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mercoledì 22 luglio 2015
martedì 21 luglio 2015
lunedì 20 luglio 2015
Ce ne andiamo alla spiaggia, di Ciro Bianchi Ross
- Pubblicato su Juventud Rebelde del 19/7/15
Il senatore Alfredo Hornedo
y Suárez, “il molto illustre senatore Hornedo”, come si nominava sempre nel suo
giornale El País, giunse alla direzione delle rotative della calle Reina
furioso. Aveva appena appreso che gli avevano negato l’ingresso all’Habana
Yacht Club. Concessionario del Mercato Generale dell’Avana, proprietario di tre
giornali e in procinto di costruire quello che sarebbe stato in quel momento il
teatro più grande del mondo – Blanquita, oggi Carlos Marx -, l’audace
imprenditore non poteva credere a quello che stava succedendo proprio a lui.
Aveva soldi a sufficienza per essere ammesso a quell’installazione, ma quella
società grettamente intollerante non gli perdonava, nonostante la sua fortuna e
la sua posizione politica, il colore della sua pelle. Hornedo era mulatto e
l’Habana Yacht Club lo considerava “palla nera”, come nella stessa epoca si
considerava anche il colonnello Fulgencio Batista, allora capo dell’Esercito.
Irritato, offeso
dall’umiliazione, Hornedo fece chiamare nel suo ufficio Pablo Álvarez de Caña,
cronista sociale de El País e dopo avergli raccontato l’accaduto gli dette
l’avvertimento:
-Mi ascolti bene, Pablito,
mi ascolti...a partire da adesso non mi venga a menzionare l’Habana Yacht Club
nella sua colonna. Nemeno una parola...
Il cronista non poté
trattenere le smorfie né dissimularle. Privarlo di menzionare l‘HYC era come
ucciderlo. Non solo lui era socio dell’esclusiva installazione, ma da lì
uscivano i pettegolezzi più succosi che poi circolavano di bocca in bocca,
nell’Avana elegante. Cercò una difesa.
- Non mi sembra il
caso, signor Hornedo, non mi sembra il caso.
Hornedo insistette nella negazione di
cui era stato oggetto e non voleva sentire ragioni. Pablo tornò alla carica.
-Non voglio credere che
lei si metta alla pari di quella gente che perde il suo tempo e spreca il suo
denaro. Lei è un uomo laborioso, senatore, un uomo che si è fatto da se. È
molto al di sopra di quella gente. Con la sua fortuna e in procinto di accedere
alla presidenza del Partito Liberale, cosa le può importare entrare o no
all’Habana yacht Club?
Le parole di Álvarez de
Caña fecero si che Hornedo ricapitolasse in un istante tutta la sua vita. Certo
che si era fatto da solo. Era stato carrettiere e prima percorse tutta l’Avana
per vendere arance con una carriola. Era carrettiere quando conobbe Blanquita
Maruri, bianca e di buona famiglia. È vero che si beneficiò della posizione dei
Maruri, ma quante volte moltiplicà il ptarimonio originale a partire da allora?
Hornedo sembrò calmarsi.
-Ha ragione lei Pablo,
completamente ragione. Essere socio dello Yacht Club, per me, è totalmente
insignificante. Io volevo solo che mia moglie
che è malata, godesse di una buona spiaggia.
-Amico mio, questa
spiaggia che lei desidera ber doña Blanquita, la può costruire lei stesso.
Hornedo sobbalzò dalla
sua sedia e i braccialetti, ciondoli, pendagli e medaglie con cui soleva
agghindarsi tintinnarono all’unisono.
-Chiaro che posso
costruirgliela! Come ho fatto a non pensarci prima!
-Ci aveva pensato
senatore, ci aveva pensato – commentò Álvarez de Caña,
dignitario dei dignitari
–quello che succede è che lei è tanto offuscato che non ha potuto riordinare
bene le idee.
Detto e fatto. Hornedo
costruì il Casino Deportivo. O meglio, due installazioni dallo stesso nome. Il
Casino Deportivo d’estate, sulla costa e il casino deportivo d’inverno nel
quartiere del Cerro. Ma anche lui non permise l’ingresso di negri e mulatti.
Il litorale ovest
Adesso che siamo in
estate, perché non fare un giro per i bagni del litorale dell’ovest? Era il
Casino Deportivo – attuale Circolo Sociale Cristino Naranjo – il balneario che
più in la della foce del río Almendares, dava inizio a questi club. Si inaugurò
nel 1935 ed era il preferito dalla piccola, ma potente comunita ebraica
avanera.
Al proseguire il Club dei
Ferramenta, attuale Circulo Social Armando Mestre. Di seguito altri tre
stabilimenti balneari, uno vicino all’altro: Club dei Professionisti (Scuola di
Nuoto Marcelo Salado), Balneario Universitario e l’hotel Copacabana Yacht Club
che come il Comodoro Yacht Club, situato più ad ovest, aprivano le loro
installazioni e piscine ai soci.
Più avanti si trovava il
Miramar Yacht Club, poi CSO Patricio Lumumnba e oggi casa Centrale delle Forze
Armate. L’edificazione attuale data dai primi anni ’50 e sostituì un
interessante palazzina di legno.
Poi appariva il
Cubaneleco, dei laavoratori della Compagnia Cubana di Elettricità. Era stato il
Swimming Club e lo aquistò il Cubanaleco quendo vendette le sue isnstallazioni
originali nel Vedado per la costruzione dell’edificio Focsa. Questo club è oggi
il CSO Otto Parrellada. Gli seguiva il balneario Hijas de Galicia (CSO José
Luis Tassende) per la colonia –uomini e donne– di questa regione spagnola.
A proseguire iniziava la
spiaggia di Marianao propriamente detta, tra le rotonde della Quinta Avenida fra
le calli 112 e 120.
Già in Playa, appariva
prima il Circolo Militare e Navale, per gli ufficiali delle Forze Armate. Già
in epoca rivoluzionaria fu casa centrale delle FAR e oggi è il CSO Gerardo
Abreu Fontan. Seguiva il balneario de La Concha (CSO Brauilio Coroneaux), del
qual si parlerà più avanti. Alla Concha seguiva l’Habana Yacht Club (CSO Julio
Antonio Mella). La sua architettura denota uno stile classico francesizzante,
riempito di mansarde.. Fu fondato nel 1886 e era il ridotto principale del
vecchio patriziato creolo. Nel 1958, l’unico modo di essere nuovi soci era per
matrimonio.
Dopo, il Casino Español
de la Habana (CSO José Ramón Rodríguez) e alla fine il Club Nautico (CSO Félix
Elmuza), una penisola parzialmente rubata al mare proprio allo sbocco del río
Quibú.
I proprietari e inquilini
del reparto Náutico, di classe medio bassa, erano associati automaticamente al
club.
Più a sud, separato dalla
costa dalle case autocostruite dei quartieri del Romerillo e del Palo Cagado,
c’era il Country Club dell’Avana; il club e il quartiere che si chiamava
Country Club Park. Il club è la sede dell’Istituto Superiore di Arte.
Molto più separato dal
complesso anteriore, verso ovest, c’era l’Havana Biltmore Yacht end Country
Club. Si costruì nel 1928 e il suo edificio principale si distingue per la
componente classica del suo stile, inserito in un codice eclettico. Fu sede
della ESPA dopo la vittoria della Rivoluzione fino a che nel 1999, l’edificio
tornò alla sua condizione originale col nome di Club Habana.
Più ad ovest, a
Jaimanitas, c’era il club Cabo Parrado (attuale Los Marinos) per graduati di
truppa e sergenti che non avevano accesso al Circolo Militare che era solo per
ufficiali. Molto vicino a questa installazione si trova il CSO Marcelo Salado,
costruito nel 1958, ma che si inaugurò dopo la vittoria della Rivoluzione. Fra
i due c’era il balneario infantile la Playita, già disattivato. La fila dei
club lungo il litorale si chiude a Santa Fe con Alamar Club (CSO Jorge Sánchez
Villar). Ma solo nella provincia dell’Avana –non si dimentichino le Playas del
Este)– esistettero 39 club che avevano la denominazione di yacht e nautico,
afferma l’investigatore Maikel Fariñas. Se si includessero altre denominazioni,
come marittima, navale o altre, il numero sarebbe molto superiore.
Balneario infantile
Il Vedado Tennis Club
(Circolo Sociale José Antonio Echeverría) non era situato nel litorale ovest.
Si fondò nel 1902 ed ebbe la sua prima sede molto vicino alla sua attuale
ubicazione. Quando si ampliò il Malecón fino allo sbocco del fiume Almendares,
il Tennis perse la sua uscita al mare. Per un certo tempo fu alla pari
dell’Habana Yacht Club, ma la mancanza di spiaggia decimò i suoi membri e il
suo prestigio discese quando adottò come politica l’ammissione di giovani con
condizioni per praticare lo sport, anche se non avessero fortune o cognomi
imprtanti. Con l’ampliazione del Malecón scomparve il Balneario Infantile,
installazione gratuita auspicata dal municipio avanero. Si conserva la sua casa
club. È l’attuale Castillito.
