Lo scriba ha ricevuto
diversi messaggi in relazione alla pagina del 7 febbraio (Bar avaneri). Bruno
Emilio Rea e Gabriel M. Valdés si riferiscono al mojito, uno dei dieci classici
tra i cocktail cubani, mentre Aníbal García e Modesto Reyes Canto ricordano
dettagli interessanti circa alcuni dei bar citati nella cronaca citata,
specialmente Dos hermanos e Sloppy Joe’s. Su quest’ultimo esercizio si estende
un’altro lettore: Carlos Villanueva. Roberto Garaycoa e César O. Gómez López
scrivono per dare la ricetta del cocktail Pepín Rivero che io non sono riuscito
a trovare e che, mi dicono, appare nel libro Cocteles cubanos; 1.100 recetas en el tiempo, di José Alfonso
castro, pubblicato con il marchio della Editorial Oriente. Un altro lettore,
Manuel Rodríguez González, offre dettagli interessantissimi sul ferry tra Key
West e l’Avana. Andiamo per parti.
Fernando G. Campoamor,
storico del rum e autore di quel libro delizioso che è El hijo alegre de la caña de azúcar, diceva che il mojito era una
derivazione del draque o drake, un “composto” che fino ben addentro al XIX
secolo, fu molto richiesto nelle Antille. Campoamor aggiungeva che lo inventò
un corsaro con questo nome, Francis Drake, e si elaborava con grappa. Aveva
proprietà curative. Almeno, Ramón de Palma, scrisse nel suo romanzo El cólera en La Habana (1838): “io mi bevo tutti i giorni alle undici un ‘draquecito’ e mi va perfettamente”. Per
preparare il mojito si versa in un bicchiere succo di limone e un cucchiaino di
zucchero. Si aggiunge mentuccia, si macera il gambo, non le foglie, in modo che
il suo succo si mescoli bene col limone e lo zucchero. Si aggiungono due dita
di rum bianco, si mescola il tutto e si mettono nel bicchiere due o tre cubetti
di ghiaccio, si completa con acqua minerale e si adorna con un rametto di
mentuccia. Verso il 1910 all’Avana, si comincia a parlare del mojito frullato.
Più tardi, quando si inaugurano i bagni La Concha, sulla spiaggia di Marianao,
il mojito si converte nel cocktail insegna dell’installazione. Hanno detto a
chi scrive questo che nel bar c’erano due banconi. Uno di essi era esclusivo
per il mojito, l’altro per tutto il resto. Da La Concha, il mojito salta
all’hotel Florida, in Obispo e Cuba, dove se ne occupa un barman conosciuto
come Maragato. Da lì, passa alla Bodeguita del Medio.
Precisamente al mojito de La
Concha, si riferisce il lettore Bruno Emilio nel suo messaggio. Segnala che lì
c’era un barman chiamato Rogelio che li elaborava in “modo esemplare” e
aggiunge che i soci di altri club si recavano a La Concha per assaporarli.
Arrivavano da club così esclusivi come
l’Havana, il Miramar Yacht Club eEl Casino Español, a passare un buon
momento dvanti a un mojito in uno stabilimento balneare prevalentemente
popolare, al quale si accedeva solo con pagare il biglietto d’ingresso. Anche
nel Club Náutico, racconta Gabriel M. Valdés, si preparavano ugualmente
eccellenti mojitos e non era raro che un gruppo di amici si giocasse ai dadi il
pagamento di un giro. Salute e cin cin!
Carlos Villanueva dichiara
che tanto il Dos Hermanos, nell’Avenida del Puerto come lo Sloppy, disponevano
di camere perché le prostitute che “facevano la vita” in questi esercizi si
incontrassero coi loro clienti. Aggiunge che quando si restaurò il bar, dopo
essere rimasto chiuso per quasi cinque decadi, si commentò che nel suo
sotterraneo funzionava una sala da gioco alla quale, per le ingenti somme delle
scommesse, avevano accesso solo gli eletti. Ricorda di aver visto non pochi
segni di proiettili incrostati nelle pareti. Non c’era chi testimoniasse se ci
fossero stati, in quella sala, uno e vari scontri a fuoco. Poi si seppe,
continua dicendo Villanueva che agli inizi della Rivoluzione, il luogo fu sede
del comando di un battaglione delle Milizie e c’è da pensare che alcuni dei
suoi componenti aggiustasse la sua mira con obbiettivi posti in quelle pareti.
