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lunedì 26 gennaio 2015

Sanguily, il mambí dalla camicia rossa, di Ciro Bianchi Ross


Pubblicato su Juventud rebelde del 25/1/15


Fernando Ortiz raccontava che nella sua gioventù, mostrò a Cesare Lombroso, il famoso antropologo italiano di cui era discepolo, una copia della Costituzione cubana del 1901 con le firme autografe dei membri della Commissione che la stipularono. Voleva che il suo maestro, considerato grafologo acuto, classificasse a partire dalla scrittura il carattere di quelle persone, da lui sconosciute. Lombroso esaminò minuziosamente il documento. “Questa è la firma di un alcolizzato” disse. Aggiunse: “Questa di un buffone e quest’altra di un uomo onorato”. “Questa è di un anziano rammollito” proseguì. Così una dopo l’altra, mentre Ortiz seguiva le sue parole in silenzio, convinto di quanta verità c’era nelle affermazioni del maestro. Questi giunse alla firma di Manuel Sanguily. Meditò un momento e disse: “Questa è la firma di un genio”.
José de la Luz y Caballero chiamava Sanguily “Manuel de Manueles”. Un gran giornalista cubano, José Antonio de Castro, in una vivace biografia che scrisse su di lui lo chiama “il mambí dalla camicia rossa” perché, come membro delle leggendarie schiere garibaldine, si vestì di questo colore nei combattimenti a cui prese parte all’inizio della Guerra Grande, nella quale finì con le stelle da colonnello, perché agli ordini di Ignazio Agramonte e del fratello Julio, si cimentò in oltre 50 combattimenti e precedentemente, con la Costituzione di Guáimaro già proclamata, parlò a richiesta di Agramonte davanti all’Assemblea Costituente, per risaltare la presenza di un pugno di antichi schiavi, redenti dalla Rivoluzione. Parole che emozionarono i presenti e strapparono i loro fervidi applausi. Già nella Repubblica, nella sua lotta contro la penetrazione nordamericana, fu portavoce del sentimento nazionale. Come oratore, nessuno eccetto Martí, lo superò nel XIX secolo cubano. Come critico letterario pochi, nella sua epoca, gli guadagnarono nella sicurezza del metodo e nella sagacità e profondità dei suoi apprezzamenti, tanto che fu un giornalista dallo stile magnifico e folgorante.
“Sanguily fu anzitutto sé stesso, ed è la sua personalità quella che veneriamo. Caratteri come il suo, simbolo della passione e della dignità umana, riassumono tutta la nobiltà di un’epoca, l’epoca del sacrificio e dello sforzo”. Scrive Max Enríquez Ureña.
Nel febbraio del 1917, in disaccordo con la politica per la rielezione del presidente Menocal, rinuncia alla direzione generale delle scuole militari della nazione e si ritira dalla vita pubblica. L’uomo che in diversi momenti della vita repubblicana fu senatore, cancelliere e ispettore generale dell’Esercito col grado di brigadiere generale, non ha risorse per vivere e il Congresso deve votare una pensione a suo favore.
Sanguily soleva dire che la Calzada de Belascoaín segnava il limite dell’Avana. Il resto, da Belascoaín in là, affermava, era campagna. I suoi ultimi anni, peraltro, li trascorre a la Vibora. Abita in Calle José Miguel Gómez – Correa – e fino lì si trasferiscono 90 anni orsono, due giovani studenti: Eduardo Robreño e José Lezama Lima. Lezama che lo aveva visto da bambino, durante una visita che Sanguily fece a suo padre, allora direttore della Scuola dei Cadetti, non aveva dimenticato gli occhi azzurri scintillanti e allucinati del patriota. Robreño e Lezama vogliono sentire i suoi consigli da vecchio scrittore, fargli rivivere i suoi giorni alla macchia, sentire le sue opinioni sulla situazione del Paese.
I giovani scelgono male il giorno per la visita. Non li riceve nessuno. Già davanti alla porta di casa, la notizia gli esplode in faccia di colpo.
Manuel Sanguily è morto. È il 23 di gennaio del 1925.

