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venerdì 16 gennaio 2015

Pandette

PANDETTE: ha dato del pane

giovedì 15 gennaio 2015

Emissione di nuove banconote

Ufficialmente, dal 1­­­­° febbraio prossimo (domenica) saranno in circolazione i nuovi tagli da 200, 500 e 1000 CUP. Evidentemente si tratta di un nuovo passo in vista dell'unificazione monetaria che vedrà l'abolizione del CUC e la conseguente, inevitabile, "esplosione" dei prezzi. Quello che per adesso, in pratica con doppia circolazione consentita in quasi tutti i settori dell'economia, è un aggiustamento del potere d'acquisto con relazione alle retribuzioni. Non ha nessuna logica la vendita di prodotti nazionali a prezzi di merci d'importazione. I costi all'origine sono ben diversi...Per il momento, solo nel mercato agricolo i prezzi, comunque alti rispetto agli stipendi, sono più contenuti rispetto alle merci poste in vendita nei centri originariamente destinati solo all'acquisto in valuta estera (leggi CUC).

Panciolle

PANCIOLLE: ventre soffice

mercoledì 14 gennaio 2015

Panata

PANATA: per un altra (Napoli)

martedì 13 gennaio 2015

Pampino

PAMPINO: giovinetto tedesco

lunedì 12 gennaio 2015

Morte di Enrique Villuendas, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud rebelde dell'11/1/1

Il cosiddetto “Allargamento” del Vedado, una delle strade trasversali di Ayestarán, porta il nome di Enrique Villuendas, colonnello dell’Esercito di Liberazione assassinato, già nella Repubblica, in piena gioventù. Al numero 409 della calle Concordia, nel quartiere avanero di San Leopoldo, una targa indica il luogo dove nacque, anche se la casa che esibisce detta tavoletta sulla facciata è di costruzione posteriore alla sua data di nascita.
Nella città di Cienfuegos, dove trovò la morte, esiste il parco Enrique Villuendas e un’altra targa, sulla facciata di quello che fu l’hotel La Suiza, ricorda questo fatto.
Horacio Ferrer scrive nel suo libro Con el rifle al hombro: “ Si è scritto molto su quel triste avvenimento. I risultati sono ben conosciuti da tutti, ma il modo esatto di come si sono sviluppati i fatti sono stati falsati da una parte e dall’altra, secondo la convenienza dei politici. I governamentali assicuravano che Villuendas si proponeva, nella notte di quel giorno, la caserma della Polizia e si volle sorprenderlo in fragrante con i candelotti di dinamite; l’opposizione affermò che fu tutto preparato con l’unico fine di assassinare il colto e tance parlamentare”.
Chi fu Enrique Villuendas? Come avvenne la sua morte? Questa è la storia.
Si cerca un pretesto
Le versioni circa l’accaduto differiscono nella loro essenza. Alcuni dicono che Enrique Villuendas concesse di perquisire la sua stanza e altri che si rifiutò, perchè la sua condizione di parlamentare rendeva inviolabile la sua persona e il suo domicilio. Alcuni assicurano che la Polizia cercava pretesti per per sorprenderlo con le mani in pasta e arrestarlo, altri opinano che le autorità aavrebbero aprofittato della perquisizione per incolparlo della detenzione di esplosivo che “avrebbero seminato” sul posto. Per alcuni fu un incidente casuale. Per altri un fatto premeditato. A Enrique Villuendas, giovane rappresentante della Camera, di affiliazione liberale, lo perseguivano nella città di Cienfuegos e si annotarono il punto.
Correva l’anno 1905 e il presidente Tomás Estrada Palma, istigato dall’esecutivo del Partito Moderato, decise di andare alla rielezione. Per garantirglibla vittoria, il suo Gabinetto di Battaglia sembrò superare ogni ostacolo: perseguiva senza tregua i liberali e incarcerava figure prominenti di questo partito, occupava municipi, deponeva sindaci e consiglieri e licenziava funzionari pubblici che non fossero affini al Governo, mentre la stampa, secondo la propria tendenza liberale o moderata, diffondeva notizie a volte carenti di fondamento, ma che infiammavano gli animi dei seguaci...Figure connotate del liberalismo come Juan Gualberto, José Miguel Gómez, Gerardo Machado e Carlos Mendieta, fra molte altre, erano state vittime dell’accanimento del ministro del Governo di Estrada Palma, il generale Fernando Freyre de Andrade, un uomo che durante la Guerra d’Indipendenza non ebbe agli ordini che il suo assistente e che nella pace si convertì in maniaco di abuso d’autorità.
Giunse così il mese di settembre. Il giorno 23 si sarebbero celebrate, in tutto il Paese le elezioni per costituire i collegi elettorali. A Cienfuegos, il senatore José Antonio Frías assumeva la direzione politica governativa e Villuendas dirigeva l’opposizione, ma il 22 alle 11 di mattina, Villuendas era morto e un giorno dopo, i moderati riempivano i collegi e si assicuravano la vittoria nelle elezioni generali del primo di dicembre.

Gira la morte

Nella Guerra d’Indipendenza, Villuendas raggiunse i gradi di colonnello con appena 21 anni d’età. Comandò, durante la contesa, il Reggimento Castillo che combatté agli ordini di José Miguel Gómez. A 24 anni venne eletto membro dell’Assemblea che stese la Costituzione del 1901 – votò a favore dell’Emendamento Platt – e ne aveva 26 quando occupò un seggio alla Camera. Avvocato, grande oratore. Aveva una gradevole presenza fisica e una simpatia traboccante. José Miguel lo amava come un figlio.
Il 22 di settembre, tre ore prima che lo assassinassero, Villuendas scriveva al capo liberale: “Ho potuto convincermi che tanto nel treno della mattina come nel Correzionale nel pomeriggio, si trattava di un complotto contro la mia vita tramato da Frías. Quando ci vedremo le racconterò tutto ciò. Quello che doveva uccidermi è un mulatto, Mantilla, che si svicolò opportunamente e disse che per 20 centesimi non avrebbe rischiato che io uccidessi lui. Quello del pomeriggio, lo stesso Illance, che mi puntò il suo revolver a due passi di distanza...”
Su ciò, nell’edizione del giorno 21, il giornale La Lucha (liberale) dava a conoscere una nota del suo corrispondente a Cienfuegos; “Questo pomeriggio, mentre si celebrava il giudizio correzionale dove Villuendas difendeva l’attivista di propaganda liberale José Fernández (Chichi), accusato falsamente di ingiuriare la polizia, si è formata una forte protesta da parte degli agenti dell’autoritá al comando dei capi Illance, Cueto, Ruíz, Soto e altri. Questi sono entrati nel tribunale, pistola alla mano sloggiando tutti e puntando le armi contro Villuendas che fu di un ammirabile coraggio e sangue freddo...”
Lo stesso giorno 21, La Discusión, giornale rabbiosamente governamentale, restituiva la palla: “In attesa delle elezioni per i collegi, quando sembra assicurata la vittoria del Partito Moderato per la sua forza nell’opinione e la sua brillante organizzazione politica, i liberali di Cienfuegos vollero perturbare la tranquillità al fine di rendere difficile la lotta legittima nelle elezioni. La Polizia Municipale di Cienfuegos ha sequestrato una bomba che secondo quanto si dice fu messa con l’obbiettivo di attentare contro la vita del signor Frías”.
In realtà ci fu violenza, da ambo le parti. Oggi si sa che furono Villuendas, Carlos Mendieta e Orestes Ferrara quelli che incitarono a che si facesse cenere del Municipio di Vueltas per evitare che fosse cosí occupato dalla Commissione del Governo che avrebbe deposto il suo sindaco.

