Translate
Il tempo all'Avana
+28
°
C
H: +28°
L: +23°
L'Avana
Lunedì, 24 Maggio
Vedi le previsioni a 7 giorni
Mar | Mer | Gio | Ven | Sab | Dom |
+28° | +29° | +29° | +28° | +29° | +29° |
+24° | +24° | +24° | +24° | +24° | +24° |
lunedì 15 febbraio 2016
sabato 13 febbraio 2016
Firmato il convegno per i voli commerciali (?)
Devo essermi perso qualche cosa…Ieri sera il Noticiero Nacional de Televisión ha diffuso un comunicato secondo il quale Cuba e Stati Uniti hanno firmato un accordo per l’inizio dei “voli commerciali” chiarendo (si fa per dire) che sarà il potenziamento degli attuali voli charter che trasportano gli statunitensi compresi nelle 12 “categorie” ammesse a visitare Cuba da parte del Ministero del Tesoro degli USA, senza altre formalità che dichiarare di appartenere a una di esse con realtivo programma, di massima, del viaggio e soggiorno a Cuba. Aggiungendo per chiarezza che i “normali” viaggi turistici sono ancora vietati ai cittadini statunitensi.
Forse sono un po’ tardo e duro di comprendonio, ma...cchevordì? Si tratta di un potenziamento dei charter, quindi...altri charter o voli commerciali veri e propri? Se il “cittadino comune” nordamericano non ne può usufruire, chi lo può fare? Cittadini di altri Paesi, anche non residenti che vogliono spostarsi nelle due direzioni? Le aerolinee statunitensi apriranno agenzie a Cuba per la biglietteria? Sarebbe bello saperlo chiaramente.
venerdì 12 febbraio 2016
giovedì 11 febbraio 2016
Parte oggi la XXV Fiera del Libro
Come da tradizione, oggi si è aperta la XXV Fiera Internazionale del Libro dell'Avana nella suggestiva cornice del Parco Militare Morro Cabaña.
Il Paese invitato d'Onore è la Repubblica Orientale dell'Uruguay.
L'esposizione all'Avana conta di diverse sub sedi nei vari municipi della capitale di cui il più significativo, sempre come da tradizione, è nel Pavellon Habana della Rampa.
Dopo la chiusura, il prossimo giorno 21 la mostra verrà, come sempre, spostata nelle diverse province, a turno, fino alla prossima estate.
mercoledì 10 febbraio 2016
Nuovo corso (speriamo non sia un vialetto) della stampa cubana
Per la prima volta (che io sappia) una notizia del genere è stata riportata dalla televisione e stampa cubana. In passato queste informazioni venivano trattate col massimo riserbo...
Magari non si è ancora al pluralismo e massima libertà d'informazione, ma c'è un inizio per tutto e dopo oltre 50 anni di censura o autocensura, qualcosa si muove.
Abandonaron Yuliesky y Lourdes Gurriel la
selección cubana de béisbol
Autor: Periódico
Granma | internet@granma.cu
8 de febrero de 2016 10:02:07
En horas de la madrugada de hoy se produjo el abandono
del hotel donde se encontraba el equipo cubano de béisbol que asistió a la
edición 58 de la Serie del Caribe de Béisbol, en la República Dominicana, de
los peloteros Yuliesky y Lourdes Gurriel Castillo, en franca actitud de entrega
a los mercaderes del béisbol rentado y profesional.
Este hecho fue inmediatamente rechazado por los
integrantes de la selección cubana, quienes emitieron una declaración.
martedì 9 febbraio 2016
lunedì 8 febbraio 2016
Bar Avaneri, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 7/2/16
In questi giorni è toccato allo scriba di condividere con un gruppo di ambasciatori del rum Havana Club. Si chiamano così i rapresentanti della prestigiosa marca nei Paesi dove risiedono; gente giovane, affabile, comunicativa e naturalmente molto ricettiva alla storia e alle novità dell’industria e del prodotto che rappresentano. Questo scriba doveva guidarli in un percorso che è cominciato il mezzogiorno al Floridita ed è terminato, nel tardo pomeriggio, al bar Vista al Golfo dell’Hotel Nacional de Cuba, dopo essere passati dallo Sloppy Joe’s, Bodeguita del Medio e Dos Hermanos.
In questi giorni è toccato allo scriba di condividere con un gruppo di ambasciatori del rum Havana Club. Si chiamano così i rapresentanti della prestigiosa marca nei Paesi dove risiedono; gente giovane, affabile, comunicativa e naturalmente molto ricettiva alla storia e alle novità dell’industria e del prodotto che rappresentano. Questo scriba doveva guidarli in un percorso che è cominciato il mezzogiorno al Floridita ed è terminato, nel tardo pomeriggio, al bar Vista al Golfo dell’Hotel Nacional de Cuba, dopo essere passati dallo Sloppy Joe’s, Bodeguita del Medio e Dos Hermanos.
Ognuno di questi esercizi ha
ricevuto i visitatori con un cocktail. Vista al Golfo con il cocktail Nacional
e Sloppy con Cuba Libre, mentre Bodeguita del Medio e Floridita con il mojito e
il daiquirí che sono solo da immaginare. Dos Hermanos offrí l’Havana Special.
Curiosamente nella cena con
cui si è chiuso l’incontro e che ebbe luogo nel Museo del Ron, l’Havana Special
fu proprio il cocktail di benvenuto.
Un
treno sulle onde
Per chi scrive queste note,
fu una sorpresa constatare la vigenza di questa bevanda che alcuni chiamano il
Manhattan cubano e che il cronista pensava dimenticato, anche se è reiterato
nei menù di molti bar non statali. Un miscuglio la cui invenzione è attribuita
a Constantino Ribalaigua, barman catalano residente nella capitale cubana che
ispirò una linea di trasporto di passeggeri e merci che faceva il percorso New
York – Key West – l’Avana – New York.
Da questa città, il treno
impiegava due giorni a raggiungere Key West dove, un servizio di ferry boats,
con una traversata di dieci ore, trasportava i vagoni fino all’Avana. Questa
rotta si conobbe col nome di The Havana Special e permise che Cuba ne
approfittasse per riaffermarsi come importante fornitore del mercato
nordamericano.
Traversare il mare seduti
comodamente in un vagone ferroviario che prima era passato sulla cima angusta
di una montagna di corallo, sembra un racconto di fate. Siccome le fate non
esistono, solo un uomo come il multimilionario Henry Flagler fu capace di
un’impresa come questa che estese la strada ferrata fino a Miami e da lì,
isoletta per isoletta, la portò a Key West per collegare così Cuba, il resto
dei Caraibi e il Canale di Panama.
La strada ferrata si costruì
con acciaio e cemento tedeschi e legname cubano.
Richiese di sette anni di
lavoro alacre. Per periodi lunghi vi lavorarono simultaneamente fino a 4.000
uomini.
Tre cicloni - uno lasciò 200
lavoratori morti – intorbidirono la costruzione.
Non sarebbero stati gli
eventi meteorologici gli unici inconvenienti. Il primo degli ingegneri che
assunse il progetto, impazzì sugli scogli e quello che proseguì nel compito e
la portò a termine, non poté mai più tornare al suo lavoro. In ogni modo, il 22
gennaio del 1912, con l’arrivo a Key West del primo treno proveniente da Miami,
Flagler faceva realtà del suo sogno e quello stesso giorno si imbarcava verso
l’Avana al fine di promuovere la sua rotta sulle isolette. Ventitré anni dopo,
il 2 settembre 1935, un uragano di categoria cinque distrusse parzialmente
l’infrastruttura ferroviaria. I proprietari di The Havana Special vendettero
quello che restava allo stato della Florida.
Parte di queste rovine sono
ancora visibili. Su tratti di esse si costruì la rete di strade che dal 1938,
unisce fra loro le isolette della Florida e le allaccia alla penisola. Da
allora i ferry non trasportarono più vagoni ferroviari. Proseguirono con la
linea di passaggi e carichi generici, dando ai viaggiatori di entrambi i lati
l’opportunità di visitare la sponda opposta con la propria automobile.
Il ferry di Key West si
interruppe dopo il 1959. Oggi, per conseguenza dell’embargo imposto a Cuba dal
Governo di Washington, l’Havana Special è solo un cocktail creato da
Constantino Ribalaigua, mentre nel Key, un busto di Flagler ricorda la storia
della sua famosa ferrovia.
Anche
nei romanzi
Tutto questo lo spiegai, nel
bar Dos Hermanos, agli ambasciatori dell’Havana Club. Questo esercizio si trova
di fronte al molo di The Havana Special e aprì le sue porte nel 1892, cosa che
lo rende uno dei bar più antichi della capitale cubana. Si caratterizzò per il
suo lungo banco di legno duro, incompleto da quando gli hanno segato un pezzo
al fine di installarlo in uno dei bar dell’hotel Moka, a Las Terrazas.