Nella macchia

Manuel Sanguily y Garrite, nacque all’Avana il 26 marzo del 1848. Non scorreva sangue spagnolo nelle sue vene. Il padre, cubano, discendeva da una famiglia del sud della Francia, dalla Guascogna, “terra di poeti e di moschettieri”, dicono i suoi biografi. Il suo cognome deriva dal francese Saint Guilly. La madre, inglese,era nata nella città di Manchester. Rimase orfano di padre molto presto. La madre affronta la vita e la cura dei suoi tre figli piccoli con lavori di cucito. Muore anche lei e il bambino Manuel resta con la protezione del suo padrino, il colonnello Manuel Pizarro y Morejón che ricorderà come “un corretto cavaliere, molto aristocratico, molto spagnolo”.
Ha otto anni d’età, quando il padrino lo iscrive al collegio di José de la Luz y Caballero. Sanguily efettuerà lì la scuola elementare e le medie inferiori. Il bambino ha una così bella calligrafia che Don Pepe lo fa il suo scrivano. Nel collegio El Salvador si disimpegnano come professori intellettuali del calibro di Enrique Piñeyro e José Ignacio Rodríguez.
Don Pepe muore nel 1862, quando Sanguily ha 14 anni e nonostante si mantenga la sua linea etica e pedagogica, lascia un vuoto difficile da colmare ne El Salvador. In uno studio biograficoncritico, Sanguily evocherà con affetto José de la Luz y Caballero, le riunioni nel collegio, la relazione che c’era tra i maestri e gli alunni, le conversazioni del sabato di Don Pepe fino all’ultima in cui, già molto affaticato e malato, prese la parola per dire soltanto: “Signori, parlo per dire che non posso parlare”.
Nel 1864 Sanguily si confronta con un tremendo dilemma. Il padrino vuole che faccia la carriera militare in Spagna. Si rifiuta rotondamente a ubbidire al Colonnello e quella stessa sera, con un fagotto, abbandona la casa. Non ha chi lo accolga e dorme nei portici del Palazzo di Aldama. La fortuna lo accompagna. José María Zayas, il successore di Don Pepe alla direzione de El Salvador gli offre un posto di professore supplente. Diventa liceale e si iscrive alla Facoltà di Diritto dell’Università, studi che interrompe allo scoppio della Guerra dei Dieci Anni. Continua ad essere legato a El Salvador e riallaccia le relazioni col padrino, ma non torna ad abitare nella sua casa. Esordisce come giornalista e fa conoscere i suoi primi articoli nel giornale El Siglo, del Conte di Pozos Dulces e nella Revista del Pueblo, del suo maestro Enrique Piñeyro.
Sono sempre più i giovani che spariscono dall’Avana per apparire, poi, nella macchia redentrice. Un giorno sparisce Julio, il fratello maggiore, Manuel non tarda a seguirne le orme. Nel gennaio del 1869, con un’altra trentina di cubani si imbarca, a Nassau, sulla goletta inglese Galvanic che li trasporta a Cayo Romano. Gli spedizionari attraversano un breve tratto di mare e sbarcano a Guanaja sulla costa nord camagüeyana. A Guáimaro conosce il Padre della Patria e Manuel de Quesada, generale a capo dell’Esercito di Liberazione, lo designa segretario privato del Ministro della Guerra. Avvocato in potenza assunse con frequenza, nei consigli di guerra, la difesa di insorti accusati di qualche infrazione o delitto e anche di soldati e ufficiali spagnoli, per molti dei quali – tra loro Vicente Mariteguy, che col passare del tempo sarà Ministro della Guerra nel suo Paese – ottennero l’assoluzione.
Giunge l’anno 1877. Sanguily è già colonnello e suo fratello Julio, maggior generale. L’insurrezione è minacciata dal collasso definitivo. Il Governo della Repubblica in Armi, nomina julio suo agente confidenziale all’estero e Manuel lo accompagna in qualità di segretario. Tanto in Giamaica come a New York e altre città nordamericane, sono inutili i suoi sforzi per far giungere armi ed equipaggiamenti agli insorti. La distensione interna mina la Rivoluzione e non tarda a concretarsi col Patto del Zanjón.

