Tra le misure a “difesa dei Diritti
Umani” prese da Trumpone il magnifico (prepotente), c’è stata oltre alla
riduzione, in generale, del personale in servizio all’Ambasciata all’Avana, la
chiusura totale dei servizi consolari. Da molti anni esisteva un accordo
migratorio che prevedeva la concessione di visti a non meno di 20 mila cubani
ogni anno per ricongiunzione famigliare o semplicemente per risiedere negli
Stati Uniti. Evidentemente, per far fronte a questa mole di lavoro, oltre ai
visti per visite temporanee, ci voleva un nutrito numero di funzionari, oggi
azzerato. Le pratiche relative devono essere dirette al Consolato Generale degli
Stati Uniti a Bogotà.
Considerando che ci vuole un visto
per la Colombia e che non ci sono voli diretti, ma bisogna andare via Panama,
oltre alle spese di viaggio più vitto e alloggio, quanti cubani possono
permettersi di andare (e poi tornare) a Bogotà per sostenere la necessaria
intervista, magari per sentirsi dire che il visto non è stato concesso?
Ma, oltre a questo dettaglio, mai
adottato nemmeno dai repubblicani più recalcitranti come Nixon, Reagan e i Bush
padre e figlio, con l’espulsione dei diplomatici cubani a Washington, è rimasto
un solo funzionario consolare in quella sede a far fronte alle richieste di
cittadini statunitensi e di cubani residenti che hanno il sacrosanto diritto di
effettuare viaggi al loro Paese d’origine.
Questi piccoli dettagli, oltre a
molti altri, non sono stati menzionati dalla Paladina dei Diritti Umani nella
sua dichiarazione di voto contro l’abolizione dell’embargo.
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