La tragedia

Nell’hotel La Suiza, sito nella calle San carlos numero 103, a mezzo isolato dal Parque Central cienfueghero, trovò la morte Enrique Villuendas. Occupava la stanza numero uno di quell’installazione alberghiera.
La Discusión raccontò i fatti in questo modo: “La polizia, avuta la notizia che nell’hotel La Suiza, dove alloggiava il signor Villuendas, si trovava un deposito di armi, si procedette a una perquisizione. Nel salire le scale dell’albergo, il signor Illance che comandava la forza pubblica, fu aggredito brutalmente da un gruppo di liberali che gli spararono con le armi in loro possesso uccidendolo. Incoraggiati da questo fatto, attaccarono immediatamente la forza pubblica che si è vista costretta a reprimere l’aggressione, facendo delle scariche sul gruppo che li attaccava, si sono visti cadere diversi feriti frai quali il rappresentante liberale Enrique Villuendas che alla fine morí”.
La realtà fu ben diversa anche se, senza dubbio, i primi spari partirono dal gruppo liberale. Il capitano Illance, della Polizia, assieme a due vigilanti si presentò a La Suiza e chiese a Nicanor Sánchez, padrone dell’hotel, che lo conducesse alla stanza del signor Villuendas. Lì aveva luogo la riunione del comitato municipale del Partito Liberale e Villuendas, davanti all’arrivo di Illances, chiese ai presenti che abbandonassero il locale. Horacio Ferrer che alcune ore dopo il fatto arrivò a Cienfuegos come medico di un battaglione del Corpo di Artiglieria, dice che conversò con figure di una e dell’altra parte e che Villuendas, nonostante la sua immunità si prestò a far perquisire la sua stanza.
Il giornalista Manuel Cuéllar Vizcaíno, invece, afferma che si oppose alla perquisizione. Illiance comprese i diritti del Rappresentante alla Camera e chiese al vigilante Parets che lo facesse presente nel rapporto. Parets si dispone a redigere il documento e richiede la presenza di un testimone. Si chiama Nicanor Sánchez, ma questi si rifiuta perché, dice, che invierà immediatamente un uomo di fiducia.
In quel momento esce dalla stanza numero due José Fernández, conosciuto come “Chichi”. Si affronta in un faccia a faccia con Illance e senza pensarci due volte lo fulmina. Parets che è occupato nella redazione del documento, estrae allora il suo revolver, ma Villuendas gli si lancia sopra ingaggiando un corpo a corpo. Chichi spara a Parets e lo ferisce. Il vigilante Andrés Acosta che era rimasto, per ordine del suo capo appostato nel vestibolo dell’albergo, sale e Chichi gli attraversa il petto con uno colpo di pistola. Acosta vuole reprimere l’aggressione, ma Chchi è già fuori dalla sua portata e raggiunge il luogo dove stavano ancora lottando Parets e Villuendas. Spoara e il parlamentare muore sul colpo.
“se uno spettatore fosse stato con l’orologio in mano, prendendo il tempo, non avrebbe contato nemmeno un minutonda quando risuonò il primo colpo contro Illance all’ultimo che tolse la vita a Villuendas, scrive Horacio Ferrer nel suo libro Con el rifle al hombro. Inoltre dice; “Secondo quanto mi informarono, era convenuto che mentre Parets iniziava l’atto di perquisizione nell’albergo, doveva giungere un ufficiale di polizia con due candelotti di dinamite che sarebbero apparse nell’alloggio di Villuendas”, così si sarebbe accusato il parlamentare di voler far saltare la caserma della Polizia.
Il cadavere, denunciò Sanguily nel Senato, fu trascinato giù dalle scale per i piedi e la testa suonava come una tragica campana gradino dopo gradino. Dicono che la morte di Villuendas non era nei calcoli di Frías che voleva, sí, appartarlo dalla lotta elettorale del giorno seguente. Indubbiamente, Frías, non si stancò di proclamare ai quattro venti che egli aveva ordinato l’esecuzione. Ad ogni modo al suo ritorno all’Avana, estrada Palma lo ricevette come un eroe al Palazzo Presidenziale.
(Fonti: Con el rifle al hombro, (Col fucile in spalla, n.d.t.) di Horacio Ferrer e Doce muertes famosas, (Dodici morti famose, n.d.t.) di Manuel Cuéllar Vizcaíno. Con documentazione di Gonzalo Sala).


Muerte de Enrique Villuendas
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
10 de Enero del 2015 20:15:08 CDT

En el llamado Ensanche del Vedado, una de las calles transversales a
Ayestarán lleva el nombre de Enrique Villuendas, coronel del Ejército
Libertador asesinado, ya en la República, en plena juventud. En el
número 409 de la calle Concordia, en el barrio habanero de San
Leopoldo, una tarja indica el lugar donde nació, aunque la casa que
exhibe dicha tableta en su fachada es de construcción posterior a la
fecha de su nacimiento.
En la ciudad de Cienfuegos, donde encontró la muerte, existe el parque
Enrique Villuendas, y otra tarja, en la fachada de lo que fue el hotel
La Suiza, rememora ese hecho.
Escribe Horacio Ferrer en su libro Con el rifle al hombro:
“Mucho se ha escrito sobre aquel triste acontecimiento. Los resultados
son de todos bien conocidos, pero la manera precisa como se
desarrollaron los hechos se ha falseado por uno y otro bando, según
las conveniencias de los políticos. Los gubernamentales aseguraban que
Villuendas se proponía volar la noche de aquel día el cuartel de la
Policía y que se quiso sorprenderlo in fraganti con sus bombas de
dinamita; la oposición afirmó que todo fue preparado con el único fin
de asesinar al culto y tenaz parlamentario”.
¿Quién fue Enrique Villuendas? ¿Cómo ocurrió su muerte?
Esta es la historia.

Se busca un pretexto

Las versiones acerca del suceso difieren en su esencia. Unos dicen que
Enrique Villuendas accedió a que registraran su habitación, y otros,
que se negó porque su condición de parlamentario hacía inviolables su
persona y su domicilio. Algunos aseveran que la Policía buscaba
pretextos para sorprenderlo con las manos en la masa y detenerlo, y
otros opinan que las autoridades aprovecharían el registro para
inculparlo por tenencia de explosivos, que “sembrarían” en el lugar.
Para unos, fue un incidente casual. Para otros, un hecho premeditado.
A Enrique Villuendas, joven representante a la Cámara de filiación
liberal, le cazaron la pelea en la ciudad de Cienfuegos y se lo
llevaron en la golilla.
Corría el año 1905 y el presidente Tomás Estrada Palma, instigado por
el ejecutivo del Partido Moderado, decidió ir a la reelección. Para
garantizarle el triunfo su Gabinete de Combate pareció no deparar en
obstáculos: perseguía sin tregua a los liberales y encarcelaba a
figuras prominentes de ese partido, ocupaba ayuntamientos y deponía a
alcaldes y concejales y cesanteaba a funcionarios públicos que no
fuesen afines al Gobierno, mientras que la prensa, según su tendencia
liberal o moderada, difundía noticias carentes a veces de fundamento,
pero que inflamaban los ánimos de sus seguidores... Figuras connotadas
del liberalismo como Juan Gualberto, José Miguel Gómez, Gerardo
Machado y Carlos Mendieta, entre otras muchas, habían sido víctimas
del ensañamiento del ministro de Gobernación de Estrada Palma, el
general Fernando Freyre de Andrade, un hombre que durante la Guerra de
Independencia no tuvo mando más que sobre su asistente y que en la paz
se convirtió en un maníaco de abuso y autoridad.
Llegó así el mes de septiembre. El día 23 se celebrarían en todo el
país elecciones para constituir los colegios electores. En Cienfuegos,
el senador José Antonio Frías asumía la dirección de la política
gubernamental, y Villuendas dirigiría la oposición, pero el 22, a las
11 de la mañana, Villuendas estaba muerto y un día después los
moderados copaban los colegios y se aseguraban la victoria en los
comicios generales del primero de diciembre.

Ronda la muerte

En la Guerra de Independencia Villuendas ganó los grados de coronel
con solo 21 años de edad. Comandó durante la contienda el Regimiento
Castillo, que combatió a las órdenes de José Miguel Gómez. A los 24
años resultó electo miembro de la Asamblea que redactó la Constitución
de 1901 --votó a favor de la Enmienda Platt-- y tenía 26 cuando ocupó un
escaño en la Cámara. Abogado. Gran orador. Tenía una agradable
presencia física y una simpatía que desbordaba. José Miguel lo quería
como a un hijo.
El 22 de septiembre, tres horas antes de que lo asesinaran, Villuendas
escribía al caudillo liberal: “Pude convencerme que tanto en el tren
por la mañana como en el Correccional por la tarde, se trataba de un
complot contra mi vida tramado por Frías. Cuando nos veamos le contaré
todo esto. El que había de matarme es un mulato, Mantilla, que
oportunamente se encasquilló y dijo que por 20 centenes no se exponía
a que yo lo matara a él. El de por la tarde era el propio Illance, que
me encañonó con su revólver a dos pasos de distancia...”.
Sobre esto, en su edición del día 21, el periódico La Lucha (liberal)
daba a conocer una nota de su corresponsal en Cienfuegos: “Esta tarde,
celebrándose el juicio correccional en que Villuendas defendía al
activo propagandista liberal José Fernández (Chichí) acusado
falsamente de injuriar a la policía se formó un fuerte escándalo por
parte de agentes de la autoridad al mando de los jefes Illance, Cueto,
Ruiz, Soto y otros. Entraron estos, revólver en mano, en el juzgado
correccional desalojando a todo el mundo y apuntando contra
Villuendas, quien estuvo admirable de valor y sangre fría...”.
El mismo día 21, La Discusión, diario rabiosamente gubernamental,
devolvía la pelota: “En vísperas de las elecciones para los colegios,
cuando parece asegurado el triunfo del Partido Moderado por su fuerza
en la opinión y brillante organización política, los liberales de
Cienfuegos quieren perturbar la tranquilidad a fin de dificultar la
lucha legal en los comicios. La policía municipal de Cienfuegos ha
ocupado una bomba que según se dice fue puesta con el objeto de
atentar contra la vida del señor Frías”.
Porque violencia hubo, en verdad, de parte y parte. Hoy se sabe que
fueron Villuendas, Carlos Mendieta y Orestes Ferrara los que instaron
a que se redujese a cenizas el Ayuntamiento de Vueltas para evitar así
que fuera ocupado por la Comisión del Gobierno que depondría a su
alcalde.

