pero corría
los mayores riesgos. Capeó todos los temporales y no demoró en
convertirse en el mayor bolitero de la región. Su <<banco>>, en la calle
Independencia, la principal arteria comercial de la ciudad, era
frecuentado por gente de todos los sectores sociales que apostaban a
la bola o compraban billetes de la Lotería Nacional. Llegó a ser tan
popular que pudo haber aspirado a la alcaldía avileña, pero prefirió
instalarse en La Habana. Aquí empezó a ser conocido como el Guajiro.
Quizá quisieron ofenderlo con el mote, pero Fox lo agradeció, porque
un apodo resultaba conveniente en el terreno peligroso en que se
movía. Para dificultar que la Policía le echara el guante, no dio a su
<<banco>> ubicación fija. Se movía continuamente y no demoró en
controlar la bolita en Centro Habana y en hacerse dueño de una red de
garitos.
En 1943 se sintió suficientemente fuerte para adquirir una
participación en Tropicana, abierto entonces a concesionarios
individuales. Alquiló dos mesas en el casino, una de monte y la otra
de bacará. La II Guerra Mundial había provocado la disminución de la
corriente turística hacia la Isla. Los 126 000 visitantes de 1941, se
redujeron a 12 500 en 1943. La situación del casino de Tropicana no
era boyante, pero a Martín Fox no le importó. Se complacía, por el
momento, con lo logrado, y hábil como era, había sabido hacerse de una
clientela fiel para aquellas dos mesas, que pese a la baja turística
le reportaban ganancias decentes.
Víctor de Correa, en cambio, no se sentía nada feliz con la marcha del
centro nocturno. Una tarde, abrumado por las deudas y los sablazos de
oficiales de la Policía y el Ejército a los que pagaba porque dieran
protección al cabaré, decidió vender a Fox la concesión del casino por
7 000 pesos. El astuto avileño aceptó la oferta. Andando el tiempo
compró el terreno a su propietaria, mientras que Víctor de Correa
quedaba como dueño del cabaré.
Lo que sigue es una historia confusa, no clara del todo incluso para
los que la conocieron en su momento. El cronista Rafael Lam la refiere
en su libro sobre Tropicana; aun así no quedan claros sus detalles al
escribidor.
Según Lam, De Correa decide jugarle una mala pasada a Fox, con quien
sigue en deuda. Entra en contacto con Rolando Masferrer y al amparo de
las ametralladoras de sus gánsteres se lleva de Tropicana el monto de
lo recaudado en los diez días precedentes. Fox no queda con las manos
cruzadas, y paga con la misma moneda, ametralladoras incluidas. Hay un
choque de trenes, pues Fox decide entonces apropiarse del cabaré a
cuenta de los 92 000 pesos que le debe Correa. Ganó el más fuerte, y
Correa quedó liquidado.
Vuelven las vacas gordas
El escribidor lo dice sin rodeo. Fue Martín Fox quien hizo grande a
Tropicana. No es hasta 1950 cuando Fox se convierte en único
propietario del establecimiento. Ya en 1949 el antiguo bolitero de
Ciego de Ávila era todo un potentado.
Fox decide entonces reformar el cabaré. Contrata para ello a la firma
de arquitectos de Max Borges e hijo. Tropicana se transforma. Se crean
las pasarelas aéreas, que permiten a las bailarinas evolucionar entre
las copas de los árboles. Se construye el salón Arcos de Cristal. Se
mejora y embellece el salón Bajo las Estrellas. Max Borges hijo
--Maxito-- obtiene por este trabajo la Medalla de Oro del Colegio de
Arquitectos en 1953.
Desde 1949 las vacas gordas vuelven a Tropicana. Se juega en grande en
el centro nocturno. Hasta en el parqueo se colocan máquinas
traganíqueles y bingos para sacarles dinero a los choferes mientras
esperan por sus patronos. En 1954 se amplía el Casino, y el Salón
Dorado, abierto las 24 horas, se convierte en un lugar popular al que
se puede entrar en mangas de camisa. También funciona un banco de
bolita que sigue los resultados de la lotería de Miami.