Il mio corrispondente che ha
in suo avere uno studio sui parcheggi dimenticati dell’Avana, dice che lo
Sloppy aveva il suo, sotterraneo, nel luogo dove nella decade del 1990 si
trovava la falegnameria e l’officina di manutenzione dell’hotel Plaza e oggi
sono i sotterraneidell’ampliamento dell’hotel Parque Central.
Arriva
la ricetta
Constantino Ribalaigua, il
re dei barman cubani nonostante fosse catalano, aveva il cocktail Pepín Rivero
come una delle sue creazioni migliori, assieme al Daiquirí e il Presidente,
come si è già commentato da un paio di settimane. Rivero diresse El Diario de
la Marina dalla morte di suo padre, nel 1919, fino alla suo prematuro decesso,
il 1° aprile del 1944. Fu molto letta la colonna che pubblicò per anni col titolo
di Impresiones.
La ricetta del cocktail che
porta il suo nome è questa: Si metta del ghiaccio in una coppa di vetro e vi si
versi 1,5 once di London Dry Gin, un’oncia di crema di cacao bianco Kuyper e un’oncia di latte. Agitare
gli ingredienti e versarli in un bicchiere freddo. Decorarlo con cerchio di
cioccolato in polvere.
Traghetti
Il lettore Manuel Rodríguez
González chiarisce nel suo messaggio che ha pubblicato diversi articoli sui
traghetti ferroviari e di passeggeri e vuole, col suo messaggio allo scriba,,
offrire alcune precisazioni sul tema. Segnala:
“Henry Flagler costruì la
linea ferroviaria Florida-Key West (1905-1912), come parte del suo progetto di
fare di quest’ultimo punto una gran base per la sua vicinanza con Cuba e col
Canale di Panama, allora in costruzione. Key West era il porto di acque
profonde più meridionale degli Stati Uniti. Il proposito iniziale era di
trasportare, a bordo di traghetti, treni carichi di merci con destinazione
l’Avana.
Il servizio cominciò nel
gennaio del 1915 e si costruirono tre traghetti; l’SS Henry M. Flagler, l’SS
Estrada Palma e l’SS Joseph R. Parrot. Ognuno di essi poteva trasportare 26
vagoni. La traversata tra Key West e l’Avana sarebbe durata sei ore.”
Rodríguez González ricorda
che quella fu tutta una novità; qualcosa di inedito nel trasporto
internazionale. Lo classifica come il precedente più immediato dell’attuale
trasporto con container. I vagoni facevano la funzione di contenitori, solo che
avevano le ruote e abbattevano i costi di trasporto e maniploazione dei
carichi. Così se un treno merci partiva, diciamo da Chicago, mnontava sul
traghetto a Key West, arrivava all’Avana e poteva continuare il viaggio fino a
Santiago de Cuba o qualsiasi altro punto della geografia cubana, senza che il
suo carico subisse alcuna manipolazione. Rodríguez González puntualizza nella
sua e-mail: “Il trfaghetto si caricava in mezz’ora, mentre una nave normale ci
impiegava da da tre a sei giorni a caricare lo stesso volume di merci. Da lì il
vantaggio commerciale del sistema che ebbe totale accettazione degli
imprenditori, comercianti e consegnatari”.
Aggiunge:
“Il treno Havana Special fu
un’idea di Flagler, parallela ai treghetti ferroviari, ma cominciò prima, nel
1912. Il treno ci metteva 38 ore sulla rotta New York-Key West e lì, i
passeggeri erano trasferiti a trasbordatori che attraversavano lo stretto della
Florida, com l’SS Governor Cobb, l’SS Cuba e l’SS Miami. Secondo quello che ho
investigato per anni, fin ora, non ci sono evidenze che i passeggeri attraversassero
il mare a bordo dei vagoni, i traghetti erano disegnati solo per i vagoni
merci”.
Il terminal di quei
traghetti trasbordadori, dice il mio
corrispondente, era l’imboccatura dell’Arsenale, adiacente ai moli che erano allora della Pan
American – attuale La Coubre – e Ward Line – attuale Aracelio iglesias-. Da un
lato del molo c’era l’imboccatura del traghetto. Si possono vedere ancora i
resti della strada ferrata che attraversavano il corso verso la Stazione dei
Treni, dove in uno spiazzo, si concentravano i vagoni che arrivavano dagli
Stati Uniti e quelli che partivano. Dall’altra parte c’erano i citati
trasbordadori dell’Havana Special. Questo molo fu l’attracco dell’SS Florida,
l’unico che rimase in servizio fino alla messa in atto dell’embargo.
