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lunedì 30 giugno 2014

Lei lo sapeva?, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 29/6/14
La signora Carmen Cantón ha comunicato con lo scriba. Nonostante non lo conoscesse personalmente voleva fargli un regalo. Nientemeno che il libro che per molti anni ha tenuto sul tavolino da notte e che ha ripassato in innumerevoli occasioni. Non pensate in nessuno di quei grandi titoli della letteratura o del giornalismo, né un volume lussuoso. Per la verità il libro, stampato all'Avana nel 1947, non può essere più modesto anche se dev'essere stato venduto come il pane in quel momento. Nelle sue pagine, l'autore, raccolse le note che pubblicava ogni settimana nella rivista “Carteles”, appunti brevi e spregiudicati nei quali affrontò la storia di Cuba. O meglio la sua “piccola” storia, la sua cronaca narra in modo leggero e sciolto, spogliata dall'architettura enfatica, imbottita di aneddoti.
Il libro si intitola “Lo sapeva lei?” Il suo autore, Santiago González Palacios, lo firma con lo pseudonimo di Don Candido, lo stesso che usava nella sua colonna nella rivista menzionata. La domanda che serve da titolo, più che l'interrogativo di uno storico è quella di un cronista, dice Miguel de Marcos nel prologo del volume. Trent'anni di cronache rivestono le sue pagine, ma è il cronista che aveva cominciato a sentire la fatica di ogni giorno e si è diretto verso il passato senza l'aspirazione di essere uno storico, ma con la voglia di “proporre al lettore un momento di distrazione e amenità”.
Lo sapeva lei?, domanda Don Candido e dopo quasi 70 anni trascorsi risponderemo, senza arrossire, che eravamo ignari di molto di quello che è raccontato nel suo libro, del quale riproduciamo alcuni frammenti.

Le posate di Tacón 
Miguel Tacón, al suo tempo come Capitano Generale dell'Isola di Cuba (1834-38) regalò al municipio dell'Avana delle posate d'argento i cui pezzi portavano incise le armi della città. Il loro costo, in cifra tonda fu di 20.000 pesos spagnoli d'oro.
Il prezioso regalo era sotto custodia del sindaco. Al termine di questi dall'incarico, consegnava le posate al successore dopo un inventario e con una cerimonia solenne. Il Marchese di Esteban, l'ultimo sindaco spagnolo che resse i destini del comune avanero, imitò, nel 1898, il gesto dei suoi predecessori e lo trasmise al sindaco designato dal Governo interventista nordamericano. A partire da quel momento, non si è più saputo niente del regalo del generale Tacón.

L'ammazzacani

Un boia celebre fu José María Peraza. Svolse le sue macabra funzioni nella cittá di Trinidad. Condannato a morire sulla forca, nel 1767, per aver ucciso a coltellate sua moglie, non si poteva eseguire la sentenza, e nemmeno quella di un altro reo, per essere carente Trinidad di “ministro esecutore”. Si chiese a Santa Clara di colui che esercitasse in quella città, ma l'uomo morì durante il viaggio. Così Peraza, in cambio di aver salva la vita, si offrì per svolgere l'incarico di boia e iniziò la catena di esecuzioni con il suo stesso compagno di pena.
Giunse ad acquisire una destrezza inusitata nella sua professione. Si dice che non fosse raro che dopo aver aperto la botola del tavolato al reo, si arrampicasse sulla forca e scivolasse sulla corda fino a rimanere sulle spalle del giustiziato al quale dava pedate sul petto per accelerarne la morte.
Una volta, realizzando quell'operazione, la corda si ruppe e il reo e il boia rimasero uniti in un tragico abbraccio, questo permise la sentenziato di avere salva la vita.
José Marí Peraza percepiva 125 pesetas per ogni esecuzione. Glie le tiravano sul palco e l'uomo, dopo averle raccolte, ringraziava il pubblico. Sembra che non utilizzò mai quei soldi per soddisfare le sue necessità, ma che le distribuisse come elemosina a i poveri e ordinava messe per l'anima dei suoi “clienti”.
Dopo 20 anni nell'incarico, Peraza cessò di fare il boia. Lo nominarono “ammazzacani” municipale, lavoro che svolgeva con grande abilità, evitando sofferenze inutili agli animaletti. Invecchiò e nei suoi ultimi anni visse della carità pubblica. Non poche donne portavano la loro elemosina fino alla baracca di Peraza, ma in prossimità alla cesta che egli aveva preparato per ricevere le donazioni, si giravano di schiena per non vedere la faccia dell'antico boia. Peraza morì a 103 anni d'età, nel 1847. Era nato nel 1744.

