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domenica 1 giugno 2014

L'uomo della Casa Prado, di Ciro Bianchi Ross

pubblicato su Juventud rebelde del 1°/6/14

Dedicherò la pagina di oggi a rispondere, ove lo spazio me lo permetta, a domande chi mi hanno formulato i lettori nelle ultime settimane.
Prima di tutto vorrei ringraziare il collega Manuel Lauredo, di Radio Bayamo, per il suo prezioso invio che purtroppo è arrivato tardi – troppo tardi – nelle mie mani, ma che utilizzerò in altra occasione. Risulta interessante la sintesi sull’investigazione di Antonio Maceo, nel 1890, all’hotel Inglaterra che invia Raúl Aguíar Rodríguez.
Ugualmente lo scriba ringrazia Juan Picart di Sancti Spíritus, per la collezione di ritagli sul senatore machadista Wilfredo Fernández, padre della formula conosciuta come “cooperativismo” che mi ha inviato; una specie di patto fra i partiti liberale, conservatore e popolare, tutti rappresentati in parlamento, che ha spianato la via alla rielezione del dittatore Gerardo Machado senza un candidato di opposizione. Sono note date a conoscere nella rivista Bohemia in occasione del suicidio dell’affermato politico e giornalista che nel 1934, nei giorni in cui attendeva, nella prigione militare della Cabaña, di essere presentato al Tribunale delle Sanzioni, come fu chiamata l’istanza giudiziaria a cui furono sottoposti i machadisti e che funzionò al Capitolio. I ritagli includono lettere scritte da Fernández in prigione e l’articolo che Ramón Vasconcelos “la penna d’oro del giornalismo cubano”, com’era chiamato, pubblicò alla sua morte. Il piatto forte di questa miscellanea è la testimonianza di Benjamín Olivero, capo del gruppo dell’organizzazione ABC che arrestò Fernández e altri due complici minori del dittatore, a bordo della nave da carico Erfurt nonostante l’opposizione del capitano del natante, il quale sosteneva che i passeggeri si trovavano sotto protezione della bandiera portoghese che batteva. Probabilmente ci occuperemo in un altro momento di questo interessante argomento.

Emergenze, fatti e personaggi

Lo sapevate che nell’Ospedale Generale Freyre de Andrade, in questo nosocomio dell’avenida di Carlos III che continuiamo a chiamare, erroneamente, Ospedale delle Emergenze si realizzò, a Cuba, la prima operazione per il cambio di sesso? Che lì funzionò il primo servizio di chirurgia maxilofacciale che esisteva nel Paese e tra i suoi professionisti ci fu la dottoressa Ana Larralde, prima cubana che si specializzò in questo ramo della medicina? Che in questo ospedale nacquero le specialità di Reumatologia, la prima Clinica del Dolore e i primi servizi di chirurgia minore e geriatria di Cuba?
Questi e altri temi inerenti questa istituzione medica, sono affrontati dal dottor Manuel Blanco, direttore dell’Ospedale Generale Freire de Andrade, in un messaggio indirizzato allo scriba. Precisa che fu lì dove si applicò, per la prima volta nell’Isola, l’anestesia epidurale continua con catetere e che il suo ospedale fu scenario del primo intervento chirurgico trasmesso per circuito chiuso di televisione.
Aggiunge che il primo direttore dell’istituzione fu il dottor Benigno Souza, eminente chirurgo e storico, autore di: Máximo Gómez, il generalissimo, eccellente e fluida biografia del generale a capo dell’Esrcito di Liberazione e che la sua prima sovrintendente delle infermiere fu Margarita Nuñez, fondatrice della Società Cubana di Infermeria. In Emergenze, fece la residenza in Chirurgia il dottor Manuel “Piti” Fajardo, Comandante dell’Esercito Ribelle. Allora abitava all’angolo di Valle e Basarrate.
Blanco apporta un dato che sorprende lo scriba. Il dottor William Mayo, fondatore negli Stati Uniti delle famose cliniche dei fratelli Mayo fu paziente di questo ospedale, come lo furono i lottatori rivoluzionari Antonio Guiteras e Rafael Trejo, Pablo de la Torriente Brau e Aracelio Iglesias. Lì ricevettero assistenza medica gli studentinti universitari picchiati nello stadio del Cerro (Latinoamericano) quando, guidati da José Antonio Echeverría, protestavano contro la dittatura di Batista e verso questa installazione, si rimetterono i cadaveri di Porvenir e Concepción, nel quartiere di Lawton e di Mario Reguera, fra i molti altri giovani assassinati dalla polizia batistiana.
Il dottor Manuel Blanco assicura che sono molti i personaggi che si relazionano con l’Ospedale Generale Freyre de Andrade. “Questo umile e storico ospedale che resiste al passaggio del tempo e che col grande senso di appartenenza del suo personale esce in prima fila nel combattimento del nostro processo di trasformazioni, sapendo che c’é ancora da fare e convinti dell’impegno che abbiamo con la storia e con il popolo”.