“Il viadotto ferroviario, in
effetti, fu seriamente danneggiato dal ciclone del 1935. La base dei traghetti
ferroviari si trasladò a Palm Beach e la durata del viaggio verso l’Avana era
allora di 18 ore. Si costruirono due nuovi traghetti: il New Grand Haven, nel
1951 e il City of New Orleans, nel 1959. Trasportavano 56 vagoni ciascuno.
Vale la pena di menzionare
che il traghetto City of Havana che da Key West trasportava passeggeri nelle
loro automobili, continuò a usare il viadotto di Flagler ricostruito come
autostrada nel 1938, l’attuale Overseas Highway. Questo traghetto di
passeggeri, in servizio tra il 1956 e il 1960, era il più grande dell’area;
gtrasportava 500 passeggeri e 125 automobili. Atraccava all’imbocco di
Hacendados, nella rada di Atarés e risultò essere un successo commerciale come
i traghetti ferroviari”, termina il suo messaggio Manuel Rodríguez González e
lo scriba passa ad altro tema.
Cosa
è successo di mio nonno?
Il lettore Ramón de Armas
riferisce, nel suo messaggio che suo nonno, spagnolo giunto a Cuba attorno al
1881 con circa 18 anni d’età, non appare in nessun registro “anche se lavorò,
creò una famiglia, si pensionò e ricevette la pensione che alla sua morte,
godette mia nonna fino alla sua morte”.
Immagino che il registro a
cui si riferisce il lettore sia quello degli stranieri. Chiede: “Cosa è
successo con gli spagnoli residenti a Cuba dopo l’intervento nordamericano e
successivamente alla costituzione della Repubblica? Furono obbligati a
registrarsi come stranieri o gli venne concessa automaticamente la cittadinanza
cubana? Se non si sono registrati quale fu, allora, il loro status?”.
La risposta che chi scrive
può offrire adesso all’interessato, chissà non sia la più completa. Sul tema,
lo scriba ha più dati di quelli che espone qua, ma si rifiutano di apparire in
un archivio che diventa più caotico ogni giorno.
Secondo il censimento che il
Governo di occupazione nordamericano fece sull’Isola nel 1899, risiedevano a
Cuba 129.236 spagnoli di nascita. Una quantità significativa, se si tiene conto
che il Paese aveva una popolazione totale di 1.527.797 abitanti.
Nel 1902, una legge
della recente proclamata Repubblica,
dispose che tutti gli stranieri che lo sollecitassero si sarebbero considerati
come cubani di nascita.Immagino che il nonno di de Armas si sia avvalso dei
benefici di questa legge.
¡Salud
y chinchín!
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
20 de
Febrero del 2016 21:35:22 CDT
Varios
mensajes recibió el escribidor con relación a la página del 7 de febrero (Bares
habaneros). Bruno Emilio Rea y Gabriel M. Valdés aluden al mojito, uno de los
diez clásicos de la coctelería cubana, mientras que Aníbal García y Modesto
Reyes Canto recuerdan detalles de interés acerca de algunos de los bares
citados en la crónica mencionada, en especial Dos Hermanos y Sloppy Joe’s.
Sobre este último establecimiento se extiende otro lector: Carlos Villanueva.
Roberto Garaycoa y César O. Gómez López escriben para dar la receta del coctel
Pepín Rivero, que yo no pude localizar y que, me dicen, aparece en el libro Cocteles cubanos; 1 100 recetas en el
tiempo, de José Alfonso Castro, publicado con el sello de la Editorial
Oriente. Otro lector, Manuel Rodríguez González, ofrece detalles
interesantísimos sobre los ferry entre Cayo Hueso y La Habana. Vayamos por
parte.
Decía
Fernando G. Campoamor, historiador del ron y autor de ese libro delicioso que
es El hijo alegre de la caña de azúcar,
que el mojito era una derivación del draque o drake, un «compuesto» que hasta
bien entrado el siglo XIX fue muy demandado en Las Antillas. Añadía Campoamor
que lo inventó el corsario de ese nombre, Francis Drake, y se elaboraba con
aguardiente. Tenía propiedades curativas. Al menos Ramón de Palma escribió en
su novela El cólera en La Habana (1838):
«Yo me
tomo todos los días a las once un draquecito y me va perfectamente». Para
preparar el mojito se vierte en un vaso zumo de limón y una cucharadita de
azúcar. Se añade yerba buena y se macera el tallo, no las hojas, a fin de que
su jugo se mezcle bien con el limón y el azúcar. Se adiciona línea y media de
ron blanco, se revuelve la mezcla y se ponen dos o tres cubitos de hielo en el
vaso, que se completa con agua mineral y se adorna con una ramita de
yerbabuena.