Una parte de la ganancia de la bolita va a parar a manos del jefe de
Policía de la demarcación. Pero Martín Fox se mueve alto. Tiene dos
grandes protectores, a los que beneficia con largueza: el coronel y
luego general Roberto Fernández Miranda, cuñado de Batista, y el
coronel Orlando Piedra, jefe del Buró de Investigaciones de la Policía
Nacional, el hombre a quien Batista confía su seguridad. Al dictador,
a través de Fernández Miranda, envía Fox
10 000 pesos a la semana.
Quedaba fuera del reparto de utilidades el teniente coronel Blanco
Rico. Una tarde, buscando su tajada, el jefe de la Inteligencia del
Ejército llegó a El Dorado, puso a empleados y clientes contra la
pared y alegó que ese local no pertenecía a Tropicana. Todo se arregló
en familia, y Fox decidió mandar a unir los dos edificios con una
placa en forma de sombrilla.
¿Y Correa?
Decía Armando Romeu, director de la orquesta de Tropicana: Correa no
pudo soportar el dolor de perderlo todo, especialmente el cabaré,
fruto de años de esfuerzo. No pudo superar el golpe ni la forma
abrupta en que Fox le situó las ametralladoras para volarlo por los
aires, con cabaré y todo.
Correa se convirtió en representante de Los Chavales de España. Es la
primera orquesta española que actuó en EE.UU., en el Waldorf Astoria,
el más reputado hotel de Nueva York entonces. Pero --escribe Carlos M.
Palma-- <<las desilusiones y la pérdida de Tropicana ya habían lacerado
su corazón y muere en Nápoles, cuando abrigaba la esperanza de traer a
Cuba el Follies Bergères, de París>>.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
Per incredibile che
sembri, la caserma dei pompieri di Magoon, nella calle Zulueta, mancava di
acqua e i carri-pompa dovevano prenderla da un idrante sito nelle vicinanze del
cine Payret.
Il 20 maggio del 1925
prendeva fuoco l’edificio che ospitavail Circolo del Partito Liberale. I
pompieri non poterono soffocare le fiamme e l’immobile fu ridotto a una rovina,
nonostante il circolo si trovasse proprio di fronte alla caserma. Fu un cattivo
presagio. In questo giorno il Partito Liberale tornava al potere nella persona
del generale Gerardo Machado, che alle 12 del mezzodí accedeva alla presidenza
della Repubblica e quell’incendio anticipò quello che sarebbe caduto sul Paese.
Lo scriba porta ad
esempio questo fatto perché lì c’è il precedente più remoto del cabarte
Tropicana. In effetti, l’italo-brasiliano Víctor de Correa, che gestiva centri
notturni a Panama, volle allestire un cabaret all’aperto all’Avana e per farlo
scelse le rovine dell’antica installazione dei liberali. Il nuovo esercizio si
chiamò Eden Concert e fece epoca nella decade del ’30 coi suoi grandi
spettacoli. Alcuni dei suoi artisti non tardarono a convertirsi in figure
internazionali. Così fu il caso di Rita Conde, una vedette di 17 anni d’età, che
Correa lanciò alla fama e le spianò il cammino di Hollywood.
Correa dimostrò,
nell’Eden Concert, la sua perizia nell’allestimento di spettacoli nel
presentare, nel medesimo cuore dell’Avana, produzioni realmente favolose per
quei tempi. Amava con esaltazione devota i suoi artisti e li sceglieva con esito
positivo. Nella sua pista promosse celebrità...scriveva Carlos M. Palma nella
sua imprescindibile rivista Show.
Lo accompagnavano
nell’impresa sua moglie, Teresita de España danzatrice di “copla” e prima ballerina;
il direttore d’orchestra Alfredo Brito e il coreografo Sergio Orta. I tre lo
assecondarono nell’avventura del Tropicana, però né Brito né Orta rimasero
molti anni nel cabaret. Brito che era un musicista quotato si reca in Europa, fonda l’Orchestra Siboney e assume col tempo
la direzione musicale di Telemundo-Canal 2. Anche Orta va in Europa. Lavora in
Spagna e Italia. Torna nel 1956 per lavorare come coreografo nel cabaret
Montmartre. Poi torna in Europa, probabilmente quando chiudono questo centro
notturno come conseguenza dell’attentato in cui perde la vita il tenente
colonnello Antonio Blanco Rico, capo del Servizio d’Intelligenza Militare (SIM)
della dittatura di Batista. Torna dopo la vittoria della Rivoluzione, già negli
anni ’60 avanzati. Arriva eccessivamente grasso. Pesa circa 500 libbre (circa
250 kg, n.d.t.) nell’ospedala Dieci di Ottobre (Dependientes) lo sottomettono a
una cura dimagrante che risulta efficace, ma un cancro finirà la resa dei
conti.
