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lunedì 15 febbraio 2016

Vite parallele, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 14/2/16

Nella pagina che ho dedicato, la settimana scorsa (7 febbraio) ai bar dell’Avana, mi é mancato il tempo, vale a dire spazio, per menzionare Fabio Delgado Fuentes, uno dei grandi della cantina cubana, creatore di oltre 30 cocktails, alcuni di essi tanto famosi e vigenti come il Cuba Bella che si prepara con granatina, succo di limone, rum bianco, menta e rum invecchiato.
Fabio (o Favio che lo scriba ha visto scritto nei due modi), cominciò nel 1934 nel giro della gastronomia e tre anni più tardi riuscì ad essere ammesso al già scomparso Club de Cantineros – attuale Asociación de Cantineros de Cuba -. Nel 1939 un corso, auspiciato da detta entità, nello svelargli molti dei segreti dei bar, lo preparò nel modo adeguato. Non per questo trovò un lavoro fisso. Era l’epoca in cui molti gastronomici lavoravano, generalmente nella cosiddetta  alta stagione, solo per la mancia o come sostituti, nei bar, ristoranti e cabaret. Fabio Lavorò in alcuni dei bar più esclusivi come quello del Country Club, Vedado Tenis, Havana, Miramar e Biltmore Yacht Club, i cosiddetti Cinque Grandi dell’alta società avanera, fino a che nel 1945 conseguì un posto fisso allo Sloppy Joe’s. Rimase lì fino al 1956 poi passò, sempre come barman, al ristorante Normandie, casa di cucina francese con specialità regionali, ubicato al km. 19 della strada per Pinar del Río, a sei kilometri dell’Havana Yacht Club lungo l’Autopista del Mediodía e a quattro dal cabaret Sans Soucí in Arroyo Arenas.
Nel Normandie gli toccò servire non poche celebrità, come Errol Flynn, Tyrone Power, César Romero e Joe Luis, fra gli altri, diceva e con un sorriso furbesco aggiungeva che allo Sloppy non vide mai Ernest Hemingway.
Tempo dopo, Fabio Delgado comprò il bar Actualidades in Monserrate 264, un esercizio che attualmente i cantinieri vorrebbero come sede per la loro associazione. Vinse la Rivoluzione e il bar Actualidades divenne di proprietà statale,  Fabio Delgado amministrò alberghi, fu consigliere di centri ricreativi e sopratutto si disimpegnò come professore della Scuola Nazionale Alberghiera installata, dapprima, nel cabaret Tropicana e poi nell’hotel Sevilla, quando il ristorante di Alta Cucina faceva parte di questa installazione turistica. Fabio  che morì a oltre 80 anni d’età, privilegiò sempre il suo passaggio dallo Sloppy Joe’s. Nella carta del famoso bar avanero continuano ad essere segnalati alcuni dei suoi cocktails come il Martini Special, Cubanacán e Sol y Sombra.
Che coppia!
Nel Normandie, Fabio Delgado coincise con Gilberto Smith. Al cosiddetto Mago delle Salse non andava per niente male al Carmelo di Calzada e D, nel Vedado, dov’era giunto proveniente da Los Tres Ases, il ristorante di Prado 356, dove adesso ha sede il Centro Andaluso. Ma ricevette l’offerta irresistibile che gli fece il signor François Toussé, proprietario del Normandie: se andava a lavorare con lui sarebbe stato una specie di chéf-padrone, con una percentuale degli utili dati dalla cucina. Inoltre la casa metteva a sua disposizione un’automobile con autista.
A Smith spiaceva abbandonare il Carmelo, il miglior grill-room dell’Avana nella decade dei ’50 dove, su griglie al carbone, si preparavano quotidianamente 20 linee di carne arrosto, senza contare i piccioni, le pernici, i fagiani, i cinghiali, le lepri, i polli, come specialità. Tutto ciò che c’era nel mondo della cucina si trovava a El Carmelo, una casa con 150 dipendenti, dove si vendevano 25 prosciutti al giorno.
A El Carmelo guadagnava bene e i suoi padroni lo consideravano molto. E fu sopratutto lì, dove si era convertito nel cuoco che già era. In ciò lo aveva aiutato molto Juan Cañella, un catalano brontolone che era un artista nella composizione dei piatti, un genio nelle gelatine e un maestro pasticcere senza pari. La posizione di Cañella era un po’ ambigua in quella casa dove batteva il polso della città. Non era lo chéf, non cucinava, né confezionava le torte, né le salse, ma si immischiava ovunque, consigliava, orientava, ordinava! Álvarez e Méndez, i padroni de El Carmelo, lo tenevano con mansioni di specialista e siccome non si parlavano fra di loro, lo usavano come mediatore.
Anche se c’era di tutto, il Normandie aveva una clientela selezionata. Era il posto alla moda. Tutte le grandi personalità che passarono da Cuba nella seconda metà della decade dei ’50, mangiarono al Normandie. Si concepì come ristorante di cucina francese, ma dato che il cliente paga e perciò comanda,si cucinava anche secondo il gusto dei commensali. Smith conoscendo molti di loro, lo seguivano dai suoi tempi nel Tres Ases, cercava di soddisfarli tutti.