Sobre 1910
empieza a hablarse en La Habana del mojito batido. Más tarde, cuando se
inaugura el balneario de La Concha, en la playa de Marianao, el mojito se
convierte en el coctel insignia de la instalación. Han dicho a quien esto
escribe que en el bar había dos mostradores. Uno de ellos, en exclusiva, para
el mojito, y el otro para todo lo demás. De La Concha, el mojito salta al bar
del hotel Florida, en Obispo y Cuba, donde lo asume un barman conocido como
Maragato. De allí pasa a La Bodeguita del Medio.
Precisamente
al mojito de La Concha se refiere el lector Bruno Emilio en su mensaje. Apunta
que había allí un barman llamado Rogelio, que los elaboraba «de manera
ejemplar», y precisa que socios de otros clubes acudían a La Concha a
deleitarse con ellos. Llegaban desde clubes tan exclusivos como el Havana y el
Miramar Yacht Club y el Casino Español, a pasar un buen rato en torno a un
mojito en un balneario eminentemente popular, al que se accedía solo con abonar
el importe del tique de entrada. En el Club Náutico, cuenta Gabriel M.
Valdés, se
preparaban asimismo excelentes mojitos y no era raro que un grupo de amigos se
jugara al cubilete el pago de la ronda. ¡Salud y chinchín!
Carlos
Villanueva expresa que tanto Dos Hermanos, en la Avenida del Puerto, como el
Sloppy disponían de habitaciones para que las prostitutas que «hacían la vida»
en esas instalaciones se encontraran con los clientes. Añade que cuando se
restauró el bar, luego de permanecer cerrado durante casi cinco décadas, se
comentó que en su sótano funcionaba una sala de juegos a la que por el alto
monto de las apuestas solo los escogidos tenían acceso. Recuerda haber visto
allí no pocos plomos de balas incrustados en las paredes. No había quien
atestiguara si ocurrieron en esa sala uno o varios encuentros a tiros.
Después se
supo, sigue diciendo Villanueva, que en los inicios de la Revolución el lugar
fue sede de la jefatura de un batallón de Milicias y es de pensar que algunos
de sus componentes afinaran la puntería con objetivos colocados en aquellas
paredes.
Mi
corresponsal, que tiene en su haber un estudio sobre los parqueos olvidados de
La Habana, dice que el Sloppy tenía el suyo, subterráneo, en el sitio donde en
la década de 1990 se encontraba la carpintería y el departamento de
mantenimiento del hotel Plaza, y hoy son los sótanos de la ampliación del hotel
Parque Central.
Va la receta
Constantino
Ribalaigua, el rey de los cantineros cubanos, aunque era catalán, tenía el
coctel Pepín Rivero como una de sus mejores creaciones, junto al Daiquirí y el
Presidente, como ya se comentó hace un par de semanas. Rivero dirigió el Diario
de la Marina desde la muerte de su padre, en 1919, hasta su prematuro
fallecimiento, el 1ro.
de abril
de 1944. Muy leída fue la columna que durante años publicó bajo el título de
Impresiones.
La receta
del coctel que lleva su nombre es esta: Póngase hielo en una copa de vidrio y
viértase en ella 1,5 onzas de London Dry Gin, una onza de Kuyper Crema de cacao
blanco y una onza de leche. Agite los ingredientes y cuélelos en un vaso frío.
Decórelo con una llanta de chocolate espolvoreado.
Ferrys
El lector
Manuel Rodríguez González aclara en su mensaje que ha publicado varios
artículos sobre los ferry ferroviario y de pasajeros, y quiere, con su mensaje
al escribidor, ofrecer algunas precisiones sobre el tema. Señala:
«Henry
Flagler construyó la línea ferroviaria Florida-Cayo Hueso
(1905-1912)
como parte de su proyecto de hacer de ese último punto una gran base comercial
por su cercanía con Cuba y el Canal de Panamá, en construcción entonces. Cayo
Hueso era el puerto de aguas profundas más meridional de Estados Unidos. El
propósito inicial era el de transportar, a bordo del ferry, trenes cargados de
mercancías con destino a La Habana.
«El
servicio comenzó en enero de 1915 y se construyeron tres ferry: el SS Henry M.
Flagler, el SS Estrada Palma y el SS Joseph R. Parrot.
Cada uno
de ellos podía transportar 26 vagones. La travesía entre Cayo Hueso y La Habana
demoraría seis horas».
Recuerda
Rodríguez González que aquello fue toda una novedad; algo inédito en la
transportación internacional. Lo cataloga como el precedente más inmediato de
la actual transportación containerizada.
