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martedì 18 febbraio 2014

XXlll Fiera Internazionale del Libro






Una doppietta di libri presentati da Ciro Bianchi in questa edizione della Fiera che come tradizionalmente avviene, ha la sua sede principale nel suggestivo scenario del complesso storico che comprende le fortezze di San Cárlos de la Cabaña e del Morro de La Habana. Al mattino: "Paseo por La Habana" arricchito dalle illustrazioni di Evelio Toledo Quesada, dove il narratore percorre angoli dell'Avana poco frequentati dal visitatore occasionale con gli aneddoti e curiosità relativi. Nel pomeriggio è stato invece presentato "Oficio de contar" nel quale, con la sua solita verve di investigatore della storia e costume ripercorre avvenimenti e personaggi del passato, più o meno recente.




Nella prima presentazione, in contemporanea è stato anche offerto al pubblico "Tranvias en La Habana" di Lázaro García Driggs e Zenaida Iglesias Sánchez che ripercorre la storia dei tram dall'inizio della loro circolazione fino alla loro scomparsa dal panorama urbano. Mentre nel pomeriggio la presentazione è stata condivisa con un altro grande della letteratura cubana, pur essendo uruguayano di nascita: Daniél Chavarría che con la sua compagna Hilda Sosa Saura ha scritto "La Habana de Chavarría" dove a sua volta gli autori mostrano un'Avana tutta particolare, vista dall'occhio dello scrittore.



Prima delle presentazioni Ciro si è intrattenuto con il Ministro della Cultura Rafael Bernal Alemany e dal Premio Nazionale della Letteratura, Reynaldo Gonzáles.


Piccola presenza italiana con l'editrice Aly Italia.


Defalcare

DEFALCARE: eliminare uccelli rapaci

Ricevo e pubblico

Un po' come provocazione, riprendendo il concetto di Loss&Damage in chiave nostrana:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/18/eventi-meteorologici-estremi-chi-ha-inquinato-deve-pagare/884945/
Eventi meteorologici estremi: chi ha inquinato deve pagare?
Alluvione a Modena, Roma e Veneto, frane e allagamenti in Liguria, Firenze e Pisa minacciate dall’Arno, spiagge erose dalle mareggiate lungo l’Adriatico da Rimini a Venezia, sofferenza per la scarsità di neve in Appennino mentre sulle Dolomiti chiudono gli impianti per la troppa neve, bagnata e primaverile, con pericolo valanghe. Scarseggia la neve e fa caldo alle Olimpiadi di Sochi, in Russia ma si rimedia con quella immagazzinata negli scorsi inverni in silos refrigerati, eufemisticamente detti “snow farm”, fattorie di neve.
Ma non è tutto, anche l’Inghilterra è in ginocchio per le alluvioni, le mareggiate e le tempeste di vento sulle coste, ed infuriano le polemiche sui colpevoli, anche perché per salvare Londra si sarebbero allagati piccoli borghi. Perfino l’ipertecnologico Giappone è messo in ginocchio da tempeste di neve e gelo, con i super moderni treni bloccati dal ghiaccio.
Contro gli eventi estremi, contro le conseguenze ormai evidenti dei cambiamenti climatici, non basta la tecnologia.
Tutti questi fenomeni meteoclimatici, concentrati nell’ultimo mese, hanno un comune denominatore: il clima è fuori controllo. Scientificamente un singolo evento non può essere ascritto alle conseguenze, sotto forma di cambiamenti climatici, del global warming indotto dall’aumento dei gas serra in atmosfera. Ma il ripetersi di tanti eventi di questa portata un campanello d’allarme dovrebbe metterlo nella popolazione. E se invece delle nutrie i
veri colpevoli fossero le centrali a carbone, le nostre stesse automobili, gli inceneritori, le fabbriche, e via dicendo, chi paga i danni? Sembrerà strano, ma alle ultime conferenze sul clima, a Doha in Qatar nel 2012 e a Varsavia
in Polonia lo scorso novembre 2013, si è discusso più di questo che di come ridurre i gas serra.