Anche così continua ad
essere lungo. Il poeta spagnolo Federico García Lorca, frequentò il Dos
Hermanos durante il suo soggiorno cubano del 1930 e lì andarono anche, fra gli
altri, Alejo Carpentier ed Enrique Serpa, autore di romanzi come Contrabando e La trampa così come un racconto antologico, Aletas de tiburón. E naturalmente, l’inevitabile Hemingway che
nella radicata opinione di alcuni, deambulò per tutti i bar e cantine avanere,
anche se scelse come preferito il Floridita. In Dos Hermanos “con passi incerti
che lo portavano a una piccola, ma soddisfacente libertà”, entrò un pomeriggio
Andrés il protagonista di Fiebre de
caballos, (1988) il romanzo iniziale di Leonardo Padura. All’inizio bevette
lentamente la sua bevanda amara e si dedicò a studiare la gente fino a che la
quarta o quinta birra lo lasciò senza movimenti e cominciò a vedere nebulosi e
deformi quelli che lo circondavano, come se stesse guardando un film girato con
un grottesco grandangolo.
Il Floridita fu, fino al
1959, il bar più famoso della città, ma lo Sloppy Joe’s fu sempre quello dalle
maggiori vendite. Pensai che lo Sloppy Joe’s di Key West fosse precedente a
questo dell’angolo di Zulueta e Ánimas, all’Avana. Errore. Lo Sloppy avanero
anticipò di 16 anni quello dell’altra parte che si inaugurò nel 1934 e tre anni
dopo si installava nella calle Duval, ubicazione che mantiene ancora mentre un
altro bar, chiamato Capitan Tony, occupava lo spazio che lo Sloppy originale
lasciava libero. Capitan Tony non ha l’animazione dello Sloppy ne il suo
incanto, ma lì si da una situazione insolita: molte delle donne che lo visitano
si tolgono il reggiseno e lo appendono ai fili che si intersecano nel salone.
Se Padura fissò il bar Dos
Hermanos nella letteratura e Hemingway il Floridita in Isole del Golfo,
l’inglese Graham Greene, amante del rum invecchiato e inventore di diabolici
cocktails, immortalò lo Sloppy – e anche l’hotel Sevilla – nel suo romanzo Il nostro uomo all’Avana, portato anche
al cine. Una guida del 1954, pubblicata negli Stati Uniti, apporta un dettaglio
importante che facilitava ai turisti nordamericani la loro visita all’Isola:
Sloppy Joe’s era frequentato da visitatori statunitensi, ma non dai
nordamericani residenti. La colonia nordamericana all’Avana preferiva il bar
Mis Amigos, in settima e 42 a Miramar. Il Floridita ebbe fluttuazioni con
relazione ai suoi parrocchiani. La maggioranza di loro era di origine
nordamericana, fino all’inizio della II Guerra Mondiale. Durante il conflitto
si riempì di cubani. I nordamericani non potevano venire a causa della guerra e
i cubani non potevano uscire. Terminata la guerra, nazionali e visitatori
godettero assieme il suo daiquirí che figura nella lista dei dieci grandi
cocktails del mondo.
Nel 1937 il corrispondente
all’Avana dell’agenzia americana UP, dedicò una cronaca a Constantino Ribalaigua.
Riferì che un gruppo di amici conversava sul baseball in uno dei bar dell’Hotel
Nacional quando uno di loro domandò chi si poteva considerare il miglior barman
cubano. Constantino Ribalaigua, rispose il barman che li serviva, anche se la
domanda non era diretta personalmente a lui. Immediatamente, riferisce il
giornalista, uno del gruppo telefonò allo Sloppy, a Prado 86 e anche ai bar
degli alberghi Plaza e Sevilla, molto famosi all’epoca. Ottenne la stessa
risposta, Il reporter visitò Constantino al Floridita e rimase meravigliato. Il
barman confessò che i suoi cocktails migliori erano il daiquirí, presidente e
Pepín Rivero, ispirato al direttore e proprietario del Diario della Marina. Lo
scriba che ha nel suo archivio le formule di oltre 300 cocktails raccolte in
bar e cantine di tutta l’Isola, non ha potuto vedere la ricetta di quest’ultimo
cocktail. Non appare nel ricettario del Floridita che Constantino pubblicò nel
1939, quando il signor Rivero era ancora vivo. per certo che in quella lista di
cocktails si indica la formula di un daiquirí elaborato espressamente con
Havana Club.
Un’incognita
Se è possibile precisare
l’origine di molti cocktails e menzionare i loro creatori per nome, il Cuba
Libre resta nel mistero. Ancora alla fine del XIX° secolo a Cuba non si
conosceva la parola cocktail. La ginevra superava il rum nel gusto dei bevitori
e si parlava di composti spumosi e
sbattuti. L’intervento militare nordamericano mise una nota di modernità nei
bar cubani, rum, bibita di cola e ghiaccio fecero un miscuglio da campionato.
Terminò la sovranità spagnola, l’Isola rimase sotto la protezione degli Stati
Uniti e nacque una repubblica incompleta. Ma la gente, con buona dose
d’ingenuità, alzava il bicchiere e diceva: Cuba libera. Nel 1902 nasceva il bar
La Florida che col tempo diventò il Floridita, esistevano già allora l’American
Club che fallì e riaprì di nuovo e la cantina che dava servizio alle truppe
nordamericane del campo di Columbia. Esisteva, come si è detto, il Dos
Hermanos. Si parla anche di un bar Americano che lo scriba non ha potuto
identificare, se pure è esistito. In qualsiasi di loro può essere nato il Cuba
libre.
La Bodeguita del Medio ha
entusiasmato i visitatori. Il suo fondatore, Ángel Martínez, ripeteva che a 12
anni di età suo padre lo codannó all’ergastolo dietro un banco. Nel 1942 comprò
l’esercizio che allora si chiamava La Complaciente e che non era altro che una
bottega di quartiere. Lì, sua moglie Armenia cominciò a cucinare per pochi
clienti fra i quali Felito Ayón, un animale della notte avanera che si vincola,
come stampatore a pietre miliari imprescindibili della poesia cubana, come la Elegía a Jesús Menéndez, di Nicolás
Guillén con disegni di Carlos Enriquez. Felito che aveva la sua azienda nello
stesso isolato di quella che si chiamava La Casa Martínez, diceva ai suoi
clienti; “Se non sono in tipografia, cercatemi nella bottega, la botteguccia
che sta nel mezzo della strada”. Da lì nacque La Bodeguita del Medio, qualcosa tanto
ovvia che non ci pensò nessuno, prima. Così si chiama, dal 26 aprile del 1950,
questo esercizio. Martínez finì di sbarazzarsi dei viveri e liquori comuni
nelle botteghe e mise pochi tavoli nello spazio ridotto di cui disponeva, la
fama della cucina di Armenia crebbe, rinforzata dalle mani prodigiose de “La
China” Silvia Torres e i mojitos che lì acquisirono il documento di
cittadinanza internazionale, fecero il resto.
Di lì sono passati tutti, si
fa per dire. Come dal bar Vista al Golfo dell’Hotel Nacional, dove gli
ambasciatori del rum Havana Club, col cocktail che porta il nome dell’esercizio
alberghiero in mano, poterono apprezzare la estesa galleria con le foto delle
celebrità che adornano le pareti del locale; tutti clienti dell’esercizio.
Gli invitati percorsero
l’Avana su carrozze trainate da cavalli, bici taxi e grandi automobili
scoperte. La sera finale, dopo cena, gli si regalò un’esperienza memorabile:
poterono partecipare al matrimonio tra un Cohiba VI secolo e il rum Unión di Havana
Club.
Una combinazione perfetta.
Bares habaneros
Ciro
Bianchi Ross
En estos
días tocó a este escribidor compartir con un grupo de embajadores del ron
Havana Club. Se llama así a los representantes de la prestigiosa marca en los
países donde residen; gente joven, afable, comunicativa y, desde luego, muy
receptiva a la historia y las novedades de la industria y el producto que representan. Este escribidor debía
guiarlos en un recorrido que comenzó a medio día en el Floridita y terminó,
tarde en la tarde, en el bar Vista al Golfo del Hotel Nacional de Cuba, luego de haber pasado por
Sloppy Joe’s, Bodeguita del Medio y Dos Hermanos.
Cada uno
de esos establecimientos recibió a los visitantes con un coctel. Vista al Golfo
con el coctel Nacional y Sloppy con
Cuba Libre, mientras que Bodeguita del Medio y Floridita con el mojito y el
daiquirí, que son de imaginar. Dos Hermanos ofreció el Havana Special.
Curiosamente, en la cena con la que se clausuró el encuentro y que tuvo lugar
en el Museo del Ron, el Havana Special fue también el coctel de bienvenida.
UN TREN SOBRE LAS OLAS
Para quien
esto escribe fue una sorpresa constatar la vigencia de ese
trago que algunos llaman el Manhattan cubano, y
que el cronista
suponía
olvidado ya en la preferencia y el
paladar de los bebedores, aunque se reitera en la carta-menú de muchos bares no
estatales. Una mezcla cuya invención se
atribuye a Constantino Ribalaigua, barman catalán radicado en la capital
cubana, que se inspiró en una línea de transporte de pasajeros y mercancías que
hacía el recorrido Nueva York—Cayo Hueso—La Habana—Nueva York.