Fra le due guerre

Allora va in Spagna, con l’aiuto che gli presta la madre dello scomparso patriota Luis Ayestarán e finisce gli studi di diritto. Ma non giunge a esercitare l’avvocatura. Per farlo dovrebbe prestare giuramento di fedeltà alla metropoli e al monarca spagnolo e non è disposto a ciò. Torna a Cuba nell’ottobre 1879. Vive molto modestamente con quello che gli apportano le lezioni private che impartisce, la correzione di bozze nella Revista de Cuba e i lavori ausiliari che presta in un paio di studi di grande prestigio.
Dopo il decennio passato nella Guerra Grande, Sanguily si trova in un mondo diverso. Il movimento intellettuale fiorisce nell’Isola e rinasce la vita culturale. Nei dieci anni precedenti, sorsero nuove tendenze e orientamenti nelle arti, le lettere, il pensiero.
Sorge all’Avana la Società Antropologica; Varona comincia all’Accademia delle Scienze le sue Conferenze filosofiche, ci sono serate e dibattiti alla Caridad del Cerro e nel liceo di Guanabacoa. Sanguily deve aggiornarsi. Interrompe la sua produzione letteraria per i tre anni che seguono il suo ritorno a Cuba mentre, in quello che riguarda la sua vita pubblica,assume il ruolo di osservatore perché non è disposto ad affacciarsi al dibattito di idee politiche se non per dire la sua verità ad alta voce e riaffermare le sue idee independentiste.
Rompe il silenzio nel 1882. È assiduo alle serate de la Revista de Cuba e quando questa, nel 1885, è sostituita dalla Revista Cubana di Varona, si converte in suo assiduo collaboratore. Nel 1887 si lancia nel gioco politico nel Circulo de la Juventud Liberal de Matanzas, senza che questo significhi l’adesione al Partido Liberal Autonomista né ad alcuna associazione politica. Tutto un popolo levò la sua voce quando rese il suo tributo di ammirazione e rispetto a coloro che sostenevano l’ideale dell’indipendenza. Poco dopo tornava al Circulo de la Juventud Liberal. Si raccoglievano i fondi per il monumento agli studenti di Medicina fucilati il 27 novembre del 1871. Sanguily chiama “bestie furiose rivoltantesi nel sangue” i colpevoli di quella giornata e il delegato del Governatore spagnolo, presente in sala, lo interrompe con alte grida dando per conclusa la serata.
Non importa, i presenti circondano Sanguily e già nella pubblica piazza gli chiedono che prosegua con le sue perorazioni e che le autorità provino a interromperlo.
Nel marzo del 1891 comincia a pubblicare la sua rivista Hojas Literarias. Più che la critica dei libri a Sanguily interessavano i temi relativi al processo politico di Cuba. Articoli che senza bavaglio glorificavano la Rivoluzione e nel tono generale della rivista fecero si che il Pubblico Ministero per la Stampa denunciasse Sanguily e lo portasse davanti ai tribunali. Miguel Figueroa lo fece assolvere. Si origina una nuova accusa, ma il Tribunale emana un decreto di libertà condizionale. Sanguily non riposa. Continua ad essere, nella sua pubblicazione, l’insorto indomabile di sempre che denuncia malefatte ed errori. In dicembre del 1894 scompare Hojas Literarias. Nel febbraio 1895 scoppia la Guerra d’Indipendenza. Sanguily non tarda nell’uscire allo scoperto. Scrive in Patria e altri giornali ed è instancabile nella sua predica dalla tribuna. (Continua)


Sanguily, el mambí de la camisa roja (I)
  

 Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
24 de Enero del 2015 18:41:27 CDT


Contaba Fernando Ortiz que, en su juventud, mostró a César Lombroso,
el famoso antropólogo italiano, de quien era discípulo, una copia de
la Constitución cubana de 1901 con las firmas autógrafas de los
miembros de la Convención que la redactó. Quería que su maestro,
considerado un agudo grafólogo, calificara, a partir de las rúbricas,
el carácter de aquellas personalidades para él desconocidas. Lombroso
examinó minuciosamente el documento. “Esta es la firma de un
alcohólico”, dijo. Añadió: “Esta, la de un farsante, y esta otra, la
de un hombre honrado”. “Esta es la de un anciano reblandecido”,
prosiguió. Así una tras otra, mientras que Ortiz seguía sus palabras
en silencio, convencido de cuanta verdad había en las aseveraciones
del maestro. Llegó este a la firma de Manuel Sanguily. Meditó un
momento y advirtió: “Esta es la firma de un genio”.
“Manuel de los Manueles”, llamaba José de la Luz y Caballero a
Sanguily. Un gran periodista cubano, José Antonio Fernández de Castro,
en una vívida semblanza que escribió sobre él, lo llama “el mambí de
la camisa roja”, porque, como un miembro de las legendarias huestes
garibaldinas, vistió de ese color en los combates en los que tomó
parte en los inicios de la Guerra Grande, en la cual terminaría con
las estrellas de coronel. Porque a las órdenes de Ignacio Agramonte,
Máximo Gómez y su hermano Julio se batió en más de 50 combates
--Peralejo, Palo Seco, el ataque a la torre óptica de Colón y la toma
de Las Tunas, entre otros-- y resultó herido en dos de estos.
Durante la guerra no fueron pocas las veces que pronunció fogosas
arengas a caballo antes de entrar en combate, y con anterioridad,
proclamada ya la Constitución de Guáimaro, habló, a petición de
Agramonte, ante la Asamblea Constituyente, para resaltar la presencia
de un puñado de antiguos esclavos redimidos por la Revolución,
palabras que emocionaron a los presentes y arrancaron aplausos
fervorosos. Ya en la República, en su lucha contra la penetración
norteamericana, fue vocero del sentimiento nacional. Como orador,
nadie, salvo Martí, lo superó en el siglo XIX cubano. Como crítico
literario, pocos en su época le ganaron en la seguridad del método y
en la sagacidad y hondura de sus apreciaciones, en tanto que fue un
periodista de estilo magnífico y fulgurante.
“Sanguily fue, ante todo, él mismo, y es su personalidad lo que más
veneramos. Caracteres como el suyo, símbolo de la pasión y de la
dignidad humana, resumen toda la nobleza de una época, la época del
sacrificio y del esfuerzo”, escribe Max Henríquez Ureña.
En febrero de 1917, en desacuerdo con la política reeleccionista del
presidente Menocal, renuncia a la dirección general de las escuelas
militares de la nación y se retira de la vida pública. El hombre que
en diferentes momentos de la vida republicana fue senador, canciller e
inspector general del Ejército con el grado de brigadier general, no
tiene recursos para vivir y debe el Congreso votar una pensión a su
favor.
Sanguily solía decir que la Calzada de Belascoaín marcaba el límite de
La Habana. Lo demás, de Belascoaín para allá, afirmaba, era el campo.
Sus años finales, sin embargo, los pasa en la Víbora. Vive en la calle
José Miguel Gómez --Correa-- y hasta allí se trasladan, hace 90 años,
dos jóvenes estudiantes, Eduardo Robreño y José Lezama Lima. Lezama,
que lo había visto de niño, en una visita que Sanguily hizo a su
padre, director entonces de la Escuela de Cadetes, no olvidaba los
ojos azules chisporroteantes y alucinados del patriota. Robreño y
Lezama quieren oírle sus consejos de viejo escritor, hacerle revivir
sus días en la manigua, escucharle sus opiniones sobre la situación
del país.
Los jóvenes escogen mal día para la visita. Nadie los atiende. Ya ante
la puerta de la casa, la noticia les explota de golpe en la cara.
Manuel Sanguily ha muerto. Es el 23 de enero de 1925.