Siccome i paesi “inquinatori”, storici e maggiormente responsabili come Usa, Canada, Russia, Australia Regno Unito, Germania, ed il resto dell’Unione Europea non riescono a mettersi d’accordo coi paesi come Cina, Brasile, Sudafrica e altri che (forse) oggi inquinano di più, ma fino a pochi anni fa consumavano un decimo di noialtri privilegiati occidentali, la complessa macchina burocratica delle Nazioni Unite ha escogitato un meccanismo detto “loss and damage: perdita (per esempio, pensiamo ai nostri fatti recenti, un’automobile spazzata via o danneggiata irrimediabilmente da un’alluvione) e danno (per esempio, una casa da ristrutturare per i danni dell’acqua). Un meccanismo in realtà non ancora in vigore, o almeno non finanziato, una scatola vuota insomma e comunque rivolto ai paesi in via di sviluppo.

Per esempio, le Filippine devastate con oltre 6000 vittime dal ciclone Haiyan, lo scorso novembre, dovrebbero essere ripagate da un apposito fondo finanziato dai paesi più ricchi e storicamente responsabili dei cambiamenti climatici.

Questo per i paesi in via di sviluppo, ma le catastrofi legate ai cambiamenti climatici non risparmiano nemmeno i paesi più ricchi e industrializzati. Per esempio, ammesso che si possa stabilire un nesso di causa-effetto col clima in cambiamento, chi paga per i danni dell’uragano Sandy, o dell’alluvione in Inghilterra o Modena, o delle eccessive nevicate sulle Dolomiti, o ancora delle frane in Liguria o del nubifragio di Roma? Vero che ci sono anche altre concause e probabilmente responsabilità, dirà qualcuno, ma è indubbio che a scatenare l’evento sono state le precipitazioni straordinarie. Qualcuno sostiene che nei paesi più ricchi, i danni locali li pagano gli inquinatori locali.
Naturalmente, la questione è controversa, politicamente e giuridicamente, ma se così fosse i danni delle alluvioni in Liguria dovrebbero in buona parte pagarli le centrali elettriche a carbone, quella in Emilia le industrie manifatturiere e gli inceneritori, le eccessive nevicate o la scarsità di neve, o i danni da mareggiate alle spiagge, paradossalmente, anche gli stessi operatori turistici. Poi, in parte, anche tutti noi, che usiamo l’auto o riscaldiamo e illuminiamo (spesso eccessivamente) la casa, nonché i centri commerciali, vere macchine energivore dove non basta certo un pannello solare per definirli “ecologici”, altrettanto l’agricoltura che nel contempo produce gas serra sia consumando energia sia indirettamente (fertilizzanti, bestiame) ma subisce anche i danni stessi da cambiamenti climatici.

Naturalmente, questo che scriviamo è poco più di una provocazione, se ho una perdita d’acqua in casa non posso dire a chi è sotto “apri l’ombrello e ti ripago i danni”. Bisogna chiudere il rubinetto, o meglio l’emissione di gas serra, riducendo drasticamente l’uso dei combustibili fossili. Occorre fermare il global warming “ad ogni costo” entro la soglia di 2°c di qui al 2100, ci dice perfino la banca Mondiale.
L’impressione però è che la politica non lo farà mai, e forse nemmeno noi tutti siamo pronti ad accettare i cambiamenti di stile di vita (e soprattutto modello di sviluppo) necessari. Ma nemmeno possiamo continuare ad accettare catastrofi a ripetizione che, complice il dissesto e il degrado del territorio, hanno un comune denominatore: i cambiamenti climatici che aumentano gli eventi meteorologi estremi.
Ma cercare un meccanismo di pagamento dei danni, forse, non è proprio la strada giusta, se non si interviene sulle cause.