Diverso e sensazionale
A Marianao, all’altezza
della calle 72, c’era una tenuta di svago di proprietà di Regino Du Rapaire
Truffin. La battezzò Villa Mina in onore a sua moglie, Nieves Altuzarra Pérez
Chaumont. Erano persone dell’alta società. Truffin, nato a Cuba da padre
francese, fu console di Russia all’Avana, presidente della Cuban Sugar
Corporation e dell’Havana Yacht Club. Le figlie della coppia erano sposate, una
con Clemente Vázquez Bello, presidente del Senato della Repubblica ai tempi di
Machado e che sarebbe vittima di un attentato nel 1932 e l’altra col milionario
Tirso Mesa. Truffin morì attorno al 1925 e anni
dopo, Mina contrasse nuovamente matrimonio con un senatore
nordamericano, ma tornò immediatamente ad essere vedova: l’uomo morì durante la
stessa notte di nozze. È allora che decide di affittare la tenuta di poco più
di due ettari.
Víctor de Correa
voleva uscire dall’Avana e cercava un posto ritirato per lanciarsi in
un’avventura “diversa, nuova e sensazionale”. Visitò la tenuta e gli piacque la
grande magione circondata di un meraviglios bosco tropicale; il posto ideale da
convertire in un oasi del piacere e del gioco. Non ci pensò due volte e giunse
a un accordo con la proprietaria che gli affittò l’insieme per cento pesos
mensili e con la preghiera che rispettasse la vegetazione. A questo punto, si
dice, Correa era solo la testa visibile dell’affare: attuava come testa di
legno di due nordamericani che non mettevano la faccia e che erano in realtà
quelli che decidevano.
Alcuni dicono che il
cabaret, inaugurato la notte di San Silvestro del 1939 si chiamò, all’inizio,
Boite de Nuit. Una vecchia dipendente assicurava di aver visto nel Registro
delle Licenze Fiscali, l’iscrizione del cabaret come Tropicals Night Club, ma
questo documento non si è potuto trovare. Il nome di Tropicana – si dice – è
idea di Alfredo Brito che, a richiesta di Correa, scrisse una melodia con
questo titolo che servisse da apertura. Ma non è nemmeno certo. Qualcuno vicino
al musicista affermò che Tropicana è il nome di una produzione che si montò
nell’Eden Concert – naturalmente con musica di Brito – e che fu Orta, il
coreografo, che lo suggerì come nome per il cabaret di Marianao.
Appare Martin Fox
Martin Fox era un
allibratore nella sua natía Ciego de Ávila. Gli fu proficuo il gioco del lotto
clandestino e ascese da birbante a banchiere. Allora, otteneva il grosso dei
benefici, ma correva il maggiore dei rischi. Si riparò da tutti i temporali e
non tardò a convertirsi nel maggior gestore di lotto clandestino della regione.
La sua “banca” nella calle Independencia, l’arteria commerciale principale
della città, era frequentata da gente di tutti i ceti sociali che puntavano
sulle ruote o compravano biglietti della Lotteria Nazionale. Giunse ad essere
tanto popolare che avrebbe potuto aspirare alla poltrona di sindaco avileño, ma
preferì installarsi all’Avana. Qua cominciò ad essere conosciuto come “el
Guajiro” (il contadino, n.d.t.). Forse volevano offenderlo col soprannome, ma
Fox lo gradì perché un soprannome risultava conveniente nel pericoloso terreno
in cui si muoveva. Per creare difficoltà alla Polizia affinché non vi
mettessero le mani, non dette alla sua “banca” una ubicazione fissa. Si muoveva
continuamente e non tardò a controllare il lotto clandestino in Centro Avana ed
a farsi padrone di una serie di bische.
