Pubblicato su Juventud Rebelde del 29/6/14
La signora
Carmen Cantón ha comunicato con lo scriba. Nonostante non lo conoscesse
personalmente voleva fargli un regalo. Nientemeno che il libro che per molti
anni ha tenuto sul tavolino da notte e che ha ripassato in innumerevoli
occasioni. Non pensate in nessuno di quei grandi titoli della letteratura o del
giornalismo, né un volume lussuoso. Per la verità il libro, stampato all'Avana
nel 1947, non può essere più modesto anche se dev'essere stato venduto come il
pane in quel momento. Nelle sue pagine, l'autore, raccolse le note che
pubblicava ogni settimana nella rivista “Carteles”, appunti brevi e
spregiudicati nei quali affrontò la storia di Cuba. O meglio la sua “piccola”
storia, la sua cronaca narra in modo leggero e sciolto, spogliata
dall'architettura enfatica, imbottita di aneddoti.
Il libro
si intitola “Lo sapeva lei?” Il suo autore, Santiago González Palacios, lo
firma con lo pseudonimo di Don Candido, lo stesso che usava nella sua colonna
nella rivista menzionata. La domanda che serve da titolo, più che
l'interrogativo di uno storico è quella di un cronista, dice Miguel de Marcos
nel prologo del volume. Trent'anni di cronache rivestono le sue pagine, ma è il
cronista che aveva cominciato a sentire la fatica di ogni giorno e si è diretto
verso il passato senza l'aspirazione di essere uno storico, ma con la voglia di
“proporre al lettore un momento di distrazione e amenità”.
Lo sapeva
lei?, domanda Don Candido e dopo quasi 70 anni trascorsi risponderemo, senza
arrossire, che eravamo ignari di molto di quello che è raccontato nel suo
libro, del quale riproduciamo alcuni frammenti.
Le posate
di Tacón
Miguel
Tacón, al suo tempo come Capitano Generale dell'Isola di Cuba (1834-38) regalò
al municipio dell'Avana delle posate d'argento i cui pezzi portavano incise le
armi della città. Il loro costo, in cifra tonda fu di 20.000 pesos spagnoli
d'oro.
Il
prezioso regalo era sotto custodia del sindaco. Al termine di questi
dall'incarico, consegnava le posate al successore dopo un inventario e con una
cerimonia solenne. Il Marchese di Esteban, l'ultimo sindaco spagnolo che resse
i destini del comune avanero, imitò, nel 1898, il gesto dei suoi predecessori e
lo trasmise al sindaco designato dal Governo interventista nordamericano. A
partire da quel momento, non si è più saputo niente del regalo del generale
Tacón.
L'ammazzacani
Un boia
celebre fu José María Peraza. Svolse le sue macabra funzioni nella cittá di
Trinidad. Condannato a morire sulla forca, nel 1767, per aver ucciso a
coltellate sua moglie, non si poteva eseguire la sentenza, e nemmeno quella di
un altro reo, per essere carente Trinidad di “ministro esecutore”. Si chiese a
Santa Clara di colui che esercitasse in quella città, ma l'uomo morì durante il
viaggio. Così Peraza, in cambio di aver salva la vita, si offrì per svolgere
l'incarico di boia e iniziò la catena di esecuzioni con il suo stesso compagno
di pena.
Giunse ad
acquisire una destrezza inusitata nella sua professione. Si dice che non fosse
raro che dopo aver aperto la botola del tavolato al reo, si arrampicasse sulla
forca e scivolasse sulla corda fino a rimanere sulle spalle del giustiziato al
quale dava pedate sul petto per accelerarne la morte.
Una volta,
realizzando quell'operazione, la corda si ruppe e il reo e il boia rimasero
uniti in un tragico abbraccio, questo permise la sentenziato di avere salva la
vita.