La tragedia

En el hotel La Suiza, sito en la calle San Carlos número 103, a media
cuadra del Parque Central cienfueguero, encontró la muerte Enrique
Villuendas. Ocupaba la habitación número uno de esa instalación
hotelera.
La Discusión relató los hechos de esta manera: “Con noticias la
policía de que en el hotel La Suiza, donde se alojaba el señor
Villuendas, se encontraba un depósito de armas, se procedió a
practicar un registro. Al subir el señor Illance, que mandaba la
fuerza pública, las escaleras del hotel, fue agredido brutalmente por
un grupo de liberales, quienes dispararon sobre él sus armas, dándole
muerte. Envalentonados por ese hecho atacaron enseguida a la fuerza
pública, que se vio precisada a repeler la agresión, haciendo una
descarga sobre el grupo que la asaltaba, viéndose caer entre varios
heridos al representante liberal Enrique Villuendas, que resultó
muerto”.
La realidad fue bien distinta, aunque sin duda los primeros disparos
partieron del grupo liberal. El capitán Illance, de la Policía, en
compañía de dos vigilantes, se personó en La Suiza y pidió a Nicanor
Sánchez, dueño del hotel, que lo condujera a la habitación de
Villuendas. Tenía lugar allí la reunión del comité municipal del
Partido Liberal y Villuendas ante la llegada de Illance pidió a los
reunidos que abandonaran el local. Dice Horacio Ferrer, que horas
después del incidente arribó a Cienfuegos como médico de un batallón
del Cuerpo de Artillería y que conversó con figuras de uno y otro
bando, que Villuendas, pese a su inmunidad, se dispuso a autorizar que
registraran su habitación.
El periodista Manuel Cuéllar Vizcaíno, en cambio, afirma que se negó
al registro. Comprendió Illance los derechos del Representante a la
Cámara y pidió al vigilante Parets que lo hiciera constar así en la
diligencia. Parets se dispone a redactar el documento y requiere la
presencia de un testigo. Se llama a Nicanor Sánchez, pero este se
niega porque, aduce, no sabe leer ni escribir y dice que enviará de
inmediato a un hombre de confianza.
En eso sale de la habitación número dos José Fernández, conocido por
“Chichí”. Se enfrenta cara a cara con Illance y sin pensarlo dos veces
lo fulmina. Parets, que está ocupado en la redacción del documento,
saca entonces su revólver, pero Villuendas se le echa encima y se
enfrascan en una lucha cuerpo a cuerpo. Chichí dispara contra Parets y
lo hiere. Sube el vigilante Andrés Acosta, que por órdenes de su jefe
había quedado apostado en el vestíbulo del hotel, y Chichí le
atraviesa el pecho con un balazo. Quiere Acosta repeler la agresión,
pero ya Chichí está fuera de su alcance y acude a donde todavía
forcejean Parets y Villuendas. Dispara y el parlamentario muere en el
acto.
“Si un espectador hubiera estado con reloj en mano tomando el tiempo,
no hubiera contado un minuto desde que sonó el primer tiro contra
Illance al último que privó de la vida a Villuendas”, escribe Horacio
Ferrer en su libro Con el rifle al hombro. Dice además: “Según a mí se
me informó, era lo convenido que mientras Parets iniciara el acta de
constitución en el hotel, debía llegar un oficial de la policía con
dos bombas de dinamita que aparecerían encontradas en el aposento de
Villuendas”, y se acusaría así al parlamentario de querer volar el
cuartel de la Policía.
El cadáver, denunció Sanguily en el Senado, fue arrastrado por los
pies escaleras abajo y la cabeza repicó, como una campana fatídica, de
escalón en escalón. Dicen que la muerte de Villuendas no estaba en los
cálculos de Frías, que quería, sí, apartarlo de la lucha comicial del
día siguiente. Sin embargo, Frías no se cansó de proclamar a los
cuatro vientos que él había ordenado la ejecución. De todas formas, a
su regreso a La Habana, Estrada Palma lo recibió como a un héroe en el
Palacio Presidencial.
(Fuentes: Con el rifle al hombro, de Horacio Ferrer, y Doce muertes
famosas, de Manuel Cuéllar Vizcaíno.
Con documentación de Gonzalo
Sala.)

 
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/


domenica 11 gennaio 2015

Pampero

PAMPERO: albero da frutta argentino

sabato 10 gennaio 2015

Pampano

PAMPANO: niente grandi distese argentine

venerdì 9 gennaio 2015

Paludato

PALUDATO: recatosi al pantano

giovedì 8 gennaio 2015

Punto di vista: Sempre più ristoranti etnici a L’Avana
Pubblicato da Redazione TTC 






Ristoranti Nazdarovie, situato sul lungomare dell’Avana tra Matrioshkas, samovar e manifesti che ricordano l’epoca sovietica.

Agenzia EFE dom, 5 Ottobre 2014, Pubblicato da: Yahoo Finanza
L’Avana.- Un piccolo gruppo di ristoranti etnici si sta aprendo la strada a L’Avana con offerte esotiche che vanno dal pane “naan” Iraniano al “borsch” russo, una sfida per il palato cubano e un’avventura quotidiana per cuochi e gestori di queste attività.
Locali con cibo cileno, brasiliano, svedese, messicano, giapponese, indiano, russo o arabo sono sorti in città grazie al boom della gastronomia privata e, anche se alcuni hanno dovuto chiudere i battenti, altri perseverano nonostante l’instabilità dei clienti e del personale, e la carenza di approvvigionamento.
Il primo ristorante iraniano a Cuba, Topoly, ha aperto due mesi fa su un viale centrale del quartiere di El Vedado rispondendo alla filosofia di “mescolare le culture”, diffondere l’arte di quel paese e introdurre una cucina sconosciuta sull’isola.
“La nostra cucina è molto vicina a quella di Cuba, abbiamo riso, pane, quindi voglio , attraverso la cucina, attivare le persone affinché conoscano la ricca cultura alimentare del mio paese”, ha detto a Efe Farok Nurbakht, sponsor del progetto.
Farok, che per un decennio ha avuto legami con Cuba come promotore culturale, ha approfittato di una visita all’isola di sua sorella, una “cuoca eccellente” per improvvisare un corso di cucina per formare il personale della struttura.
“Non voglio molti clienti nel ristorante, perché non siamo ancora pronti”, ha scherzato Farok, che supervisiona la cucina e ritiene che in futuro avrà grande successo con panini tradizionali “naan” preparati in casa.
Per il Topoly alcuni condimenti come curcuma o menta secca devono necessariamente essere importati a Cuba, dove non ci sono mercati specializzati o all’ingrosso, ci sono carenze e l’alto costo di molti prodotti colpisce la vita quotidiana di queste imprese e ne aumenta i prezzi.
“Importiamo cose come il caviale o il pane nero di segale. La sfida più grande è procurarsi il necessario per preparare il menu, ma per fortuna non abbiamo dovuto ‘cubanizzarlo’ “, ha detto a Efe il cubano Rolando Javier, uno dei tre partner del Nazdarovie di recente apertura.
Situato sul lungomare dell’Avana tra Matrioshkas, samovar e manifesti che ricordano l’epoca sovietica, il locale propone ricette tradizionali come il “shashlik” caucasico o minestre come “Solianka” e “borsch”, mentre il suo bar serve tutti cocktail con vodka.
“Prepariamo piatti retro-sovietici , di regioni che non sono nella geopolitica dell’URSS, ma che si potevano assaggiare nelle sue ex repubbliche. Si tratta di una definizione strana, ma non vogliamo restringere il concetto al solo cibo russo”, ha detto Rolando.
Attualmente la Russia è uno dei maggiori responsabili delle emissioni di turisti a Cuba, un punto di forza per Nazdarovie, che fa appello anche alla nostalgia delle migliaia di cubani che hanno studiato e lavorato in URSS e una comunità di immigrati provenienti da paesi ex-socialisti che oggi rappresenta il 26% dei residenti stranieri presenti sull’isola.
Infatti, quasi tutto il personale è composto da giovani discendenti di quegli immigrati, soprattutto donne, che portano sulle uniformi di servizio il cognome da nubile della madre, e che parlano correntemente il russo e considerano il ristorante come luogo di “riunione “.
Anche se la cucina è tra le attività più dinamiche emergenti del settore privato, per tali stabilimenti attirare i clienti tra turisti che spesso cercano piatti creoli e che preferiscono non rischiare molto al momento di decidere dove spendere i loro soldi è una sfida.
Il prezzo del cibo è alto per le tasche medie in un paese che soffre una crisi economica quasi permanente, con salari bassi e una doppia moneta, quindi cenare al ristorante è fuori dalla portata dei più.
Il proprietario del giapponese Pp’s Teppanyaki, José Francisco Arencibia, vuole che la capacità economica dei cubani cresca e quindi ricevere più visite, mentre “lentamente” la sua attività sta ospitando una clientela locale interessata al sushi e in grado di pagare un menu che “purtroppo” non può essere più economico.
“Questo è un piccolo ristorante ed è un sogno che si avvera. La nostra intenzione è che a L’Avana imparino che cosa è il cibo giapponese e speriamo di durare nel tempo “, ha detto a Efe Arencibia un ingegnere navale cubano ex marinaio di 66 anni che ha imparato i segreti del sushi quando lavorava nei cantieri in Giappone.
Dopo l’apertura delle licenze promosse dal governo di Raúl Castro nel 2010, in coincidenza con la pensione, Arencibia ha aperto il primo locale a casa sua fino a due anni fa quando ha deciso di far crescere l’azienda e si è spostato al centro della città, incoraggiato da amici e clienti.
“Il primo anno è stato difficile”, ammette, ma aggiunge che si propone ora di continuare a crescere e distribuire questo cibo che piace molto sull’isola.
Ispirato da questa dinamica, Pp’s Teppanyaki ha realizzato il suo tributo cubano al sushi, “havana roll” una base di banane fritte e ropa vieja che è tra i piatti più popolari del menu.