En la manigua

Manuel Sanguily y Garrite nació en La Habana el 26 de marzo de 1848.
No corría sangre española por sus venas. El padre, cubano, descendía
de una familia francesa del sur, de Gascuña, “tierra de poetas y de
mosqueteros”, dicen sus biógrafos. Del apellido francés Saint Guilly
viene el suyo. La madre, inglesa, había nacido en la ciudad de
Manchester. Muy pronto quedó huérfano de padre. La madre, con labores
de costura, enfrenta la vida y el cuidado de sus tres pequeños hijos.
Fallece ella también, y el niño Manuel queda al amparo de su padrino,
el coronel Manuel Pizarro y Morejón, a quien recordaría como “un
cumplido caballero, aristócrata, muy español”.
Tiene ocho años de edad cuando el padrino lo matricula en el colegio
de José de la Luz y Caballero. Allí cursará Sanguily la primera y la
segunda enseñanza. Tiene tan buena letra el niño que Don Pepe lo hace
su amanuense. En el colegio El Salvador se desempeñan como profesores
intelectuales del calibre de Enrique Piñeyro y José Ignacio Rodríguez.
Muere Don Pepe en 1862, cuando Sanguily tiene 14 años, y aunque se
mantiene su ideario ético y pedagógico, deja en El Salvador un hueco
difícil de llenar. En un estudio biográfico crítico, Sanguily evocará
con cariño a José de la Luz y Caballero, las reuniones en el colegio,
la relación que existía allí entre maestros y alumnos, las pláticas
sabatinas de Don Pepe hasta aquella última en la que ya, muy fatigado
y enfermo, tomó la palabra para decir tan solo: “Hablo, señores, para
decir que no puedo hablar”.
En 1864 se enfrenta Sanguily a un tremendo dilema. El padrino quiere
que curse la carrera militar en España. Se niega de manera rotunda a
obedecer al Coronel y esa misma noche, con un pequeño bulto de ropa,
abandona la casa. No tiene quien lo acoja y duerme en los portales del
Palacio de Aldama. La suerte lo acompaña. José María Zayas, el sucesor
de Don Pepe en la dirección de El Salvador, le ofrece en el colegio
una plaza de profesor sustituto. Se hace bachiller y matricula Derecho
en la Universidad, estudios que interrumpe al estallar la Guerra de
los Diez Años. Sigue vinculado a El Salvador y reanuda relaciones con
el padrino, pero no vuelve a residir en su casa. Se inicia como
periodista y da a conocer sus artículos iniciales en el diario El
Siglo, del Conde de Pozos Dulces, y en la Revista del Pueblo, de su
maestro Enrique Piñeyro.
Cada vez son más los jóvenes que desaparecen de La Habana para
aparecer luego en la manigua  redentora. Un día desaparece Julio, el
hermano mayor. Manuel no demora en seguirle las huellas. En enero de
1869, con otros treintitantos cubanos, aborda en Nassau la goleta
inglesa Galvanic, que los lleva a Cayo Romano. Atraviesan los
expedicionarios un corto tramo de mar y desembarcan en la Guanaja, en
la costa norte camagüeyana. Conoce, en Guáimaro, al Padre de la
Patria, y Manuel de Quesada, general en jefe del Ejército Libertador,
lo designa secretario particular del Ministro de Guerra. Abogado en
ciernes, asumió con frecuencia, en los consejos de guerra, la defensa
de insurrectos acusados de alguna infracción o delito y también de
soldados y oficiales españoles, para muchos de los cuales --entre ellos
Vicente Martitegui, que andando el tiempo sería en su país ministro de
Guerra-- obtuvo la absolución.
Llega el año de 1877. Sanguily es ya coronel y su hermano Julio, mayor
general. La insurrección está amenazada del colapso definitivo. El
Gobierno de la República en Armas nombra a Julio su agente
confidencial en el exterior, y Manuel lo acompaña en calidad de
secretario. Tanto en Jamaica como en Nueva York y otras ciudades
norteamericanas, son inútiles sus esfuerzos por allegar armas y
pertrechos para el campo insurrecto. La disensión interna mina la
Revolución y no tarda en concretarse el Pacto del Zanjón.

