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lunedì 22 febbraio 2016

Salute e cin cin, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 21/2/16

Lo scriba ha ricevuto diversi messaggi in relazione alla pagina del 7 febbraio (Bar avaneri). Bruno Emilio Rea e Gabriel M. Valdés si riferiscono al mojito, uno dei dieci classici tra i cocktail cubani, mentre Aníbal García e Modesto Reyes Canto ricordano dettagli interessanti circa alcuni dei bar citati nella cronaca citata, specialmente Dos hermanos e Sloppy Joe’s. Su quest’ultimo esercizio si estende un’altro lettore: Carlos Villanueva. Roberto Garaycoa e César O. Gómez López scrivono per dare la ricetta del cocktail Pepín Rivero che io non sono riuscito a trovare e che, mi dicono, appare nel libro Cocteles cubanos; 1.100 recetas en el tiempo, di José Alfonso castro, pubblicato con il marchio della Editorial Oriente. Un altro lettore, Manuel Rodríguez González, offre dettagli interessantissimi sul ferry tra Key West e l’Avana. Andiamo per parti.
Fernando G. Campoamor, storico del rum e autore di quel libro delizioso che è El hijo alegre de la caña de azúcar, diceva che il mojito era una derivazione del draque o drake, un “composto” che fino ben addentro al XIX secolo, fu molto richiesto nelle Antille. Campoamor aggiungeva che lo inventò un corsaro con questo nome, Francis Drake, e si elaborava con grappa. Aveva proprietà curative. Almeno, Ramón de Palma, scrisse nel suo romanzo El cólera en La Habana (1838): “io  mi bevo tutti i giorni alle undici un ‘draquecito’ e mi va perfettamente”. Per preparare il mojito si versa in un bicchiere succo di limone e un cucchiaino di zucchero. Si aggiunge mentuccia, si macera il gambo, non le foglie, in modo che il suo succo si mescoli bene col limone e lo zucchero. Si aggiungono due dita di rum bianco, si mescola il tutto e si mettono nel bicchiere due o tre cubetti di ghiaccio, si completa con acqua minerale e si adorna con un rametto di mentuccia. Verso il 1910 all’Avana, si comincia a parlare del mojito frullato. Più tardi, quando si inaugurano i bagni La Concha, sulla spiaggia di Marianao, il mojito si converte nel cocktail insegna dell’installazione. Hanno detto a chi scrive questo che nel bar c’erano due banconi. Uno di essi era esclusivo per il mojito, l’altro per tutto il resto. Da La Concha, il mojito salta all’hotel Florida, in Obispo e Cuba, dove se ne occupa un barman conosciuto come Maragato. Da lì, passa alla Bodeguita del Medio.
Precisamente al mojito de La Concha, si riferisce il lettore Bruno Emilio nel suo messaggio. Segnala che lì c’era un barman chiamato Rogelio che li elaborava in “modo esemplare” e aggiunge che i soci di altri club si recavano a La Concha per assaporarli. Arrivavano da club così esclusivi come  l’Havana, il Miramar Yacht Club eEl Casino Español, a passare un buon momento dvanti a un mojito in uno stabilimento balneare prevalentemente popolare, al quale si accedeva solo con pagare il biglietto d’ingresso. Anche nel Club Náutico, racconta Gabriel M. Valdés, si preparavano ugualmente eccellenti mojitos e non era raro che un gruppo di amici si giocasse ai dadi il pagamento di un giro. Salute e cin cin!
Carlos Villanueva dichiara che tanto il Dos Hermanos, nell’Avenida del Puerto come lo Sloppy, disponevano di camere perché le prostitute che “facevano la vita” in questi esercizi si incontrassero coi loro clienti. Aggiunge che quando si restaurò il bar, dopo essere rimasto chiuso per quasi cinque decadi, si commentò che nel suo sotterraneo funzionava una sala da gioco alla quale, per le ingenti somme delle scommesse, avevano accesso solo gli eletti. Ricorda di aver visto non pochi segni di proiettili incrostati nelle pareti. Non c’era chi testimoniasse se ci fossero stati, in quella sala, uno e vari scontri a fuoco. Poi si seppe, continua dicendo Villanueva che agli inizi della Rivoluzione, il luogo fu sede del comando di un battaglione delle Milizie e c’è da pensare che alcuni dei suoi componenti aggiustasse la sua mira con obbiettivi posti in quelle pareti.
Il mio corrispondente che ha in suo avere uno studio sui parcheggi dimenticati dell’Avana, dice che lo Sloppy aveva il suo, sotterraneo, nel luogo dove nella decade del 1990 si trovava la falegnameria e l’officina di manutenzione dell’hotel Plaza e oggi sono i sotterraneidell’ampliamento dell’hotel Parque Central.