Desde esa
ciudad, el tren demoraba dos días en
llegar a Cayo Hueso, donde un servicio de ferry-boats, en una travesía de diez
horas, transportaba los vagones hasta La Habana. Esa ruta se conoció con el
nombre de The Havana Special y posibilitó que Cuba la aprovechara para
reafirmarse como importante suministrador del mercado norteamericano.
Cruzar el
mar sentado cómodamente en un vagón de ferrocarril
que
antes
avanzó sobre la cumbre angosta de una montaña de coral, parece
cosa de hadas. Como las hadas no existen, solo un
hombre como el multimillonario Henry Flagler fue capaz de una empresa como esa
que extendió la vía férrea hasta Miami y desde allí, de isleta en isleta, la
llevó hasta Cayo Hueso para conectar así con Cuba, el resto del Caribe y el
Canal de Panamá.
El camino
de hierro se acometió con acero y
cemento de Alemania y maderas cubanas. Requirió de siete años de ingente labor.
Por largos periodos hasta 4 000 hombres
laboraron allí de manera simultánea.
Tres
ciclones —uno, con 200 trabajadores muertos— entorpecieron la construcción.
No serían
los meteoros el único inconveniente. El primero de los ingenieros que asumió el
proyecto, enloqueció sobre los arrecifes, y el que prosiguió la tarea y la
llevó a término, nunca más pudo volver a trabajar en lo suyo. De cualquier
manera, el 22 de enero de 1912, con la llegada a Cayo Hueso del primer tren
procedente de Miami, Flagler hacía realidad su sueño, y ese mismo día embarcaba
hacia La Habana a fin de promover su ruta sobre los cayos. Veintitrés años
después, el 2 de septiembre de 1935, un huracán de categoría cinco destruyó
parcialmente la infraestructura ferroviaria. Los propietarios de The Havana
Special vendieron lo que quedó al estado
de Florida.
Parte de
esas ruinas son todavía visibles. Sobre partes de ellas se erigió la red de
carreteras que, desde 1938, une entre sí los cayos floridanos y los enlaza con
la península. Desde entonces los ferry
no transportaron vagones de ferrocarril. Prosiguieron su línea de pasajes y
carga general y dieron a los viajeros de ambos lados la oportunidad de visitar
la orilla contraria con su propio automóvil.
El ferry
de Cayo Hueso se interrumpió después de 1959. Hoy, a consecuencia del bloqueo
impuesto a Cuba por el gobierno de Washington, el Havana Special es solo el
coctel creado por Constantino Ribalaigua, mientras que en el Cayo un busto de
Flagler recuerda la historia de su famoso ferrocarril.
TAMBIÉN EN LAS NOVELAS
Todo eso
expliqué, en el bar Dos Hermanos, a los
embajadores de Havana Club. Ese establecimiento se ubica frente al muelle de
The Havana Special y abrió sus puertas en 1892, lo que lo hace uno de los
bares más
antiguos de la capital cubana. Se
caracterizó por su larga barra de madera dura, incompleta desde que le
cercenaron un pedazo a fin de emplazarlo en uno de los bares del hotel Moka, en
Las Terrazas.
Aun así,
sigue siendo larga. El poeta español
Federico García Lorca frecuentó el Dos Hermanos durante su estancia cubana de
1930, y por allí estuvieron asimismo,
entre otros, Alejo Carpentier y Enrique
Serpa, autor de novelas como Contrabando y La trampa y de un cuento antológico,
Aletas de tiburón. Y, por supuesto, el inevitable Hemingway, que en la festinada opinión de algunos
deambuló por todos los bares y cantinas habaneros, aunque centró su preferencia
en Floridita. En Dos Hermanos, «con
pasos torpes que lo conducían a una pequeña pero satisfactoria libertad», entró
una tarde Andrés, el protagonista de Fiebre de caballos, (1988) la novela
inicial de Leonardo Padura. Al comienzo bebió lentamente su trago amargo y se
dedicó a estudiar a la gente hasta que la cuarta o quinta cerveza lo dejó sin
movimientos y empezó a ver neblinosos y deformes a los que lo rodeaban, como si
estuviera viendo una película filmada con un grotesco ángulo ancho.
Floridita fue hasta 1959 el bar
más famoso de la ciudad, pero Sloppy Joe’s fue siempre el de más ventas.
Supuse que el Sloppy Joe´s de Cayo Hueso antecedió a este de la esquina de
Zulueta y Ánimas, en La Habana. Error. El Sloppy habanero se anticipó en 16 años al del lado de allá, que se
inauguró en 1934 y tres años después se instalaba en la calle Duval, ubicación
que todavía mantiene, mientras que otro bar llamado Capitán Tony ocupaba el espacio que el Sloppy original dejaba
libre. Capitán Tony no tiene la animación del Sloppy ni su hechizo, pero allí
se da una situación insólita: muchas de las mujeres que lo visitan se despojan
del ajustador y lo cuelgan en las tendederas que cruzan el salón.
Si Padura fijó el bar Dos Hermanos
en la literatura, y Hemingway el Floridita en Islas en el golfo, el inglés Graham Greene, aficionado al ron
añejo e inventor de cocteles diabólicos, inmortalizó el Sloppy —y también al
hotel Sevilla— en su novela Nuestro hombre en La Habana, llevada además al cine. Un detalle
interesante aporta una guía de
1954
publicada en Estados Unidos que
facilitaba a turistas norteamericanos su visita a la Isla: Sloppy Joe’s era
frecuentado por visitantes estadounidenses, no por los norteamericanos
residentes. La colonia norteamericana en
La Habana prefería el bar Mis amigos, en Séptima y 42, Miramar. Floridita tuvo
fluctuaciones con relación a sus parroquianos. La mayoría de ellos era de
origen norteamericano hasta el inicio de la II Guerra Mundial. Durante la
conflagración bélica se llenó de cubanos. Los norteamericanos no podían venir a
causa de la guerra y los cubanos no podían salir. Finalizada la guerra,
nacionales y visitantes disfrutaron juntos su daiquirí, que figura en la lista
de diez grandes cocteles del mundo.
En 1937, el corresponsal en La
Habana de la agencia norteamericana UP dedica una crónica a Constantino
Ribalaigua. Refiere que un grupo de amigos conversaba sobre beisbol en uno de los bares del Hotel Nacional cuando
uno de ellos preguntó sobre quién podría considerarse el mejor cantinero cubano.
Constantino Ribalaigua, respondió el barman que los atendía, aunque la pregunta
no le estaba dirigida expresamente. De inmediato, refiere el periodista, uno de
los del grupo telefoneó al Sloppy y a Prado 86 y también a los bares de los
hoteles Plaza y Sevilla, muy famosos en la época. Obtuvo la misma respuesta. El
reportero visitó a Constantino en Floridita y quedó maravillado. Confesó el
barman que sus mejores cocteles eran daiquirí, presidente y Pepín Rivero,
inspirado en el director-propietario del Diario de la Marina. El escribidor, que tiene en su archivo las fórmulas de más
de 300 cocteles recogidas en bares y cantinas de toda la Isla, no ha podido ver la receta de ese último
coctel. No aparece en el recetario del Floridita que Constantino publicó en
1939, cuando el señor Rivero todavía vivía. Por cierto, en ese coctelario se
consigna la fórmula de un daiquirí elaborado expresamente con Havana Club.
Che aveva
UNA INCÓGNITA
Si es
posible precisar el origen de muchos cocteles y mencionar a sus creadores por
su nombre, el Cuba libre queda en el misterio. Todavía a fines del siglo XIX no
se conocía en Cuba la palabra coctel. La ginebra superaba al ron en el gusto de
los bebedores y se hablaba de compuestos, achampanados y meneados. La intervención militar
norteamericana puso una nota de modernidad en los bares cubanos, y ron,
refresco de cola y hielo hicieron una mezcla de campeonato. Cesó la soberanía
española, la Isla quedó bajo la égida de
Estados Unidos y nació una república mediatizada. Pero la gente, con una buena
dosis de ingenuidad, levantaba su vaso y decía: Cuba libre. En 1902 surgía el
bar La Florida que, con el tiempo, pasó a ser el Floridita, y existían ya
entonces el American Club, que quebró y reabrió después y la cantina que daba servicio a las tropas
norteamericanas destacadas en el campamento de Columbia. Existía, como ya se
dijo, el Dos Hermanos. Se habla asimismo de un bar Americano, que el escribidor
no ha podido localizar, si es que existió. En cualquiera de ellos pudo surgir
el Cuba libre. .