José Marí
Peraza percepiva 125 pesetas per ogni esecuzione. Glie le tiravano sul palco e
l'uomo, dopo averle raccolte, ringraziava il pubblico. Sembra che non utilizzò
mai quei soldi per soddisfare le sue necessità, ma che le distribuisse come
elemosina a i poveri e ordinava messe per l'anima dei suoi “clienti”.
Dopo 20
anni nell'incarico, Peraza cessò di fare il boia. Lo nominarono “ammazzacani”
municipale, lavoro che svolgeva con grande abilità, evitando sofferenze inutili
agli animaletti. Invecchiò e nei suoi ultimi anni visse della carità pubblica.
Non poche donne portavano la loro elemosina fino alla baracca di Peraza, ma in
prossimità alla cesta che egli aveva preparato per ricevere le donazioni, si
giravano di schiena per non vedere la faccia dell'antico boia. Peraza morì a
103 anni d'età, nel 1847. Era nato nel 1744.
Il
cerbiatto non è da corda
I primi cervi
che arrivarono a Cuba, discendevano da una razza di cervi selvatici
australiani. Li portò un riccone della regione orientale: don Nicanor del
Castillo al ritorno di uno dei suoi viaggi di piacere e osservazione che
effettuava abitualmente.
Nel 1712,
anno in cui fece la sua ultima escursione, Castillo portò con se quattro coppie
di cervi e due di aquile confinandoli nella sua tenuta Jesús María, alla
periferia della città di Santiago de Cuba. I cervi procrearono per cinque anni,
mentre due delle aquile morirono dopo poco tempo nonostante la buona
alimentazione che ricevevano, ebbene gli somministravano pollo varie volte al
giorno. Le due aquile rimanenti non si rassegnarono alla cattività e morirono
anche loro qualche mese dopo. Alla sua morte don Nicanor lasciò il mandato nel
suo testamento,che i cervi fossero liberati nei boschi, cosa che i suoi eredi
applicarono alla perfezione.
La cospirazione della cravatta
In mezzo a
tante cospirazioni misteriose e più o meno sinistre, riportate a Cuba, emerge la
chiamata “Cospirazione della Cravatta”, scoperta e “soffocata” nel 1843 da
Ramón María de Labra, governatore di Cienfuegos senza che per diventarlo
dovesse utilizzare altre risorse a parte la sua abilità, la sua mano sinistra e la sua
parola.
Accadde che in quella data, un
violento uragano provocò danni incalcolabili in questa località nel sud della
regione centrale dell’Isola.
Passata la tormenta, cominciò a
circolare la voce, tra gli abitanti, che gli schiavi stavano facendo un piano
per eliminare tutti i bianchi. Una cravatta nera avrebbe segnalato le case
delle persone che sarebbero morte.
Il Governatore, non tardò a scoprire
che ogni volta che in una casa appariva il fatidico segnale, spariva la covata
di polli, nella magione di Adelina Petit, francese residente nella zona i
cospiratori, dopo essersi appropriati di tutte le galline, lasciarono la
cravatta nera sul collo di un gallo vecchio, unico pennuto che rimase nel
pollaio.
Senza rivelare i suoi propositi, labra
cominciò a investigare. Localizzò il negozio che vendeva le famose cravattte e,
d’accordo con uno dei dipendenti dell’esercizio, ebbe la relazione sui clienti
che avevano comprato detto articolo. Allora li chiamò uno ad uno nel suo
ufficio e gli parlò con affetto paterno. Non tardò a conoscere la verità. Non
esisteva detta cospirazione; gli schiavi non tramavano niente e non erano
colpevoli di nessun delitto. Si trattava semplicemente di un gruppo di giovani
bianchi squattrinati e senza lavoro avidi mangiarsi, ogni tanto e senza nessuna
spesa, un succulento riso con pollo. Loro portavano la carne, il grano era a
carico di un tale Juan, conosciuto come Il Creolo, cuoco del signor Caseaux, un abitante della città che
aveva fama per il suo lavoro ai fornelli.