Arriva la ricetta

Constantino Ribalaigua, il re dei barman cubani nonostante fosse catalano, aveva il cocktail Pepín Rivero come una delle sue creazioni migliori, assieme al Daiquirí e il Presidente, come si è già commentato da un paio di settimane. Rivero diresse El Diario de la Marina dalla morte di suo padre, nel 1919, fino alla suo prematuro decesso, il 1° aprile del 1944. Fu molto letta la colonna che pubblicò per anni col titolo di Impresiones.
La ricetta del cocktail che porta il suo nome è questa: Si metta del ghiaccio in una coppa di vetro e vi si versi 1,5 once di London Dry Gin, un’oncia di crema di cacao  bianco Kuyper e un’oncia di latte. Agitare gli ingredienti e versarli in un bicchiere freddo. Decorarlo con cerchio di cioccolato in polvere.

Traghetti

Il lettore Manuel Rodríguez González chiarisce nel suo messaggio che ha pubblicato diversi articoli sui traghetti ferroviari e di passeggeri e vuole, col suo messaggio allo scriba,, offrire alcune precisazioni sul tema. Segnala:
“Henry Flagler costruì la linea ferroviaria Florida-Key West (1905-1912), come parte del suo progetto di fare di quest’ultimo punto una gran base per la sua vicinanza con Cuba e col Canale di Panama, allora in costruzione. Key West era il porto di acque profonde più meridionale degli Stati Uniti. Il proposito iniziale era di trasportare, a bordo di traghetti, treni carichi di merci con destinazione l’Avana.
Il servizio cominciò nel gennaio del 1915 e si costruirono tre traghetti; l’SS Henry M. Flagler, l’SS Estrada Palma e l’SS Joseph R. Parrot. Ognuno di essi poteva trasportare 26 vagoni. La traversata tra Key West e l’Avana sarebbe durata sei ore.”
Rodríguez González ricorda che quella fu tutta una novità; qualcosa di inedito nel trasporto internazionale. Lo classifica come il precedente più immediato dell’attuale trasporto con container. I vagoni facevano la funzione di contenitori, solo che avevano le ruote e abbattevano i costi di trasporto e maniploazione dei carichi. Così se un treno merci partiva, diciamo da Chicago, mnontava sul traghetto a Key West, arrivava all’Avana e poteva continuare il viaggio fino a Santiago de Cuba o qualsiasi altro punto della geografia cubana, senza che il suo carico subisse alcuna manipolazione. Rodríguez González puntualizza nella sua e-mail: “Il trfaghetto si caricava in mezz’ora, mentre una nave normale ci impiegava da da tre a sei giorni a caricare lo stesso volume di merci. Da lì il vantaggio commerciale del sistema che ebbe totale accettazione degli imprenditori, comercianti e consegnatari”.
Aggiunge:
“Il treno Havana Special fu un’idea di Flagler, parallela ai treghetti ferroviari, ma cominciò prima, nel 1912. Il treno ci metteva 38 ore sulla rotta New York-Key West e lì, i passeggeri erano trasferiti a trasbordatori che attraversavano lo stretto della Florida, com l’SS Governor Cobb, l’SS Cuba e l’SS Miami. Secondo quello che ho investigato per anni, fin ora, non ci sono evidenze che i passeggeri attraversassero il mare a bordo dei vagoni, i traghetti erano disegnati solo per i vagoni merci”.
Il terminal di quei traghetti trasbordadori, dice  il mio corrispondente, era l’imboccatura dell’Arsenale,  adiacente ai moli che erano allora della Pan American – attuale La Coubre – e Ward Line – attuale Aracelio iglesias-. Da un lato del molo c’era l’imboccatura del traghetto. Si possono vedere ancora i resti della strada ferrata che attraversavano il corso verso la Stazione dei Treni, dove in uno spiazzo, si concentravano i vagoni che arrivavano dagli Stati Uniti e quelli che partivano. Dall’altra parte c’erano i citati trasbordadori dell’Havana Special. Questo molo fu l’attracco dell’SS Florida, l’unico che rimase in servizio fino alla messa in atto dell’embargo.
“Il viadotto ferroviario, in effetti, fu seriamente danneggiato dal ciclone del 1935. La base dei traghetti ferroviari si trasladò a Palm Beach e la durata del viaggio verso l’Avana era allora di 18 ore. Si costruirono due nuovi traghetti: il New Grand Haven, nel 1951 e il City of New Orleans, nel 1959. Trasportavano 56 vagoni ciascuno.
Vale la pena di menzionare che il traghetto City of Havana che da Key West trasportava passeggeri nelle loro automobili, continuò a usare il viadotto di Flagler ricostruito come autostrada nel 1938, l’attuale Overseas Highway. Questo traghetto di passeggeri, in servizio tra il 1956 e il 1960, era il più grande dell’area; gtrasportava 500 passeggeri e 125 automobili. Atraccava all’imbocco di Hacendados, nella rada di Atarés e risultò essere un successo commerciale come i traghetti ferroviari”, termina il suo messaggio Manuel Rodríguez González e lo scriba passa ad altro tema.