Con la sua curiosa
architettura pseudomoderna, La Concha era un balneario senza associati fissi.
Era l’unico al quale si accedeva mediante il pagamento dell’ingresso e l’unico
che dava accesso a negri e mulatti. Nonostante il suo carattere popolare, La
Concha era comunque preferita dai diplomatici e dignitari stranieri di
passaggio all’Avana e fra la gente di ogni ceto sociale. Si trattava di un
balneario molto ben attrezzato. Annunci degli anni 20, si riferiscono ai suoi
campi di pallamano. Al terreno da tennis. Le sue aree di pallavolo. Il
trampolino. Lo spazio destinato ala fisioterapia e i suoi servizi medici
specializzati. Il solarium. Eccellente, era il suo ristorante e nei suoi bar
divenne popolare il mojito, uno dei dieci emblematici cocktails cubani.
La Concha si inaugurò il
24 giugno del 1922. I suoi costruttori e proprietari furono gli impresari
raggruppati nel cosiddettto studio delle Tre C: Carlos Miguel de Céspedes, José
Manuel Cortina e Carlos Manuel de la Cruz. Questo gruppo costruirà e opererà
anche il Casinò Nacional, nel Country Club, autorizzato a ogni tipo di gioco e
scommessa, legalizzato dalla Legge del Turismo del 1919. Manovravano anche
l’ippodromo Oriental Park di Marianao. Più avanti, il Casinò Nacional, La
Concha e l’American Jockey Club formarono un complesso di installazioni con la
ragione sociale di Sindacato Nazionale Cubano che controllò e presiedette il
nordamericano John Mc Entee Bowman, proprietario dell’hotel Sevilla e della
catena di alberghi Bowman Baltimore.
Nel maggio del 1937 si
inaugurava il Club Nautico. In questa stessa data la sua direzione organizzò un
concorso di bellezza. La ragazza vincitrice (Miss Nautico) ricevette come premio
un viaggio negli Stati Uniti per lei e un’accompagnatrice. Era uno dei balneari
più economici, con la sua quota di sei pesos mensili, cifra che copriva
l’affitto dell’armadietto guardaroba e per gli effetti personali. Era
indubbiamente uno dei preferiti dai giovani che facevano vita sociale. I suoi
té danzanti domenicali, con l’attuazione delle migliori orchestre, piacevano
tanto che se non avevano nessuno che li invitasse, i ragazzi più facoltosi e
pertanto membri di club più esclusivi, facevano la coda al nautico per goderne.
A metà degli anni ’50 dello scorso
secolo si costruì per la casa sociale di questo balneario, un nuovo edificio
che èpunto di riferimento per
l’architettura moderna a Cuba.
Nos vamos a la playa
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
18 de Julio del 2015 21:59:13 CDT
El senador Alfredo Hornedo y Suárez, “el muy ilustre senador Hornedo”,
como se le llamaba siempre en su periódico El País, llegó a la
redacción del rotativo de la calle Reina hecho una furia. Acababa de
enterarse de que le habían negado la entrada al Habana Yacht Club.
Concesionario del Mercado Único de La Habana, propietario de tres
periódicos y en camino de construir el que sería en su momento el
teatro más grande del mundo —Blanquita, hoy Karl Marx—, el audaz
inversionista no podía creer que aquello le estuviera sucediendo a él.
Dinero tenía suficiente para ser admitido en esa instalación, pero
aquella sociedad ranciamente intolerante no le perdonaba, pese a su
fortuna y posición política, el color de su piel. Hornedo era mulato,
y el Habana Yacht Club le echaba “bola negra”, como por la misma época
se la echaba también al coronel Fulgencio Batista, entonces jefe del
Ejército.
Molesto, agobiado por la humillación, Hornedo hizo llamar a su
despacho a Pablo Álvarez de Caña, cronista social de El País, y luego
de contarle lo sucedido, le advirtió:
—Óigame bien, Pablito, óigame… a partir de ahora no me vuelva a
mencionar al Habana Yacht Club en su columna. Ni una palabra…
El cronista no pudo contener los pucheros ni disimularlos. Privarlo de
mencionar el HYC era matarlo. No solo él era socio de la exclusiva
instalación, sino que de allí salían los chismes más jugosos que
rodaban luego, de boca en boca, por La Habana elegante. Intentó una
defensa.
—No es para tanto, señor Hornedo, no es para tanto.
Hornedo insistió en la negativa de que había sido objeto y no entraba
en razones. Pablo volvió a la carga.
—No quiero creer que usted se vaya a comparar con aquella gente que
pierde su tiempo y tira su dinero. Usted es un hombre de trabajo,
senador, un hombre hecho por sí mismo… Está muy por encima de esa
gente. Con su fortuna y a punto de acceder a la presidencia del
Partido Liberal, ¿qué le puede importar entrar o no en el Habana Yacht
Club?
Las palabras de Álvarez de Caña hicieron que Hornedo recapitulara en
un instante toda su vida. Cierto que se hizo a sí mismo. Fue cochero y
antes zapateó La Habana para vender naranjas en una carretilla. Era
cochero cuando conoció a Blanquita Maruri, blanca y de buena familia.
Verdad es que él se benefició con la posición de los Maruri, pero ¿por
cuántas veces, a partir de entonces, multiplicó el patrimonio
original? Hornedo pareció calmarse.
—Tiene usted razón, Pablo, toda la razón. Ser socio del Yacht Club es
para mí algo totalmente insignificante. Yo solo quería que mi esposa,
que está tan enferma, disfrutara de una buena playa.
—¡Amigo mío!, esa playa que ansía para doña Blanquita, usted mismo
puede construírsela.
Hornedo saltó en su asiento y todos los pulsos, dijes, leontina,
cadenas y medallas con que solía ataviarse tintinearon a la vez.
—¡Claro que puedo fabricársela! ¡Cómo no se me ocurrió antes!
—Se le ocurrió, senador, se le ocurrió —comentó Álvarez de Caña,
camaján de camajanes—, lo que sucede es que está usted tan ofuscado
que apenas ha podido ordenar sus ideas.
Dicho y hecho. Hornedo construyó el Casino Deportivo. O mejor, dos
instalaciones con el mismo nombre. El Casino Deportivo de verano, en
la costa, y el Casino Deportivo de invierno, en la barriada de El
Cerro. Pero tampoco permitió el acceso a negros ni mulatos.
El litoral del oeste
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
18 de Julio del 2015 21:59:13 CDT
El senador Alfredo Hornedo y Suárez, “el muy ilustre senador Hornedo”,
como se le llamaba siempre en su periódico El País, llegó a la
redacción del rotativo de la calle Reina hecho una furia. Acababa de
enterarse de que le habían negado la entrada al Habana Yacht Club.
Concesionario del Mercado Único de La Habana, propietario de tres
periódicos y en camino de construir el que sería en su momento el
teatro más grande del mundo —Blanquita, hoy Karl Marx—, el audaz
inversionista no podía creer que aquello le estuviera sucediendo a él.
Dinero tenía suficiente para ser admitido en esa instalación, pero
aquella sociedad ranciamente intolerante no le perdonaba, pese a su
fortuna y posición política, el color de su piel. Hornedo era mulato,
y el Habana Yacht Club le echaba “bola negra”, como por la misma época
se la echaba también al coronel Fulgencio Batista, entonces jefe del
Ejército.
Molesto, agobiado por la humillación, Hornedo hizo llamar a su
despacho a Pablo Álvarez de Caña, cronista social de El País, y luego
de contarle lo sucedido, le advirtió:
—Óigame bien, Pablito, óigame… a partir de ahora no me vuelva a
mencionar al Habana Yacht Club en su columna. Ni una palabra…
El cronista no pudo contener los pucheros ni disimularlos. Privarlo de
mencionar el HYC era matarlo. No solo él era socio de la exclusiva
instalación, sino que de allí salían los chismes más jugosos que
rodaban luego, de boca en boca, por La Habana elegante. Intentó una
defensa.
—No es para tanto, señor Hornedo, no es para tanto.
Hornedo insistió en la negativa de que había sido objeto y no entraba
en razones. Pablo volvió a la carga.
—No quiero creer que usted se vaya a comparar con aquella gente que
pierde su tiempo y tira su dinero. Usted es un hombre de trabajo,
senador, un hombre hecho por sí mismo… Está muy por encima de esa
gente. Con su fortuna y a punto de acceder a la presidencia del
Partido Liberal, ¿qué le puede importar entrar o no en el Habana Yacht
Club?
Las palabras de Álvarez de Caña hicieron que Hornedo recapitulara en
un instante toda su vida. Cierto que se hizo a sí mismo. Fue cochero y
antes zapateó La Habana para vender naranjas en una carretilla. Era
cochero cuando conoció a Blanquita Maruri, blanca y de buena familia.