Il Governatore ammonì quei ragazzi e gli
raccomandò di seguire la retta via.
La
calle Figuras
Si dice che nel 1807, don Vicente
Segura spagnolo benestante, fece costruire nel rione avanero di Chávez, una
casa in cui vivere.
Terminata l’opera, incaricò l’artista
Casimiro Recio di decorarne gli interni e gli esterni con pitture a carattere
storico.
Le immagini provocarono un grande
scandalo. Ci furono denunce e il Capitano Generale dispose che le oper fossero
esaminate dal pittore e ritrattista Juan de los Ríos. Questi fece una relazione
sfavorevole e immediatamente si ordinò a Segura che cancellasse le immagini. La
casa era ubicata nella calle San Juan, oggi Tenerife. Faceva angolo con
un’altra che a partire da quel momento fu nominata Figuras dalla gente.
Già che parliamo di nomi di vie
dell’Avana di ieri, diciamo subito che Indio, prima si chiamava Peña Blanca del
Indion e che Peña Pobre, nel 1867 era conosciuta come Cayo. Industria nel
tratto da San José a Dragones, fu chiamata anche Diorama per via del teatro che
vi si trovava nel 1827. Picota è Picota per il palo che, all’angolo di Jesús
María e Luz, ricevette il nome di Correo perché lì esistette la prima staffetta,
nella residenza di Don Antonio de la Luz y Caballero, Postale Maggiore
dell’Isola. Empedrado fu una strada di ciottoli fino alla metà del secolo XVIII
quando, come mezzo di prova, si pavimentò con porfido nel tratto compreso
tratto compreso tra la Cattedrale e il Parco San Juan de Dios. Fu la prima in
porfido ad esistere all’Avana e grazie a quella pavimentazione ricevette il
nome che conserva ancora.
¿Lo sabía usted?
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
28 de Junio del 2014 20:42:18 CDT
La señora Carmen Cantón se comunicó con el
escribidor. Pese a que no
lo conocía personalmente, quería hacerle un
regalo. Nada menos que el
libro que durante años ella mantuvo en la
cabecera de su cama y que
repasó en incontables ocasiones. No piense en
ninguno de esos grandes
títulos de la literatura o el periodismo, ni en
un volumen de lujo. En
verdad, el libro, impreso en 1947, en La Habana,
no puede ser más
modesto, aunque debe haberse vendido en su
momento como pan caliente.
En sus páginas su autor recogió las notas que
cada semana publicaba en
la revista Carteles, apuntes breves y
desembarazados en los que abordó
la historia de Cuba. Mejor, su “pequeña”
historia, su crónica,
contada de manera ligera y suelta, despojada de
arquitectura enfática,
imbuida por la anécdota.
El libro se titula ¿Lo sabía usted? Su autor,
Santiago González
Palacios, lo firma con el seudónimo de Don
Cándido, el mismo que
calzaba su columna en la revista mencionada. La
pregunta que le sirve
de título, más que la interrogante de un
historiador, es la de un
reportero, dice Miguel de Marcos en el prólogo
del volumen. Treinta
años de reportaje calzan sus páginas, pero es el
reportero que empezó
a sentir la fatiga de lo cotidiano y se ha
vuelto hacia el pasado sin
la aspiración de ser historiador, sino con el
deseo de “proporcionar
al lector un rato de distracción y
esparcimiento”.
¿Lo sabía usted?, pregunta Don Cándido, y a la
vuelta de los casi 70
años transcurridos respondemos sin rubor que
desconocíamos mucho de lo
que cuenta en su libro, del que reproducimos a
continuación algunos
fragmentos.
La
vajilla de Tacón
Miguel Tacón, en sus tiempos de Capitán General de la Isla de Cuba
(1834-38) regaló al Ayuntamiento de La Habana
una vajilla de plata,
cuyas piezas llevaban grabadas las armas de la
ciudad. Su costo, en
números redondos, fue de 20 000 pesos oro
español.