La Bodeguita del Medio entusiasmó a
los visitantes. Su fundador, Ángel Martínez, repetía que a los 12 años de edad
su padre lo condenó a cadena perpetua detrás de un mostrador. En 1942 compró el
establecimiento que entonces se llamaba
La Complaciente y que no era más que una bodega de barrio. Allí su esposa
Armenia comenzó a cocinar para unos pocos clientes, entre ellos Felito Ayón, un
animal de la noche habanera que se vincula, como impresor, a hitos
imprescindibles de la poesía cubana, como la Elegía a Jesús Menéndez, de Nicolás
Guillén con dibujos de Carlos Enríquez.
Felito que tenía su negocio en la misma cuadra de lo que se llamaba ya
La Casa Martínez, decía a sus clientes: Si no estoy en la imprenta, búscame en
la bodega, una bodeguita que está en el medio de la calle. De ahí surgió La
Bodeguita del Medio, algo tan obvio que a nadie se le ocurrió antes. Así se
llama este establecimiento desde el 26 de abril de 1950. Martínez terminó
desembarazándose de los víveres y licores habituales en las bodegas y puso unas pocas mesas en el reducido espacio
de que disponía, creció la fama de la cocina de Armenia, reforzada luego por
las manos prodigiosas de «La China» Silvia Torres, y los mojitos, que
adquirieron allí carta de ciudadanía internacional, hicieron el resto.
Por allí ha pasado todo el mundo, es
un decir. Al igual que por el bar Vista al Golfo del Hotel Nacional, donde los
embajadores del ron Havana Club, con el coctel que lleva el nombre del
establecimiento hotelero en la mano, pudieron apreciar la extensa galería de fotos
de famosos que adornan las paredes; clientes todos de la instalación.
Los invitados recorrieron La Habana
en coches tirados por caballos, bici taxis y grandes carrones convertibles. La
noche final, después de la cena, les regaló una experiencia memorable: pudieron
participar en un maridaje entre un Cohíba siglo VI y el ron Unión de Havana
Club.
Una combinación perfecta.
Ciro Bianchi Ross
sabato 6 febbraio 2016
Profughi cubani e incontro storico fra i Capi di due Chiese Cristiane
Dal prossimo martedì 9, gli
oltre settemila cubani ancora in attesa di uscire dal Costarica, potranno
finalmente recarsi (in transito) nel Messico, direttamente in aereo, per
proseguire il cammino verso gli Stati Uniti passando la frontiera sprovvisti di
visto d’ingresso. All'uopo verrà istituito un imponente ponte aereo con circa 10 voli quotidiani. Resta sempre un mistero quello per cui i cittadini cubani che
entrano illegalmente negli States vengano poi accolti e assistiti come nessun
altro al mondo, ma il rilascio di visti regolari per cui possano entrare senza
tante peripezie è estremamente ristretto e controllato. Al di la di gente che
ormai è uscita dal suo territorio nazionale, ci sono decine di migliaia di
cubani a cui è stato e viene negato il visto, prima dall’Ufficio d’Interessi e
adesso dall’Ambasciata.
Cambiando tema, credo sia
ormai risaputo ovunque dell’incontro previsto all’aeroporto José Martí
dell’Avana tra il Papa Francesco e il Patriarca della Chiesa Russa Ortodossa,
approfittando di uno scalo tecnico del Santo Padre in vista del suo viaggio in
Messico.
venerdì 5 febbraio 2016
mercoledì 3 febbraio 2016
martedì 2 febbraio 2016
lunedì 1 febbraio 2016
L'Avana di andata e ritorno...di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 31/1/16
Se si domanda a
qualsiasi avanero dove situa il cuore dell’Avana, risponderà senza esitare che è nella Rampa. Questo
pezzo di strada che si estende per una lunghezza di 500 metri lungo l’Avenida
23, nel Vedado, dalla gelateria Coppelia fino al mare, è la zona più centrale e
frequentata della capitale. Il luogo ideale per la passeggiata, l’appuntamento
galante, l’incontro di lavoro, la distrazione...Così è successo durante gli
ultimi 60 anni nei quali La Rampa si è convertita, col Malecón, nel luogo più cosmopolita
dell’urbe.
Andare alla Rampa,
riunirsi in essa, sono abitudini dei cubani, come pure si prenderebbe come
punto di riferimento per intraprendere il cammino, dopo, verso altri posti. Ci
sono molti modi di percorrere l’Avana.
Una può essere quella di
seguire la deriva che quì segna la storia.
Un’altra farlo in libera
scelta, con fermate in quei luoghi che meritino una fermata lungo il cammino.
Questo è, con La Rampa come punto di partenza, quello che faremo nelle pagine
che seguono.
Stili diversi
Si insiste così tanto nei
valori dell’Avana coloniale che si corre il rischio di supporre che il resto
della nostra città non ne abbia. Dell’Avana moderna, il meglio è il Vedado, ha
raggiunto il meglio dell’urbanismo cubano. Con l’instaurazione della Repubblica
(1902), questo quartiere acquisì un’auge inusitata. Già l’Università si era
installata in esso, i signori di lunga data e i nuovi ricchi fecero costruire
le loro residenze nella zona.
Si impose quindi una
modalità eclettica nell’architettura che raggiunse le sue migliori espressioni nella casa dove ha sede l’Unione degli Scrittori e Artisti di Cuba,
nel palazzetto che ospita il Museo delle Arti Decorative e l’Auditorium Amadeo
Roldán. È di stile genuinamente fiorentino la Casa de la Amistad e neobarocca
la grande casa dov’è installato il caffè ristorante 1830 vicino alla foce del
río Almendares.
Anche se esistevano,
nella capitale, alcuni edifici alti – mai superiori ai 10 piani -, è nel Vedado
dove prolifera la smania dei grattacieli – Quasi mai maggiori di 20. L’Hotel
Nacional (1930) ad esempio ha solo otto livelli, ma col suo stile di
provenienza spagnola fu la prima installazione alberghiera di vero lusso di cui
dispose la città.
Poco dopo si costruiva
l’edificio di appartamenti López Serrano, di stile Art Decó che fu il più alto
dell’Avana fino alla decade del ’50.
È in questa epoca che il
Vedado torna a rinascere. La Rampa, più che una strada comincia a convertirsi
in uno stato d’animo. Si inaugurano grandi alberghi – Rosita de Hornedo, Capri,
Riviera, Habana Hilton – e edifici come quelli del Fondo Pensioni Odontologico
e quello Medico segnano punti di molto valore nell’architettura cubana. A
questi si aggiunge l’edificio Focsa, una delle costruzioni più alte del Paese e
meraviglia dell’ingegneria civile cubana.
La Piazza
Chiaro che se si parla di
altezze raggiunte per mano dell’uomo niente supera, a Cuba, il monumento a José
Martí nella Piazza della Rivoluzione. Dall’Avenida 23, l’Avenida Paseo conduce
direttamente a questo luogo che è stato il centro politico della nazione dal
1959. In essa, il cubano ha vibrato di emozioni e gioia con le parole di Fidel,
ha pianto, come la notte della straordinaria veglia per la morte del Che, si è
indignato come nel commiato alle vittime dell’aereo cubano sabotato alle
Barbados nel 1976, in ogni momento ha riaffermato il suo appoggio a una
Rivoluzione e ad un leader vittoriosi. Nella calle G, chiamata anche Avenida de
los Presidentes, colpisce il monumento al generale José Miguel Gómez, secondo
presidente della nazione (1909-1913), costruito con colletta popolare nel 1936
e il Castillo del Príncipe è esponente
di uno dei baluardi definitivi della città coloniale. Già nella Piazza,
incorniciata dagli edifici della Biblioteca José Martí e il Teatro Nacional, la
sede di vari ministeri e il Palazzo della Revolución, la statua dell’eroe, di
18 metri d’altezza, si staglia contro un obelisco di 142 metri. Una scalinata
di 567 gradini e un ascensore conducono al belvedere del monumento. Da lí con
l’Avana ai piedi, si regala una prospettiva mozzafiato.
El Prado
Il Paseo del Prado segna
il confine tra la città moderna e l’antica. Non si può concepire l’Avana senza
questo corso; nemmeno senza il suo Parco Centrale, che si affaccia sul Paseo.
Lì si trova anche quel palazzo dei palazzi che è il Capitolio, inaugurato nel
1929 e attualmente in restauro.
La cupola di questo
edificio è, per il suo stile, il suo diametro e altezza, la sesta del mondo. Al
momento della sua costruzione, il lucernario che lo sovrasta era superato solo
da San Pietro a Roma e San Paolo a Londra. Sotto la cupola si apprezza la
Statua della Repubblica, una tra le più alte fra le sculture che esistono in
interni, si sa poco però circa la cubana che servì da modella per l’opera. Ai
suoi piedi, incastonato nel pavimento del Salone dei Passi Perduti, un
brillante che appartenne a una delle corone dell’ultimo Zar di Russia, segnava
il kilometro zero di tutte le distanze dell’Isola.
Obispo
È un piacere percorrere
la calle Obispo, arteria eminentemente commerciale che allaccia il Paseo del
Prado con la Plaza de Armas nell’Avana Vecchia.