Verdad es que él se benefició con la posición de los Maruri, pero ¿por
cuántas veces, a partir de entonces, multiplicó el patrimonio
original? Hornedo pareció calmarse.
—Tiene usted razón, Pablo, toda la razón. Ser socio del Yacht Club es
para mí algo totalmente insignificante. Yo solo quería que mi esposa,
que está tan enferma, disfrutara de una buena playa.
—¡Amigo mío!, esa playa que ansía para doña Blanquita, usted mismo
puede construírsela.
Hornedo saltó en su asiento y todos los pulsos, dijes, leontina,
cadenas y medallas con que solía ataviarse tintinearon a la vez.
—¡Claro que puedo fabricársela! ¡Cómo no se me ocurrió antes!
—Se le ocurrió, senador, se le ocurrió —comentó Álvarez de Caña,
camaján de camajanes—, lo que sucede es que está usted tan ofuscado
que apenas ha podido ordenar sus ideas.
Dicho y hecho. Hornedo construyó el Casino Deportivo. O mejor, dos
instalaciones con el mismo nombre. El Casino Deportivo de verano, en
la costa, y el Casino Deportivo de invierno, en la barriada de El
Cerro. Pero tampoco permitió el acceso a negros ni mulatos.
El litoral del oeste
Ahora que estamos en verano, ¿por qué no darnos una vuelta por los
balnearios del litoral del oeste? Era el Casino Deportivo —actual
Círculo Social Cristino Naranjo— el balneario que, más allá de la
desembocadura del río Almendares, daba inicio a esos clubes. Se
inauguró en 1935 y era el preferido de la pequeña, pero poderosa
comunidad hebrea habanera.
Seguía a continuación el Club de Ferreteros, actual Círculo Social
Obrero Armando Mestre. A continuación, otros tres balnearios, uno
junto al otro: Club de Profesionales (Escuela de Natación Marcelo
Salado), Balneario Universitario y el hotel Copacabana Yacht Club,
que, al igual que el hotel Comodoro Yacht Club, situado más al oeste,
abría sus piscinas e instalaciones a los socios.
Más adelante se encontraba el Miramar Yacht Club, después CSO Patricio
Lumumba y hoy Casa Central de las FAR. La edificación actual data de
comienzos de la década de los 50 y sustituyó a un interesante palacete
de madera.
Aparecía después el Cubanaleco, de los trabajadores de la Compañía
Cubana de Electricidad. Había sido el Swimming Club y lo adquirió el
Cubanaleco cuando vendió sus instalaciones originales en el Vedado
para la construcción del edificio Focsa. Este club es hoy el CSO Otto
Parellada. Le seguía el balneario Hijas de Galicia (CSO José Luis
Tassende) para la colonia —hombres y mujeres— de esa región española.
.
A continuación comenzaba la Playa de Marianao propiamente dicha, entre
las dos rotondas de la Quinta Avenida, en las calles 112 y 120.
Ya en Playa, aparecía primero el Círculo Militar y Naval, para
oficiales de las Fuerzas Armadas. Ya en la Revolución fue Casa Central
de las FAR y hoy es el CSO Gerardo Abreu Fontán. Seguía el balneario
de La Concha (CSO Braulio Coroneaux), del que se hablará más adelante.
Seguía a La Concha el Habana Yacht Club (CSO Julio Antonio Mella). Su
arquitectura denota un estilo ecléctico afrancesado, rematado con
mansardas. Fue fundado en 1886 y era el principal reducto del viejo
patriciado criollo. En 1958, la única vía de acceso para nuevos socios
era a través del matrimonio.
Después, el Casino Español de La Habana (CSO José Ramón Rodríguez) y
finalmente el Club Náutico (CSO Félix Elmuza), una península
parcialmente robada al mar justo en la desembocadura del río Quibú.
Los propietarios e inquilinos del reparto Náutico, de clase media
baja, eran automáticamente asociados al club.
Más al sur, separado de la costa por las casas autoconstruidas de los
barrios del Romerillo y el Palo Cagado, estaba el Country Club de La
Habana; el club y el reparto, que se llamaba Country Club Park. El
club es la sede del Instituto Superior de Arte.
Mucho más separado del conjunto anterior, hacia el oeste, estaba el
Havana Biltmore Yacht and Country Club. Se construyó en 1928 y su
edificio principal sobresale por el componente clásico de su estilo,
insertado en un código ecléctico. Fue sede de la ESPA tras el triunfo
de la Revolución, hasta que en 1999 el edificio volvió a su condición
original con el nombre de Club Habana.
Más al oeste, en Jaimanitas, estaba el club Cabo Parrado (actual Los
Marinos) para cabos y sargentos que no tenían acceso al Círculo
Militar, que era solo para oficiales. Muy cerca de esa instalación se
encuentra el CSO Marcelo Salado, construido en 1958, pero que se
inauguró después del triunfo de la Revolución. Y entre ambos estaba el
balneario infantil La Playita, ya desactivado. La hilera de clubes a
lo largo del litoral del municipio de Playa se cierra en Santa Fe con
el Alamar Club (CSO Jorge Sánchez Villar). Pero solo en la provincia
de La Habana —no se olviden las playas del Este— existieron 39 clubes
que contenían las denominaciones de yacht y náutico, afirma el
investigador Maikel Fariñas. De incluirse otras denominaciones como
marítima, navales u otras, el número sería mucho mayor.
Balneario infantil
El Vedado Tenis Club (Círculo Social José Antonio Echeverría) no
estaba situado en el litoral oeste. Se fundó en 1902 y tuvo su primera
sede muy cerca de su emplazamiento actual. Cuando el Malecón se amplió
hasta la desembocadura del Almendares, el Tenis perdió su salida al
mar. Durante un tiempo estuvo a la par del Habana Yacht Club, pero la
falta de playa mermó su membresía, y su prestigio descendió cuando
adoptó como política la admisión de jóvenes con condiciones para el
deporte, aunque no contaran con fortuna ni apellidos. Con la
ampliación del Malecón desapareció el Balneario Infantil, instalación
gratuita auspiciada por el Ayuntamiento habanero. Se conserva su casa
club. Es el actual Castillito.
Con su curiosa arquitectura seudomudéjar, La Concha era un balneario
sin asociados fijos. Era el único al que se accedía mediante el pago
de la entrada y el único que daba acceso a negros y mulatos. Pese a su
carácter popular, La Concha estaba asimismo en la preferencia de
diplomáticos y dignatarios extranjeros de paso por La Habana y en la
de gente de todas las categorías sociales. Se trataba de un balneario
muy bien equipado. Anuncios de los años 20 aluden a sus canchas de
hand ball. Al court de tenis. Sus áreas de volley ball. El trampolín.
El espacio destinado a la fisioterapia y sus servicios médicos
especializados. El solárium. Excelente resultaba su restaurante y en
sus bares se popularizó el mojito, uno de los diez cocteles cubanos
emblemáticos.
La Concha se inauguró el 24 de junio de 1922. Sus constructores y
propietarios fueron los empresarios agrupados en el llamado bufete de
las Tres C: Carlos Miguel de Céspedes, José Manuel Cortina y Carlos
Manuel de la Cruz. Ese grupo construiría y operaría también el Casino
Nacional, en el Country Club, autorizado para todo tipo de juego de
apuestas, legalizados por la Ley de Turismo de 1919. Maniobrarían
además el hipódromo Oriental Park, de Marianao. Más adelante, el
Casino Nacional, La Concha y el American Jockey Club formaron un
complejo de instalaciones bajo la razón social del Sindicato Nacional
Cubano, que controló y presidió el norteamericano John Mc Entee
Bowman, propietario del hotel Sevilla y de la cadena de hoteles Bowman
Baltimore.
En mayo de 1937 se inauguraba el Club Náutico. En esa misma fecha su
directiva organizó un concurso de belleza. La muchacha ganadora (Miss
Náutico) recibía como premio un viaje a EE.UU. para ella y una
chaperona. Era uno de los balnearios más económicos, con su cuota de
seis pesos mensuales, cantidad que cubría el alquiler de la taquilla
para la ropa y otras pertenencias personales. Era, sin embargo, uno de
los preferidos entre los jóvenes que hacían vida social. Sus tés
bailables dominicales, con la actuación de las mejores orquestas, eran
tan gustados que, de no tener alguien que los invitara, los muchachos
más adinerados y miembros por tanto de los clubes más exclusivos, se
colaban en el Náutico para disfrutarlos. A mediados de los años 50 del
siglo pasado se construyó para la casa social de este balneario un
nuevo edificio, que es punto de referencia para la arquitectura
moderna en Cuba.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
Da oggi aperte le Ambasciate di Cuba e USA
L'Avana, ore 8 del mattino circa. L'ex Ufficio d'Interessi degli Stati Uniti, sotto supervizione della Svizzera, così come quello di Cuba negli Stati Uniti, si presenta come tutti gli altri giorni. Qualche differenza la fa la presenza di giornalisti, fotografi e telecamere, oltre a qualche passante in atteggiamento o con dichiarazioni "folkloristiche". Per il resto niente di nuovo: la coda dei richiedenti il visto, i pennoni del "Bosque de las Banderas" e la "Tribuna Antimperialista" che rimangono lì e solo su uno di essi ondeggia pigramente la bandiera cubana alla debole brezza proveniente dal mare.