El valioso obsequio estaba bajo la custodia del
alcalde. Al cesar este
en el cargo, entregaba la vajilla a su sucesor
mediante un inventario
riguroso que se llevaba a cabo en ceremonia
solemne. El Marqués de
Esteban, último alcalde español que rigió los
destinos del municipio
habanero, imitó, en 1898, el gesto de sus
antecesores y la traspasó al
alcalde designado por el gobierno interventor
norteamericano. A partir
de ese momento, nada ha vuelto a saberse del
regalo del general Tacón.
El mataperros
Un verdugo célebre fue José María Peraza.
Ejerció su macabra función
en la villa de Trinidad. Condenado a morir en la
horca, en 1767, por
haber matado a su mujer a cuchilladas, no podía
cumplirse la
sentencia, como tampoco la de otro reo, por
carecer Trinidad entonces
de “ministro ejecutor”. Se pidió a Santa Clara
el que ejercía en esa
ciudad, pero el hombre murió durante el viaje.
Así, Peraza, a cambio
de salvar la vida, se ofreció para desempeñar el
cargo de verdugo e
inició un rosario de ejecuciones con su propio
compañero.
Llegó a adquirir una destreza inusitada en su
profesión. Se dice que
no era raro que después de lanzar del tablado al
reo, trepara a la
horca y se deslizara por la soga hasta quedar a
horcajadas en los
hombros de los ajusticiados, a los que entonces
daba de patadas en el
pecho para acelerarles la muerte.
Cierta vez, al realizar la operación se partió
la cuerda, y reo y
verdugo quedaron confundidos en un tétrico
abrazo, lo que permitió al
sentenciado salvar la vida.
José María Peraza percibía 125 pesetas por cada
ejecución. Se las
tiraban sobre el tablado, y el hombre, luego de
recogerlas, daba las
gracias al público. Parece que nunca utilizó ese
dinero para
satisfacer sus necesidades, sino que lo repartía
como limosna entre
los pobres y ordenaba misas por el alma de sus
“clientes”.
Tras 20 años en el cargo, Peraza dejó de ser
verdugo. Lo nombraron
mataperros municipal, labor que realizaba con
gran destreza, evitando
sufrimientos inútiles a los animalitos.
Envejeció y en sus años
finales vivió de la caridad pública. No pocas
mujeres llevaban sus
limosnas hasta la choza de Peraza, pero ya
próximas a la cesta que el
sujeto tenía dispuesta para recibir las dádivas,
se volvían de
espaldas para no ver la cara del antiguo
verdugo. Peraza murió a los
103 años de edad, en 1847. Había nacido en 1744.
El vena'o
no es de soga
Los primeros venados que llegaron a Cuba
descendían de una raza de
ciervos salvajes de Australia. Los trajo el
ricachón oriental don
Nicanor del Castillo al regreso de unos de los
viajes de recreo y
observación que solía realizar.
En 1712, año cuando hizo su última excursión,
Castillo trajo consigo
cuatro parejas de venados y dos de águilas, y
los confinó en su finca
Jesús María, en las afueras de la ciudad de
Santiago de Cuba. Los
venados procrearon por cinco años, mientras que
dos de las águilas
murieron al poco tiempo a pesar de la buena
alimentación que recibían,
pues les suministraban pollos varias veces al
día. Las dos águilas
restantes no se resignaron al cautiverio y
murieron también meses más
tarde. A su fallecimiento, don Nicanor dejó en
su testamento el
mandato de que los venados fueran liberados en
los bosques, lo que sus
herederos cumplieron al pie de la letra.
La
conspiración de la corbata
En medio de tantas conspiraciones misteriosas y
más o menos siniestras
reportadas en Cuba, sobresale la llamada
“Conspiración de la Corbata”,
descubierta y “aplastada” en 1843 por Ramón
María de Labra, gobernador
de Cienfuegos, sin que para conseguirlo tuviera
que utilizar otros
recursos que su habilidad, su mano izquierda y
su palabra.