Ricordo dell’infanzia

Il messaggio di Eustacio Gutiérrez Hernández mi riporta ricordi lontani. Richiede, l’amabile lettore, nientemeno che dell’uomo della Casa Prado. Per anni, quando viveva mia nonna, lo scriba visse a casa sua che essendo anche la casa dei suoi genitori, fu il centro di riunioni della famiglia e lì si davano appuntamento invariabile, per il pranzo domenicale, alcuni parenti stretti. Arrivavano mio zio con suo figlio e due vecchi zii, fratelli di mia nonna e ciò faceva che assieme a noi fossimo in dieci a tavola. Preparava lei tutto il pranzo; era la padrona in discussa dei fornelli che erano a carbone, giacché non permise mai che si installasse una cucina a gas. C’erano poche variazioni nel pranzo: riso bianco, fagioli neri, alcun ortaggio fritto come contorno e come piatto principale una carne arrosto guarnita con prosciutto o un buon spezzatino con patate, quando non c’era una cubanissima ropavieja (pasticcio di carne sfilacciata, n.d.t.) Mostravamo un entusiasmo quasi patriottico e costituzionale per la carne bovina, ma eravamo poco affezionati alla verdura e al pesce e non si mettevano mai bevande alcooliche a tavola, nemmeno un triste birra gicché si supponeva che a quell’ora gli uomini della casa avevano già consumato la loro quota al bancone de La Princesa, in 16 e Concepción o nella bottega del galiziano Daniel in Diez y Acosta, nello stesso quartiere.
Cos’ha a che vedere tutto ciò con l’uomo della Casa Prado? Succede che mentre si aspettava l’ora di pranzo, mio padre e suo fratello ascoltavano in una modesta e antichissima radio di quelle chiamate “a cupola”, un programma musicale che era presentato dalla Casa Prado, sartoria e camiceria sita in Belascoaín 267, in Centro Avana. Da quando cominciava il programma al filo del mezzogiorno, il presentatore dello spazio dava notizie circa l’uomo della Casa Prado. Annunciava, diciamo, che in quella giornata si stava muovendo nel Vedado. Così, vagamente, fino a che la sua ubicazione si andava delineando a misura che proseguiva il programma. È nei dintorni della CMQ, in 23 e M, diceva il conduttore e più avanti: nelle vicinanze del parco Mariana Grajales, in 23 e C, adesso vicino a Paseo o nei dintorni dell’edificio Atlantic – attuale ICAIC – per assicurare, alla fine dello spazio, che il soggetto si trovava nel portico de La Pelota, che non sono sicuro si chiamasse così allora, in 23 e 12.
Il problema era in identificarlo. Bisognava chiedergli se era l’uomo di Casa Prado. Se lo era il fortunato riceveva un buono con il quale la ditta commertciale gli avrebbe offerto una guayabera.
Né mio padre né mio zio vinsero mai il concorso. Erano partecipanti passivi. Seguivano con l’immaginazione il suo percorso, ma non uscivano mai di casa acercare e identificare il perssonaggio, nonostante a volte lo avessero avuto relativamente vicino. La frase giunse ad essere tanto popolare che in quegli anni ci si riferiva come ll’uomo della Casa Prado a chiunque era difficile da trovare, nonostante gli sforzi o a chi appariva senza che fosse atteso.