La cerimonia ufficiale, a Cuba, verrà effettuata il giorno 14 del prossimo agosto, alla presenza del Segretario di Stato John Kerry. Per oggi si terrà solo una "funzione privata" all'interno della sede diplomatica, senza invitati esterni. In questo momento 9, sono le 10.30 locali, invece a Washington si deve star issando la bandiera cubana nell'Ambasciata, alla presenza del Ministro degli Esteri cubano Bruno Rodríguez Parrílla e con cerimonia ufficiale, accompagnata dagli Inni Nazionali dei due Paesi.
La cerimonia ufficiale, a Cuba, verrà effettuata il giorno 14 del prossimo agosto, alla presenza del Segretario di Stato John Kerry. Per oggi si terrà solo una "funzione privata" all'interno della sede diplomatica, senza invitati esterni. In questo momento 9, sono le 10.30 locali, invece a Washington si deve star issando la bandiera cubana nell'Ambasciata, alla presenza del Ministro degli Esteri cubano Bruno Rodríguez Parrílla e con cerimonia ufficiale, accompagnata dagli Inni Nazionali dei due Paesi.
domenica 19 luglio 2015
sabato 18 luglio 2015
venerdì 17 luglio 2015
Consolato Cubano a Miami, di Ciro Bianchi Ross
L'amico Ciro Bianchi mi ha inviato questo "divertissement" inedito. Il contenuto, oltre che "storico" è anche simpatico e...a buon pro per chi ci crede.
"Villa Paula" situata nella "Piccola Haiti".
“Villa Paula” situada en la zona del “Pequeño Haití”.
“ Villa Paula es una magnífica mansión de 1920, de estilo neo-clásico,
con un distintivo sabor cubano en su diseño y decoración interior.
Cuenta con diez habitaciones, dos baños, techos de 18 pies de alto,
baldosas y columnas toscanas pintadas a mano. La Villa fue construida
con ladrillos amarillos, y estuco blanco importados de Cuba. La
Mansión está ubicada en el corazón de Little Haití, en el 5811 de
North Miami Avenue, en Miami, Florida.
Villa Paula fue construida en 1925 para ser sede del primer Consulado
de Cuba en Miami, por el Oficial Consular Superior don Domingo Milord,
y su esposa, Paula, cuyo nombre se le dio a esta mansión; seis años
después de que la feliz pareja se trasladó ahí, Paula murió por
complicaciones tras la amputación de una pierna.
El residente siguiente de esta casona fue Reardon Muriel, que vivió en
ella durante más de 30 años. Después de tener una variedad de
propietarios, la Mansión se convirtió en un ancianato. En 1974, la
mansión ya se encontraba en mal estado y se había convertido en un
hogar para vagabundos. Afortunadamente, se rescató Villa Paula
mediante la compra de la propiedad, por parte del Departamento de
Vivienda y Desarrollo Urbano. Luego de invertir miles de dólares en la
restauración de esta mansión, se logró recuperar su grandeza original.
Al poco tiempo de su restauración, se descubrió que existía más de una
manifestación paranormal en la Mansión:
Constantemente llaman a la puerta de entrada de la mansión, de forma
intermitente, para luego no encontrarse a nadie quien lo provoque.
Existe también una “personalidad espiritual” que odia a los gatos.
Tres gatos domésticos han sido asesinados deliberadamente por una
puerta de hierro que los golpeó. No había viento para que la puerta
golpeara casualmente a los gatos, por lo que se cree que una presencia
invisible esperó el momento en que un gato pasaba por la puerta, para
luego cerrarla violentamente, como una trampa (se sabe que uno de los
antiguos propietarios, Reardon Muriel, realmente odiaba a los gatos,
¿será él?)
La puerta de la habitación que perteneció a Paula tiende a cerrarse
también violentamente, según un anciano vecino de la Mansión, Paula en
vida acostumbraba hacerlo cuando ella interpretaba melodías en su
amado piano.
Se suele oler un fuerte aroma de café cubano proveniente de la cocina,
así como el olor fragante de las rosas en el comedor, durante la
temporada cuando las rosas no están en flor. También se ha oído
sonidos de tacones altos en el camino de piedra en el patio trasero de
la Villa.
Además, en el pasillo que da a las habitaciones, se ha llegado a ver a
una mujer de apariencia cubana, de pelo negro recogido en un moño, y
que recorrió el pasillo silbando alegremente, luciendo un vestido de
cuerpo entero,… pero notándose claramente que tenía sólo una pierna,
antes de que se esfumara en el aire,…
Algunas de las manifestaciones de la villa han demostrado ser
agresivas: en una oportunidad, al parecer un fantasma “habría tenido
una rabieta2, ya que tiró todos los platos y cubiertos por toda el
área de la cocina. Además, una araña del porche de repente se soltó
inexplicablemente, y se estrelló en el suelo.
En una sesión de espiritismo, realizada en 1976, celebrada por un
ministro espiritualista, reveló que no sólo Paula se manifiesta en la
Mansión, sino también otros 4 espíritus más:
Según el espiritista, Paula era demasiado tímida para decir quién era
ella, pero dijo que ella amaba a moler el café colombiano, que adoraba
a tocar música de “Carmen” en el piano, y poniendo rosas alrededor de
la mansión, como le gustaba el olor de ellos.
También se percibió un hombre delgado, que llevaba un sombrero de
copa, una señora bastante pesada, que lucía un vestido rojo, una mujer
llorando porque estaba preocupada porque había perdido una medalla en
el jardín, y había ahí el espíritu de una mujer joven, muy desdichada,
que estaba buscando el lugar de sepultura de su hijo ilegítimo, que se
encontraría sepultado en algún lugar o cerca del recinto de Villa
Paula. Tal vez había sido criada en la Villa, o habían vivido en las
inmediaciones.
La villa quedó libre de avistamientos, ruidos y disturbios por algunos
años, después de la sesión de espiritismo 1979, lo que calmó los
ánimos y permitiendo lograr vender la mansión.
Sin embargo, en los ’80 ‘s, la actividad fantasmal volvió con fuerza,
incluyendo actividad poltergeist y las apariciones de Paula,… además,
los gatos volvieron a ser liquidados por la infame “puerta de la
muerte”. En 1989, The Miami Herald nombró a Villa Paula como la casa
más embrujada de Miami. A principios de los 90, la mansión ya no era
una residencia privada, convirtiéndose en el consultorio de un doctor,
hasta la fecha; esto deja a la Villa en poder de sus habitantes
fantasmales durante las horas de la noche, lo que al parecer ha sido
un cambio bienvenido por los espectros que moran en la casa que fuera
el Consulado cubano en Miami”.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
“Villa Paula” è una magnifica magione degli anni ‘20, di stile neoclassico, con uno spiccato sapore cubano nel suo disegno e decorazione interna. Conta di dieci camere, due bagni, soffitti di 18 piedi di altezza, mattonelle e colonne toscane dipinte a mani. La Villa fu costruita con mattoni gialli e stucco bianco, importati da Cuba. La Magione è situata nel cuore di Little Haiti, al 5811 di North Miami Avenue, a Miami, Florida.
Villa Paula fu costruita nel 1925 per essere sede del primo Consolato di Cuba a Miami, dall’Ufficiale Consolare Superiore don Domingo Milord e sua moglie Paula di cui si dette il nome a questa costruzione; sei anni dopo che la coppia felice traslocò da lì, Paula morì per le complicazioni dovute all’amputazione di una gamba.
Il successivo abitante di questa grande casa fu Raerdon Muriel che visse in essa per oltre 30 anni. Dopo aver avuto una serie di proprietari, la Magione si convertì in ospizio. Nel 1974 l’edificio si trovava già in cattivo stato e si era trasformata in rifugio per i vagabondi.. fortunatamente si riscattà Villa Paula mediante il suo acquisto da parte dell’Assessorato delle Abitazioni e dello Sviluppo Urbano. Dopo aver investito migliaia di dollari nel restauro di questo edificio, si riuscì a recuperare la sua grandezza originale. Poco dopo il suo restauro, si scoprì che c’era più di una manifestazione paranormale nella Magione:
Continuano a suonare alla porta d’entrata, in modo intermittente, ma non si trova nessuno che lo stia facendo.
Esiste anche una “personalità spirituale” che odia i gatti. Tre gatti domestici sono stati uccisi deliberatamente da una porta di ferro che li ha colpiti. Non c’era vento perché la porta colpisse per casdo i gatti, ma si crede che una presenza invisibile aspettò il omneto in cui passava un gatto dalla porta per poi chiuderla violentemente, come una trappola (si sa che uno dei vecchi proprietari, Reardon Muriel, odiava realmente i gatti, sarà lui?)