Un giorno arrivò il dottor Alberto Inclán, figlio dell’eminente ortopedico dallo stesso nome e ortopedico anche lui, nipote del dottor Clemente Inclán, pediatra, rettore dell’Universitá avanera, il cosiddetto Magnifico Rettore; i tre con studio privato nella calle 21 al numero 454 nel Vedado. Inclan figlio, era l’eterno rivale del dottor Julio Martínez Páez, entrambi professori ausiliari di Ortopedia all’Università. Quando il vecchio Inclan morisse o andasse in pensione, solo uno poteva occupare il suo posto. Quel giorno, 15 persone accompagnavano Inclan... Gli si consegnò la carta e i 16 si decisero, casi della vita, per la suprema di fagiano, delle quali ce n’erano solo 15 nel frigorifero.
“Questo si risolve facilmente”, si disse Smith, cercò quattro o cinque faraone molto tenere e scelse la migliore.
Nel metterle a tavola, lo chéf ebbe cura che la suprema di faraona toccasse al dottor Inclán. A quel punto, i cocktails di Fabio Delgado rallegravano il gruppo. Mangiarono, bevettero, conversarono. Smith li guardava da lontano e avvertiva la faccia soddisfatta di tutti. Celebravano qualche avvenimento e i cocktails, la buona tavola e i buoni vini contribuivano a renderli più contenti.
Quando si disponevano ad andarsene, Inclán si appartò col cuoco. Gli disse:
-Non credere che non me ne sia accorto...mi hai dato una suprema di faraona.
- È che c’erano solo 15 supreme di fagiano. Ho messo a lei quella di faraona perché era l’anfitrione. Non volevo farla restar male davanti ai suoi invitati.
Il dottor Inclàn sorrise. Stese la sua mano destra e strinse quella di Smith, con forza, per lasciare dentro di essa un biglietto da cento dollari, accuratamente piegato.
Pettegolezzo di cucina
Lo scriba non ha la certezza che quello che racconterà adesso sia vero. Non potrà comprovarlo mai. Per questo omette il nome della dama, un’attrice francese, molto giovane e già famosa, abbagliante per la sua bellezza provocante da donna indiavolata, sguardo furbo e labbra che socchiudeva in un modo da far si che si infiammasse il lato oscuro del cuore a chi la guardava. Una donna come fosse stata creata per Dio che arrivava a Cuba, per la seconda volta, avvolta in un’ondata nuova di popolaritá.
Si diceva che quell’attrice era venuta a Cuba, nelle due occasioni, invitata da uno dei proprietari del Gran Stadium del Cerro. Toussé volle conquistarla e siccome non giungeva a lei, le offrì una considerevole somma di denaro. Se la ragazza accettò o no, non si sa; ma per entrare nelle sue grazie, a Toussé non venne idea migliore che invitarla al Normandie e quella sera travestirsi da cuoco, servirla personalmente e farle credere che i piatti che degustava uscivano dalle sue mani. Per la cronaca, la giovane decise sempre per l’aragosta cardenal.
Che lo facesse, passi. Se voleva uscire nel salone col cappello e il grembiule a dire quello che voleva non sembrava un male. Ne aveva diritto come proprietario del ristorante. Ma Toussé esagerò, si credette davvero cuoco e si mise a dare ordini in cucina. Lo chéf Gilberto non poté rimanere zitto. Gli suggerì, con rispetto, che uscisse da lì o rimanesse zitto. Toussé lo ignorò. Continuò dando ordini. Smith perse la pazienza.
- Chi è questo signore? Domandò ai suoi compagni. Il capo della cucina sono io. Continuate nel vostro lavoro e non fategli caso.
La possibiltà di avere tra le lenzuola una delle donne più desiderate del mondo gli aveva fatto perdere la testa. Toussé lo affrontò.
- Qua il padrone sono io – gridò.
Smith fece quello che doveva fare. Si tolse cappello e grembiule.
- Cucini lei – gli disse.
Con lui si spogliarono di cappello e grembiule tutti i componenti della squadra che si occupava, quella sera, della cucina.
A questo punto a Toussé caddero le braccia, gli si corrugavano le orecchie. Smith non diceva per scherzo; quegli uomini se ne andavano davvero e lo lasciavano nei pasticci. Divenne piccolo, piccolo. Implorava che non potevano fargli quello. Che lui non era una persona cattiva. Che aveva capito di aver esagerato. Che si mettessero al suo posto. Che lei mi scusi signor Smith.
Non ci fu maniera. Non ci fu accordo. Quella fu l’ultima sera di Gilberto Smith nel Normandie. Perdeva denaro e posizione. Restava senza lavoro e con una famiglia numerosa sulle spalle. Poteva sempre tornare a El Carmelo, ma risultava duro farlo in quel momento. Qualcuno gli parlò de La Roca, un ristorante appena aperto all’angolo di 21 e M, nel Vedado, nello stesso posto che aveva occupato il ristorante Colonial e che era carente di personale. Fu a La Roca come semplice cuoco. Lì creò un piatto che ebbe fra i migliori fino alla fine della sua vita: la tortilla di frutta al rum. E un’altro, la tortilla con intervento dello chéf.
Smith non restò molto tempo a La Roca. Un giorno entrò a El Carmelo e come se non si volesse, disse al gestore che quella era la casa che preferiva. Ebbene, El Carmelo per lei è aperto, gli rispose il gestore.
Quella stessa sera se ne andò da La Roca. Tornò a El Carmelo col suo ritmo di lavoro di sempre, ma questa volta con una responsabilità speciale: servire il gruppo di Meyer Lansky, il finanziere della mafia che era di nuovo al’Avana al fine di seguire, tra altre cose, la costruzione dell’hotel Habana Riviera.