Questa piazza è la più
antica della città e fu il politico-militare dell’Isola durante la Colonia. Uno
degli edifici che si affaccia aquesto spazio è il Castillo de la Fuerza, la
seconda delle fortezze che gli spagnoli costruirono in America e che sfoggia
sulla sua torre ornamentale, La Girardilla, simbolo dell’Avana. Vicino alla Fuerza
si eleva col suo patio andaluso e la sua facciata maestosa, il Palazzo del
Secondo Capo (1772) e sull’altro lato della piazza, di fronte a quello occupato
dall'hotel Santa Isabel, il Palazzo dei Capitani Generali (Museo della Città) si
erge come il più genuino dell’architettura barocca avanera.
Nonostante lo splendore
della Plaza de Armas, quella della Cattedrale è il complesso più armonioso
dell’Avana di ieri, mentre quella di San Francisco esibisce, a lato del
convento dallo stesso nome, la bellissima Fonte dei Leoni e la Plaza Vieja
offre nelle sue edificazioni un compendio di stili che va dal barocco all’art
nouveau.
È impensabile uscire
dall’Avana Vecchia senza visitare la dimora della calle Leonor Pérez, 314. È
modesta, non ci sono lussi in essa, ma per i cubani ha un significato speciale:
lì nacque José Martí, l’Apostolo dell’Indipendenza di Cuba.
Il tunnel
È, senza discussione,
“l’opera del secolo” a Cuba. La si considera una delle sette meraviglie
dell’ingegneria civile cubana e uno studioso come Jacques Budet la include tra
le grandi opere dell’umanità. In effetti nel suo libro The Great Works of
Mankind (Londra, 1961) appare il Tunnel dell’Avana assieme alla città di Machu
Picchu e l’Alhambra di Granada, la Grande Muraglia cinese e la Città Proibita,
il cavo transatlantico e il Canale di Suez, il Ponte di Brooklyn e la
modernizzazione di Mosca... Per la prima volta un viadotto sottomarino si
costruiva in quel modo, il suo progetto e la sua tecnologia rivoluzioneranno il
mondo delle costruzioni.
Pe renderlo possibile si
dragarono 25.000 metri cubi di roccia e oltre 100.000 di sabbia. Ha un’estensione
di 733 metri e una larghezza di 22 e le sue quattro corsie si disegnarono per
permettere il transito di 1.500 veicoli all’ora in entrambe le direzioni. I
tubi o cassoni che lo conformano si costruirono in un bacino asciutto, poi si
trasportarono per galleggiamento per essere affondati sul fondo del canale
della baia avanera dove si era scavato, in precedenza il fossato in cui
sarebbero stati depositati.
Il Tunnel dell’Avana si
inaugurò il 31 maggio del 1958, dopo tre anni di lavoro e con l’opera si faceva
realtà il desiderio di allacciare in modo veloce e comodo L’Avana con l’allora
chiamata Città dell’Est e un corollario di spiagge incantevoli con le loro
sabbie bianche e acque cristalline. Basta attraversare sotto il mare la rada
avanera e questo si fa in questione di secondi.
Verso l’est
La città si era estesa
verso sud e verso occidente, mentre l’est continuava costretto alle sue spiagge
che attraevano sempre più l’attenzione dei vacanzieri e gente desiderosa di
investire in esse.
Per la lontananza e lo
stato deplorevole delle strade, arrivare a queste spiagge fu un martirio fino
alla costruzione della Via Blanca a metà degli anni ’40. E una volta inaugurata
questa, il viaggio continuava facendosi di una lunghezza non necessaria, quando un
tunnel avrebbe garantito una via rapida e avrebbe rivalutato i terreni siti al
di la delle fortezze del Morro e la Cabaña.
I grandi proprietari
dell’est non cessavano nel loro impegno e nel 1949 si effettuavano studi di
fattibilità per il Tunnel dell’Avana. Già nel 1954 l’idea era irrefrenabile.
Grazie al tunnel si sarebbe spostato il centro dell’Avana e in principio la
città sarebbe cresciuta verso est per gli stessi 18 km. in cui, per 40 anni,
era cresciuta verso ovest.
Le spiagge, da parte
loro, continuavano la loro espansione inarrestabile.
Guanabo era già una
città-spiaggia e Santa Maria del Mar era cresciuta enormemente e molto ben
pianificata, in meno di dieci anni. Si parcellizzò e si costruìrono Boca Ciega,
Tarará e Bacuranao, la Via Blanca propiziò il sorgere di quartieri residenziali
in Colinas de Villa Real, Alamar, Bahia...mentre Cojimar si confermava come
paese di pescatori non esente da interesse turistico.
Se dalla parte ovest
dell’Avana viveva un milone di avaneri e poi continuava verso la provincia di Pinar
del Río, la “Cenerentola”, povera e dimenticata, dalla parte est risiedeva la
maggior parte della popolazione cubana e si apriva un territorio di emergente o
potenziale ricchezza.
La strada più veloce
Il Malecón risulta essere
la strada più veloce per raggiungere l’ovest avanero.
Qualunque dei due tunnel
che passano al di sotto del río Almendares – uno dei quali soppiantò il famoso ponte di Pote, che si apriva in due parti al fine di dare passaggio alle
imbarcazioni – allaccia il Vedado con Miramar, il quartiere dei diplomatici e
imprenditori per eccellenza, con una Quinta Avenida fastosa. Più in la, per la
via Panamericana, la marina Hemingway apre una porta all’avventura.
L’avanero si dimentica
spesso dell’Almendares. Invece, questo fiume, è uno dei due simboli dell’Avana
e parte integrante della sua identità.
Dal Parco Metropolitano
arrivano all’Avana i parchi naturali, il polmone verde di cui necessita la
capitale e di cui formano parte, nella capitale dell’urbe, il Parco Lenin, il
Giardino Botanico, i terreni di Expocuba, Río Cristal e lo Zoologico Nazionale.
È difficile riprodurre a parole tanta meraviglia.
Dal sud, lungo l’Avenida
di Rancho Boyeros, si può tornare al Vedado. La Città Sportiva si trova su
questo cammino e di fronte a lei, La Fonte Luminosa. Si lascia indietro la
Piazza della Rivoluzione e si sfocia un’altra volta, di colpo, nell’Avenida 23.
Se si prosegue per G verso il mare, si apprezzano i monumenti a Salvador
Allende, Benito Juarez, Omar Torrijos, Eloy Alfaro e Simón Bolívar e più sotto,
all’incrocio col Malecón, quello che rende omaggio al generale independista
cubano Calíxto García. Alla sinistra c’è la Casa de las Américas, una delle
grandi istituzioni culturali del continente.
Si Impone un ritorno alla
Rampa. Che ne dite di un gelato di ciocolato o vaniglia? Ebbene, lì c’è
Coppelia, più che una gelateria, un’istituzione nazionale, dove a volte è
possibile degustare i migliori gelati del mondo.
La Habana de ida y vuelta
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
30 de
Enero del 2016 20:20:34 CDT
Si se le
pregunta a cualquier habanero dónde sitúa el corazón de La Habana, responderá
sin vacilar que en La Rampa. Ese pedazo de calle que se extiende a lo largo de
500 metros por la Avenida 23, en el Vedado, desde la heladería Coppelia hasta
el mar, es lo más céntrico y concurrido de la capital. El sitio ideal para el
paseo, la cita amorosa, el encuentro de trabajo, la distracción… Así ha
sucedido a lo largo de los últimos 60 años en los que La Rampa se convirtió,
junto al Malecón, en el lugar más cosmopolita de la urbe.
Ir a La
Rampa, reunirse en ella, son costumbres de los cubanos, como también lo es
tomarla como punto de referencia para emprender camino después hacia otros
sitios. Hay muchas maneras de recorrer La Habana.
Una puede
ser la de seguir el derrotero que marca aquí la historia.
Otra es
hacerlo a libre arbitrio, con paradas en aquellos lugares que merezcan un alto
en el camino. Eso es lo que, con La Rampa como punto de partida, haremos en las
páginas que siguen.
Estilos diversos
Se insiste
tanto en los valores de La Habana colonial que se corre el riesgo de suponer
que el resto de la ciudad no los tiene. De La Habana moderna lo mejor es el
Vedado, logro mayor del urbanismo cubano. Con la instauración de la República
(1902), esa barriada adquirió auge inusitado. Ya la Universidad se había
instalado en ella y los señores de abolengo y los nuevos ricos hicieron
construir sus residencias en la zona.
Se impuso
entonces una modalidad ecléctica en la arquitectura que alcanzó sus mejores
exponentes en la casa donde radica la Unión de Escritores y Artistas de Cuba,
el palacete que alberga el Museo de Artes Decorativas y el Auditórium Amadeo
Roldán. Es de estilo genuinamente florentino la Casa de la Amistad, y
neobarroca la casona donde está instalado el café-restaurante 1830 junto a la
desembocadura del río Almendares.