La porta della camera che appartenne a Paula tende a chiudersi, pure violentemente, secondo un anziano vicino della Mansione, Paula da viva era abituata a farlo quando interpretava melodie col suo amtao piano.
Si suole odorare un forte aroma di caffè cubano proveniente dalla cucina, così l’odore fragrante delle rose nella sala da pranzo, durante la stagione in cui le rose non fioriscono. Si sono anche sentiti suoni di tacchi nel sentiero di pietra posteriore della Villa.
Inoltre, nel corridoio che da elle camere da letto, si è arrivati a vedere una donna, dall’apparenza cubana, dai capelli neri racolti in una crocchia che percorreva il corridoio fischiando allegramente, portando un vestito di un solo pezzo, ma...si notava chiaramente che aveva una sola gamba, prima che svanisse nell’aria...
Alcune delle manifestazioni della villa si sono dimostrate aggressive: in un caso, sembra, una fantasma aveva avuto un attacco di furia e gettò piatti e stoviglie per tutta la cucina. Inoltre un supporto della copertura del parcheggio si sciolse inspiegabilmente cadendo al suolo.
In una sessione di spiritismo, realizzata nel 1976 e celebrata da un ministro spiritista, si rivelò che non solo Paula si manifesta nella Mansione, ma anche altri 4 spiriti.
Secondo lo spiritista, Paula era troppo timida per dire chi fosse, ma disse che amava macinare il caffè colombiano, adorava suonare la musica de la “Carmen” al piano e porre rose all’intorno della casa, siccome le piaceva il loro profumo.
Si percepì anche un uomo magro che portava un cappello a bombetta, una signora abbastanza massiccia che portava un vestito rosso, una donna piangente perché aveva perso una medaglia nel giardino e c’era anche lo spirito di una donna giovane, molto sfortunata che stava cercando la sepoltura di suo figlio illegittimo che sarebbe stato seppellito in qualche luogo vicino al recinto di Villa Paula. Forse era stata domestica nella Villa o viveva nelle vicinanze.
La villa rimase libera da avvistamenti, rumori e disturbi per qualche anno, dopo una sessione di spiritismo del 1979, cosa che calmò gli animi e permise di vendere la magione.
Indubbiamente, negli anni ’80, l’attività dei fantasmi tornò con forza, incluso con attività “poltergeist” e le apparizioni di Paula...inoltre i gatti tornarono ad essere liquidati dall’infame “porta della morte”. Nel 1989, The Miami Herald, nominò Villa Paula come la casa più infestata da fantasmi di Miami. All’inizio dei ’90, la magione non era già più una residenza privata, convertendosi in ambulatorio medico fino ad oggi: questo lascia la Villa in potere dei suoi abitanti fantasma durante le ore notturne, cosa che sembra sia stato un cambio gradito dagli spettri che abitano la casa che fu il Consolato Cubano a Miami.
Consulado cubano en Miami
“Villa Paula” situada en la zona del “Pequeño Haití”.
“ Villa Paula es una magnífica mansión de 1920, de estilo neo-clásico,
con un distintivo sabor cubano en su diseño y decoración interior.
Cuenta con diez habitaciones, dos baños, techos de 18 pies de alto,
baldosas y columnas toscanas pintadas a mano. La Villa fue construida
con ladrillos amarillos, y estuco blanco importados de Cuba. La
Mansión está ubicada en el corazón de Little Haití, en el 5811 de
North Miami Avenue, en Miami, Florida.
Villa Paula fue construida en 1925 para ser sede del primer Consulado
de Cuba en Miami, por el Oficial Consular Superior don Domingo Milord,
y su esposa, Paula, cuyo nombre se le dio a esta mansión; seis años
después de que la feliz pareja se trasladó ahí, Paula murió por
complicaciones tras la amputación de una pierna.
El residente siguiente de esta casona fue Reardon Muriel, que vivió en
ella durante más de 30 años. Después de tener una variedad de
propietarios, la Mansión se convirtió en un ancianato. En 1974, la
mansión ya se encontraba en mal estado y se había convertido en un
hogar para vagabundos. Afortunadamente, se rescató Villa Paula
mediante la compra de la propiedad, por parte del Departamento de
Vivienda y Desarrollo Urbano. Luego de invertir miles de dólares en la
restauración de esta mansión, se logró recuperar su grandeza original.
Al poco tiempo de su restauración, se descubrió que existía más de una
manifestación paranormal en la Mansión:
Constantemente llaman a la puerta de entrada de la mansión, de forma
intermitente, para luego no encontrarse a nadie quien lo provoque.
Existe también una “personalidad espiritual” que odia a los gatos.
Tres gatos domésticos han sido asesinados deliberadamente por una
puerta de hierro que los golpeó. No había viento para que la puerta
golpeara casualmente a los gatos, por lo que se cree que una presencia
invisible esperó el momento en que un gato pasaba por la puerta, para
luego cerrarla violentamente, como una trampa (se sabe que uno de los
antiguos propietarios, Reardon Muriel, realmente odiaba a los gatos,
¿será él?)
La puerta de la habitación que perteneció a Paula tiende a cerrarse
también violentamente, según un anciano vecino de la Mansión, Paula en
vida acostumbraba hacerlo cuando ella interpretaba melodías en su
amado piano.
Se suele oler un fuerte aroma de café cubano proveniente de la cocina,
así como el olor fragante de las rosas en el comedor, durante la
temporada cuando las rosas no están en flor. También se ha oído
sonidos de tacones altos en el camino de piedra en el patio trasero de
la Villa.
Además, en el pasillo que da a las habitaciones, se ha llegado a ver a
una mujer de apariencia cubana, de pelo negro recogido en un moño, y
que recorrió el pasillo silbando alegremente, luciendo un vestido de
cuerpo entero,… pero notándose claramente que tenía sólo una pierna,
antes de que se esfumara en el aire,…
Algunas de las manifestaciones de la villa han demostrado ser
agresivas: en una oportunidad, al parecer un fantasma “habría tenido
una rabieta2, ya que tiró todos los platos y cubiertos por toda el
área de la cocina. Además, una araña del porche de repente se soltó
inexplicablemente, y se estrelló en el suelo.
En una sesión de espiritismo, realizada en 1976, celebrada por un
ministro espiritualista, reveló que no sólo Paula se manifiesta en la
Mansión, sino también otros 4 espíritus más:
Según el espiritista, Paula era demasiado tímida para decir quién era
ella, pero dijo que ella amaba a moler el café colombiano, que adoraba
a tocar música de “Carmen” en el piano, y poniendo rosas alrededor de
la mansión, como le gustaba el olor de ellos.
También se percibió un hombre delgado, que llevaba un sombrero de
copa, una señora bastante pesada, que lucía un vestido rojo, una mujer
llorando porque estaba preocupada porque había perdido una medalla en
el jardín, y había ahí el espíritu de una mujer joven, muy desdichada,
que estaba buscando el lugar de sepultura de su hijo ilegítimo, que se
encontraría sepultado en algún lugar o cerca del recinto de Villa
Paula. Tal vez había sido criada en la Villa, o habían vivido en las
inmediaciones.
La villa quedó libre de avistamientos, ruidos y disturbios por algunos
años, después de la sesión de espiritismo 1979, lo que calmó los
ánimos y permitiendo lograr vender la mansión.
Sin embargo, en los ’80 ‘s, la actividad fantasmal volvió con fuerza,
incluyendo actividad poltergeist y las apariciones de Paula,… además,
los gatos volvieron a ser liquidados por la infame “puerta de la
muerte”. En 1989, The Miami Herald nombró a Villa Paula como la casa
más embrujada de Miami. A principios de los 90, la mansión ya no era
una residencia privada, convirtiéndose en el consultorio de un doctor,
hasta la fecha; esto deja a la Villa en poder de sus habitantes
fantasmales durante las horas de la noche, lo que al parecer ha sido
un cambio bienvenido por los espectros que moran en la casa que fuera
el Consulado cubano en Miami”.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
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giovedì 16 luglio 2015
mercoledì 15 luglio 2015
Investire a Cuba: una chiara indicazione
Finalmente, dopo la visita della delegazione parlamentare e imprenditoriale italiana si parla seriamente e chiaramente delle possibilità di investimento a Cuba, da parte delle aziende straniere. Senza alimentare false aspettative.
Fonte: La Repubblica
Fonte: La Repubblica
ECONOMIA ITALIANa
Cuba, una buena vista per
l’Italia tra sigari, design e infrastrutture
Paola Jadeluca
L’APERTURA AL
MERCATO DELL’ISOLA È UNA NUOVA OPPORTUNITÀ PER LE IMPRESE ITALIANE PERCHÈ
L’AVANA PUNTA SU UN MODELLO DI SVILUPPO CHE METTA AL CENTRO LA TRADIZIONE
CULTURALE, LE PMI E IL TURISMO
Roma
Ottanta aziende, una
decina tra le maggiori associazioni imprenditoriali di categoria, banche e
istituzioni: è avvenuto in forze lo sbarco italiano a Cuba la scorsa settimana.