Nel frattempo, nel bar Actualidades, Fabio Delgado, continuava con la sua carriera di successo.

Vidas paralelas

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
13 de Febrero del 2016 20:56:26 CDT

En la página que la semana pasada (7 de febrero) dediqué a bares de La Habana, me faltó tiempo, es decir, espacio para aludir a Fabio Delgado Fuentes, uno de los grandes de la cantina cubana, creador de más de 30 cocteles, algunos de ellos tan famosos y vigentes como el Cuba Bella, que se elabora con granadina, zumo de limón, ron blanco, menta y ron añejo.
Fabio (o Favio, que de las dos maneras lo ha visto escrito este escribidor) se inició en 1934 en el giro de la gastronomía, y tres años más tarde logró ser admitido en el ya desaparecido Club de Cantineros —actual Asociación de Cantineros de Cuba—. En 1939, un curso auspiciado por dicha entidad, al develarle muchos de los secretos del bar, lo preparó de manera adecuada. No por eso consiguió trabajo fijo. Era la época en la que muchos gastronómicos, en bares, restaurantes y cabarés, trabajaban solo por la propina, generalmente en la llamada temporada alta. Solo por la propina o como suplente, Fabio trabajó en algunos de los bares más exclusivos, como los del Country Club, Vedado Tenis, y Havana, Miramar y Biltmore Yacht Club, los llamados Cinco Grandes de la alta sociedad habanera, hasta que en 1945 consiguió una plaza fija en el Sloppy Joe’s y allí estuvo hasta que en 1956 pasó, siempre como barman, al restaurante Normandie, casa de cocina francesa, con especialidades regionales, ubicado en el kilómetro 19 de la carretera a Pinar del Río; a seis kilómetros del Havana Yacht Club por la Autopista del Mediodía y a cuatro del cabaré Sans Souci por Arroyo Arenas.
En el Normandie le tocó atender a no pocos famosos, como Errol Flynn, Tyrone Power, César Romero y Joe Louis, entre otros, decía, y con una sonrisa pícara añadía que en el Sloppy jamás vio a Ernest Hemingway.
Tiempo después, Fabio Delgado adquiría el bar Actualidades, en Monserrate 264, un establecimiento que los cantineros quieren ahora para sede de su asociación. Triunfó la Revolución, el bar Actualidades pasó a ser propiedad estatal, y Fabio Delgado administró hoteles, asesoró centros recreativos y, sobre todo, se desempeñó como profesor de la Escuela Nacional de Hotelería, instalada primero en el cabaré Tropicana y luego en el hotel Sevilla cuando el restaurante de Alta Cocina fue parte de esa instalación turística.
Fabio, que falleció con más de 80 años de edad, privilegió siempre su paso por Sloppy Joe’s. En la carta de ese famoso bar habanero siguen consignándose algunos de sus cocteles como Martini Especial, Cubanacán y Sol y Sombra.