luca lombroso
www.lombroso.it







lunedì 17 febbraio 2014

Decesso

DECESSO: da servizi igienici (Roma)

Vicepresidenti di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud rebelde del 16/2/14

Di tutti i cubani che hanno occupato la Vice Presidenza della Repubblica, soltanto uno passò, da questo incarico, a occupare la massima carica. Quello di Vice Presidente, un posto poco appetitoso nella vita politica anteriore al 1959. Si supponeva che fosse la seconda posizione della Repubblica, ma nella pratica questa seconda posizione corrispondeva al sindaco dell’Avana dovendo egli sostituire il Presidente in caso di sua assenza e presiedere il Senato che d’altra parte aveva un suo titolare.
L’Assemblea Costituente del 1928 che riformò la Costituzione del 1901, soppresse la carica. Si affidò, quindi, al Segretario di Stato – Ministro degli Esteri – la facoltà di sostituire il Presidente. L’incaricò tornò nel 1936 e la Costituzione del 1940 lo ratificò in uno dei suoi titoli. Si potrebbe supporre che, venendo dallo stesso bacino elettorale, il Presidente e il suo Vice, lavorassero assieme. In realtà non succedeva così e non era infrequente che esistessero rancori e inimicizie fra di loro. José Miguel Gómez non sopportò mai Alfredo Zayas e lo silurò nel 1913, nei suoi tentativi di raggiungere la Presidenza. Non furono buone le relazioni fra Ramón Grau San Martín e Raúl de Cárdenas e le frizioni tra Carlos Prío e il suo Vice Presidente Guillermo Alonso Pujol, furono così gravi che il Capo dello Stato giunse a ritirare la scorta al suo vice. Enrique José Varona che funse da da Vice Presidente del generale Mario García Menocal tra il 1913 e il 1917, rinunciò ad accompagnarlo per la rielezione, disgustato dalla condotta dei conservatori e per il proprio impegno reazionario del Presidente. Anteriormente, nello stesso anno 1913, aveva rinunciato alla presidenza del Partito Conservatore capendo che “siamo arrivati al potere per governare il Paese, non per ripartire pubblici incarichi fra i nostri correligionari”. Da allora, Varona, uscì dalla politica attiva anche se non smise di avere preoccupazione per gli affari pubblici fino al medesimo momento della sua morte, nel novembre 1933, dopo la caduta della dittatura di Gerardo Machado, che tanto combatté.
Varona è un caso curioso nella vita cubana. Il pensatore eclissa sempre il politico quando, come disse Cosme de la Torriente, era “la condizione essenziale dello statista quella che coincideva in Varona e che risaltava in ogni sua altra condizione”. Era, puntualizzava Torriente, “un politico di grande abilità e intelligenza”.
Il suicida
Tomàs Estrada Palma voleva portare alla Vice Presidenza il maggior generale Bartolomé Masó. Questi non accettò. Ebbene essendo stato, come don Tomàs, Presidente della Repubblica in Armi insistette ad aspirare, anch’egli, alla prima carica istituzionale. In definitiva, le irregolarità e pressioni del Governo interventista nordamericano nell’Isola, a favore di Estrada Palma, forzarono la rinuncia di Masó e il 31 dicembre del 1901 Estrada Palma partecipó alle elezioni come candidato unico ottenendo la vittoria. Strane elezioni, quelle, nelle quali il candidato non partecipò alla campagna elettorale e non si trovava nemmeno a Cuba.
Lo scriba vuole precisare che quelle elezioni addomesticate non danneggiarono i legami tra le due figure. Già eletto Presidente, Estrada Palma, sbarcò a Gibara e si addentrò nel territorio cubano in direzione di Manzanillo. Attreversò il Río Cauto per il cosiddetto Paso della Mula. Vicino a Yara lo aspettava Masó. Sistrinsero in uno stretto abbraccio tra applausi ed evviva. Il “solitario” della Jagüita si convertì in un anfitrione del “solitario” di Central Valley; lo alloggiò a casa sua e mangiavano come in famiglia. Ricordavano, in piacevoli conversazioni, ricordi lontani, ma a volte cadevano in abissali silenzi nell’abbordare l’attualità. “Io sono il Presidente morale e tu, Tomasito, il Presidente materiale. Questo a me non creerà fastidio né disgusto. Tu invece patirai abbastanza. Perderai il sonno, la tranquillità e il buon umore”.