L’isola è al giro di boa: dopo oltre 50 anni di embargo da parte degli Usa
spalanca ora le porte agli investimenti esteri. E l’Italia è in prima fila. «E’
stata la più grande missione di un paese estero», racconta con entusiasmo Carlo
Calenda, viceministro per lo Sviluppo economico, che ha guidato insieme al
sottosegretario agli Esteri Mario Giro la folta delegazione che ha animato questo
Forum economico bilaterale organizzato insieme a Confindu-stria, Ice, Abi,
Alleanza delle cooperative e Unioncamere. Si dice Cuba e si pensa al rhum e ai
sigari, i due asset oggi più rilevanti per il paese guidato da Raul Castro. E
già qui l’Italia parte col piede giusto. Siamo tra i primi al mondo nel settore
dei macchinari per le bevande abbiamo anche materia prima e know how
d’eccellenza nei sigari. Ma è su tutto il resto, quello che ai cubani manca che
si aprono le nuove rotte del business. «Dalla filiera per l’allevamento e la
lavorazione delle carni alla produzione di scarpe, dal turismo alle
infrastrutture fino all’ambito culturale, sono le direttrici su cui possiamo
costruire progetti di lunga durata», racconta Calenda. La collaborazione tra i
due paesi può già contare su un plafond di 80 milioni, il fondo rotativo nato
dall’accordo tra Intesa San Paolo e Sace per supportare i contratti commerciali
del valore massimo di 5 milioni. E’ solo il primo passo, ma l’interscambio
commerciale tra Italia e Cuba, oggi a 300 milioni di euro, è destinato a salire
vertiginosamente. Il mercato cubano ha bisogno di scarpe, vestiti, farmaci,
case, mobili, cucine. Tutto quanto rientra nelle eccellenze del Made in Italy.
«Ma non vogliamo sviluppare puri accordi di vendita, guardiamo a progetti di
sviluppo di ampio respiro con imprese che hanno risorse e know how per
installarsi a Cuba e lavorare in tandem con i cubani», sottolinea Calenda.
Multinazionali tascabili o giganti internazionali: non è tanto la dimensione in
sé che conta quanto la capacità strategica di trasferire competenze e guidare
altri imprenditori a sviluppare nuove vocazioni. Proprio quello che ha finora
fatto la storia del Made in Italy. In particolare, ci unisce la similitudine di
modello di sviluppo, capace di innestare l’innovazione sulla tradizione,
l’ispirazione artigianale sulle grandi industrie. «Cuba è una società in transizione
ma animata dall’intenzione di non perdere la propria identità», spiega Calenda.
Insomma, niente boom tipo Russia o Cina, niente capitalismo rapace. «Hanno
ribadito l’intenzione di voler continuare sulla strada della actualizacion del
modelo socialista», racconta Calenda. Strade, ferrovie, treni, centrali
energetiche. Un paese povero deve far leva sulle infrastrutture per crescere. E
in prima fila troviamo Trevi, Astaldi e le altre big delle tecnologie per le
infrastrutture e delle costruzioni. A ottobre, con l’arrivo del premier Matteo
Renzi, dovrebbe concludersi l’accordo per un parco eolico che dovrebbe essere
realizzato da Enel Green Power. Ma con i consumi di massa pronti a esplodere,
c’è spazio per tutti. Anche per gli agricoltori e i produttori di macchinari
agricoli: si contano oltre 6,3 milioni di ettari di terreno agricolo dei quali
solo 2,6 già coltivati, per un mercato interno potenziale vicino ai 2 miliardi
di dollari Usa. Sotto la guida di Raul Castro è partito il progetto di riforme che
a marzo ha varato la Ley de Inversion Extrajera, piano per promuovere
l’ingresso di capitali stranieri a colpi di incentivi fiscali e l’approvazione
di un pacchetto di 240 progetti di investimento specifici, la cosiddetta
cartera de oportunidades per un valore di 8,7 miliardi d dollari. E’ prevista
anche una Zona Economica speciale, a 50 chilometri dall’Avana, al porto di
Mariel. «Sono già 14 le proposte di investimento produttivo avanzate da imprese
italiane - racconta Calenda in quest’area si svilupperanno diversi comparti,
dal fotovoltaico alla lavorazione dell’alluminio, dal packaging ai tubi per
costruzioni ». La modernizzazione di Cuba fa perno su infrastrutture e
business, ma il cuore del modello di sviluppo resta lo spirito del paese, la
cultura, unica al mondo. Un esempio, il restauro dell’Avana antica: «Non stanno
aprendo la strada agli hotel, nelle abitazioni torneranno a vivere gli abitanti
di oggi», racconta Calenda. Sotto la sapiente regia de L’Oficina
dell’Historiador, l’organo culturale più importante di Cuba rinascono
abitazioni e botteghe, si popola il cantiere culturale a cielo aperto dove
convive il barrio di Buena vista social club con i turisti, sempre più
numerosi, che dovrebbero diventare presto 5 milioni dai 3 attuali. Di questi 2 si
stima dovrebbero arrivare dagli Usa, sulla scia di un progetto che punta a fare
dell’Avana uno dei più grandi hub culturali dell Centro e Sud America, In
questo scenario di transizione “umanistica” si inseriscono anche i piani di
cooperazione culturale con l’Italia, che fanno perno su design e restauro, due
punti di forza del nostro paese. «Porteremo restauratori e architetti italiani,
c’è molto da fare su questo fronte», ha ribadito Calenda. L’Italia ha già
avviato un progetto del valore di 670 mila euro, finanziato dalla cooperazione
internazionale, per ristrutturare alcuni edifici storici a Santiago de Cuba. E
durante il Forum è stato siglato un accordo per 20 borse di studio che
consentiranno a giovani cubani di venire a studiare nelle scuole di restauro
italiane.
(13 luglio 2015)
martedì 14 luglio 2015
lunedì 13 luglio 2015
Mariana: 200 anni, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 12/7/15
Antonio Maceo torna in Costa
Rica proveniente da Cuba entrando col passaporto di Ramón Cabrales, suo
cognato, muovendosi sempre in modo clandestino, subito lo informano che
Mariana è morta in Giamaica. Ancora sotto
l’effetto della terribile notizia, gli arriva un esemplare del giornale Patria
che è diretto, a New York, da José Martí e nelle sue pagine trova l’articolo
dove il suo amico rende omaggio “alla cara vecchietta”. Legge il testo in un
lampo e torna a rileggerlo per soffermarsi in quei paragrafi che evocano i
giorni della guerra:
“E amava, come i migliori
della sua vita, i tempi di fame e sete nei quali ogni uomo che giungeva alla
sua porta di frasche poteva portarle la notizia della morte di uno dei suoi
figli”.
Inoltre giunge una lettera
di Martí. Anche lì parla della madre morta e dice: “Ho visto due volte
l’anziana, mi ha acarezzato e guardato come un figlio, la ricorderò con amore
per tutta la vita”.
Quando Maceo è rianimato,
scrive a Martì:
“Ah che tre fatti! Mio
padre, il Patto del Zanjón e mia madre che voi, per mia fortuna, venite a
calmarmi con la vostra lettera consolatrice. Magari possiate voi, col vostro
lavoro rialzarmi la testa e togliere dal mio viso la vergogna dell’espatrio dei
cubani e la sottomissione al governo coloniale”.
Se
la formica nasce libera
Mariana Grajales ebbe un
primo matrimonio con Fructuoso Regüeyferos. Si sposarono nel 1831. Lei aveva 16
anni d’età e lui 30. Rimasero assieme fino alla morte del marito, nove anni
dopo. Da questa unione, rimasero quattro figli.
Quando si unisce a Marcos
Maceo non è un’adolescente inesperta. Ha un carattere vigoroso, ha già sofferto
i dolori della vedovanza e sa cosa significa assumere da sola la cura di
quattro ragazzi, cosa che la obbliga a tornare a casa dei suoi genitori.
Da questa nuova unione
nascono altri dieci figli. I primi cinque di loro, compreso Antonio de la
Caridad, quello successivamente chiamato Titano di Bronzo, furono battezzati
col cognome di Grajales, come figli naturali di Mariana. La situazione di
coppia cambia quando muore la moglie di Marcos, dalla quale era separato, così
Marcos e Mariana possono contrarre matrimonio.
Mariana sarà per Marcos un
formidabile aiuto nello sviluppo della tenuta di sua proprietà. Inclinerà i
figli a cooperare nel lavoro agricolo, inculcandogli un profondo
senso di rispetto e obbedienza al padre. Ognuno di loro, secondo l’età, aveva
prevista la sua occupazione nel luogo, mentre Mariana consolidava, poco a poco,
una posizione reggente nel focolare, anche se non tralasciava di consultare con
Marcos tutti i problemi al fine di pronunciarsi di comune accordo su di essi.