Cosa è successo di mio nonno?

Il lettore Ramón de Armas riferisce, nel suo messaggio che suo nonno, spagnolo giunto a Cuba attorno al 1881 con circa 18 anni d’età, non appare in nessun registro “anche se lavorò, creò una famiglia, si pensionò e ricevette la pensione che alla sua morte, godette mia nonna fino alla sua morte”.
Immagino che il registro a cui si riferisce il lettore sia quello degli stranieri. Chiede: “Cosa è successo con gli spagnoli residenti a Cuba dopo l’intervento nordamericano e successivamente alla costituzione della Repubblica? Furono obbligati a registrarsi come stranieri o gli venne concessa automaticamente la cittadinanza cubana? Se non si sono registrati quale fu, allora, il loro status?”.
La risposta che chi scrive può offrire adesso all’interessato, chissà non sia la più completa. Sul tema, lo scriba ha più dati di quelli che espone qua, ma si rifiutano di apparire in un archivio che diventa più caotico ogni giorno.
Secondo il censimento che il Governo di occupazione nordamericano fece sull’Isola nel 1899, risiedevano a Cuba 129.236 spagnoli di nascita. Una quantità significativa, se si tiene conto che il Paese aveva una popolazione totale di 1.527.797 abitanti.

Nel 1902, una legge della  recente proclamata Repubblica, dispose che tutti gli stranieri che lo sollecitassero si sarebbero considerati come cubani di nascita.Immagino che il nonno di de Armas si sia avvalso dei benefici di questa legge.


¡Salud y chinchín!

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
20 de Febrero del 2016 21:35:22 CDT