Il cerbiatto non è da corda

I primi cervi che arrivarono a Cuba, discendevano da una razza di cervi selvatici australiani. Li portò un riccone della regione orientale: don Nicanor del Castillo al ritorno di uno dei suoi viaggi di piacere e osservazione che effettuava abitualmente.
Nel 1712, anno in cui fece la sua ultima escursione, Castillo portò con se quattro coppie di cervi e due di aquile confinandoli nella sua tenuta Jesús María, alla periferia della città di Santiago de Cuba. I cervi procrearono per cinque anni, mentre due delle aquile morirono dopo poco tempo nonostante la buona alimentazione che ricevevano, ebbene gli somministravano pollo varie volte al giorno. Le due aquile rimanenti non si rassegnarono alla cattività e morirono anche loro qualche mese dopo. Alla sua morte don Nicanor lasciò il mandato nel suo testamento,che i cervi fossero liberati nei boschi, cosa che i suoi eredi applicarono alla perfezione.

La cospirazione della cravatta

In mezzo a tante cospirazioni misteriose e più o meno sinistre, riportate a Cuba, emerge la chiamata “Cospirazione della Cravatta”, scoperta e “soffocata” nel 1843 da Ramón María de Labra, governatore di Cienfuegos senza che per diventarlo dovesse utilizzare altre risorse a parte la sua abilità, la sua mano sinistra e la sua parola.
Accadde che in quella data, un violento uragano provocò danni incalcolabili in questa località nel sud della regione centrale dell’Isola.
Passata la tormenta, cominciò a circolare la voce, tra gli abitanti, che gli schiavi stavano facendo un piano per eliminare tutti i bianchi. Una cravatta nera avrebbe segnalato le case delle persone che sarebbero morte.
Il Governatore, non tardò a scoprire che ogni volta che in una casa appariva il fatidico segnale, spariva la covata di polli, nella magione di Adelina Petit, francese residente nella zona i cospiratori, dopo essersi appropriati di tutte le galline, lasciarono la cravatta nera sul collo di un gallo vecchio, unico pennuto che rimase nel pollaio.
Senza rivelare i suoi propositi, labra cominciò a investigare. Localizzò il negozio che vendeva le famose cravattte e, d’accordo con uno dei dipendenti dell’esercizio, ebbe la relazione sui clienti che avevano comprato detto articolo. Allora li chiamò uno ad uno nel suo ufficio e gli parlò con affetto paterno. Non tardò a conoscere la verità. Non esisteva detta cospirazione; gli schiavi non tramavano niente e non erano colpevoli di nessun delitto. Si trattava semplicemente di un gruppo di giovani bianchi squattrinati e senza lavoro avidi mangiarsi, ogni tanto e senza nessuna spesa, un succulento riso con pollo. Loro portavano la carne, il grano era a carico di un tale Juan, conosciuto come Il Creolo, cuoco del signor Caseaux, un abitante della città che aveva fama per il suo lavoro ai fornelli.
Il Governatore ammonì quei ragazzi e gli raccomandò di seguire la retta via.

La calle Figuras

Si dice che nel 1807, don Vicente Segura spagnolo benestante, fece costruire nel rione avanero di Chávez, una casa in cui vivere.
Terminata l’opera, incaricò l’artista Casimiro Recio di decorarne gli interni e gli esterni con pitture a carattere storico.
Le immagini provocarono un grande scandalo. Ci furono denunce e il Capitano Generale dispose che le oper fossero esaminate dal pittore e ritrattista Juan de los Ríos. Questi fece una relazione sfavorevole e immediatamente si ordinò a Segura che cancellasse le immagini. La casa era ubicata nella calle San Juan, oggi Tenerife. Faceva angolo con un’altra che a partire da quel momento fu nominata Figuras dalla gente.
Già che parliamo di nomi di vie dell’Avana di ieri, diciamo subito che Indio, prima si chiamava Peña Blanca del Indion e che Peña Pobre, nel 1867 era conosciuta come Cayo. Industria nel tratto da San José a Dragones, fu chiamata anche Diorama per via del teatro che vi si trovava nel 1827. Picota è Picota per il palo che, all’angolo di Jesús María e Luz, ricevette il nome di Correo perché lì esistette la prima staffetta, nella residenza di Don Antonio de la Luz y Caballero, Postale Maggiore dell’Isola. Empedrado fu una strada di ciottoli fino alla metà del secolo XVIII quando, come mezzo di prova, si pavimentò con porfido nel tratto compreso tratto compreso tra la Cattedrale e il Parco San Juan de Dios. Fu la prima in porfido ad esistere all’Avana e grazie a quella pavimentazione ricevette il nome che conserva ancora.


¿Lo sabía usted?

Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
28 de Junio del 2014 20:42:18 CDT

La señora Carmen Cantón se comunicó con el escribidor. Pese a que no
lo conocía personalmente, quería hacerle un regalo. Nada menos que el
libro que durante años ella mantuvo en la cabecera de su cama y que
repasó en incontables ocasiones. No piense en ninguno de esos grandes
títulos de la literatura o el periodismo, ni en un volumen de lujo. En
verdad, el libro, impreso en 1947, en La Habana, no puede ser más
modesto, aunque debe haberse vendido en su momento como pan caliente.
En sus páginas su autor recogió las notas que cada semana publicaba en
la revista Carteles, apuntes breves y desembarazados en los que abordó
la historia de Cuba. Mejor, su “pequeña” historia, su crónica,
contada de manera ligera y suelta, despojada de arquitectura enfática,
imbuida por la anécdota.
El libro se titula ¿Lo sabía usted? Su autor, Santiago González
Palacios, lo firma con el seudónimo de Don Cándido, el mismo que
calzaba su columna en la revista mencionada. La pregunta que le sirve
de título, más que la interrogante de un historiador, es la de un
reportero, dice Miguel de Marcos en el prólogo del volumen. Treinta
años de reportaje calzan sus páginas, pero es el reportero que empezó
a sentir la fatiga de lo cotidiano y se ha vuelto hacia el pasado sin
la aspiración de ser historiador, sino con el deseo  de “proporcionar
al lector un rato de distracción y esparcimiento”.
¿Lo sabía usted?, pregunta Don Cándido, y a la vuelta de los casi 70
años transcurridos respondemos sin rubor que desconocíamos mucho de lo
que cuenta en su libro, del que reproducimos a continuación algunos
fragmentos.

La vajilla de Tacón

Miguel Tacón, en sus tiempos de Capitán General de la Isla de Cuba

(1834-38) regaló al Ayuntamiento de La Habana una vajilla de plata,
cuyas piezas llevaban grabadas las armas de la ciudad. Su costo, en
números redondos, fue de 20 000 pesos oro español.
El valioso obsequio estaba bajo la custodia del alcalde. Al cesar este
en el cargo, entregaba la vajilla a su sucesor mediante un inventario
riguroso que se llevaba a cabo en ceremonia solemne. El Marqués de
Esteban, último alcalde español que rigió los destinos del municipio
habanero, imitó, en 1898, el gesto de sus antecesores y la traspasó al
alcalde designado por el gobierno interventor norteamericano. A partir
de ese momento, nada ha vuelto a saberse del regalo del general Tacón.

El mataperros

Un verdugo célebre fue José María Peraza. Ejerció su macabra función
en la villa de Trinidad. Condenado a morir en la horca, en 1767, por
haber matado a su mujer a cuchilladas, no podía cumplirse la
sentencia, como tampoco la de otro reo, por carecer Trinidad entonces
de “ministro ejecutor”. Se pidió a Santa Clara el que ejercía en esa
ciudad, pero el hombre murió durante el viaje. Así, Peraza, a cambio
de salvar la vida, se ofreció para desempeñar el cargo de verdugo e
inició un rosario de ejecuciones con su propio compañero.
Llegó a adquirir una destreza inusitada en su profesión. Se dice que
no era raro que después de lanzar del tablado al reo, trepara a la
horca y se deslizara por la soga hasta quedar a horcajadas en los
hombros de los ajusticiados, a los que entonces daba de patadas en el
pecho para acelerarles la muerte.
Cierta vez, al realizar la operación se partió la cuerda, y reo y
verdugo quedaron confundidos en un tétrico abrazo, lo que permitió al
sentenciado salvar la vida.
José María Peraza percibía 125 pesetas por cada ejecución. Se las
tiraban sobre el tablado, y el hombre, luego de recogerlas, daba las
gracias al público. Parece que nunca utilizó ese dinero para
satisfacer sus necesidades, sino que lo repartía como limosna entre
los pobres y ordenaba misas por el alma de sus “clientes”.
Tras 20 años en el cargo, Peraza dejó de ser verdugo. Lo nombraron
mataperros municipal, labor que realizaba con gran destreza, evitando
sufrimientos inútiles a los animalitos. Envejeció y en sus años
finales vivió de la caridad pública. No pocas mujeres llevaban sus
limosnas hasta la choza de Peraza, pero ya próximas a la cesta que el
sujeto tenía dispuesta para recibir las dádivas, se volvían de
espaldas para no ver la cara del antiguo verdugo. Peraza murió a los
103 años de edad, en 1847. Había nacido en 1744.