Quelli che li conobbero ricordavano la coppia “consultandosi nelle difficoltà,
felici dell’espansione del focolare, uniti nel dolore e la felicità”.
I suoi biografi la
descrivono come una madre tenera e bonaria, ma anche inflessibile in quello
che riguardava la disciplina. Era una casa in cui si mangiava e si dormiva a
ore fisse e dalle quali nessuno poteva rimanere fuori oltre le dieci di sera.
Una casa ordinata e pulita della quale Mariana vigilava la pulcritudine nei
vestiti di chi l’abitava.
Figlia di mulatti liberi,
Mariana deve aver ricevuto qualche istruzione dov’era possibile nella Cuba
coloniale per persone nela sua condizione, con indipendenza e della sua posizione
economica: la cosiddetta istruzione primaria. È evidente che ebbe dai suoi
genitori una formazione etica rigorosa che seppe trasmettere ai suoi figli. Una
formazione che si complementerà con la lettura ad alta voce che al tramonto,
dopo la cena, faceva una delle figlie per tutti quelli della casa, di quei libri
che Marcos mandava a comprare a Santiago de Cuba nei quali si parlava di
Bolívar y Louverture e fra i quali non mancavano i romanzi di Dumas.
Le canzoni con le quali
avvolgeva i suoi figli erano impregnate di cubanía che a quel tempo equivaleva
a un vero anti spagnolismo. Cinquant’anni dopo, Antonio Maceo ricorderà una
delle decime con le quali Mariana cullava il suo sonno. Forse Il Titano, dice
lo scrittore Raúl Aparicio nella sua Hombradía
de Antonio Maceo, per il tempo trascorso, tergiversava un poco il testo.
Se la formica nasce libera,
la cavalletta e il grillo,
senza questioni di tasca
ne spagnolo che li
perseguiti,
nessuna legge li obbliga
ad andare alla scrivania
a comprae la libertà,
e io con la mia dignità
non sarò libera un giorno?
Liberare
la patria o morire per essa
Il 10 di ottobre del 1868,
Carlos Manuel de Céspedes si alza in armi contro la Spagna. Due giorni dopo,
Marcos Maceo manda suo figlio Miguel a una tenda vicina dove si è concentrata
una truppa insorta. Il suo capo è un vecchio amico dei Maceo Grajales e
all’incontrarsi con Marcos e Mariana, riceve dalla famiglia una generosa
dotazione di armi, cavalli e denaro indirizzate alla lotta appena iniziata. Il
capo della truppa inoltre domandò quale dei figli di Marcos e Mariana sarebbe
stato disposto a marciare per la guerra.
Senza pensarci due volte
fecero un passo avanti Antonio, José e Justo. Mariana allora chiede ai suoi
figli che si inginocchino davanti a un’immagine di Cristo e gli fa giurare che
libereranno la Patria o moriranno per essa.
Alla fine andranno tutti
alla macchia. Mariana che superava già i 50 anni, va in guerra e porta con se i
figli più piccoli. Presta servizi improvvisati in ospedali e in essi si prodiga
nella cure e l’affetto ai mambises
feriti. “Quella santa donna suppliva una madre assente”, sciveva il patriota
Fernando Figueredo e aggiungeva che comminava a María Cabrales, la sposa di
Maceo che occupava in quegli ospedali “il luogo che la distanza impediva fosse
occupato da una sorella”.
Sono numerosi i passaggi
della sua vita che illustrano il patriottismo di questa donna, di cui
celebriamo il bicentenario della su nascita. È il 7 di agosto del 1877 e suo
figlio Antonio risulta gravemente ferito nel combattimento del Potrero de
Mejia. Nell’ospedale del sangue, un gruppo di donne si lamentano e piangono per
lo stato del ferito. Mariana dice:”Fuori, fuori di qua le sottane. Non sopporto
le lacrime!”
E prima, quando Antonio
ricevette la sua prima ferita di guerra nel combattimento di Armonia, il 20
maggio del 1869, dice a Marcos, il più piccolo della prole: “E tu cresci,
perché possa anche tu combattere per la tua patria”.
Solo quattro dei suoi figli
videro la fine della dominazione coloniale spagnola.
L’esilio
Spraggiunge il patto del
Zanjón (1878) che mette fine alla Guerra dei Dieci Anni e Mariana deve uscire
da Cuba. Antonio sa quanto potrebbe essere preziosa sua madre come trofeo di
guerra per gli spagnoli e prepara cautamente la sua partenza. Assieme a María
Cabrales partí dall’Isola con destinazione Giamaica, in maggio, a bordo di una
nave francese. Non tornerà mai più a Cuba.
Martí che la visitò a
Kingston, si riferì alle sue “mani da bambina per accarezzare che le parlasse
della patria” e la ricordò sempre vestita di nero, ma era “come se la vestisse
la bandiera”. La descriveva “con un fazzoletto da anziana in testa, con gli
occhi di madre amorosa per il cubano sconosciuto, con un fuoco inestinguibile
nello sguardo e sul viso, quando si parlava delle glorie di ieri e le speranze
di oggi”.
Mariana è già molto anziana
e Antonio vuole che vada a vivere con lui in Costa Rica. L’anziana si rifiuta.
Suo figlio Marcos l’accompagna e si è adattata alla Giamaica, nonostante avervi
sofferto i sussulti della povertà e la vigilanza costante dello spionaggio
spagnolo.
È malata. Soffre di quello
che a quel tempo era conosciuto come il Male di Bright, termine già in disuso
che indicava una malattia renale e che equivarrebbe a una nefrite
degenerativa, caratterizzata da dolori,
febbre e vomito.
Questa sofferenza si
complicò con una congestione polmonare. Morì il 27 novembre del 1893 a 78 anni
d’età.
Chiese, negli ultimi
istanti, che quando Cuba fosse libera i suoi resti si portassero sull’Isola.
Il
ritorno
Trent’anni dopo la morte di
Mariana Grajales, il 15 marzo 1923, José Palomino, vice presidente del Municipio
di Santiago di Cuba, propose alla Camera Municipale il trasferimento dei resti
della madre dei Maceo. La mozione fu approvata e il 18 aprile salpava verso la
Giamaica la cannoniera Baire, della Marina da Guerra cubana. Per prendere i preziosi resti c’era a bordo
una commissione integrata da veterani dell’indipendenza e personalità
santiaguere. Viaggiavano inoltre, il citato Palomino e Dominga Maceo Grajales,
figlia di Mariana.
La mattina del 22 aprile si
esumavano i resti nel cimitero cattolico di Saint Andrews di Kingston. Questo
stesso giorno, alle 4 del pomeriggio, il Baire ripartiva con destinazione
Santiago portando le preziose reliquie. Una forte vento durò circa otto ore
sferzando l’imbarcazione all’attraversare il Paso de los Vientos.
Già in terra cubana, le
ceneri furono esposte, in una urna, nel Municipio, dove ricevettero gli omaggi
della popolazione, prima di essere depositate in una nicchia provvisoria. Fu,
si dice, la maggior dimostrazione di dolore che si abbia tributato a qualunque
patriota in questa città. Attualmente i resti riposano nel cortile D del
cimitero di Santa Ifigenia, vicino a quelli di Dominga Maceo e María Cabrales.
“È la donna che più ha commosso
il mio cuore”, scrisse Martí quando seppe della sua morte. Di Antonio aveva
detto: “Dalla madre, più che dal padre, viene il figlio...Maceo fu felice
perché venne da leone e leonessa”.
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
11 de Julio del 2015 20:31:58 CDT
11 de Julio del 2015 20:31:58 CDT
Regresa Antonio Maceo a Costa Rica procedente de Cuba, donde entró con el
pasaporte de Ramón Cabrales, su cuñado, y se movió siempre de manera
clandestina, y enseguida le informan que Mariana ha muerto en Jamaica. Aún bajo
el efecto de la terrible noticia le llega un ejemplar del periódico Patria, que
en Nueva York dirige José Martí, y halla en sus páginas el artículo donde su amigo
rinde homenaje a la «viejecita querida». Lee el texto de un tirón y vuelve
luego sobre lo leído para detenerse en aquellos párrafos que evocan los días de
la guerra:
«Y amaba, como los mejores de su vida, los tiempos de hambre y sed, en los
que cada hombre que llegaba a su puerta de yaguas podía traerle la noticia de
la muerte de uno de sus hijos».
Llega además una carta de Martí. Habla también sobre la madre muerta y
dice: «Vi a la anciana dos veces y me acarició y me miró como a un hijo, y la
recordaré con amor toda mi vida».