¡Qué pareja!

En el Normandie, Fabio Delgado coincidió con Gilberto Smith. Al llamado Mago de las Salsas no le iba nada mal en El Carmelo, de Calzada y D, en el Vedado, adonde había llegado procedente de Los Tres Ases, el restaurante de Prado 356, donde ahora radica el Centro Andaluz. Pero recibió la oferta irresistible que le hacía el señor François Toussé, propietario del Normandie: si pasaba a trabajar con él, sería una especie de chef dueño, con un por ciento de los ingresos por concepto de la cocina. Además, la casa pondría a su disposición un automóvil con chofer.
Smith sentía abandonar El Carmelo, el mejor grill-room de La Habana de la década del 50 y donde en parrillas de carbón, se preparaban a diario 20 líneas de carne asada, sin contar las palomas, las perdices, los faisanes, los jabalíes, las liebres, los pollos de especialidades. Todo lo que había en el mundo de la cocina se encontraba en El Carmelo, una casa con 150 empleados, donde se vendían 25 jamones diarios.
Ganaba bien en El Carmelo y los dueños lo distinguían mucho. Y fue allí, sobre todo, donde se había convertido en el cocinero que era ya. En eso lo había ayudado mucho Juan Cañella, un catalán cascarrabias que era un artífice en el montaje de los platos, un genio en las gelatinas y un maestro dulcero sin igual. La posición de Cañella era un tanto ambigua en aquella casa donde latía el pulso de la ciudad. No era el chef ni cocinaba ni confeccionaba los pasteles ni las salsas, pero se metía en todo, aconsejaba, orientaba, ¡ordenaba! Álvarez y Méndez, los dueños de El Carmelo, lo tenían en funciones de especialista y, como no se hablaban entre ellos, lo utilizaban de mediador.
Aunque había de todo, el Normandie tenía una clientela selecta. Era el lugar de moda. Todas las grandes personalidades que pasaron por Cuba durante la segunda mitad de la década de los 50, comieron en el Normandie. Se concibió como un restaurante de cocina francesa, pero debido a que el cliente paga y, por tanto, manda, se cocinaba también al gusto de los comensales. Smith conocía a muchos de ellos, pues venían siguiéndolo desde sus tiempos en Los Tres Ases, trataba de satisfacerlos a todos.
Un día llegó el doctor Alberto Inclán, hijo del eminente ortopédico de igual nombre y ortopédico él mismo, sobrino del doctor Clemente Inclán, pediatra, rector de la Universidad habanera, el llamado Rector Magnífico; los tres con consulta privada en la calle 21 número 454, en el Vedado. Inclán hijo era el eterno rival del doctor Julio Martínez Páez, ambos profesores auxiliares de Ortopedia en la Universidad. Cuando el viejo Inclán muriera o se jubilara, solo uno podía ocupar su puesto. Quince personas acompañaban a Inclán aquel día... Se les entregó la carta y todos, los 16 se decidieron, cosas de la vida, por la suprema de faisán, de las que solo había 15 en la nevera.
«Esto se soluciona fácil», se dijo Smith, y buscó cuatro o cinco guineos muy tiernos y seleccionó el mejor.
Al ponerse el servicio en la mesa, el chef cuidó que la suprema de guineo tocara al doctor Inclán. A esa altura, los cocteles de Fabio Delgado alegraban al grupo. Comieron, bebieron, conversaron. Smith los miraba de lejos y advertía la cara de satisfacción de todos. Celebraban algún acontecimiento, y los cocteles, la buena mesa y los buenos vinos contribuían a hacerlos más felices.
Cuando se disponían ya a retirarse, Inclán hizo un aparte con el cocinero. Le dijo:
—No creas que no me percaté… me pusiste suprema de guineo.
—Es que solo había en la cocina 15 supremas de faisán. Puse a usted la de guineo porque era el anfitrión. No quería hacerlo quedar mal delante de sus invitados.
El doctor Inclán sonrió. Extendió su mano derecha y estrechó la de Smith, con fuerza para dejar en ella un billete de cien dólares cuidadosamente doblado.