Nel 1943 si sentì
sufficientemente forte per acquisire una partecipazione nel Tropicana, aperto
allora a concessionari individuali. Affittò due tavoli nel casinò, una di
chemìn e una di baccarat. La II Guerra Mondiale aveva provocato la diminuzione
della corrente turistica verso l’Isola. I 126.000 visitatori del 1941, si
ridussero a 12.500 nel 1943. La situazione del casinò del Tropicana non era
brillante, ma a Martin Fox non importò. Per il momento si accontentava con
quello che aveva raggiunto e, abile com’era, era riuscito a farsi una clientela
fedele per quei due tavoli che, nonostante il calo turistico, gli riportavano
guadagni decenti.
Victor de Correa, in
cambio, non si sentiva per niente contento con l’andazzo del centro notturno.
Un pomeriggi, schiacciato dai debiti e le stoccate degli ufficiali di Polizia e
dell’Esercito che pagava perché dessero protezione al cabaret, decise di
vendere a Fox la concessione del casinò per 7000 pesos. L’astuto avileño
accettò l’offerta. Col passare del tempo comprò il terreno alla sua
proprietaria, mentre Victor de Correa rimaneva padrone del cabaret.
Ciò che segue è una
storia confusa, non chiara del tutto, compreso per quelli che la conobbero nel
suo momento. Il cronista Rafael Lam la riferisce nel suo libro sul Tropicana;
ma anche così, allo scriba non restano chiari i suoi dettagli.
Secondo Lam, De
Correa decide di giocare un brutto tiro a Fox, col quale è sempre in debito.
Entra in contatto con Rolando Masferrer e al riparo delle mitragliatrici dei
suoi gangsters si porta via dal Tropicana l’importo incassato nei dieci giorni
precedenti. Fox non rimana con le braccia conserte e ripaga con la stessa
moneta, mitragiatrici comprese. C’è uns contro di treni, Fox quindi decide di
impadronirsi del cabaret a fronte dei 92000 pesos che Correa gli deve. Vinse il
più forte e Correa rimase liquidato.
Tornano le vacche grasse
Los criba lo dice
senza giri di parole. Fu Martin Fox che fece grande il Tropicana. Non è fino al
1950 che Fox si converte nell’unico proprietario del locale. Già nel 1949
l’antico tenutario di lotterie clandestine di Ciego de Ávila era un potente.
Fox decide allora di
modificare il cabaret. Per quello contratta lo studio di architetti di Max
Borges e figlio. Il Tropicana si trasforma. Si creano le passarelle aeree che
permettono alle ballerine di evoluzionare fra le fronde degli alberi. Si
costruisce il salone Arcos de Cristal. Si migliora e abbellisce il salone Bajo
las Estrellas. Max Borges figlio – Maxito – ottiene per questo lavoro la Medaglia
d’Oro del Collegio degli Architetti nel 1953.
Dal 1949 le vacche
grasse tornano al Tropicana. Si gioca alla grande nel centro notturno. Perfino
nel parcheggio si collocano macchinette mangiasoldi e tombole per togliere i
soldi agli autisti mentre aspettano i loro padroni. Nel 1954 si amplia il
casinò e el Salón Dorado, aperto le 24 ore, si converte in un luogo popolare
nel quale si può entrare in maniche di camicia. Funziona anche una banco di
lotteria che segue i risultati della lotteria di Miami.
Una parte dei
guadagniva a finire nelle mani del capo della Polizia del distretto. Ma Martin
Fox vola alto. Ha due grandi protettori, i quali beneficia con larghezza: il
colonnello, poi generale roberto Fernández Miranda, cognato di Batista e il
colonnello Orlando Piedra, capo dell’Ufficio d’Investifazioni della Polizia
Nazionale, l’uomo a cui Batista affida la sua sicurezza. Al dittatore Fox
invia, tramite Miranda, 10000 pesos alla settimana.