Cuando Maceo tiene ánimo, escribe a Martí:
«¡Ah, qué tres cosas! Mi padre, el Pacto del Zanjón y mi madre que usted,
por suerte mía, viene a calmar un tanto con su consoladora carta. Ojalá pueda
usted con sus trabajos levantar mi cabeza y quitar de mi rostro la vergüenza de
la expatriación de los cubanos y de la sumisión al gobierno colonial».
Si nace libre la hormiga
Tuvo Mariana Grajales un primer matrimonio con Fructuoso Regüeyferos. Se
casaron en 1831. Ella tenía 16 años de edad, y él 30. Permanecieron juntos
hasta la muerte del marido, nueve años después. De esa unión quedaron cuatro
hijos.
Cuando se une a Marcos Maceo no era una adolescente inexperta. Tiene un
carácter vigoroso, ha sufrido ya los dolores de la viudez y sabe lo que
significa asumir sola el cuidado de cuatro muchachos, lo que la obligó a volver
a la casa de sus padres.
De esa nueva unión nacen otros diez hijos. Los primeros cinco de ellos,
incluido Antonio de la Caridad, el después llamado Titán de Bronce, fueron
bautizados con el apellido Grajales y como hijos naturales de Mariana. La
situación de la pareja cambia cuando muere la esposa de Marcos, de la que se
encontraba separado, y pueden Marcos y Mariana contraer matrimonio.
Mariana sería para Marcos una formidable ayuda en el fomento de la finca de
su propiedad. Inclinará a los hijos a cooperar con el trabajo agrícola,
inculcándoles un profundo sentido de respeto y de obediencia al padre. Cada uno
de ellos, según la edad, tenía señalada su ocupación en el predio, mientras que
Mariana, poco a poco, consolidaba una posición rectora en el hogar, aunque no
dejaba de consultar con Marcos todos los problemas a fin de pronunciarse sobre
ellos de mutuo acuerdo. Los que los conocieron recordarían a la pareja «consultándose
las dificultades, felices en expansión hogareña, juntos sobre el dolor y la
felicidad».
Sus biógrafos la describen como una madre tierna y bondadosa, pero también
inflexible en todo lo relativo a la disciplina. Era una casa en la que se comía
y se dormía a horas fijas y de la que nadie podía estar fuera pasadas las diez
de la noche. Una casa ordenada y limpia en la que Mariana vigilaba la pulcritud
en la vestimenta de los que la vivían.
Hija de mulatos libres, Mariana debe haber recibido alguna instrucción
hasta donde era posible en la Cuba colonial para seres de su condición, con
independencia de su posición económica: las llamadas primeras letras. Es
evidente que tuvo de sus padres una rigurosa formación ética que supo
transmitir a sus hijos. Una formación que se complementaría con la lectura en
voz alta que en el atardecer, después de las comidas, hacía una de las hijas,
para todos los de la casa, de aquellos libros que Marcos mandaba a comprar en
Santiago de Cuba y en los que se hablaba de Bolívar y Louverture, y entre los
que no faltaban las novelas de Dumas.
Las canciones con que ella arrullaba a sus hijos estaban impregnadas de
cubanía, que equivalía en ese tiempo a un verdadero antiespañolismo. Cincuenta
años después, Antonio Maceo recordaría una de las décimas con las que Mariana
mecía su sueño. Tal vez el Titán, dice el escritor Raúl Aparicio en su Hombradía de Antonio Maceo, por el tiempo
transcurrido, tergiversara un poco la letra.
Si nace libre la hormiga,
La bibijagua y el grillo,
Sin cuestiones de bolsillo
Ni español que los persiga,
Ninguna ley los obliga
A ir a la escribanía
A comprar la libertad,
Y yo con mi dignidad
¿No seré libre algún día?
Liberar a la patria o morir por ella
El 10 de octubre de 1868, Carlos Manuel de Céspedes se alza en armas contra
España. Dos días más tarde, Marcos Maceo manda a su hijo Miguel a una tienda
cercana donde se ha concentrado una tropa insurrecta. Su jefe es un viejo amigo
de los Maceo Grajales y al encontrarse con Marcos y Mariana recibe de la
familia una valiosa donación en armas, caballos y dinero con destino a la
contienda recién iniciada. Preguntó entonces el jefe de la tropa cuál de los
hijos de Marcos y Mariana estaría dispuesto a marchar a la guerra.
Sin pensarlo dos veces dieron el paso al frente Antonio, José y Justo.
Mariana pide entonces a sus hijos que se arrodillen ante una imagen de Cristo y
les hace jurar que liberarán a la Patria o morirán por ella.
Al fin se irían todos a la manigua. Mariana, que pasaba ya de los 50 años,
se va a la guerra y lleva con ella a sus hijos más pequeños. Presta servicio en
improvisados hospitales y prodiga en ellos cuidados y cariños a los mambises
heridos. «Aquella santa mujer suplía el puesto de una madre ausente», escribía
el patriota Fernando Figueredo, y añadía que conminaba a María Cabrales, la
esposa de Maceo, a que ocupara en aquellos hospitales «el lugar que la
distancia impedía fuera ocupado por una hermana».
Son numerosos los pasajes de su vida que ilustran el patriotismo de esta
mujer, de quien celebramos el bicentenario de su natalicio. Es el 7 de agosto
de 1877 y su hijo Antonio resulta gravemente herido en el combate del Potrero
de Mejía. En el hospital de sangre, un grupo de mujeres se lamentan y lloran
por el estado del herido. Dice Mariana: «Fuera, fuera faldas de aquí. ¡No
aguanto lágrimas!».
Y antes, a raíz de recibir Antonio su primera herida de guerra en el
combate de Armonía, el 20 de mayo de 1869, dice a Marcos, el más pequeño de la
prole: «Y tú, empínate para que también puedas pelear por tu patria».
Solo cuatro de sus hijos vieron el fin de la dominación colonial española.
El exilio
Sobreviene el Pacto del Zanjón (1878), que pone fin a la Guerra de los Diez
Años, y Mariana debe salir de Cuba. Sabe Antonio cuán valiosa podía ser su
madre como trofeo de guerra para los españoles y prepara cuidadosamente su
salida. Junto con María Cabrales salió de la Isla, con destino a Jamaica, en
mayo, a bordo de un barco francés. Nunca más volvería a Cuba.
Martí, que la visitó en Kingston, se refirió a sus «manos de niña para
acariciar a quien le hable de la patria», y la evocó vestida siempre de negro,
pero era «como si la bandera la vistiese». La describía «con un pañuelo de
anciana a la cabeza, con los ojos de madre amorosa para el cubano desconocido,
con fuego inextinguible en la mirada y en el rostro, cuando se hablaba de las
glorias de ayer y las esperanzas de hoy».
Está Mariana ya muy mayor y quiere Antonio que se vaya a vivir con él a
Costa Rica. La anciana se niega. Su hijo Marcos la acompaña y se ha adaptado a
Jamaica, pese a haber sufrido allí los sobresaltos de la pobreza y la
vigilancia constante del espionaje español. Está enferma. Sufre de lo que en la
época se conocía como Mal de Bright, término ya en desuso que designaba a una
enfermedad renal y que equivaldría a una nefritis degenerativa, caracterizada
por dolores, fiebre y vómitos. Ese padecimiento se complicó con una congestión
pulmonar. Murió el 27 de noviembre de 1893, a los 78 años de edad.
Pidió, en los momentos postreros, que cuando Cuba fuese libre sus restos se
llevaran a la Isla.
El regreso
Treinta años después de la muerte de Mariana Grajales, el 15 de marzo de
1923, José Palomino, vicepresidente del Ayuntamiento de Santiago de Cuba,
propuso a la Cámara Municipal el traslado de los restos de la madre de los
Maceo. La moción fue aprobada y el 18 de abril salía rumbo a Jamaica el
cañonero Baire, de la Marina de Guerra cubana. En busca de los preciados restos
iba a bordo una comisión que integraban veteranos de la independencia y personalidades
santiagueras. Viajaban además el ya aludido Palomino y Dominga Maceo Grajales,
hija de Mariana.
En la mañana del 22 de abril se exhumaban los restos en el cementerio
católico de Saint Andrew’s, de Kingston. Ese mismo día, a las 4 de la tarde,
partía el Baire con destino a Santiago llevando las preciadas reliquias. Una
fuerte ventolera que duró unas ocho horas azotó la embarcación al atravesar el
Paso de los Vientos.
Ya en tierra cubana, las cenizas en una urna fueron expuestas en el
Ayuntamiento, donde recibieron el homenaje de la población, antes de que fueran
depositadas en una bóveda provisional. Fue, se dice, la mayor demostración de
dolor que se le haya tributado a patriota alguno en esa ciudad. Actualmente los
restos descansan en el patio D del cementerio de Santa Ifigenia, junto a los de
Dominga Maceo y María Cabrales.
«Es la mujer que más ha conmovido mi corazón», escribió Martí cuando supo
de su muerte. De Antonio había dicho: «De la madre más que del padre
viene el hijo… Maceo fue feliz porque vino de león y de leona».
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