Varios mensajes recibió el escribidor con relación a la página del 7 de febrero (Bares habaneros). Bruno Emilio Rea y Gabriel M. Valdés aluden al mojito, uno de los diez clásicos de la coctelería cubana, mientras que Aníbal García y Modesto Reyes Canto recuerdan detalles de interés acerca de algunos de los bares citados en la crónica mencionada, en especial Dos Hermanos y Sloppy Joe’s. Sobre este último establecimiento se extiende otro lector: Carlos Villanueva. Roberto Garaycoa y César O. Gómez López escriben para dar la receta del coctel Pepín Rivero, que yo no pude localizar y que, me dicen, aparece en el libro Cocteles cubanos; 1 100 recetas en el tiempo, de José Alfonso Castro, publicado con el sello de la Editorial Oriente. Otro lector, Manuel Rodríguez González, ofrece detalles interesantísimos sobre los ferry entre Cayo Hueso y La Habana. Vayamos por parte.
Decía Fernando G. Campoamor, historiador del ron y autor de ese libro delicioso que es El hijo alegre de la caña de azúcar, que el mojito era una derivación del draque o drake, un «compuesto» que hasta bien entrado el siglo XIX fue muy demandado en Las Antillas. Añadía Campoamor que lo inventó el corsario de ese nombre, Francis Drake, y se elaboraba con aguardiente. Tenía propiedades curativas. Al menos Ramón de Palma escribió en su novela El cólera en La Habana (1838):
«Yo me tomo todos los días a las once un draquecito y me va perfectamente». Para preparar el mojito se vierte en un vaso zumo de limón y una cucharadita de azúcar. Se añade yerba buena y se macera el tallo, no las hojas, a fin de que su jugo se mezcle bien con el limón y el azúcar. Se adiciona línea y media de ron blanco, se revuelve la mezcla y se ponen dos o tres cubitos de hielo en el vaso, que se completa con agua mineral y se adorna con una ramita de yerbabuena.
Sobre 1910 empieza a hablarse en La Habana del mojito batido. Más tarde, cuando se inaugura el balneario de La Concha, en la playa de Marianao, el mojito se convierte en el coctel insignia de la instalación. Han dicho a quien esto escribe que en el bar había dos mostradores. Uno de ellos, en exclusiva, para el mojito, y el otro para todo lo demás. De La Concha, el mojito salta al bar del hotel Florida, en Obispo y Cuba, donde lo asume un barman conocido como Maragato. De allí pasa a La Bodeguita del Medio.
Precisamente al mojito de La Concha se refiere el lector Bruno Emilio en su mensaje. Apunta que había allí un barman llamado Rogelio, que los elaboraba «de manera ejemplar», y precisa que socios de otros clubes acudían a La Concha a deleitarse con ellos. Llegaban desde clubes tan exclusivos como el Havana y el Miramar Yacht Club y el Casino Español, a pasar un buen rato en torno a un mojito en un balneario eminentemente popular, al que se accedía solo con abonar el importe del tique de entrada. En el Club Náutico, cuenta Gabriel M.
Valdés, se preparaban asimismo excelentes mojitos y no era raro que un grupo de amigos se jugara al cubilete el pago de la ronda. ¡Salud y chinchín!
Carlos Villanueva expresa que tanto Dos Hermanos, en la Avenida del Puerto, como el Sloppy disponían de habitaciones para que las prostitutas que «hacían la vida» en esas instalaciones se encontraran con los clientes. Añade que cuando se restauró el bar, luego de permanecer cerrado durante casi cinco décadas, se comentó que en su sótano funcionaba una sala de juegos a la que por el alto monto de las apuestas solo los escogidos tenían acceso. Recuerda haber visto allí no pocos plomos de balas incrustados en las paredes. No había quien atestiguara si ocurrieron en esa sala uno o varios encuentros a tiros.
Después se supo, sigue diciendo Villanueva, que en los inicios de la Revolución el lugar fue sede de la jefatura de un batallón de Milicias y es de pensar que algunos de sus componentes afinaran la puntería con objetivos colocados en aquellas paredes.
Mi corresponsal, que tiene en su haber un estudio sobre los parqueos olvidados de La Habana, dice que el Sloppy tenía el suyo, subterráneo, en el sitio donde en la década de 1990 se encontraba la carpintería y el departamento de mantenimiento del hotel Plaza, y hoy son los sótanos de la ampliación del hotel Parque Central.

Va la receta

Constantino Ribalaigua, el rey de los cantineros cubanos, aunque era catalán, tenía el coctel Pepín Rivero como una de sus mejores creaciones, junto al Daiquirí y el Presidente, como ya se comentó hace un par de semanas. Rivero dirigió el Diario de la Marina desde la muerte de su padre, en 1919, hasta su prematuro fallecimiento, el 1ro.
de abril de 1944. Muy leída fue la columna que durante años publicó bajo el título de Impresiones.
La receta del coctel que lleva su nombre es esta: Póngase hielo en una copa de vidrio y viértase en ella 1,5 onzas de London Dry Gin, una onza de Kuyper Crema de cacao blanco y una onza de leche. Agite los ingredientes y cuélelos en un vaso frío. Decórelo con una llanta de chocolate espolvoreado.