Rimaneva fuori dagli
dalla spartizione degli utili il tenente colonnello Blanco Rico. Un pomeriggio,
cercando la sua fetta, il capo dell’intelligenza dell’Esercito giunse al El
Dorado, mise i dipendenti e i clienti contro il muro e addusse che quel locale
non faceva parte del Tropicana. Tutto si risolse in famiglia e Fox decise di
far unire i due edifici con un soffitto a forma di ombrello.
E Correa?
Diceva Armando Romeu,
direttore dell’orchestra del Tropicana: Correa non poté sopportare il dolore di
perdere tutto, specialmente il cabaret, frutto di annis di sforzo. Non poté
superare il colpo né la forma rude con la quale Fox piazzò le mitragliatrici
per farlo saltare in aria, con cabaret e tutto.
Correa si trasformò in rappresentante de Los
Chavales de España. È la prima orchestra spagnola che attuò
negli Stati Uniti, nel Waldorf Astoria, il più quotato albergo di New York,
allora. Però –scrive Carlos M. Palma – “le disillusioni e la perdita del
Tropicana avevano già lacerato il suo cuore e muore a Napoli, quando albergava
la speranza di portare a Cuba le Folies Bergéres di Parigi”.
Tropicana camino de sus 75
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
9 de Agosto del 2014 19:11:45 CDT
Por increíble que parezca, el cuartel de bomberos de Magoon, en la
calle Zulueta, carecía de agua y los carros-bomba debían tomarla de un
hidrante situado en las inmediaciones del cine Payret.
El 20 de mayo de 1925 cogía candela el edificio que albergaba el
Círculo del Partido Liberal. Los bomberos no pudieron sofocar las
llamas y el inmueble quedó reducido a ruinas, pese a que el Círculo se
ubicaba frente por frente al cuartel. Fue un mal augurio. Ese día el
Partido Liberal volvía al poder en la persona del general Gerardo
Machado, que a las 12 meridiano accedía a la presidencia de la
República, y aquel incendio anticipó lo que al país se le venía
encima.
El escribidor trae ese hecho a colación porque ahí está el antecedente
más remoto del cabaré Tropicana. En efecto, el ítalo-brasileño Víctor
de Correa, que regenteara centros nocturnos en Panamá, quiso montar un
cabaré al aire libre en La Habana y para hacerlo escogió las ruinas de
la antigua instalación de los liberales. El nuevo establecimiento se
llamó Eden Concert e hizo época, en la década de los 30, con sus
grandes espectáculos. Algunos de sus artistas no demoraron en
convertirse en figuras internacionales. Tal fue el caso de Rita Conde,
una vedette de 17 años de edad, a quien Correa lanzó a la fama y
allanó el camino de Hollywood.
Correa demostró en el Eden Concert su pericia en el montaje de
espectáculos al presentar, en el mismo corazón de La Habana,
producciones realmente fabulosas para aquellos tiempos. Amaba con
exaltación devota a sus artistas y los seleccionaba con positivo
acierto. En su pista promovió celebridades..., escribía Carlos M. Palma
en su imprescindible revista Show.
Lo acompañaban en la empresa su esposa, Teresita de España, cupletera
y primera bailarina; el director de orquesta Alfredo Brito y el
coreógrafo Sergio Orta. Los tres lo secundarían en la aventura de
Tropicana, pero ni Brito ni Orta permanecerían muchos años en el nuevo
cabaré. Brito, que era un músico cotizado, viaja a Europa, forma la
orquesta Siboney y asume con el tiempo la dirección musical de Tele
Mundo-Canal 2. Orta también se va a Europa. Trabaja en España y en
Italia. Regresa en 1956 para trabajar como coreógrafo en el cabaré
Montmartre. Luego vuelve a irse a Europa, posiblemente cuando cierran
ese centro nocturno como consecuencia del atentado en que pierde la
vida el teniente coronel Antonio Blanco Rico, jefe del Servicio de
Inteligencia Militar (SIM) de la dictadura de Batista. Regresa después
del triunfo de la Revolución, avanzados ya los años 60. Viene
excesivamente gordo. Pesa unas 500 libras. En el Hospital Diez de
Octubre (Dependientes) lo someten a una cura de adelgazamiento que
resulta exitosa, pero un cáncer termina pasándole la cuenta.