Al rifiutare, Masó, di integrare la candidatura presidenziale di Estrada Palma, si fecero i nomi di Manuel Sanguily e Luís Estévez y Romero. Sanguily, respinse l’offerta e l’altro accettò dopo molti interventi personali di Máximo Gómez che lo visitò per iutarlo a decidere. Era un distinto avvocato e il suo matrimonio con Martha Abreu lo mise in contatto con una delle famiglie più ricche della regione centrale e lo vincolò alla lotta per l’indipendenza. Scrisse diversi libri, fra i quali quello intitolato Dsede el Zanjón hasta Baire che apparve nel 1899 e che Sanguily considerò, al suo momento, lo studio più completo del periodo racchiuso tra due grandi guerre. Luis Estévez non accompagnò don Tomàs fino alla fine del suo mandato. Si dimise il 31 marzo del 1905. Addusse motivi di salute, ma in opinione di García Garófalo, suo biografo, le dimissioni, per la data e per quello che stava succedendo allora a Cuba, si possono interpretare come espressione di inconformità con l’affiliazione di Estrada Palma al Partito Moderato, allora appena fondato, e alla sua intenzione di farsi rieleggere. Si suicidò a Parigi, il 3 febbraio del 1909, esattamente un mese dopo la morte di Martha.
Zaysti e Miguelisti
Nella sua rielezione, don Tomás, porta come vice il generale Domingo Méndez Capote. Aveva presieduto l’Assemblea Costituente del 1901 e occupò la presidenza del Senato durante il primo periodo di Estrada Palma. Fu una vice presidenza effimera; di poco più di quattro mesi, fra maggio e settembre del 1906. Incapace di soffocare l’insurrezione liberale di quell’anno – la cosiddetta “Guerrita de agosto” - e al negarsi ad un accordo con gli insorti, Estrada Palma preferì, in virtù dell’emendamento Platt, sollecitare l’intervento nordamericano e prima di rinunciare, volle le dimissioni di tutti i suoi ministri e quelle del Vice Presidente, lasciandò con ciò la Repubblia acefala e con le porte aperte all’ingerenza straniera.
Il secondo intervento si estese fino al 28 gennaio del 1909, quando giunse al potere José Miguel Gómez-Alfredo Zayas. I conservatori, con loro gli sconfitti di Estrada Palma, strinsero le fila attorno a García Menocal, suo erede naturale al comando. Dentro della fila liberali lottavano le fazioni di miguelisti e zayisti, con José Miguel fronte del gruppo “Storico” e Zayas del Partito Liberale, propriamente detto. Le elezioni parziali del 1908 dimostrarono ai liberali che rimanendo divisi potevano dimenticarsi la vittoria. Fu così che entrambe le fazioni si unirono per portare José Miguel come Presidente e Zayas come Vice, con la promessa che quest’ultimo sarebbe stato il candidato alla presidenza per il periodo 1913-1917. Così fu, ma non risultò eletto.
In quella occasione Zayas, con Eusebio Hernández – generale dell’Indipendenza ed eminente ginecologo – da vice, furono sconfitti dalla macchinaria elettorale Menocal-Varona. Nelle elezioni del 1908, Menocal aveva portato Rafael Montoro come vice. I liberali li sconfissero con facilità. Il passato autonomista di Montoro tolse voti a questa candidatura. Era prevedibile, la sua nomina come professore universitario fu impugnata con tal forza che non poté accedere all’incarico. Quelli che gli si opponevano, dimenticavano che quell’uomo, di limpida traiettoria personale e difensore unicamente delle sue idee politiche, se fosse andato in Spagna al termine della sovranità spagnola sull’Isola, avrebbe goduto di un posto vitalizio al Senato e di tutti gli onori immaginabili, fra questi un marchesato, con Grandezza di Spagna, che non volle mai accettare. Decise di rimanere nella terra che lo vide nascere. Era un uomo di troppo valore perché la Repubblica lo lasciasse andare. Fu, con Estrada Palma, ambasciatore in Inghilterra e Germania: ministro alla Presidenza con Menocal, nel 1913, cancelliere nel Governo di Zayas. Transitò nella vita pubblica senza macchiarsi. Alla fine della sua vita, il popolo dell’Avana fece una colletta perché potesse moirire a casa sua.