Los
vagones hacían la función de los contenedores, solo que poseían ruedas, y
abarataban los costos de transporte y manipulación de los cargamentos. Así, un
tren de mercancías salía, digamos, de Chicago, abordaba el ferry en Cayo Hueso,
llegaba a La Habana y podía continuar viaje a Santiago de Cuba o a cualquier
otro punto de la geografía cubana sin que su carga sufriera manipulación de
ningún tipo.
Puntualiza
Rodríguez González en su email: «El ferry se cargaba en media hora, mientras
que un barco corriente demoraba entre tres y seis días en cargar el mismo volumen
de mercancías. De ahí la ventaja comercial del sistema, que tuvo total
aceptación por parte de empresarios, comerciantes y consignatarios».
Añade:
«El tren
Havana Special fue una idea de Flagler paralela a los ferry ferroviarios, pero
comenzó antes, en 1912. El tren demoraba 38 horas en la ruta Nueva York-Cayo
Hueso y allí los pasajeros eran transferidos a trasbordadores que cruzaban el
estrecho de la Florida, como el SS Governor Cobb, el SS Cuba y el SS Miami.
Según lo que he investigado durante años hasta ahora, no hay evidencias de que
los viajeros cruzaran el mar a bordo de los vagones, pues los ferry estaban
diseñados solo para vagones de mercancías».
La
terminal de aquellos ferry trasbordadores, dice mi corresponsal, era el emboque
del Arsenal, adyacente a los muelles que eran entonces de la Pan American
—actual La Coubre— y Ward Line —actual Aracelio Iglesias—. A un lado del
espigón estaba el emboque del ferry. Aún pueden verse los restos de las líneas
férreas que atravesaban la calzada hacia la Terminal de Trenes donde, en un
patio, se concentraban los vagones que llegaban de Estados Unidos y los que
partían. Del otro lado estaban los referidos trasbordadores del Havana Special.
Ese muelle fue el atracadero del SS Florida, el único que quedó en servicio
hasta la implantación del bloqueo.
«El
viaducto ferroviario, en efecto, fue seriamente dañado por el ciclón de 1935.
La base de los ferry ferroviarios se trasladó a Palm Beach y la duración del
viaje hasta La Habana era entonces de 18 horas. Se construyeron dos nuevos
ferry: el New Grand Haven, en 1951, y el City of New Orleáns, en 1959.
Transportaban 56 vagones cada uno.
«Cabe
mencionar que el ferry City of Havana, que desde Cayo Hueso transportaba
viajeros en sus automóviles, siguió usando el antiguo viaducto de Flagler
reconstruido como autopista en 1938, la actual Overseas Highway. Ese ferry de
pasajeros, en servicio entre 1956 y 1960, era el mayor de toda el área pues
transportaba 500 pasajeros y
125
automóviles. Atracaba en el emboque de Hacendados en la ensenada de Atarés y
resultó un éxito comercial al igual que los ferry ferroviarios», finaliza su
mensaje Manuel Rodríguez González, y el escribidor pasa a otro tema.
¿Qué pasó con mi abuelo?
El lector
Ramón de Armas refiere en su mensaje que su abuelo, español llegado a Cuba
alrededor de 1881 con unos 18 años de edad, no aparece en ningún registro «aun
cuando trabajó, creó una familia, se jubiló y recibió pensión que, a su muerte,
disfrutó mi abuela hasta su fallecimiento».
Imagino
que el registro al que se refiere el lector sea el de extranjeros. Inquiere:
«¿Qué sucedió con los españoles residentes en Cuba luego de la intervención
norteamericana y posteriormente al constituirse la República? ¿Les fue
obligatorio registrarse como extranjeros o les fue otorgada automáticamente la
ciudadanía cubana?
¿Si no se
registraron, cuál fue entonces su estatus?».
La
respuesta que el que esto escribe puede ofrecer ahora al interesado, quizá no
sea la más completa. Sobre el tema, el escribidor tiene más datos de los que
ofrece aquí, pero se niegan a aparecer en un archivo que se caotiza por día.
Según el
censo que el Gobierno de ocupación norteamericano acometió en la Isla en 1899,
residían en Cuba 129 236 españoles de nacimiento. Una cantidad significativa si
se toma en cuenta que el país tenía una población total de 1 572 797
habitantes.
En 1902,
una ley de la recién proclamada República dispuso que todos los extranjeros que
lo solicitaran se considerarían como cubanos de nacimiento. Imagino que el
abuelo de De Armas se habrá acogido a los beneficios de esa ley.
Ciro Bianchi Ross
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