Diferente y sensacional
En Marianao, a la altura de la calle 72, había una finca de recreo
propiedad de Regino Du Rapaire Truffin. La bautizó Villa Mina en honor
de su esposa, Nieves Altuzarra Pérez Chaumont. Eran personas de la
alta sociedad. Truffin, nacido en Cuba de padre francés, fue cónsul de
Rusia en La Habana y presidente de la Cuban Sugar Corporation y del
Havana Yacht Club. Las hijas del matrimonio estaban casadas, una con
Clemente Vázquez Bello, presidente del Senado de la República en
tiempos de Machado y que sería víctima de un atentado en 1932, y la
otra con el millonario Tirso Mesa. Truffin murió alrededor de 1925, y
años después Mina contrajo matrimonio otra vez con un senador
norteamericano, pero volvió a enviudar enseguida: el hombre falleció
durante la misma noche de bodas. Es entonces que decide arrendar la
finca de algo más de dos hectáreas.
Víctor de Correa quería salirse de La Habana y buscaba un lugar
retirado para lanzarse de lleno a una aventura <<diferente, novedosa y
sensacional>>. Visitó la finca y le gustó la gran mansión rodeada de un
bosque tropical de maravilla; el sitio ideal para convertirlo en un
oasis del placer y del juego. No lo pensó dos veces y entró en arreglo
con la propietaria, que le alquiló el predio por cien pesos mensuales
y con el ruego de que respetara la vegetación. A esa altura, se dice,
De Correa era solo la cabeza visible del negocio: actuaba como
testaferro de dos norteamericanos que no daban la cara y que eran en
verdad los que decidían.
Dicen algunos que el cabaré, inaugurado en la noche de San Silvestre
de 1939, se llamó en sus inicios Boite de Nuit. Una antigua empleada
aseguraba haber visto en el Registro de la Patente Fiscal la
inscripción del cabaré como Tropicals Night Club, pero ese documento
no se ha localizado. El nombre de Tropicana --se afirma-- es idea de
Alfredo Brito que, a pedido de Correa, escribió una melodía con ese
título para que sirviera de opening. Pero eso tampoco es seguro, pues
alguien muy cercano al músico afirmó que Tropicana es el nombre de una
producción que se montó en el Eden Concert
--con música de Brito, por supuesto-- y que fue Orta, el coreógrafo,
quien lo sugirió como nombre para el cabaré de Marianao.
Aparece Martín Fox
Martín Fox era un apuntador de terminales en su natal Ciego de Ávila.
Le fue bien en el negocio de la bolita y ascendió de listero a
banquero. Obtenía entonces el grueso de los beneficios, pero corría
los mayores riesgos. Capeó todos los temporales y no demoró en
convertirse en el mayor bolitero de la región. Su <<banco>>, en la calle
Independencia, la principal arteria comercial de la ciudad, era
frecuentado por gente de todos los sectores sociales que apostaban a
la bola o compraban billetes de la Lotería Nacional. Llegó a ser tan
popular que pudo haber aspirado a la alcaldía avileña, pero prefirió
instalarse en La Habana. Aquí empezó a ser conocido como el Guajiro.
Quizá quisieron ofenderlo con el mote, pero Fox lo agradeció, porque
un apodo resultaba conveniente en el terreno peligroso en que se
movía. Para dificultar que la Policía le echara el guante, no dio a su
<<banco>> ubicación fija. Se movía continuamente y no demoró en
controlar la bolita en Centro Habana y en hacerse dueño de una red de
garitos.
En 1943 se sintió suficientemente fuerte para adquirir una
participación en Tropicana, abierto entonces a concesionarios
individuales. Alquiló dos mesas en el casino, una de monte y la otra
de bacará. La II Guerra Mundial había provocado la disminución de la
corriente turística hacia la Isla. Los 126 000 visitantes de 1941, se
redujeron a 12 500 en 1943. La situación del casino de Tropicana no
era boyante, pero a Martín Fox no le importó. Se complacía, por el
momento, con lo logrado, y hábil como era, había sabido hacerse de una
clientela fiel para aquellas dos mesas, que pese a la baja turística
le reportaban ganancias decentes.