Case dell’Avana

Per la casa sita nella calle Aguilera angolo San Rafael de Cárdenas, di fronte all’antico Club Ferroviario, in Lawton, domanda Leydis Vázquez, studente del sesto anno nella specialità di Studi Socioculturali. In effetti, come affrema lei nel suo messaggio, lì ebbe sede il snatorio per inferme mentali del dottor José Baralt Barnet. Prima però fu la residenza di Rafel de Cárdenas, generale dell’Esercito di Liberazione, e della sua famiglia. Una casa con la sua storia, non solo per il proprietario che fu anche capo della Polizia dell’Avana, ma anche perché vi passò una stagione Anaïs Nin, la famosa narratrice americanaa autrice di Delta di Venere e La casa dell’incesto, fra altri libri e che era nipote di Antolina Culmell, la vedova del generale. Per questo, Anaïs, figlia del gran pianista cubano Joaquïs, figlia del gran pianista cubano Joaquín Nin, data le sue lettere da ne “La Tenuta La Generalessa di Luyanó” al cui quartiere apparteneva la zona ai suoi tempi e anche dopo.
Rafael de Cárdenas morì giovane. Decedette nel 1911, a 42 anni d’età. Anaïs venne nel 1917, si meravigliò della natura cubana: l’aria morbida e gradevole; i campi fertili e prodighi, le palme altissime innalzantesi verso un cielo brillante. “Tutto appare trasformato per un calore e morbidezza occulti”, scrisse. Una natura, una campagna, un cielo, un mare che le regalarono la loro bellezza folgorante che molti non percepivano e che lei intendeva come una maniera divinamente pura.
Nell’abbandonarla la famiglia, la casa rimase vuota per un periodo fino a che vi si installò la 13ma Stazione di Polizia.Quando si costruì, apposta per questa, un edificio nelle medesima calle Aguilera, l’immobile fu occupato dal sanatorio Baralt.
Anaïs Nin scrive in una delle sue lettere avanere: “Mi trovo a vivere nella periferia della città, nella più bella delle case, quasi un palazzo, ammibiliato e decorato con squisitezza, circondata da un giardino incantevole...” Ma, di quella casa incantata, convertita in casa d’appartamenti, non rimane niente, solo i pavimenti e la scalinata monumentale.
A questo edificio ho dedicato alcune pagine nel libro Così come lo racconto, pubblicato nel 2004 in coedizione tra Juventud Rebelde e la Casa Editrice Abril.
Rispetto alle rovine che sfidano ancora il tempo nella calle Calzada fra 2 e Paseo, sono dell’antico Hotel Trocha. In una cfronaca pubblicata nel giornale avanero La Discusión, il 23 gennaio del 1890, Julián del Casal dice:
“Chiunque viva all’Avana lo ha visitato in qualche occasione. Ha la brillantezza di una moneta nuova e l’allegria silenziosa delle popolazioni. La miseria non è penetrata nei suoi ambiti e i suoi abitanti sembrano fortunati. Vi si rifugiano nei mesi estivi, quelli in cui il caldo fa scappare dalla città, gli scarsi possidenti di beni di fortuna ecoloro che non osano allontanarsi dal suolo natale.

Prima che finisca

Un’ebrea nordamericana che si impegnata a ricostruire la storia di sua madre. La signora visse all’Avana nei giorni della seconda Guerra Mondiale e lavorò in un laboratorio per il taglio dei diamanti. Dice che sua madre le raccontava che a quel tempo c’erano all’Avana, sopratutto nel Vedado, una ventina di questi laboratori. Gli addetti venivano principalmente da Belgio e Olanda e tornsarono in Europa o si recarono negli Stati Uniti alla fine della contesa bellica. Chiede allo scriba come potrebbe proseguire nella sua investigazione. Non so, però alcune informazioni le troverà nel libro La comunità ebraica di Cuba: la memoria e la storia, di Margalit Bejerano, pubblicato nel 1996 dall’Universita Ebraica di Gerusalemme.