Aunque
existían en la capital algunos edificios altos —nunca mayores de diez pisos—,
es en el Vedado donde prolifera el afán de los rascacielos —casi nunca mayores
de 20. El Hotel Nacional (1930) sin embargo tiene solo ocho niveles, pero —con
su estilo plateresco español— fue la primera instalación hotelera de verdadero
lujo de que dispuso la ciudad. Poco después se construía el edificio de
apartamentos López Serrano, de estilo art decó, que fue el más alto de La
Habana hasta la década de los 50.
Es por
esta época en que el Vedado vuelve a renacer. La Rampa, más que una calle,
comienza a convertirse en un estado de ánimo. Se inauguran grandes hoteles
—Rosita de Hornedo, Capri, Riviera, Habana Hilton— y edificios como los del
Retiro Odontológico y el Retiro Médico marcan puntos muy valiosos en la
arquitectura cubana. A estos se une el edificio Focsa, una de las
construcciones más altas del país y maravilla de la ingeniería civil cubana.
La plaza
Claro que
si de alturas conseguidas por la mano del hombre se trata, nada supera en Cuba
al monumento a José Martí en la Plaza de la Revolución. Desde la Avenida 23, la
Avenida Paseo conduce directamente a ese sitio que ha sido centro de la vida
política de la nación desde 1959. En ella, el cubano ha vibrado de emoción y
júbilo con las palabras de Fidel, ha llorado como en la noche de la
extraordinaria velada por la muerte del Che, se ha indignado como en la
despedida del duelo de las víctimas del avión cubano saboteado en Barbados, en
1976, y en todo momento ha reafirmado su apoyo a una Revolución y a un líder
victoriosos.
En la
calle G, llamada también Avenida de los Presidentes, impacta el monumento al
mayor general José Miguel Gómez, segundo mandatario de la nación (1909-1913),
construido por cuestación popular en 1936, y el Castillo del Príncipe es
exponente de uno de los baluartes definitivos de la ciudad colonial. Ya en la
Plaza, enmarcada por los edificios de la Biblioteca José Martí y el Teatro Nacional,
la sede de varios ministerios y el Palacio de la Revolución, la estatua del
héroe, de 18 metros de alto, se recorta contra un obelisco de 142 metros. Una
escalera de 567 peldaños y un ascensor conducen al mirador del monumento. Desde
allí, con La Habana a los pies, se regala una perspectiva que corta el aliento.
El prado
El Paseo
del Prado marca la frontera entre la ciudad moderna y la antigua. No se concibe
a La Habana sin esa calzada; tampoco sin su Parque Central, que se asoma sobre
el Paseo. Allí también se ubica ese palacio de palacios que es el Capitolio,
inaugurado en 1929 y ahora en restauración.
La cúpula
de este edificio es, en su estilo, por su diámetro y altura, la sexta del
mundo. A la linterna que la remata, en el momento de construirse el edificio
solo la superaban la de San Pedro, en Roma, y la de San Pablo, en Londres. Bajo
la cúpula se aprecia la Estatua de la República, una de las más altas entre
todas las esculturas que existen bajo techo, aunque poco se sabe acerca de la
cubana que sirvió de modelo para la obra. A sus pies, empotrado en el piso del
Salón de los Pasos Perdidos, un brillante que perteneció a una de las coronas
del último zar de Rusia marcaba el kilómetro cero de todas las distancias de la
Isla.
Obispo
Da gusto caminar
la calle Obispo, arteria eminentemente comercial que enlaza el Paseo del Prado
con la Plaza de Armas en La Habana Vieja.
Esa plaza
es la más antigua de la ciudad y fue el centro político-militar de la Isla
durante la Colonia. Una de las edificaciones que a ese espacio se asoma es el
Castillo de la Fuerza, la segunda de las fortalezas que los españoles
construyeron en América y que luce en su torre de homenaje a La Giraldilla,
símbolo de La Habana. Junto a la Fuerza se alza, con su patio andaluz y su
portada mayestática, el Palacio del Segundo Cabo (1772) y en otro lado de la
plaza, frente al que ocupa el hotel Santa Isabel, el Palacio de los Capitanes
Generales (Museo de la Ciudad) se yergue como el exponente más genuino de la
arquitectura barroca habanera.
Pese al
esplendor de la Plaza de Armas, la de la Catedral es el conjunto más armonioso
de La Habana de ayer, en tanto que la de San Francisco exhibe, aledaña al
convento de ese nombre, la bellísima Fuente de los Leones, y la Plaza Vieja
ofrece en sus edificaciones un compendio de estilos que va del barroco al art
nouveau.
Resulta
impensable salir de La Habana Vieja sin visitar la morada de la calle Leonor
Pérez, 314. Es modesta, nada de lujos hay en ella, pero tiene para los cubanos
una significación especial: allí nació José Martí, el Apóstol de la
Independencia de Cuba.
El túnel
Es, sin
discusión, «la obra del siglo» en Cuba. Se le considera una de las siete
maravillas de la ingeniería civil cubana y un estudioso como Jacques Boudet la
incluye entre las grandes obras de la humanidad. En efecto, en su libro The
Great Works of Mankind (Londres, 1961) aparece el Túnel de La Habana junto a la
ciudad de Machu Pichu y el Alhambra de Granada, la Gran Muralla china y la
Ciudad Prohibida, el cable trasatlántico y el Canal de Suez, el puente de
Brooklyn y la modernización de Moscú… Por primera vez un viaducto submarino se
construía de esa forma y su proyecto y su tecnología revolucionarían el mundo
de las construcciones.
Para
hacerlo posible se dragaron 250 000 metros cúbicos de roca y más de 100 000 de
arena. Tiene una extensión de 733 metros y un ancho de
22 y sus
cuatro carriles se diseñaron para permitir el tránsito de 1
500
vehículos por hora en ambas direcciones. Los tubos o cajones que lo conforman
se construyeron en un dique seco y luego se trasladaron por flotación para ser
hundidos en el fondo del canal de la bahía habanera, donde previamente se había
excavado la zanja en que se depositarían.
El Túnel
de La Habana se inauguró el 31 de mayo de 1958, después de tres años de
trabajo, y con la obra se hacía realidad el anhelo de enlazar de una manera
rápida y cómoda a La Habana con lo que entonces se llamaba la Ciudad del Este y
un rosario de playas de encantamiento con sus arenas blancas y aguas cristalinas.
Basta con atravesar bajo el mar la rada habanera y eso se hace en cuestión de
segundos.
Hacia el este
La ciudad
se había expandido hacia el sur y hacia occidente, mientras que el este seguía
constriñéndose a sus playas que atraían cada vez más la atención de
vacacionistas y gente deseosa de invertir en ellas.
Por la
lejanía y el estado deplorable de los caminos, llegar a esas playas fue un
martirio hasta la construcción de la Vía Blanca a mediados de los años 40. Y
una vez inaugurada esta, el viaje seguía haciéndose innecesariamente largo
cuando el túnel garantizaría una vía expedita y revalorizaría los terrenos
situados más allá de las fortalezas del Morro y la Cabaña.
Los
grandes propietarios del este no cejaban en su empeño y en 1949 se acometían estudios
de factibilidad del Túnel de La Habana. En 1954 la idea era ya indetenible.
Gracias al túnel, se desplazaría el centro de La Habana y, en principio, la
capital crecería hacia el este los mismos 18 kilómetros que durante 40 años
había crecido hacia el oeste.
Las
playas, por su parte, continuaban su expansión indetenible.
Guanabo
era ya una ciudad-playa y Santa María del Mar había crecido enormemente, y muy
bien planificada, en menos de diez años. Se parceló y construyó en Boca Ciega,
Tarará y Bacuranao, y la Vía Blanca propició el surgimiento de repartos
residenciales en Colinas de Villa Real, Alamar, Bahía… mientras que Cojímar se
consolidaba como un poblado de pescadores no exento de interés turístico.
Si del
lado oeste de La Habana vivían un millón de habaneros y seguía luego la
provincia de Pinar del Río, la «Cenicienta», pobre y olvidada, del lado este
radicaba la mayor parte de la población cubana y se abría un territorio de
pujante o potencial riqueza.
La vía más rápida
El Malecón
resulta la vía más rápida para alcanzar el oeste habanero.
Cualquiera
de los dos túneles que cruzan bajo el río Almendares —uno de los cuales
suplantó al famoso puente de Pote, que se abría en dos partes a fin de dar paso
a las embarcaciones— enlaza el Vedado con Miramar, el barrio diplomático y
empresarial por excelencia, con una Quinta Avenida fastuosa. Más allá, por la
carretera Panamericana, la Marina Hemingway abre una puerta a la aventura.
El
habanero se olvida a menudo del Almendares. Sin embargo, ese río es uno de los
símbolos de La Habana y parte entrañable de su identidad.