Ferrys

El lector Manuel Rodríguez González aclara en su mensaje que ha publicado varios artículos sobre los ferry ferroviario y de pasajeros, y quiere, con su mensaje al escribidor, ofrecer algunas precisiones sobre el tema. Señala:
«Henry Flagler construyó la línea ferroviaria Florida-Cayo Hueso
(1905-1912) como parte de su proyecto de hacer de ese último punto una gran base comercial por su cercanía con Cuba y el Canal de Panamá, en construcción entonces. Cayo Hueso era el puerto de aguas profundas más meridional de Estados Unidos. El propósito inicial era el de transportar, a bordo del ferry, trenes cargados de mercancías con destino a La Habana.
«El servicio comenzó en enero de 1915 y se construyeron tres ferry: el SS Henry M. Flagler, el SS Estrada Palma y el SS Joseph R. Parrot.
Cada uno de ellos podía transportar 26 vagones. La travesía entre Cayo Hueso y La Habana demoraría seis horas».
Recuerda Rodríguez González que aquello fue toda una novedad; algo inédito en la transportación internacional. Lo cataloga como el precedente más inmediato de la actual transportación containerizada.
Los vagones hacían la función de los contenedores, solo que poseían ruedas, y abarataban los costos de transporte y manipulación de los cargamentos. Así, un tren de mercancías salía, digamos, de Chicago, abordaba el ferry en Cayo Hueso, llegaba a La Habana y podía continuar viaje a Santiago de Cuba o a cualquier otro punto de la geografía cubana sin que su carga sufriera manipulación de ningún tipo.
Puntualiza Rodríguez González en su email: «El ferry se cargaba en media hora, mientras que un barco corriente demoraba entre tres y seis días en cargar el mismo volumen de mercancías. De ahí la ventaja comercial del sistema, que tuvo total aceptación por parte de empresarios, comerciantes y consignatarios».
Añade:
«El tren Havana Special fue una idea de Flagler paralela a los ferry ferroviarios, pero comenzó antes, en 1912. El tren demoraba 38 horas en la ruta Nueva York-Cayo Hueso y allí los pasajeros eran transferidos a trasbordadores que cruzaban el estrecho de la Florida, como el SS Governor Cobb, el SS Cuba y el SS Miami. Según lo que he investigado durante años hasta ahora, no hay evidencias de que los viajeros cruzaran el mar a bordo de los vagones, pues los ferry estaban diseñados solo para vagones de mercancías».
La terminal de aquellos ferry trasbordadores, dice mi corresponsal, era el emboque del Arsenal, adyacente a los muelles que eran entonces de la Pan American —actual La Coubre— y Ward Line —actual Aracelio Iglesias—. A un lado del espigón estaba el emboque del ferry. Aún pueden verse los restos de las líneas férreas que atravesaban la calzada hacia la Terminal de Trenes donde, en un patio, se concentraban los vagones que llegaban de Estados Unidos y los que partían. Del otro lado estaban los referidos trasbordadores del Havana Special. Ese muelle fue el atracadero del SS Florida, el único que quedó en servicio hasta la implantación del bloqueo.
«El viaducto ferroviario, en efecto, fue seriamente dañado por el ciclón de 1935. La base de los ferry ferroviarios se trasladó a Palm Beach y la duración del viaje hasta La Habana era entonces de 18 horas. Se construyeron dos nuevos ferry: el New Grand Haven, en 1951, y el City of New Orleáns, en 1959. Transportaban 56 vagones cada uno.
«Cabe mencionar que el ferry City of Havana, que desde Cayo Hueso transportaba viajeros en sus automóviles, siguió usando el antiguo viaducto de Flagler reconstruido como autopista en 1938, la actual Overseas Highway. Ese ferry de pasajeros, en servicio entre 1956 y 1960, era el mayor de toda el área pues transportaba 500 pasajeros y
125 automóviles. Atracaba en el emboque de Hacendados en la ensenada de Atarés y resultó un éxito comercial al igual que los ferry ferroviarios», finaliza su mensaje Manuel Rodríguez González, y el escribidor pasa a otro tema.

¿Qué pasó con mi abuelo?

El lector Ramón de Armas refiere en su mensaje que su abuelo, español llegado a Cuba alrededor de 1881 con unos 18 años de edad, no aparece en ningún registro «aun cuando trabajó, creó una familia, se jubiló y recibió pensión que, a su muerte, disfrutó mi abuela hasta su fallecimiento».
Imagino que el registro al que se refiere el lector sea el de extranjeros. Inquiere: «¿Qué sucedió con los españoles residentes en Cuba luego de la intervención norteamericana y posteriormente al constituirse la República? ¿Les fue obligatorio registrarse como extranjeros o les fue otorgada automáticamente la ciudadanía cubana?
¿Si no se registraron, cuál fue entonces su estatus?».
La respuesta que el que esto escribe puede ofrecer ahora al interesado, quizá no sea la más completa. Sobre el tema, el escribidor tiene más datos de los que ofrece aquí, pero se niegan a aparecer en un archivo que se caotiza por día.
Según el censo que el Gobierno de ocupación norteamericano acometió en la Isla en 1899, residían en Cuba 129 236 españoles de nacimiento. Una cantidad significativa si se toma en cuenta que el país tenía una población total de 1 572 797 habitantes.
En 1902, una ley de la recién proclamada República dispuso que todos los extranjeros que lo solicitaran se considerarían como cubanos de nacimiento. Imagino que el abuelo de De Armas se habrá acogido a los beneficios de esa ley.

Ciro Bianchi Ross



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