Pallonaio

PALLONAIO: noioso

mercoledì 7 gennaio 2015

Palissandro

PALISSANDRO: sostegni in legno di Sandro

martedì 6 gennaio 2015

Pino Daniele, amico di Cuba e amante della sua musica

Come spesso succede e facilmente si prevede, anche quest'anno è iniziato con qualche cattiva notizia. È scomparso anche Pino Daniele che ricordo al suo primo viaggio a Cuba, credo nel 1984, ospite dell'Avana Libre, dove risiedevo. Grande talento musicale, l'animo napoletano non poteva essere indifferente alle sonorità cubane. Durante questo primo soggiorno conobbe Juan Pablo Torres, magico trombonista che aveva appena inciso il suo disco "Algo nuevo" e se lo portò in Italia come componente della sua band. Anche Juan Pablo se n'è andato, alcuni anni fa, a Miami dove si era trasferito, quando aveva lasciato il nostro paese per risiedere dapprima a New York. Di Pino mi rimane il ricordo del video "Che male c'è" girato a Milano in cui c'è una breve apparizione di mia moglie Cecilia. Non abbiamo avuto uno stretto contatto, solo una conoscenza fugace, comunque 59 anni sono sempre pochi per lasciarci. Ciao anche a te Pino.

http://www.youtube.com/watch?v=zYejtL8VPuY

Palanca

PALANCA: per l'anca (Veneto)

lunedì 5 gennaio 2015

Pagliaccetto

PAGLIACCETTO: piccolo clown

domenica 4 gennaio 2015

I piccoli risparmi del generale, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventude Rebelde del 4/1/15

Erano diversi i politici del Partido Revolucionario Cubano (Auténtico) che aspiravano alla propria elezione per la Presidenza della Repubblica in viste delle elezioni generali del 1948.

Assieme al dottor Carlos Prío Socarrás, che alla fine fu eletto, si credevano probabili eletti il dottor Luis Pérez Espinó e l’ingegnere José San Martín. Il primo, autore di libri per le scuole elementari, era stato ministro dell’Educazione del presidente Grau e dette impulso, da questo incarico a una campagna positiva a favore dell’infanzia cubana che sintetizzò con la frase, senza dubbio felice, di “Tutto per il Bambino”.
Il secondo fu un buon  inistro delle Opere Pubbliche nel gabinetto di suo cugino. Fu durante la sua gestione che si iniziò la costruzione della Via Blanca e si tracciò la calle 26 dalla Calzada di Boyeros fino alla 23; si inaugurarono il Giardino Zoologico e il Giardino Botanico, si edificò il Barrio Obrero e fra le molte altre cose si costruì l’edificio dell’Instituto de Segunda Enseñanza de la Vibora. Senza dubbio, i suoi avversari, per sminuirlo lo soprannominarono “Pepe Plazoleta”, per le tante che costruì e fra queste, quella di Agua Dulce.
Aspirava, inoltre, alla nomina presidenziale per il Partido Auténtico, Miguél Suárez Fernández, allora presidente del Senato. Lo chiamavano lo zar della provincia di Las Villas e si calcolava che contasse di 5000 bottiglie, questo era, in posti statali, municipali o dove si era retribuiti senza lavorare,  denaro che ingrossava le sue entrate mensili con le quali beneficiava amici e compagni e corrompeva i suoi rivali.
Un altro personaggio appariva nella lista: José Miguel Alemán, soprannominato “el Bicho” (L’Animaletto, n.d.t.). Occupò il Ministero dell’Educazione e a partire da lì ammassò una fortuna che non si poté mai calcolare esattamente. Secondo alcuni 200 milioni di dollari, secondo altri 600. Denaro che rubò al tesoro della nazione senza che apparisse un solo foglietto che potesse incriminarlo. Tutto quello che rubà, lo portò via in contanti e in contanti effetuò tutte le sue transazioni. Portava sempre addosso 30 o 40 mila pesos. Soleva dire: “per me dare un’elemosina di mille pesos è come, prima, dare dieci centesimi”. Ed effettivamente dava i mille pesos.
I circoli di potere dentro all’Autenticismo, sottovalutavano Pérez Espinó: non lo prendevano in considerazione. Suárez Fernández, nonostante la sua influenza, non godeva il favore del Presidente e nemmeno della Prima Dama, Paulina Alsina, cognata di Grau che era un fattore di peso nelle decisioni del Governo. Paulina non beneficiava nemmeno l’ingegnere San Martín che per il vero fu il creatore del quartiere di Altahabana.
Alemán, in cambio, aveva l’appoggio del Presidente e contava con le simpatie di Paulina. Così ci furono momenti in cui parve che Alemán sarebbe stato il candidato, anche se le forze “autentiche” fecero alla fine la miglior scelta e si decisero per Prío Socarrás, un uomo preparato alla lotta politica – senatore, ministro, delegato alla Convenzione Costituente del 1940 – dai giorni della rivoluzione del ’30 della qiale fu partecipante attivo.
Per quanto fosse il suo valore politico e influenza, le aspirazioni di un politico rimanevano tronche se non lo nominava l’assemblea municipale del suo partito. Vale a dire doveva essere proposto ed eletto come candidato nell’assemblea del municipio dove aveva effettuato la sua affiliazione politica.
Altrimento non c’era denaro o spinta che potesse candidarlo.
In questo senso, Alemán contava con l’appoggio di Nicolás Castellanos, sindaco dell’Avana dal 1946 quando gli toccò sostituire, causa il suo suicidio, Manuel Fernández Supervielle.
Castellanos, inoltre, era il presidente dell’Assemblea del Partido Auténtico  in termini municipali e poteva controllare, pensava Alemán, l’assemblea a suo favore.
Per questo invitò Castellanos alla sua residenza all’ingresso del reparto Kohly. Voleva ottenere in privato il suo appoggio. Affrontò il tema in modo diretto, senza giri di parole.
- Sai che sono un uomo di poche parole – disse e in realltà non lo era, il panico di scena gli impediva di articolare più di quattro parole in pubblico. Era un timore strano, quasi patologico. – Ti ho mandato a cercare perché, come sai, voglio essere presidente e per questo ho bisogno che controlli e manovri l’assemble in mio favore. Naturalmente avrai la tua ricompensa. Dimmi tu il numero e io gli metto sei zeri dietro.
A questo punto è impossibile precisare se Nicolás Castellános si aspettava una proposta come questa. Aspettandola o no, non tardò a rispondere.
- Io non posso farlo – rispose -. Non contare su di me per una cosa simile.
-Se è così, non abbiamo più niente da dirci -. Disse Alemán dando per concluso l’incontro.

Sono un uomo povero

Nel 1960, già a Funchal, l’ex dittatore Fulgencio Batista decise di disfarsi della sua guardia del corpo cubana. Uno di questi uomini il capitano Joaquín Sadulé, capo della scorta, lo accompagnava dal 1934, quando assunse il comando della residenza del capo dell’Esercito – luogo di residenza del Capo di Stato – nella Ciudad Militar de Columbia. Altri, come lo stesso Sadulé, furono al suo fianco il 10 marzo del 1952 e tutti lo accompagnarono alla sua uscita da Cuba all’albe del 1° gennaio del 1959.
Giunta l’ora del commiato, Batista li riunì e disse:
- Mi è completamente impossibile continuare ad avervi al mio fianco.
Credetemi, mi dispiace, ma la mia situazione economica si è deteriorata nel trascorso dell’ultimo anno. Sono un uomo povero...adsso vivo dei piccoli risparmi di Martha, mia moglie.
Lo scriba conversa, in un ristorante di Miami, col l’ex capitano Alfredo J. Sadulé, figlio di Joaquin che fu guardia del corpo di Batista, capo della Sicurezza della Prima Dama e aiyatnte del Presidente. A 82 anni è l’unico collaboratore vivo dell’ex presidente. Dice:
- Il problema era molto semplice. Batista pagava 250 dollari mensili alla sua scorta cubana fino a che trovò una serie di agenti portoghesi che gli facevano il lavoro per 60.
Niente, come diceva molti anni fa in questa stessa pagina, il giornalista Mario Kuchilán, doleva al Generale come il portafoglio.