Por el
Parque Metropolitano llegan a la capital los parques naturales, el pulmón verde
que la capital necesita y del que forman parte, en la capital de la urbe, el
Parque Lenin, el Jardín Botánico, los terrenos de Expocuba, Río Cristal y el
Zoológico Nacional. Es difícil reproducir con palabras tanta maravilla.
Desde el
sur, por la Avenida de Rancho Boyeros, puede retornarse al Vedado. La Ciudad
Deportiva se encuentra en ese paso y, frente a ella, la Fuente Luminosa. Queda
atrás la Plaza de la Revolución y se desemboca otra vez, de golpe, en la
Avenida 23. Si se sigue por G hacia el mar, se apreciarán los monumentos a
Salvador Allende, Benito Juárez, Omar Torrijos, Eloy Alfaro y Simón Bolívar y,
más abajo, en la intersección con Malecón, el que rinde homenaje al general
independentista cubano Calixto García. A la izquierda está la Casa de las
Américas, una de las grandes instituciones culturales del continente.
Se impone
una vuelta a La Rampa. ¿Qué tal un helado de chocolate o de vainilla? Bueno,
ahí está Coppelia, más que una heladería, una institución nacional, donde a
veces es posible degustar los mejores helados del mundo.
Ciro Bianchi Ross
sabato 30 gennaio 2016
Turismo e tuttologia a Cuba
Con un po’ di
pazienza, per l'attesa che si aprisse, sono riuscito a leggere questo articolo di Repubblica apparso nella
finestra dedicata alla rassegna stampa del blog. Un pezzo che per quello che si
riferisce all’aspetto puramente turistico si può dire ben fatto. Diverso è se
si tengono conto le opinioni della giornalista su aspetti climatici, politici e
sociali. Uno dei più gravi errori che si commettono, non so se solo parlando di
Cuba, ma sicuramente in maniera più accentuata, in questo caso, è di “avere
capito tutto” soltanto dopo un breve o anche medio soggiorno. Nel caso
specifico immagino sia stato breve e considerata l’esperienza del momento come
“assoluta” e generale, specie parlando del tempo (meteorologico) che
probabilmente ha trovato la redattrice del reportage. Anche certe affermazioni
sulla situazione politica sembrano dettate da fonti improvvisate e non
“incrociate” con altre. Ho evidenziato in neretto quello che non mi sembra
rispondente alla realtà e qua sotto riporto il testo integrale e i miei
commenti.
Da La Repubblica:
Scoprire la vera Cuba. Prima che l'embargo abbia effetto
Da Avana a
Trinidad a Santiago. Un itinerario con tappe nelle casas particulares, i bed
& breakfast locali. Per assaporare l'anima dell'isola caraibica adesso
di
Geraldine Schwarz
26 gennaio 2016
Scordatevi
di vedere già gli effetti della fine dell’embargo. Anche se dopo più di
cinquant’anni lo scorso luglio è finita l’era glaciale tra Usa e Cuba, i
primi risultati si vedono per lo più, nella curiosità di un
afflusso turistico che aumenta di giorno in giorno e non nella vita reale dei
cubani. Del resto, se state programmando un viaggio a Cuba, dovete essere
pronti a vedere due isole: Le due Cuba, quella dei turisti e quella dei cubani,
Cubamerica e Cubafrica, per uno shock culturale assicurato. Se non altro per
l’accoglienza e il calore del popolo cubano, che guarda negli occhi
l’interlocutore ed è pronto ad arrivare in aiuto per qualsiasi esigenza. I
cubani infatti sono spinti dalla consapevolezza che il turismo sia un valore
aggiunto per l’isola, e quindi vogliono preservarne il valore, inoltre sono
curiosi, avendo le frontiere chiuse,
di avere uno scambio di opinioni con gli stranieri. Anche se a volte, che si
tratti di uomo o donna, si “accollano” esageratamente al turista,
l’atteggiamento ospitale fa superare questa caratteristica. Se avete quindici
giorni da spendere e un viaggio da programmare, se volete resettare un
“download emotivo” o spezzare il ritmo occidentale, Cuba è il posto giusto.
Dall’Havana a Santiago, da est a Oriente, come dicono i cubani, passando per la “suave” Trinidad considerata un museo a cielo aperto, dove arrivavano gli schiavi dall’Africa, per la coloniale Camaguey, per le spiagge bianche dei cayos (le isolette sparse su tutto il territorio, collegate alla terraferma con strade costruite sull’acqua) e per decine di villaggi sterrati che ricordano l’Africa, l’isola delle contraddizioni, offre natura spettacolare, prevalentemente sole tutti i giorni dell’anno (non da ottobre a novembre e durante il periodo delle pioggie a maggio) mare caraibico e movida cittadina a base di moijito, rum e sorrisi. E soprattutto musica, ad ogni angolo di strada, anche sugli autobus, se li prenderete. Ma così come ci sono due Cuba, ci sono anche due modi di vivere l’isola. Potete fare i turisti con pacchetti preconfezionati, alloggiare negli alberghi, frequentare i villaggi delle isole, (i cayos) e andare in quel paradiso di Varadero o di Guardalavaca. Potete viaggiare in taxi, e spostarvi con gli autobus della viaAzul la linea che trasporta solo turisti e conoscere altri stranieri nei locali suggeriti dalla guide e nelle discoteche per occidentali.
O altrimenti, se volete vivere una Cuba più spartana e più vera potete anche viverla un po’ come i cubani ma ci vuole un po’ di spirito di avventura. Allora cambierete una parte dei soldi in dollari cubani (Cuc o pesos convertibile) e una in moneda nacional (i pesos locali che usano i cubani) non prenoterete nulla, e alloggerete nelle casas particulares, come dei bed & breakfast gestiti dai privati nelle loro case di persone comuni e che preparano ottime colazione a base di frutta e tortillas (da cercare senza prenotazione appena giunti nei luoghi che intendete visitare). Vi metterete al centro della carretera (la strada maestra) ad aspettare la “guagua” autobus del trasporto pubblico nazionale (frequentati quasi esclusivamente da per cubani) che passano a tutte le ore del giorno e della notte e che se non sono pieni, si fermano ad un cenno della mano anche nel cuore della notte. E chissà, magari viaggerete un po’ come dei rifugiati, anche sui camiones, vecchi camion di trasporto merci, ora adibiti alla meno peggio anche al trasporto passeggeri dove per pochi pesos nacionales si attraversa il paese con qualche rigidità ma con molto divertimento. Comunque vogliate affrontare il viaggio tra le mete da visitare ecco l’Havana, la capitale. La più affascinante è senza dubbio la parte dell’Habana Vieja che nel suo intreccio di vie strette ricche di testimonianze architettoniche del passato e di attrazioni per i turisti concentra in sé tutte le contraddizioni dell’isola. Ritenuta dall’Unesco Patrimonio dell’umanità, come altri 9 siti dell’isola, qui si alternano bellezze barocche e coloniali recuperate nei loro vividi colori, a palazzi fatiscenti, negozi di pregio a botteghe scalcinate, gruppi di turisti a gente in fila con la tessera per ritirare la libreta, un certo quantitativo di cibo giornaliero (riso, zucchero e olio, per lo più) che il governo concede ad ogni cittadino cubano, cosa che in altri paesi dell’America Latina purtroppo non avviene.
La
passeggiata si snoda da Plaza de la Catedral a la plaza Vieja, con uno
sfoggio nella centrale calle Opispo piena
di negozi e turisti che conduce al parque central. Altre mete cittadine da non
perdere sono Plaza de la Revolucion, il cimitero coloniale, il quartiere
del Vedado con i suoi boulevard e i mille locali dove bere e mangiare e una
sgambata sul Malecon, il celebre lungomare, preferibilmente al tramonto. Dall’Havana
si raggiungono facilmente in giornata anche alcune località della Playa del
Est, da Playa santa Maria a Guanabo e merita almeno una gita o qualcosa di più
la zona di Pinar del Rio e la valle di Vinales, molto lontana dal rumore
cittadino della capitale e immersa in un’atmosfera naturale sospesa, in un
paesaggio unico, disseminato di colline verdi di formazione calcarea a forma di
panettone che qui chiamano mogotes dove si possono visitare fabbriche di sigari
e piantagioni di tabacco.
Per continuare il viaggio a 400 Km dall’Habana c’è Trinidad, una cittadina coloniale del ‘500 perfettamente conservata, protetta dall’Unesco per il suo carattere inimitabile. Coloratissima, ridente, piccola e a misura d’uomo, con il mare e la spiagga de l’Ancon a venti minuti, lo scenario qui è ancora diverso. Immersa nella valle de Los ingenios, tra piantagioni di canna da zucchero e antichi ricordi degli schiavi, tra carretti a cavallo che attraversano le strade, e contadini, la gente semplice del luogo accoglie i turisti che possono fermarsi dormire in una delle centinaia di case particular. Apparentemente tranquilla, questa cittadina che sembra vivere in un’altra era, rivela al calar del sole la sua vitalità notturna con la casa de la Musica che ogni sera sin dalle 20 propone dal vivo salsa e ritmi afrocubani. Piena di ristoranti ricavati in ex case coloniali per tutti i gusti (dove però alla fine si mangia sempre solo, riso e pollo o bistecca di maiale o le celebri piccole aragostine rivisitate in tutte le salse) la notte di Trinidad fa le ore piccole tra corsi di salsa, balli e cocktail a base di rum.