Con la voglia
Il generale Emilio Nuñez accompagnò Menocal nel suo secondo mandato, tra il 1917 e il 1921. Quando morì, Máximo Gómez il 17 giugno del 1906, impugnava la rielezione di Estrada Palma e promuoveva la candidatura presidenziale di Nuñez, un uomo che partecipò alle tre guerre per l’indipendenza e che in quella del ’95 capeggiò con successo il Dipartimento per le Spedizioni. Partecipò all’Assemblea Costituente del 1901 e fu Governatoire dell’Avana fino al 1908, quando si impegnò per organizzare i veterani delle patrie lotte. Figura preminente del Partito Conservatore, la sua partecipazione nelle campagne elettorali del 1908 e 1912, fu molto attiva. Menocal lo nominò Ministro dell’Agricoltura, Commercio e Lavoro, settori allora raggruppati in un solo dicastero e nel 1916 spuntò come candidato dei conservatori alla Presidenza della Repubblica. Però Menocal era deciso a farsi rieleggere, Nuñez accettò la candidatura come vicepresidente e, vincitore delle elezioni, sostituì Varona come tale.
Un altro generale dell’Indipendenza, Francisco Carrillo, giunse al potere con Zayas nel 1921. Zayas si presentò per il Partito Popolare, organizzazione di poche risorse economiche, che vinse con l’appoggio dei conservatori a cambio che nell’elezione successiva si spianasse la vittoria di Menocal. Vale a dire che stavolta non sarebbe stato sostenuto dai liberali. Nota curiosa. Zayas fu destituito dalla presidenza del Partito Liberale in un litigio clamoroso. Il fatto di essere sconfitto davanti ai tribunali gli aprì, per questi controsensi della vita repubblicana, l’opportunità di arrivare alla Presidenza. Il suo antagonista, per i liberali, fu José Miguel, che portò come vice Manuel Arango y Mantilla, figura minuscola, come politico, ma con una grande influenza nel settore zuccheriero. Solo la presa di José Miguel sull’elettorato liberale rese possibile che si ovviasse, come Vice Presidente, la candidatura del comandante camagüeyano Enrique Recio, uomo di gran simpatia popolare. Questa sconfitta elettorale, forse, anticipò la maorte di José Miguel che morì a New York quando non era ancora trascorso un mese dalla presa di possesso del suo avversario.
Carlos de la Rosa fu l’ultimo Vice Presidente eletto al calore della Costituzione del 1901. La carica, si è già detto, sparì con la riforma costituzionale del 1928. Giunse al potere con Gerardo Machado e rappresentò, assicurano gli specialisti, una modificazione nella politica elettorale cubana svoltasi, fino ad allora, fra “generali e dottori”. Si garantisce che lottò con l’Esercito di Liberazione, ma raggiunse un grado tanto, ma tanto, modesto che i suoi sostenitori non ci tengono a diffonderlo. Si iscrisse alla carriera di Diritto, ma non giunse alla laurea. La sua opera alla vice presidenza è qualificata come discreta che è un termine che contiene quello di mediocre, culmine di una carriera modesta che iniziò come sindaco di Manguito e poi di Cárdenas. Machado, quando sparì la carica, lo ricompensò con un seggio vitalizio al Senato. Morì nel 1933, poco prima della caduta machadista.
Federico Laredo Bru, fu l’unico Vice Presidente che occupò la più alta carica, dopo che il Senato giudicò e destituì il Presidente Miguel Mariano Gómez. Successe nel 1936. Fulgencio Batista ottenne la presidenza nel 1940 ed ebbe come vice l’eminente medico Gustavo Cuervo Rubio. Più sopra si menzionarono i vice di Grau e Prío. Rafael Guas Inclán fu, tra il 1955 e 58, Vice Presidente di Batista. Si dimise per aspirare ad essere sindaco dell’Avana nella farsa elettorale di quest’ultimo anno. Ottenne la nomina e avrebbe dovuto prendere carica il 24 febbraio del 1959. Trionfò la Rivoluzione e Guas rimase con la voglia.