Nel cortile della cubanìa

Nella sua residenza della Quinta Avenida, angolo 14 a Miramar, c’è uno spazio che il proprietario dell’immobile, Ramón Grau San Martín, battezzò come “il Cortile della Cubanìa”. L’uomo che occupò il primo Magistero  della nazione in due occasioni e che nonostante l’età e i problemi di salute si impegnava a volerlo occupare di nuovo, si riuniva periodicamente con antichi collaboratori, giornalisti e simpatizzanti.
Un giorno, attrverso l’avvocato Ricardo Linares, una specie di incaricato delle relazioni pubbliche dell’anziano ex presidente, un gruppo di giovani chiede udienza a Grau col pretesto di essere suoi ammiratori e che vogliono sentire i suoi consigli e orientamenti. Grau da il consenso all’incontro, ma prima dell’orario della visita si rende conto che quei giovani sarebbero andati per “la picada” (la puntura, n.d.t.): volevano succhiargli un po’ di pesos. Non trova il modo di fare marcia indietro, non ha modo di comunicarsi con loro e nemmeno può fingere un malessere improvviso, altre persone sarebbero andate più tardi al “Cortile della Cubanìa”. I giovani arrivano e Grau non gli da spazio. Chiama Quevedo, suo segretario particolare e gli chiede di portargli l’apparecchio insetticida.
Quando Quevedo lo fa, prende l’apparecchio nelle sue mani e lo aziona in direzione dei postulanti perché, disse,  “qua ci sono zanzare che vogliono farci le loro punture”.
I giovani, con faccia da innocente, dissero quante banalità gli venissero in mente r nessuno osò parlare di denaro che era, in realtà, lo scopo della loro visita.

Questo non ha proteine

Blas Roca, segretario generale del Partido Socialista Popular (Comunista) e Rappresentante alla Camera, visita al palazzo il presidente Grau.
- Dottore, - gli dice – quello del ministro Alemán è intollerabile.
- Cos’ha fatto adesso José Manuel? – chiede il presidente.
- Che nella sua smania di rubare – risponde Blas – adesso ruba i soldi delle colazioni scolastiche.
- Che prove ha, lei, per fare simili accuse?
- Ha sospeso la colazione in tutte le nostre scuole pubbliche...vuole una proba maggiore?
- Lasci che le spieghi. José Manuel ha sospeso le colazioni perché sta preparando un magnifico piano dietetico per l’infanzia cubana.
Blas avvertì una scintilla maliziosa negli occhi di Grau e comprese che, come faceva sempre, se ne sarebbe andato per la tangente. Lo assalì:
- Guardi Dottore, mentre arriva il piano potrebbe almeno distribuire pana con guava-
- Amico, il fatto è che il pane con guava non ha proteine...Glie lo assicuro io che sono medico – affermò Grau e dette per conclusa l’intervista.

Quest’uomo fu mio amico

È fallita la cosiddetta “rivoluzione del lecca, lecca” – febbraio 1917 – e il generale José Miguel Gómez, capoccia dei liberali e capo della rivolta, cade prigioniero. Lo portano all’Avana in treno e la banda che circonda il presidente Menocal vuole accanirsi col prigioniero. Per questo propongono al presidente di farlo camminare, ammanettato, lungo il Paseo del Prado da Neptuno fino alla Punta e poi obbligarlo a tornare sui suoi passi per montarlo, in Neptuno, nel carro gabbia che lo porterebbe alla prigione del Príncipe. Felici della loro iniziativa corsero a commentarla a Menocal. Il Presidente li ascoltò senza guardarli e pulendo gli occhiali con un panno commentò:
- Voi dimenticate che quest’uomo che viene prigioniero e che oggi è mio nemico, fu mio amico. Dimenticate che fu mio compagno nella guerra, un generale dell’Indipendenza che si è coperto di gloria in combattimento.
Voi dimenticate che quest’uomo che fu presidente di questo Paese, ha la sua casa nel Paseo del Prado e io non posso permettere che sua moglie Doña América, una grande cubana, contempli uno spettacolo come questo.
Tutto fu detto, la banda lasciò, aulicamente, lo studio presidenziale con la coda fra le gambe.


Los ahorritos del General
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
3 de Enero del 2015 21:19:23 CDT

Varios eran los políticos del Partido Revolucionario Cubano
(Auténtico) que ansiaban su nominación a la Presidencia de la República con vistas a las elecciones generales de 1948.
Junto al doctor Carlos Prío Socarrás, que a la postre fue el elegido, se creían presidenciales el doctor Luis Pérez Espinó y el ingeniero José San Martín. El primero, autor de libros para la enseñanza primaria, había sido ministro de Educación del presidente Grau e impulsó desde ese cargo una positiva campaña a favor de la niñez cubana que sintetizó en la frase, sin duda feliz, de Todo por el Niño.
El segundo fue un buen ministro de Obras Públicas en el gabinete de su primo. Fue durante su gestión que se inició la construcción de la Vía Blanca y se trazó la avenida 26 desde la Calzada de Boyeros hasta 23; se inauguraron el Parque Zoológico y el Jardín Botánico, se edificó el Barrio Obrero y entre otras muchas otras obras se construyó el edificio del Instituto de Segunda Enseñanza de la Víbora. Sin embargo, sus adversarios, para ningunearlo, lo apodaron “Pepe Plazoleta”, por las muchas que acometió, entre esas la de Agua Dulce.
Aspiraban asimismo a la nominación presidencial por el Partido Auténtico, Miguel Suárez Fernández, entonces presidente del Senado. Le llamaban el zar de la provincia de Las Villas y se calculaba que disfrutaba de unas 5 000 botellas, esto es, puestos estatales o municipales en los que se cobraba sin trabajar; dinero que engrosaba sus entradas mensuales y con el que beneficiaba a correligionarios y amigos y sobornaba a sus contrarios.
Otro personaje aparecía en la lista. José Manuel Alemán, a quien apodaban “el Bicho”. Ocupó la cartera de Educación y a partir de ahí amasó una fortuna que nunca se pudo calcular del todo: 200 millones de dólares, según unos; 600, según otros. Dinero que robó al Tesoro de la nación sin que aparezca un solo papel que lo incrimine. Todo lo que se robó, se lo llevó en efectivo y en efectivo hizo todas sus transacciones. Llevaba siempre encima entre 30 y 40 mil pesos. Solía
decir: Para mí, dar ahora una limosna de mil pesos es como antes dar diez centavos. Y daba los mil pesos, realmente.
Los círculos de poder dentro del Autenticismo pasaban por alto a Pérez
Espinó: no lo tomaban en cuenta. Suárez Fernández, pese a su influencia, no gozaba del favor del Presidente ni de la Primera Dama, Paulina Alsina, cuñada de Grau, que era un factor de peso en las decisiones del Gobierno. Tampoco beneficiaba Paulina al ingeniero San Martín, que sería, por cierto, el creador del reparto Altahabana.
Alemán, en cambio, tenía el apoyo del Presidente y contaba con las simpatías de Paulina.
Así, hubo momentos en que pareció que Alemán resultaría el candidato, aunque las fuerzas auténticas hicieron al final la elección mejor y se decidieron por Prío Socarrás, un hombre curtido en la lucha política --senador, ministro, delegado a la Convención Constituyente de 1940-- desde los días de la Revolución del 30 de la que fue participante activo.
Por mucho que fuera su valimiento e influencia, las aspiraciones de un político quedaban truncas si no lo nominaba la asamblea municipal de su partido. Es decir, debía ser propuesto y elegido como candidato en la asamblea del municipio donde se había hecho su afiliación política.
Si no, no había dinero ni palanca que consiguieran nominarlo.
En ese sentido Alemán requería del apoyo de Nicolás Castellanos, alcalde de La Habana desde 1946 cuando le tocó sustituir, tras su suicidio, a Manuel Fernández Supervielle. Castellanos era además el presidente de la Asamblea del Partido Auténtico en ese término municipal, y podía controlar, pensaba Alemán, la asamblea a su favor.
Por eso invitó a Castellanos a su residencia a la entrada del reparto Kohly. Quería, en privado, recabar su concurso. Abordó el asunto de manera directa, sin rodeos.
--Sabes que soy hombre de pocas palabras --dijo y en verdad lo era; más aún, el miedo escénico le impedía articular más de cuatro palabras en público. Era un temor raro, patológico casi.
--Te mandé buscar porque, como sabes, quiero ser presidente, y para eso necesito que controles y manipules la asamblea a mi favor. Tendrás, por supuesto, tu recompensa. Dime tú el número inicial que yo le pongo seis ceros detrás.
Es imposible precisar a estas alturas si Nicolás Castellanos esperaba una propuesta como esa. Esperándola o no, no demoró en contestar.
--Yo no puedo hacer eso --respondió--. No cuentes conmigo para semejante cosa.
--Si es así, nada más tenemos que conversar --dijo Alemán y dio por terminada la entrevista.