Dedicaré la página de hoy a contestar, hasta donde el espacio me permita, preguntas que formularon los lectores en el transcurso de las semanas más recientes.
Antes quiero agradecer al colega Manuel Lauredo, de Radio Bayamo, su valioso envío que, lamentablemente, llegó tarde --muy tarde-- a mis manos, pero que aprovecharé en otra ocasión. Interesante resulta la síntesis de la investigación sobre la estancia de Antonio Maceo, en 1890, en el Hotel Inglaterra, que remite Raúl Aguiar Rodríguez.
Asimismo agradece el escribidor a Juan Picart, de Sancti Spíritus, la colección de recortes que me remitió acerca del senador machadista Wifredo Fernández, padre de la fórmula conocida como “cooperativismo”; especie de pacto entre los partidos liberal, conservador y popular, todos con representación parlamentaria, y que allanó el camino de la reelección del dictador Gerardo Machado sin candidato opositor. Son notas dadas a conocer en la revista Bohemia en ocasión del suicidio del destacado político y periodista, en 1934, en los días en que, en la prisión militar de La Cabaña, esperaba ser presentado al Tribunal de Sanciones, como se denominó a la instancia judicial a que fueron sometidos los machadistas y que funcionó en el Capitolio. Los recortes incluyen cartas escritas por Fernández en la prisión y el artículo que Ramón Vasconcelos, “la pluma de oro del periodismo cubano”, como se le llamaba, publicó a su muerte. El plato fuerte de esa recortería es el testimonio de Benjamín Olivero, jefe del grupo de la organización ABC que detuvo a Fernández y a otros dos cómplices de menor cuantía del dictador a bordo ya del barco de carga Erfurt, pese a la oposición del capitán de la nave que alegaba que sus pasajeros se hallaban bajo la protección de la bandera de Portugal. Tal vez en otro momento nos ocupemos de este interesante tema.

Emergencias: hechos y personajes

¿Sabía usted que en el Hospital General Freyre de Andrade, esa casa de salud de la avenida de Carlos III a la que nos aferramos en llamar, erróneamente, Hospital de Emergencias, se realizó en Cuba la primera operación de cambio de sexo? ¿Que allí funcionó el primer servicio de cirugía maxilofacial que existió en el país y que entre sus profesionales estuvo la doctora Ana Larralde, primera cubana que se especializó en esa rama de la Medicina? ¿Que en ese hospital nacieron la especialidad de Reumatología, la primera Clínica del Dolor y los primeros servicios de cirugía menor y geriatría de Cuba?
Esos y otros temas afines a esa institución médica aborda el doctor Manuel Blanco, director del Hospital General Freyre de Andrade, en un mensaje que remite a este escribidor. Precisa que fue allí donde se aplicó por primera vez en la Isla la anestesia epidural continua con catéter y que su hospital fue el escenario de la primera intervención quirúrgica que se transmitió en el país por circuito cerrado de TV.
Añade que el primer director de la institución fue el doctor Benigno Souza, cirujano eminente e historiador; autor de Máximo Gómez, el generalísimo, excelente y fluida biografía del general en jefe del Ejército Libertador, y que su primera superintendente de enfermeras fue Margarita Núñez, fundadora de la Sociedad Cubana de Enfermería. En Emergencias hizo la residencia en Cirugía el doctor Manuel “Piti” Fajardo, Comandante del Ejército Rebelde. Vivía entonces en la esquina de Valle y Basarrate.
Aporta Blanco un dato que sorprende al escribidor. El doctor William Mayo, fundador en Estados Unidos de las famosas clínicas de los Hermanos Mayo, fue paciente de este hospital, como lo fueron los luchadores revolucionarios Antonio Guiteras y Rafael Trejo, Pablo de la Torriente Brau y Aracelio Iglesias. Allí recibieron asistencia médica los estudiantes universitarios golpeados en el estadio del Cerro (Latinoamericano) cuando, encabezados por José Antonio Echeverría, protestaban contra la dictadura de Batista, y hacia esa instalación se remitieron los cadáveres de los mártires de Porvenir y Concepción, en la barriada de Lawton, y de Mario Reguera, entre otros muchos jóvenes asesinados por la policía batistiana.
Asegura el doctor Manuel Blanco que muchos son los hechos y personajes que se relacionan con el Hospital General Freyre de Andrade. “Este humilde e histórico hospital que resiste el paso del tiempo y que con el gran sentido de pertenencia de su colectivo sale en primera fila al combate en nuestro proceso de transformaciones, sabiendo lo que nos queda por hacer y convencidos del compromiso que tenemos con la historia y con el pueblo”.