Chisme de cocina

El escribidor no tiene la certeza de que lo que contará ahora sea cierto. No podrá corroborarlo nunca. Por eso omite el nombre de la dama, una actriz francesa muy joven entonces, famosa ya, deslumbrante por su belleza provocativa de mujer endemoniada, mirada pícara y labios que entreabría de una manera que hacía que a quienes la veían se les inflamara el lado oscuro del corazón. Una mujer como creada por Dios que llegaba a Cuba, por segunda vez, envuelta en otra nueva ola de popularidad.
Se decía que aquella actriz había venido a la Isla, en las dos ocasiones, invitada por uno de los propietarios del Gran Stadium del Cerro. Toussé quiso conquistarla y como no le llegaba, le ofreció una considerable suma de dinero. Si la muchacha aceptó o no, se desconoce; pero para congraciarse con ella, a Toussé no se le ocurrió idea mejor que invitarla al Normandie y disfrazarse esa noche de cocinero, atenderla personalmente y hacerle creer que los platos que degustaba salían de sus manos. Por cierto, la joven se decidió siempre por la langosta cardenal.
Que lo hiciera, pase. Si quería salir al salón con el gorro y el delantal y decir lo que le pareciera, no estaba mal. Tenía derecho como propietario del restaurante. Pero Toussé se fue de rosca, se creyó cocinero de verdad y se metió en la cocina a dar órdenes.
El chef Gilberto Smith no pudo permanecer en silencio. Le aconsejó con respeto que saliera de allí o se mantuviera callado. Toussé lo ignoró. Siguió dando órdenes. A Smith se le colmó la paciencia.
—¿Quién es este señor? —preguntó a sus compañeros. Yo soy el jefe de cocina. Sigan en lo suyo como hasta ahora y no le hagan caso.
La posibilidad de tener entre las sábanas a una de las mujeres más codiciadas del mundo, le había hecho perder la cabeza. Toussé se le encaró.
—Aquí el dueño soy yo —gritó.
Smith hizo lo que tenía que hacer. Se quitó el gorro y el delantal.
—Cocine usted —le dijo.
Con él se despojaron de sus gorros y delantales todos los componentes de la brigada que esa noche se ocupaba de la cocina.
En ese punto, a Toussé se le cayeron las medias, se le arrugaron los atabales. Smith no hablaba en broma; aquellos hombres se marchaban de verdad y se la dejaban en la mano. Se puso chiquitico, chiquitico. Imploraba. Que no le podían hacer aquello. Que él no era una mala persona. Que comprendía que se había extralimitado. Que se pusieran en su lugar. Que usted disculpe, señor Smith.
Ni modo. No hubo entendimiento. Aquella fue la última noche de Gilberto Smith en el restaurante Normandie. Perdía dinero y posición. Quedaba sin empleo y con una familia numerosa a su abrigo. Siempre podía volver a El Carmelo, pero resultaba duro hacerlo en ese momento. Alguien le habló de La Roca, un restaurante que acaba de abrir en la esquina de 21 y M, en el Vedado, en el mismo sitio que había ocupado el restaurante Colonial, y que estaba carente de personal. Se fue a La Roca como cocinero de a pie. Crearía allí un plato que hasta el final de su vida tuvo entre los mejores: la tortilla de frutas al ron. Y otro, la tortilla interventora del chef.
No estaría Smith mucho tiempo en La Roca. Un día entró en El Carmelo y, como quien no quiere las cosas, dijo al gerente que aquella era la casa que él prefería. Pues El Carmelo está abierto para usted, respondió el gerente.
Aquella misma noche se fue de La Roca. Volvió a El Carmelo con su ritmo de trabajo de siempre, pero esta vez con una responsabilidad especial: atender al grupo de Meyer Lansky, el financiero de la mafia, que estaba de nuevo en La Habana a fin de seguir, entre otros asuntos, la construcción del hotel Havana Riviera.
Mientras tanto, en el bar Actualidades, Fabio Delgado continuaba su exitosa carrera.

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