Soy un hombre pobre

En 1960, ya en Funchal, el ex dictador Fulgencio Batista determinó deshacerse de su escolta cubana. Uno de esos hombres, el capitán Joaquín Sadulé, jefe de la escolta, lo acompañaba desde 1934, cuando asumió la jefatura de la custodia de la residencia del jefe del Ejército --luego residencia del jefe de Estado-- en la Ciudad Militar de Columbia. Otros, como el mismo Sadulé, estuvieron a su lado el 10 de marzo de 1952, y todos lo acompañaron en su salida de Cuba en la madrugada del 1ro. de enero de 1959.
Tocaba la hora de la despedida. Batista los reunió y les dijo:
--Me resulta totalmente imposible continuar manteniéndolos a mi lado.
Créanme que lo siento, pero mi situación económica se ha deteriorado en el transcurso del último año. Soy un hombre pobre... vivo ahora de los ahorritos de Martha, mi esposa.
En un restaurante de Miami conversa el escribidor con el ex capitán Alfredo J. Sadulé, hijo de Joaquín, que fue escolta de Batista, jefe de la seguridad de la Primera Dama y ayudante presidencial. Con 82 años de edad, es el único ayudante vivo del ex mandatario. Comenta:
--El problema era bien sencillo. Batista pagaba 250 dólares mensuales a sus escoltas cubanos cuando consiguió a una serie de ex agentes de la policía portuguesa que le hacían el trabajo por 60.
Nada, que como decía hace muchos años, en esta misma página, el periodista Mario Kuchilán, al General lo que más le dolía era el bolsillo.

En el patio de la cubanidad

En su residencia de Quinta Avenida esquina a 14, en Miramar, hay un espacio que el propietario del inmueble, Ramón Grau San Martín, bautizó como El Patio de la Cubanidad. El hombre que ocupó la primera magistratura de la nación en dos ocasiones y que pese a la edad y los quebrantos de salud se empeñaba en volver a ocuparla, se reunía periódicamente allí con antiguos colaboradores, periodistas y simpatizantes.
Un día, a través del abogado Ricardo Linares, una especie de encargado de relaciones públicas del anciano ex presidente, pide audiencia a Grau un grupo de jóvenes con el pretexto de que son sus admiradores y quieren oír sus consejos y orientaciones. Grau accede al encuentro, pero antes de la hora de la visita se entera de que aquellos jóvenes iban por la “picada”: querían sacarle algunos pesos. No encuentra forma de dar marcha atrás, pues no tiene forma de comunicarse con ellos ni tampoco puede fingir una indisposición repentina, pues otras personas acudirían esa tarde al Patio de la Cubanidad.
Llegan los jóvenes y Grau no les da chance. Llama a Quevedo, su secretario particular, y le pide que traiga el aparato de insecticida.
Cuando Quevedo lo hace, toma el aparato en sus manos y lo acciona en dirección a los pedigüeños porque, aseguró, hay aquí mosquitos que quieren mortificarnos con sus picadas.
Los jóvenes, con caras de Yo-no-fui, dijeron cuantas banalidades vinieron a sus mentes y ninguno se atrevió a hablar de dinero, que era, en realidad, el móvil de su visita.

Eso no tiene proteínas

Blas Roca, secretario general de Partido Socialista Popular
(Comunista) y Representante a la Cámara, visita en Palacio al presidente Grau.
--Doctor --le dice-- lo del ministro Alemán es ya intolerable.
--¿Qué hizo ahora José Manuel? --inquiere el mandatario.
--Que en su afán de robar--responde Blas-- se roba ahora los dineros del desayuno escolar.
--¿Qué pruebas tiene usted para hacer una acusación como esa?
--Suspendió el desayuno escolar en todas nuestras escuelas públicas...
¿Quiere usted prueba mayor?
--Déjeme explicarle. José Manuel suspendió el desayuno escolar porque está preparando un magnífico plan dietético para la niñez cubana.
Blas advirtió el chispazo malicioso en los ojos de Grau y comprendió que, como solía hacer, se le iría por la tangente. Lo atajó:
--Mire, Doctor, mientras el plan dietético llega, por lo menos podía repartir pan con guayaba.
--Es que, amigo, el pan con guayaba no tiene proteínas... Se lo aseguro yo, que soy médico  --afirmó Grau y dio por concluida la entrevista.

Ese hombre fue mi amigo

Ha fracasado la llamada Revolución de la Chambelona --febrero de 1917-- y el general José Miguel Gómez, caudillo de los liberales y jefe de la revuelta, cae prisionero. Lo traen a La Habana, en tren, y la camarilla que rodea al presidente Menocal quiere ensañarse con el caído. Por eso proponen al mandatario hacerlo caminar esposado a lo largo del Paseo del Prado desde Neptuno hasta La Punta y obligarlo luego a volver sobre sus pasos para, en Neptuno, montarlo en el carro-jaula que lo conduciría a la prisión del Príncipe. Felices con su iniciativa, corrieron a comentarla con Menocal. El Presidente los escuchó sin mirarlos y limpiando las gafas con un pequeño lienzo,
comentó:
--Ustedes olvidan que ese hombre que viene preso y que hoy es mi enemigo, fue mi amigo. Olvidan que fue mi compañero en la guerra, un General de la Independencia que se cubrió de gloria en el combate.
Ustedes olvidan que ese hombre, que fue presidente de este país, tiene su casa en el Paseo del Prado y yo no puedo permitir que su esposa Doña América, una gran cubana, contemple un espectáculo como ese.
Todo estaba dicho. La camarilla áulica abandonó el despacho presidencial con el rabo entre las piernas.

Ciro Bianchi Ross



sabato 3 gennaio 2015

Ozio

OZIO: il fratello di un genitore (Centro Sud)

venerdì 2 gennaio 2015

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OVVERO: la verità (Napoli)

giovedì 1 gennaio 2015

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mercoledì 31 dicembre 2014

La Storia non è acqua...

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OVINO: il vino (Napoli)

martedì 30 dicembre 2014

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OVILE: l'infingardo (Napoli)

lunedì 29 dicembre 2014

Casi e cose dell'Avana di ieri, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su juventud Rebelde del 28/12/14

Durante il XIX secolo la tavola delle famiglie nobili cubane e delle persone potenti dell’epoca, era sempre imbandita per gli amici ed allora era sempre comune che apparisse una visita inattesa e che senza invito, decidesse di fermarsi a mangiare. Tanto nelle cene informali come quelle di gala dopo aver mangiato un piatto di carne, tutti i commensali si ritiravano dalla tavola e andavano nel giardino della residenza o in un salone attiguo alla sala da pranzo al fine che la servitù ritirasse i piatti usati e collocasse quelli per il dolce. Avvisati che il dolce era servito, tutti i commensali tornavano in sala da pranzo rioccupando il proprio posto a tavola.
Nelle sue memorie scritte nel 1843, la contessa Calderón de la Barca, moglie di un ambasciatore spagnolo in Messico, riferisce al suo passaggio dall’Avana, le attenzioni di cui fu oggetto e riferisce della cena in suo onore che offrirono i conti di Fernandina nella loro residenza della calle Mercaderes, 24. Dice: “Ero seduta tra il Conte di Fernandina e il Conte di Santovenia, la cena fu servita in vasellame di porcellana francese di color bianco e adornata in oro, particolarmente bella. Dopo la cena, secondo l’abitudine cubana, noi commensali ci alzammo tutti e ci recammo in una sala vicina a quella da pranzo, mentre la servitù ordinava la tavola per servire i dolci che consistevano in bocconcini d’uovo, dolci di diverso tipo, gelati e frutta”.

Di spesa

Agli inizi del XIX secolo, le dame avanere, quando andavano per negozi, non abbandonavano il calesse perché a quei tempi era di cattivo gusto che le dame visitassero gli esercizi per fare le loro compere.
L’incaricato portava fino al loro veicolo le pezze di tela e gli altri oggetti, quindi loro sceglievano cosa comprare.
Era anche abitudine, allora, che le pelletterie inviassero a casa delle famiglie un dipendente con 12 o 14 scatole di scarpe perché le dame scegliessero il modello che gli piacesse. A volte, il poveretto, si vedeva obbligato a trasportare le scatole più volte, con viaggi di andata e ritorno, fino a che loro trovassero una scarpa che le piacesse e che fosse della misura del loro piede.