Sucede que en dicha fecha un violento huracán
causó estragos sin
cuento en esa localidad del sur de la región
central de la Isla.
Pasado el meteoro, comenzó a extenderse entre la
población el rumor de
que los esclavos tramaban un plan para aniquilar
a todos los blancos.
Una corbata negra iría señalando las viviendas
de las personas que
iban a morir.
No tardó el Gobernador en advertir que cada vez
que en una casa
aparecía la fatídica señal, desaparecía la cría
de pollos, y en la
morada de Adelina Petit, francesa residente en
la zona, los
conspiradores, luego de apropiarse de todas las
gallinas, dejaran la
corbata negra en el pescuezo de un gallo viejo,
única ave que quedó en
el gallinero.
Sin revelar sus propósitos, Labra comenzó a
investigar. Localizó la
tienda que expendía las dichosas corbatas y,
puesto de acuerdo con uno
de los empleados del establecimiento, obtuvo la
relación de los
clientes que habían adquirido dicho artículo.
Los llamó entonces uno a
uno a su despacho y les habló con cariño
paternal. No demoró en
conocer toda la verdad. No existía tal
conspiración; nada tramaban los
esclavos ni eran los culpables de delito
alguno. Se trataba
simplemente de un grupo de jóvenes blancos, sin
trabajo ni dinero,
ansiosos de zamparse de vez en cuando y sin
costo alguno un suculento
arroz con pollo. Ellos aportaban la carne, y el
grano corría a cuenta
de un tal Juan, conocido por El Criollo,
cocinero del señor Caseaux,
un vecino de la villa, que tenía fama por su
trabajo en los fogones.
Amonestó el Gobernador a aquellos muchachos y
les recomendó que
siguieran un buen camino.
La calle
Figuras
Se dice que en 1807 don Vicente Segura, español
acaudalado, mandó a
construir, en la habanera barriada de Chávez,
una casa para vivirla.
Terminada la obra, encargó al artista Casimiro
Recio que decorase
tanto el interior como el exterior de la morada
con pinturas de temas
históricos.
Gran escándalo provocaron las imágenes. Hubo
denuncias y el Capitán
General dispuso que las obras fuesen examinadas
por el retratista y
pintor Juan de los Ríos. Rindió este un dictamen
desfavorable y de
inmediato se ordenó a Segura que borrase las
pinturas.
La casa estaba situada en la calle San
Juan, hoy Tenerife. Hacía
esquina con otra a la que a partir de ese
momento la gente dio el
nombre de Figuras.
Y ya que hablamos acerca de nombres de calles de
La Habana de ayer,
digamos enseguida que Indio se llamó primero
Peña Blanca del Indio, y
que Peña Pobre, en 1867, era conocida por Cayo.
Industria, en el tramo
de San José a Dragones, se nombró también del
Diorama, por el teatro
que allí existía en 1827. Picota es Picota por
el palo que, en la
esquina de Jesús María, se utilizaba para
amarrar a los condenados a
penas de azotes. La calzada de San Lázaro se
llamó Avenida de la
República y, antes, Ancha del Norte, pero nadie
les llamó de esa
forma. Revillagigedo fue antes Real de
Jesús María, y Luz recibió el
nombre de Correo porque en ella existió la
primera estafeta en la
residencia de don Antonio de la Luz y Docabo,
Correo Mayor de la Isla.
Empedrado fue una calle de chinas pelonas hasta
mediados del siglo
XVIII, cuando, como vía de ensayo, se pavimentó
con adoquines en el
tramo comprendido entre la Catedral y el parque
de San Juan de Dios.
Fue la primera calle de adoquines que existió en
La Habana y, gracias
a ese adoquinado, recibió el nombre que todavía
conserva.