Entre dos guerras

Se va entonces a España, con la ayuda que le presta la madre del
desaparecido patriota Luis Ayestarán, y concluye los estudios de
Derecho. Pero no llega a ejercer la abogacía. Para hacerlo tendría que
prestar juramento de fidelidad a la metrópoli y al monarca español, y
no está dispuesto a ello. Regresa a Cuba en octubre de 1879. Vive muy
modestamente con lo que le reportan las clases privadas que imparte,
la corrección de pruebas en la Revista de Cuba y los trabajos
auxiliares que presta en un par de bufetes de prestigio.
Tras la década pasada en la Guerra Grande, Sanguily emerge a un mundo
distinto. El movimiento intelectual florece en la Isla y renace la
vida cultural. En los diez años precedentes surgieron nuevas
tendencias y orientaciones en las artes, las letras, el pensamiento.
Sesiona, en La Habana, la Sociedad Antropológica; Varona inicia, en la
Academia de Ciencias, sus Conferencias filosóficas, hay veladas y
debates en la Caridad del Cerro y en el Liceo de Guanabacoa. Sanguily
debe ponerse al día. Interrumpe su producción literaria durante los
tres años que siguen a su regreso a Cuba, mientras que, en lo que
atañe a la vida pública, asume el papel de observador porque no está
dispuesto a asomarse al debate de las ideas políticas si no para decir
su verdad en voz alta y reafirmar sus ideas independentistas.
Rompe el silencio en 1882. Es asiduo a las veladas de la Revista de
Cuba, y cuando esta, en 1885, es reemplazada por la Revista Cubana, de
Varona, se convierte en su colaborador asiduo. En 1887 se lanza al
ruedo político en el Círculo de la Juventud Liberal de Matanzas, sin
que eso signifique su adhesión al Partido Liberal Autonomista ni a
organización política alguna. Todo un pueblo habló por su voz cuando
rindió tributo de admiración y respeto a los que sostuvieron y
sostenían el ideal de la independencia. Poco después volvía al Círculo
de la Juventud Liberal. Se recaudaban fondos para el monumento a los
estudiantes de Medicina fusilados el 27 de noviembre de 1871. Sanguily
llama “bestias enfurecidas revolcándose en la sangre” a los culpables
de aquella jornada, y el delegado del Gobernador español, presente en
la sala, lo interrumpe y, a grito pelado, da por concluida la velada.
No importa. Los presentes rodean a Sanguily y ya en la plaza pública
le piden que prosiga su peroración, sin que las autoridades se atrevan
a interrumpirlo.
En marzo de 1891 comienza a publicar su revista Hojas Literarias. Más
que la crítica de libros interesaban a Sanguily los temas relacionados
con el proceso político de Cuba. Artículos que de manera desembozada
glorificaban a la Revolución y el tono general de la revista hicieron
que el Fiscal de Imprenta denunciara a Sanguily y lo llevara ante los
tribunales. Miguel Figueroa lo sacó absuelto. Se origina una nueva
acusación, pero la Audiencia dicta un acto de sobreseimiento libre.
Sanguily no descansa. Sigue siendo en su publicación el insurrecto
indomable de siempre que denuncia lacras y errores. En diciembre de
1894 desaparece Hojas Literarias. En febrero de 1895 estalla la Guerra
de Independencia. No tarda Sanguily en salir al exterior. Escribe en
Patria y otros periódicos y es incansable en su prédica desde la
tribuna.
(Continuará)




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