Zanzare, granchi e castighi   
             
Nel XVII secolo, solo in alcune strade – Oficios, Mercaderes, Real o Muralla, Teniente Rey o el Basurero...- le case obbedivano a un’allineamento e un’equidistanza. Nel resto della città si costruiva a casaccio, vale a dire, ciscuno costruiva la sua casa dove e come lo credesse conveniente. Gli edifici erano, generalmente di legno e per la protezione erano circondate da palizzate aguzze.
Le zanzare erano insopportabili e i granchi che uscivano di notte dai loro nascondigli per cercare cibo fra i detriti e l’immondizia domestica, facevano un tal rumore che li si prendeva per gli invasori inglesi.
La città si riforniva delle acque del río Casiguagua (Chorrera) che grazie al Fossato Reale arrivava fino al Callejón del Chorro, vicino a quella che sarà la Plaza de la Catedral che allora si chiamava Plaza de la Ciénaga, un terreno affondato e pantanoso. Anteriormante, gli avaneri bevevano l’acqua piovana che si raccoglieva in un grande invaso costruito in Plaza de Armas o da quella che si trasportava, cattiva e sporca, dal río Luyanó.
El negro, era per un gruppo, un semplice strumento di arricchimento materiale,e conseguenza di ció fu il sistema barbaro che si generalizzó in applicare crudeli punizioni. A quello che fuggiva per la prima volta lo si frustava ferocemente. Se reincideva gli si tagliava un’orecchia e se tornava a scappare, l’altra.
Il Municipio condannava con dure pene corporali gli infrattori delle ordinanze, quando erano negri.

Fabbriche di sigarette dell’Avana

Nell’anno 1859, esistevano all’Avana circa 38 fabbriche di sigarette nelle quali si guadagnavano la giornata circa 2300 operai. Secondo statistiche dell’epoca questi lavoratori fecero, in quell’anno, circa 97 milioni di pacchetti di sigarette da 32 pezzi ciascuna, per un valore di mezzo milione di pesos.
Fra queste tabaccherie, venne ad avere grand rilevanza quella fondata nell’anno 1853 dal signor Luis Susini, col nome di La Honradez. Questo industriale fu il primo ad applicare il vapore come forza motrice all’industria del tabacco, arrivando a produrre oltre due milioni e mezzo di sigarette al giorno.
I pacchetti di questa fabbrica riproducevano eccellenti litografie con immagini dell’Avana e anche fotografie di personaggi celebri di allora. Si vedevano belle dame vestite elegantemente con abiti dell’epoca o altre vedute di interesse storico o artistico cosí come elementi di strada di ogni tipo.

I leoni di fernandina  
         
Manuel González y Carvajal, proprietario della marca di sigari Cabañas y Carbajal era un uomo ricchbissimo. Ma l’aristocrazia avanera lo chiama con disprezzo “il Tabaccaio”. Il Nostro si reca in Spagna e colà rende numerosi servigi alla Corona spagnola e come pagamento dei suoi servizi riceve il titolo di Marchese di Pínar del Río. Tornó a Cuba col suo titolo, ma l’aristocrazia avanera continuó a chiamarlo con disprezzo “il Tabaccaio”.
Nella calzada del Cerro abitavano, di fronte, il marchese di Pínar del Río e il Conte di Fernandina, grande di Spagna. Questo aveva come tutti i grandi dell’aristocrazia, all’ingresso della sua residenza, i due leoni che accreditavano la sua condizione. Il marchese si innamoró di essi e volendoli avere uguali, incaricò uno scultore di riprodurli. Auando furono pronti li fece collocare all’entrata principale di casa sua, nell’identica posa del suo vicino. Si dice che il conte di Fernandina, uscendo di casa una mattina e notando l’esistenza di due leoni uguali ai suoi, nella porta del marchese di Pínar del Río. Provò tale contrarietà che dette ordine a un marmista di togliere i suoi daal luogo dove si trovavano e li mettesse dentro al giardino della sua residenza di modo che non soffrissero l’umiliazione dei leoni impuri del marchese.
I Fernandina, nel 1894, persero il loro palazzo del Cerro, la casa di Parigi, lo zuccherificio e tutte le loro proprietà, compresa la preziosa collezione di opere d’arte. Tutto quello che possedevano passò nelle mani del loro rappresentante. La rovina fu conseguenza di affari sfortunati, della crisi dell’industria zuccheriera e degli sprechi di lusso che fecero i Conti a Parigi, dove alternarono e frequentavano la più evidente e benestante nobiltà della corte di Napoleone III. Molti ricchi di allora avevano l’abitudine di lasciare i loro beni a Cuba, in mano di rappresentanti ai quali chiedevano frequentemente di inviare denaro in Europa. Risultò che più di una famiglia, al ritorno sull’Isola, trovava l’amministratore dei propri beni godendo della loro fortuna nelo stesso palazzo.
Allora i Fernandina andarono a vivere nella casa dove oggisi trova l’ospedale pediatrico del Cerro e prima la clinica dell’Associazione delle Cattoliche Cubane, nella Calzada del Cerro e Santa Teresa che presero in affitto. Lì, con i centesimi che riuscirono a salvare dal disastro offrirono, nel 1894, alla infanta Eulalia sorella di Alfonso XII Re di Spagna, una delle feste più lussuose dell’Avana coloniale comparabile solo, afferma la cronaca avanera, al ballo in maschera che il Capitano Generale Duque de la Torre e sua moglie, la cubana Conchita Borrel offrirono, nel 1863 nel Palazzo del Governo e al ballo con cui si festeggió, al suo passaggio da Cuba, il principe Alessio, figlio dello zar di tutte le Russie.
La casa di Fernandina fu, nel XX secolo, sede della clinica Associazione Cubana di Beneficenza e oggi è in rovina. La casa del marchese di Pínar del Río, nella Calzada del Cerro, angolo Carvajal, sfida ancora il tempo e conserva i suoi leoni di marmo.

Principe della galanteria

Se il conte di Fernandina e il marchese di Pínar del Río, come quasi tutta la nobiltà cubana, avevano leoni di pietra o di marmo che custodivano l’entrata principale delle loro residenze, il conte di Lombillo esibiva, nella porta principale della sua nella Calzada de Infanta, quasi angolo con Estevez, due dragoni di grande misura di ferro fuso.
In quella residenza – i Lombillo avevano un altro palazzo nella Plaza de la Catedral – si offrivano grandi eventi, feste che risultavano molto animate per la qualità e quantità degli invitati.
In un’epoca in cui non esisteva ancora all’Avana, l’illuminazione pubblica col gas, Lombillo faceva illuminare con torce la parte esterna dell’edificio e i giardini.
Una sra di ricevimenti nella residenza, un gruppo di giovani apparentemente ubriachi, si dette da fare per incendiare la casa servendosi delle torce che illuminavano l’area esterna. La rapida e decisa risposta di diversi invitati frustrò il tentativo che si ridusse a due o tre tendaggi bruciacchiati con il conseguente spavento.
Il conte di Lombillo fu un principe della galanteria. Dopo aver passato moilti anni in Europa, dove fu protagonista di roventi amori con dame altolocate e attrici famose, tornò a Cuba per amministrare i beni paterni.
Fu un fantino entusiasta e nei suoi dintorni ci furono sempre eccellenti esemplari da tiro e da monta. I suoi cavalli avevano fama di essere i migliori di Cuba.

Gli anelli della marchesa

La marchesa di Pínar del Río aveva gran predilezione per gli anelli, all’estremo che accudiva con frequenza alle aste che si celebravano nelle case di pegno e comprava anelli che le piacevano a prezzi  molto favorevoli. Ma, come successe in più di un’ occasione si innamorava di una di queste gioie e non le preoccupava alzare la sua offerta a un valore che eccedeva quello reale, pur di poterla acquisire.
Si racconta che alla sua morte, gli eredi trovarono nella cassetta di sicurezza che aveva nei caveaux di una nota istituzione bancaria, oltre 200 anelli di diverse forme, alcune di grande valore, per la misura e qualità delle loro pietre.
Fonti: Testi di luis Bay, Emilio Roig e Ramón A. Catalá.



 Casos y cosas de La Habana de ayer

Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
27 de Diciembre del 2014 18:49:51 CDT

Durante el siglo XIX la mesa de las familias nobles cubanas y de la
gente pudiente de la época estaba puesta siempre para los amigos, y
era corriente entonces que una visita que aparecía de manera
inesperada y, por tanto, sin invitación, decidiera quedarse a comer. Y
tanto en las comidas informales, como en las de gran cumplido, al
comer el plato de carne todos los comensales se retiraban de la mesa y
aguardaban en el jardín de la residencia o en un salón contiguo al
comedor a fin de que la servidumbre retirara los platos usados y
colocara los del postre. Avisados de que el postre estaba servido,
todos los comensales regresaban al comedor y ocupaban sus puestos en
la mesa.
En sus Memorias, escritas en 1843, la condesa de Calderón de la Barca,
esposa de un embajador español en México, alude a su tránsito por La
Habana y a las atenciones de que fue objeto, y refiere la comida que
en su honor ofrecieron los condes de Fernandina en su residencia de la
calle Mercaderes 24. Dice: “Estuve sentada entre el Conde de
Fernandina y el Conde de Santovenia, siendo servida la comida en una
vajilla de porcelana francesa de color blanco y adornada en oro,
particularmente bella. Después de la comida, según la costumbre
cubana, nos levantamos los comensales y fuimos a una habitación
cercana al comedor, mientras la servidumbre arreglaba la mesa para
servir los postres, que consistían en bocaditos de huevo, dulces de
distintas clases, helados y frutas”.