Recuerdo de la infancia

El mensaje de Eustacio Gutiérrez Hernández me trae recuerdos lejanos.
Inquiere el amable lector nada más y nada menos que por el hombre de la Casa Prado. Durante años, mientras vivió la abuela del escribidor, su casa, que era también la de sus padres, fue el centro de reunión de la familia y allí se daban cita invariable, para el almuerzo dominical, algunos parientes allegados. Llegaban mi tío y su hijo y dos tíos viejos, hermanos de mi abuela, lo que hacía que, junto con nosotros, fuéramos diez a la mesa. Preparaba ella toda la comida; era la dueña indiscutida de los fogones, que eran de carbón ya que no permitió nunca que se instalara una cocina de gas. Había pocas variaciones en el almuerzo: arroz blanco, frijoles negros y alguna vianda frita, como platos acompañantes, y como plato principal una carne asada y mechada con jamón o una buena carne con papas, cuando no una cubanísima ropavieja. Mostrábamos un entusiasmo casi patriótico y constitucional por la carne de res, pero éramos poco allegados a las verduras y al pescado y nunca se ponían bebidas alcohólicas en la mesa, ni siquiera una triste cerveza ya que se suponía que a esa hora los hombres de la casa habían ya consumido su cuota en la barra de La Princesa, en 16 y Concepción, en Lawton, o en la bodega del gallego Daniel, en Diez y Acosta, en la misma barriada.
¿Qué tiene que ver todo eso con el hombre de la Casa Prado? Sucede que mientras se esperaba por la hora del almuerzo, mi padre y su hermano escuchaban en un modesto y antiquísimo radio de los llamados “de Capilla” un programa musical que patrocinaba La Casa Prado, sastrería y camisería sita en Belascoaín 267, en Centro Habana. Desde que comenzaba el programa, casi al filo del mediodía, el conductor del espacio daba noticias acerca del hombre de la Casa Prado. Anunciaba, digamos, que en esa jornada estaría moviéndose en el Vedado. Así, vagamente hasta que su ubicación se iba precisando a medida que transcurría el programa. Está en los alrededores de la CMQ, en 23 y M, decía el locutor, y más adelante: en las inmediaciones del parque Mariana Grajales, en 23 y C, y ahora, cerca de Paseo o en los contornos del edifico Atlantic --actual Icaic-- para asegurar, ya en los finales del espacio, que el sujeto se hallaba en los portales de La Pelota, que no estoy seguro que se llamara así entonces, en 23 y 12.
El asunto estribaba en identificarlo. Había que preguntarle si era el hombre de la Casa Prado. Si lo era, el agraciado recibía un bono contra el cual ese establecimiento comercial le obsequiaba una guayabera.
Ni mi padre ni mi tío ganaron nunca el concurso. Eran participantes pasivos. Seguían con la imaginación su periplo, pero jamás salieron de la casa a localizar e identificar al personaje, aunque más de una vez lo tuvieron relativamente cerca. La frase llegó a ser tan popular que en esos años se aludía como al hombre de la Casa Prado a aquel sujeto con quien era difícil encontrarse, aunque se procurara, o a quien aparecía sin que se le esperara.