El vena'o no es de soga

Los primeros venados que llegaron a Cuba descendían de una raza de
ciervos salvajes de Australia. Los trajo el ricachón oriental don
Nicanor del Castillo al regreso de unos de los viajes de recreo y
observación que solía realizar.
En 1712, año cuando hizo su última excursión, Castillo trajo consigo
cuatro parejas de venados y dos de águilas, y los confinó  en su finca
Jesús María, en las afueras de la ciudad de Santiago de Cuba. Los
venados procrearon por cinco años, mientras que dos de las águilas
murieron al poco tiempo a pesar de la buena alimentación que recibían,
pues les suministraban pollos varias veces al día. Las dos águilas
restantes no se resignaron al cautiverio y murieron también meses más
tarde. A su fallecimiento, don Nicanor dejó en su testamento el
mandato de que los venados fueran liberados en los bosques, lo que sus
herederos cumplieron al pie de la letra.

La conspiración de la corbata

En medio de tantas conspiraciones misteriosas y más o menos siniestras
reportadas en Cuba, sobresale la llamada “Conspiración de la Corbata”,
descubierta y “aplastada” en 1843 por Ramón María de Labra, gobernador
de Cienfuegos, sin que para conseguirlo tuviera que utilizar otros
recursos que su habilidad, su mano izquierda y su palabra.
Sucede que en dicha fecha un violento huracán causó estragos sin
cuento en esa localidad del sur de la región central de la Isla.
Pasado el meteoro, comenzó a extenderse entre la población el rumor de
que los esclavos tramaban un plan para aniquilar a todos los blancos.
Una corbata negra iría señalando las viviendas de las personas que
iban a morir.
No tardó el Gobernador en advertir que cada vez que en una casa
aparecía la fatídica señal, desaparecía la cría de pollos, y en la
morada de Adelina Petit, francesa residente en la zona, los
conspiradores, luego de apropiarse de todas las gallinas, dejaran la
corbata negra en el pescuezo de un gallo viejo, única ave que quedó en
el gallinero.
Sin revelar sus propósitos, Labra comenzó a investigar. Localizó la
tienda que expendía las dichosas corbatas y, puesto de acuerdo con uno
de los empleados del establecimiento, obtuvo la relación de los
clientes que habían adquirido dicho artículo. Los llamó entonces uno a
uno a su despacho y les habló con cariño paternal. No demoró en
conocer toda la verdad. No existía tal conspiración; nada tramaban los
esclavos ni  eran los culpables de delito alguno. Se trataba
simplemente de un grupo de jóvenes blancos, sin trabajo ni dinero,
ansiosos de zamparse de vez en cuando y sin costo alguno un suculento
arroz con pollo. Ellos aportaban la carne, y el grano corría a cuenta
de un tal Juan, conocido por El Criollo, cocinero del señor Caseaux,
un vecino de la villa, que tenía fama por su trabajo en los fogones.
Amonestó el Gobernador a aquellos muchachos y les recomendó que
siguieran un buen camino.

La calle Figuras

Se dice que en 1807 don Vicente Segura, español acaudalado, mandó a
construir, en la habanera barriada de Chávez, una casa para vivirla.
Terminada la obra, encargó al artista Casimiro Recio que decorase
tanto el interior como el exterior de la morada con pinturas de temas
históricos.
Gran escándalo provocaron las imágenes. Hubo denuncias y el Capitán
General dispuso que las obras fuesen examinadas por el retratista y
pintor Juan de los Ríos. Rindió este un dictamen desfavorable y de
inmediato se ordenó a Segura que borrase las pinturas.
La  casa estaba situada en la calle San Juan, hoy Tenerife. Hacía
esquina con otra a la que a partir de ese momento la gente dio el
nombre de Figuras.
Y ya que hablamos acerca de nombres de calles de La Habana de ayer,
digamos enseguida que Indio se llamó primero Peña Blanca del Indio, y
que Peña Pobre, en 1867, era conocida por Cayo. Industria, en el tramo
de San José a Dragones, se nombró también del Diorama, por el teatro
que allí existía en 1827. Picota es Picota por el palo que, en la
esquina de Jesús María, se utilizaba para amarrar a los condenados a
penas de azotes. La calzada de San Lázaro se llamó Avenida de la
República y, antes, Ancha del Norte, pero nadie les llamó de esa
forma.  Revillagigedo fue antes Real de Jesús María, y Luz recibió el
nombre de Correo porque en ella existió la primera estafeta en la
residencia de don Antonio de la Luz y Docabo, Correo Mayor de la Isla.
Empedrado fue una calle de chinas pelonas hasta mediados del siglo
XVIII, cuando, como vía de ensayo, se pavimentó con adoquines en el
tramo comprendido entre la Catedral y el parque de San Juan de Dios.
Fue la primera calle de adoquines que existió en La Habana y, gracias
a ese adoquinado, recibió el nombre que todavía conserva.




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