De compras

En los comienzos del siglo XIX las damas habaneras cuando iban de
tiendas no abandonaban el quitrín, porque en aquella época era del mal
gusto que las damas visitaran los establecimientos para hacer sus
compras.
El dependiente traía hasta su vehículo las piezas de tela y demás
objetos y entonces ellas elegían lo que deseaban comprar.
Era costumbre entonces también que las peleterías enviasen a las casas
de familias a un empleado con 12 o 14 cajas de zapatos para que las
damas eligieran el modelo que les agradara. En ocasiones el infeliz
dependiente se veía obligado a cargar las cajas varias veces, en
viajes de ida y vuelta, hasta que ellas encontraran un zapato que les
gustara y que estuviera a la medida de su pie.

Mosquitos, cangrejos y castigos

En el siglo XVII, solo en algunas calles --Oficios, Mercaderes, Real o
Muralla, Teniente Rey o el Basurero...-- las casas obedecían a una
alineación y equidistancia. En el resto de la ciudad se construía a la
diabla, es decir, cada quien construía su casa donde y como lo creía
conveniente. Las edificaciones eran por lo general de madera y para su
protección se rodeaban de tunas bravas.
Los mosquitos se hacían insoportables y los cangrejos que por las
noches salían de sus escondites en busca de los desperdicios de las
basuras domésticas, metían tal ruido que no era raro que se les tomara
por invasores ingleses.
La ciudad se surtía de las aguas del río Casiguagua (Chorrera), que
gracias a la Zanja Real llegaba hasta el Callejón del Chorro, próximo
a lo que sería la Plaza de la Catedral y que se llamaba entonces Plaza
de la Ciénaga, un terreno anegado y cenagoso. Con anterioridad los
habaneros bebían del agua de lluvia que se recogía en un gran aljibe
que se construyó en la Plaza de Armas, o de la que se traía, mala y
sucia, del río Luyanó.
El negro era para un grupo un mero instrumento de enriquecimiento
material, y consecuencia de ello fue el bárbaro sistema que se
generalizó de aplicarle crueles castigos. Al que huía por primera vez
se le azotaba ferozmente. Si reincidía se le cortaba una oreja y la
otra si volvía a escaparse. El Cabildo condenaba con duras penas
corporales a los infractores de las ordenanzas municipales, cuando
eran negros.

Cigarrerías de La Habana

En el año 1859 existían en La Habana unas 38 cigarrerías en las que
ganaban su jornal unos 2 300 obreros. Según estadísticas de la época,
esos trabajadores hicieron en dicho año unos 97 millones de cajetillas
de 32 cigarros cada una, con un valor de medio millón de pesos.
Entre esas cigarrerías llegó a tener gran preponderancia la fundada en
el año 1853 por el señor Luis Susini, con el nombre de La Honradez.
Este industrial fue el primero que aplicó el vapor como fuerza motriz
a la industria del cigarro, llegando a producir más de dos millones y
medio de cigarrillos al día.
Las cajetillas de esta fábrica reproducían excelentes litografías con
vistas de La Habana y también fotografías de personajes célebres de
entonces. También se veían bellas damas ricamente ataviadas con trajes
de la época y otras vistas de interés histórico o artístico, así como
tipos callejeros de todas clases.

Los leones de Fernandina

Manuel González y Carvajal, propietario de las marcas de puros Cabañas
y Carvajal, era un hombre riquísimo. Pero la aristocracia habanera le
llamaba con desprecio “el Tabaquero”. Viaja el sujeto a España y allá
hace cuantiosos favores a la Corona española y, en pago a sus
servicios, recibe en Madrid el título de marqués de Pinar del Río.
Volvió a Cuba con su título, pero la aristocracia habanera siguió
llamándole con desprecio “el Tabaquero”.
En la Calzada del Cerro vivían frente a frente el marqués de Pinar del
Río y el conde de Fernandina, grande de España. Tenía este emplazado a
la entrada de su residencia, como todo miembro de la aristocracia, los
dos leones que acreditaban su condición. Se enamoró el marqués de
ellos y queriéndolos tener iguales encargó a un escultor que los
reprodujera. Cuando estuvieron listos mandó a colocarlos en la entrada
principal de su casa, en idéntica situación que los de su vecino.
Se cuenta que el conde de Fernandina, al salir una mañana de su casa y
advertir la existencia de los dos leones iguales a los suyos en la
puerta principal de la casa de su vecino el marqués de Pinar del Río,
experimentó tal contrariedad que dio orden a un marmolista para que
procediera a retirar los suyos del sitio en que estaban y los situara
dentro del jardín de su residencia a fin de que no sufrieran la
humillación de los leones espurios del marqués.
Los Fernandina, en 1894, perdieron su palacio del Cerro y la casa de
París, el ingenio azucarero y todas sus propiedades, incluida su
valiosa colección de arte. Todo lo que poseían pasó a manos de su
apoderado. La ruina fue consecuencia de negocios desafortunados, de la
crisis de la industria azucarera y del derroche de lujo que hicieron
los condes en París, donde alternaron y emularon con la más rancia y
acaudalada nobleza de la corte de Napoleón III. Muchos ricos de
entonces tenían la costumbre de dejar sus bienes en Cuba en manos de
apoderados a quienes con frecuencia pedían que les remitieran dinero a
Europa. Resultaba que más de una familia, al regresar a la Isla,
encontraba al administrador de sus bienes disfrutando de su fortuna en
su propio palacio.
Fueron a vivir entonces los Fernandina a la casa donde está instalado
hoy el hospital pediátrico del Cerro, y antes la clínica de la
Asociación de Católicas Cubanas, en la Calzada del Cerro y Santa
Teresa, que tomaron en alquiler. Allí, con los quilitos que lograron
salvar del desastre, ofrecieron en 1894, a la infanta Eulalia, hermana
de Alfonso XII, rey de España, una de las fiestas más sonadas de La
Habana colonial, comparable solo, afirma la crónica habanera, al baile
de disfraces que el Capitán General Duque de la Torre y su esposa, la
cubana Conchita Borrell, ofrecieron en 1863, en el Palacio de
Gobierno, y al baile con que se agasajó, a su paso por Cuba, al
príncipe Alejo, hijo del zar de todas las Rusias.
La casa de Fernandina fue, en el siglo XX, sede de la clínica
Asociación Cubana de Beneficencia y hoy es una ruina. La casa del
marqués de Pinar del Río, en la Calzada del Cerro esquina a Carvajal,
aún desafía al tiempo y conserva sus leones de mármol.

Príncipe de la galantería

Si el conde de Fernandina y el marqués de Pinar del Río, al igual que
casi toda la nobleza cubana, tenían leones de piedra o de mármol que
guardaban las entradas principales de sus residencias, el conde de
Lombillo exhibía en la puerta principal de la suya, en la Calzada de
Infanta, casi esquina a Estévez, dos dragones de gran tamaño fundidos
en hierro.
En aquella residencia --tenían los Lombillo otro palacio en la Plaza de
la Catedral-- se ofrecían grandes saraos, fiestas que resultaban muy
animadas por la calidad y cantidad de sus invitados.
En una época en la que aún no existía en La Habana alumbrado público
de gas, Lombillo hacía iluminar con antorchas la parte exterior del
edificio y los jardines.
Una noche de recibo en la residencia, un grupo de jóvenes, embriagados
al parecer, se empeñó en prenderle fuego a la casa valiéndose de las
antorchas que iluminaban el área exterior. La rápida y decidida
intervención de varios invitados frustró el incendio, que se redujo a
dos o tres cortinas chamuscadas y el susto consiguiente.
El conde de Lombillo fue un príncipe de la galantería. Después de
pasar muchos años en Europa, donde protagonizó sonados amores con
damas de abolengo y actrices famosas, regresó a Cuba para administrar
los bienes paternos.
Fue un jinete entusiasta y en sus cuadras hubo siempre excelentes
ejemplares de tiro y monta. Sus caballos tenían fama de ser los
mejores de Cuba.

Las sortijas de la marquesa

La marquesa de Pinar del Río tenía gran predilección por las sortijas,
a extremo tal que concurría con frecuencia a los remates que
celebraban las casas de préstamos y adquiría sortijas que eran de su
agrado a precios muy favorables. Pero, como ocurrió más de una vez, si
se enamoraba de una de esas prendas no le preocupaba elevar su oferta
a una cantidad que excedía en ocasiones su valor real, con tal de
poderla adquirir.
Se cuenta que al ocurrir su fallecimiento, los herederos encontraron
en la caja de seguridad que mantenía en la bóveda de una conocida
institución bancaria, más de 200 sortijas de distintas formas, algunas
de gran valor, por el tamaño y calidad de sus piedras.
Fuentes: Textos de Luis Bay, Emilio Roig y Ramón A. Catalá.

Ciro Bianchi Ross
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