Víctor de Correa, en cambio, no se sentía nada feliz con la marcha del
centro nocturno. Una tarde, abrumado por las deudas y los sablazos de
oficiales de la Policía y el Ejército a los que pagaba porque dieran
protección al cabaré, decidió vender a Fox la concesión del casino por
7 000 pesos. El astuto avileño aceptó la oferta. Andando el tiempo
compró el terreno a su propietaria, mientras que Víctor de Correa
quedaba como dueño del cabaré.
Lo que sigue es una historia confusa, no clara del todo incluso para
los que la conocieron en su momento. El cronista Rafael Lam la refiere
en su libro sobre Tropicana; aun así no quedan claros sus detalles al
escribidor.
Según Lam, De Correa decide jugarle una mala pasada a Fox, con quien
sigue en deuda. Entra en contacto con Rolando Masferrer y al amparo de
las ametralladoras de sus gánsteres se lleva de Tropicana el monto de
lo recaudado en los diez días precedentes. Fox no queda con las manos
cruzadas, y paga con la misma moneda, ametralladoras incluidas. Hay un
choque de trenes, pues Fox decide entonces apropiarse del cabaré a
cuenta de los 92 000 pesos que le debe Correa. Ganó el más fuerte, y
Correa quedó liquidado.
Vuelven las vacas gordas
El escribidor lo dice sin rodeo. Fue Martín Fox quien hizo grande a
Tropicana. No es hasta 1950 cuando Fox se convierte en único
propietario del establecimiento. Ya en 1949 el antiguo bolitero de
Ciego de Ávila era todo un potentado.
Fox decide entonces reformar el cabaré. Contrata para ello a la firma
de arquitectos de Max Borges e hijo. Tropicana se transforma. Se crean
las pasarelas aéreas, que permiten a las bailarinas evolucionar entre
las copas de los árboles. Se construye el salón Arcos de Cristal. Se
mejora y embellece el salón Bajo las Estrellas. Max Borges hijo
--Maxito-- obtiene por este trabajo la Medalla de Oro del Colegio de
Arquitectos en 1953.
Desde 1949 las vacas gordas vuelven a Tropicana. Se juega en grande en
el centro nocturno. Hasta en el parqueo se colocan máquinas
traganíqueles y bingos para sacarles dinero a los choferes mientras
esperan por sus patronos. En 1954 se amplía el Casino, y el Salón
Dorado, abierto las 24 horas, se convierte en un lugar popular al que
se puede entrar en mangas de camisa. También funciona un banco de
bolita que sigue los resultados de la lotería de Miami.
Una parte de la ganancia de la bolita va a parar a manos del jefe de
Policía de la demarcación. Pero Martín Fox se mueve alto. Tiene dos
grandes protectores, a los que beneficia con largueza: el coronel y
luego general Roberto Fernández Miranda, cuñado de Batista, y el
coronel Orlando Piedra, jefe del Buró de Investigaciones de la Policía
Nacional, el hombre a quien Batista confía su seguridad. Al dictador,
a través de Fernández Miranda, envía Fox
10 000 pesos a la semana.
Quedaba fuera del reparto de utilidades el teniente coronel Blanco
Rico. Una tarde, buscando su tajada, el jefe de la Inteligencia del
Ejército llegó a El Dorado, puso a empleados y clientes contra la
pared y alegó que ese local no pertenecía a Tropicana. Todo se arregló
en familia, y Fox decidió mandar a unir los dos edificios con una
placa en forma de sombrilla.
¿Y Correa?
Decía Armando Romeu, director de la orquesta de Tropicana: Correa no
pudo soportar el dolor de perderlo todo, especialmente el cabaré,
fruto de años de esfuerzo. No pudo superar el golpe ni la forma
abrupta en que Fox le situó las ametralladoras para volarlo por los
aires, con cabaré y todo.
Correa se convirtió en representante de Los Chavales de España. Es la
primera orquesta española que actuó en EE.UU., en el Waldorf Astoria,
el más reputado hotel de Nueva York entonces. Pero --escribe Carlos M.
Palma-- <<las desilusiones y la pérdida de Tropicana ya habían lacerado
su corazón y muere en Nápoles, cuando abrigaba la esperanza de traer a
Cuba el Follies Bergères, de París>>.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
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