Da provare, solo qui la Canchanchara a base di miele, limone e uno shottino di rum. Tante le mete da un giorno che si possono raggiungere da qui. Dalla Valle de los Ingegnios dove ci sono ancora piantagioni di canna da zucchero, e lagune di acqua dove tuffarsi sotto una casacata, che si può anche visitare a cavallo, alla Sierra del Escambray da cui partono bellissimi sentieri naturalistici in montagna. Chi ama il Che Guevara può fare una sosta a Santa Clara, dove c’è il Museo Memoriale dedicato all’eroe della rivoluzione per ripercorrere la sua storia grazie anche alle fotografie storiche e ai tanti oggetti personali a lui appartenuti. E da qui non è difficile raggiungere i cayos settentrionali, le piccole isolette caraibiche quasi attaccate alla costa che stanno diventando dei luoghi molto frequentati dai turisti grazie alla formula all inclusive dei villaggi. Praticamente interdetti ai cubani, che possono frequentarli solo in viaggio di nozze o se vi lavorano, i cayos sono solo, per i turisti, anche per i prezzi che hanno (circa 50 euro a notte) e si raggiungono pagando un pedaggio di sei euro (sei CUC in dollari cubani).
Chi decide di proseguire verso Santiago ha ancora molta strada da fare e per centinaia di chilometri vedrà solo villaggi sterrati e natura incontaminata. Lungo la strada, colpisce l’assenza di pubblicità a parte qualche cartellone di propaganda con il volto di Fidel Castro e degli eroi nazionali che hanno partecipato alla rivoluzione. Una tappa intermedia prima di Santiago può essere Camaguey. La città, dal forte fascino coloniale, dichiarata patrimonio dell’Umanità dall’Unesco è una delle sette città fondate da Diego Velasquez nel 1515. Ricca di chiese è stata visitata anche da Giovanni Paolo II ed ha un centro storico molto ben conservato su cui spicca la bellissima piazza san Juan de Dios. Infine ecco la rumorosa Santiago casa degli afrocubani vera mezcla di culture e di razze. Qui la musica del Son è in strada, ad ogni angolo, la vita è ancor più chiassosa che a L’Havana e le feste cittadine animano di notte come di giorno, tantissime piazze. Un consiglio su tutti: Lasciatevi travolgere
Per continuare il viaggio a 400 Km dall’Habana c’è Trinidad, una cittadina coloniale del ‘500 perfettamente conservata, protetta dall’Unesco per il suo carattere inimitabile. Coloratissima, ridente, piccola e a misura d’uomo, con il mare e la spiagga de l’Ancon a venti minuti, lo scenario qui è ancora diverso. Immersa nella valle de Los ingenios, tra piantagioni di canna da zucchero e antichi ricordi degli schiavi, tra carretti a cavallo che attraversano le strade, e contadini, la gente semplice del luogo accoglie i turisti che possono fermarsi dormire in una delle centinaia di case particular. Apparentemente tranquilla, questa cittadina che sembra vivere in un’altra era, rivela al calar del sole la sua vitalità notturna con la casa de la Musica che ogni sera sin dalle 20 propone dal vivo salsa e ritmi afrocubani. Piena di ristoranti ricavati in ex case coloniali per tutti i gusti (dove però alla fine si mangia sempre solo, riso e pollo o bistecca di maiale o le celebri piccole aragostine rivisitate in tutte le salse) la notte di Trinidad fa le ore piccole tra corsi di salsa, balli e cocktail a base di rum.
Da provare, solo qui la Canchanchara a base di miele, limone e uno shottino di rum. Tante le mete da un giorno che si possono raggiungere da qui. Dalla Valle de los Ingegnios dove ci sono ancora piantagioni di canna da zucchero, e lagune di acqua dove tuffarsi sotto una casacata, che si può anche visitare a cavallo, alla Sierra del Escambray da cui partono bellissimi sentieri naturalistici in montagna. Chi ama il Che Guevara può fare una sosta a Santa Clara, dove c’è il Museo Memoriale dedicato all’eroe della rivoluzione per ripercorrere la sua storia grazie anche alle fotografie storiche e ai tanti oggetti personali a lui appartenuti. E da qui non è difficile raggiungere i cayos settentrionali, le piccole isolette caraibiche quasi attaccate alla costa che stanno diventando dei luoghi molto frequentati dai turisti grazie alla formula all inclusive dei villaggi. Praticamente interdetti ai cubani, che possono frequentarli solo in viaggio di nozze o se vi lavorano, i cayos sono solo, per i turisti, anche per i prezzi che hanno (circa 50 euro a notte) e si raggiungono pagando un pedaggio di sei euro (sei CUC in dollari cubani).
Chi decide di proseguire verso Santiago ha ancora molta strada da fare e per centinaia di chilometri vedrà solo villaggi sterrati e natura incontaminata. Lungo la strada, colpisce l’assenza di pubblicità a parte qualche cartellone di propaganda con il volto di Fidel Castro e degli eroi nazionali che hanno partecipato alla rivoluzione. Una tappa intermedia prima di Santiago può essere Camaguey. La città, dal forte fascino coloniale, dichiarata patrimonio dell’Umanità dall’Unesco è una delle sette città fondate da Diego Velasquez nel 1515. Ricca di chiese è stata visitata anche da Giovanni Paolo II ed ha un centro storico molto ben conservato su cui spicca la bellissima piazza san Juan de Dios. Infine ecco la rumorosa Santiago casa degli afrocubani vera mezcla di culture e di razze. Qui la musica del Son è in strada, ad ogni angolo, la vita è ancor più chiassosa che a L’Havana e le feste cittadine animano di notte come di giorno, tantissime piazze. Un consiglio su tutti: Lasciatevi travolgere
Come la vedo io...:
La
“vera” Cuba??? Ce n’è
forse una “falsa”???? Forse lo diventerà dopo la fine dell’embargo che prima o
poi ci sarà? Cuba è sempre “vera” solo che cambiano le leggi, gli usi e i
costumi. Come ovunque. In ogni caso, se interpreto bene il concetto di “vera”,
ormai ne rimane comunque ben poca rispetto all’onda dei primi trent’anni o poco
più di regime rivoluzionario. Ormai non è già più “vera”, se la si considerava
tale negli anni del grande entusiasmo ogni caso, anche quella di prima della Revolución era “vera”,
solo che diversa dalle altre due.
Le due Cuba, quella dei turisti e quella dei cubani: io direi quella dei turisti e di alcuni cubani (sempre più numerosi) e quella della maggioranza dei cubani, specie delle province interne, meno della capitale.
Le due Cuba, quella dei turisti e quella dei cubani: io direi quella dei turisti e di alcuni cubani (sempre più numerosi) e quella della maggioranza dei cubani, specie delle province interne, meno della capitale.
Frontiere
chiuse????? Al di la del fatto che in entrata, le frontiere non
sono MAI state chiuse, in uscita se ci sono state grosse difficoltà di uscita
per la stragrande maggioranza di cittadini da qualche anno a questa parte, la
medesima stragrande maggioranza, può uscire senza difficoltà ( se se lo può
permettere ed ha il corrispondente visto/i per il Paese/i che vuole visitare).
Piogge
(magari
togliendo la “i”): guarda caso, normalmente i mesi di ottobre e novembre sono i
più favorevoli essendo quasi terminata la stagione delle piogge con
precipitazioni più scarse e minor (non nessun) rischio ciclonico. La stagione
delle piogge va proprio da maggio a novembre e non vuol dire che ci siano
precipitazioni costanti, ma che specie in ore pomeridiane (di norma) ci sono
acquazzoni tropicali di grande intensità, ma non di lunga durata, pertanto si
può perfettamente giodere di diverse ore di sole, prima e dopo.
Dollari
cubani????? (ripetuto) Mai
sentiti nominare.
Obispo
Cayos
interdetti ai cubani???? Evidentemente la gentile Geraldine
Schwarz si è avvalsa di informazioni fornite da qualche nostalgico oppositore del
regime. Nelle strutture turistiche, come per i viaggi, l’accesso è libero a
tutti coloro che se lo possono permettere. Le limitazioni descritte risalgono a
prima del VI° Congresso del Partito Comunista e in parte erano già state
sollevate anche prima del medesimo, quindi vecchie di qualche anno, con buona pace dell'uguaglianza e ugualitarismo della "vera" Cuba. Pertanto delle due l'una: o la signora è in malafede cosa che penso e spero non sia, o come "osservatrice" non ha saputo osservare attorno a lei che le strutture turistiche, oggi, sono frequentate da migliaia di clienti cubani, fidandosi delle solite malelingue e senza approfondire.
Camagüey.
Iscriviti a:
Post (Atom)