Casas de La Habana

Por la casa situada en la calle Aguilera esquina a Rafael de Cárdenas, frente al antiguo Club Ferroviario, en Lawton, pregunta Leydis Vázquez, estudiante de sexto año de la carrera de Estudios Socioculturales. En efecto, como asegura ella en su mensaje, allí radicó el sanatorio del doctor José Baralt Barnet para enfermas mentales. Pero antes fue la residencia de Rafael de Cárdenas, general del Ejército Libertador, y su familia. Una casa con historia no solo por su propietario, que fue además jefe de la Policía en La Habana, sino porque en esta pasó una temporada Anaïs Nin, la famosa narradora norteamericana, autora de Delta de Venus y La casa del incesto, entre otros libros, y que era sobrina de Antolina Culmell, la viuda del general. Por eso Anaïs, hija del gran pianista cubano Joaquín Nin, fecha sus cartas desde Cuba en <>, que a esa barriada pertenecía la zona en su tiempo, y después.
Rafael de Cárdenas murió muy joven. Falleció en 1911, a los 42 años de edad. Anaïs vino en 1917 y se maravilló con la naturaleza cubana: el aire, suave y agradable; los campos, fértiles y pródigos, y las palmas altísimas, alzándose hacia un cielo lleno de brillo. “Todo luce transformado por una calidez y suavidad ocultas”, escribió. Una naturaleza, un campo, un cielo, un mar que le regalaron su belleza abrumadora, que muchos no percibían y que ella entendía como una forma divinamente pura.
Al abandonarla la familia, la casa quedó vacía durante un tiempo hasta que se instaló allí la 13ra. Estación de Policía. Cuando se construyó especialmente para esta un edificio en la misma calle Aguilera, el inmueble fue ocupado por el sanatorio Baralt.
Escribe Anaïs Nin en una de sus cartas habaneras: “Me encuentro viviendo en las afueras de la ciudad, en la más bella de las casas, casi un palacio, amueblado y decorado con exquisitez, rodeada de un jardín encantador...” Pero, de aquella casa encantada, convertida en casa de vecindad, no queda nada, solo los pisos y la escalinata monumental.
A ese edificio dediqué algunas páginas en el libro Así como lo cuento, publicado en 2004 en coedición entre Juventud Rebelde y la Casa Editora Abril.
Respecto a la pregunta de las ruinas que aún desafían el tiempo en la calle Calzada entre 2 y Paseo, son las del antiguo Hotel Trotcha. En una crónica publicada en el periódico habanero La Discusión, el 23 de enero de 1890, dice Julián del Casal:
“Todo el que vive en La Habana lo ha visitado alguna vez. Tiene el brillo de una moneda nueva y la alegría silenciosa de las poblaciones.
La miseria no ha penetrado en sus ámbitos y sus habitantes parecen dichosos. Allí se refugian, en los meses de verano, los que el calor destierra de la ciudad, los escasos poseedores de bienes de fortuna y los que no se atreven a alejarse del suelo natal”.

Antes de que acabe

Una judía norteamericana se empeña en reconstruir la historia de su madre. La señora vivió en La Habana, en días de la II Guerra Mundial, y trabajó en un taller de talla de diamantes. Dice que su madre le contó que en ese tiempo hubo en La Habana, sobre todo en el Vedado, unos 20 de esos talleres. Los operarios vinieron en lo fundamental de Bélgica u Holanda y volvieron a Europa o viajaron a EE.UU. al finalizar la contienda bélica. Pregunta al escribidor cómo pudiera avanzar en su investigación. No sé, pero alguna información encontrará en el libro La comunidad hebrea de Cuba; La memoria y la historia, de Margalit Bejarano, publicado en 1996 por la Universidad Hebrea de Jerusalén.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
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