Vicepresidentes

Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
15 de Febrero del 2014 21:24:24 CDT

De todos los cubanos que ocuparon la Vicepresidencia de la República,
solo uno pasó desde ese cargo a desempeñar la primera magistratura.
Era el de vicepresidente un puesto poco apetecible en la vida política
anterior a 1959. Se suponía que era la segunda posición de la
República, pero en puridad esa segunda posición correspondía al
Alcalde de La Habana, quedando para el vice la responsabilidad de
sustituir al Presidente en caso de ausencia, y presidir el Senado, que
por otra parte tenía su propio titular.
La Asamblea Constituyente de 1928, que reformó la Constitución de
1901, suprimió el cargo. Se otorgó entonces al Secretario de Estado
--Ministro de Relaciones Exteriores-- la facultad de sustituir al
Presidente. Volvió el cargo en 1936 y la Constitución de 1940 lo
restituyó en uno de sus títulos. Puede suponerse que, emergidos del
mismo tique electoral, el Presidente y su vice trabajarían unidos. No
ocurría así en la práctica, y no era raro que existieran rencillas y
enemistades entre ellos. José Miguel Gómez nunca soportó a Alfredo
Zayas y lo torpedeó en 1913, en sus intentos de alcanzar la
Presidencia. No fueron buenas las relaciones entre Ramón Grau San
Martín y Raúl de Cárdenas, y las fricciones entre Carlos Prío y su
vicepresidente, Guillermo Alonso Pujol, fueron tantas y tan graves que
el mandatario llegó a retirarle la escolta a su vice. Enrique José
Varona, que fungió como vicepresidente del general Mario García
Menocal entre 1913 y 1917, desistió de acompañarlo en la reelección,
disgustado con la conducta de los conservadores y con el propio empeño
continuista del mandatario. Con anterioridad, en el mismo año de 1913,
había renunciado a la presidencia del Partido Conservador por entender
<>. Se salió Varona a
partir de entonces de la política activa, aunque no dejó de mostrar
preocupación por los asuntos públicos hasta el mismo instante de su
muerte, en noviembre de 1933, tras la caída de la dictadura de Gerardo
Machado, que tanto combatió.
Varona es un caso curioso en la vida cubana. El pensador eclipsa
siempre en él al político cuando, al decir de Cosme de la Torriente,
era <>. Era, puntualizaba
Torriente, <>.

El suicida
Tomás Estrada Palma quiso llevar de vicepresidente al mayor general
Bartolomé Masó. No aceptó este, pues habiendo sido, al igual que don
Tomás, presidente de la República en Armas, insistió en aspirar
también a la primera magistratura. En definitiva, las irregularidades
y presiones del Gobierno interventor norteamericano en la Isla a favor
de Estrada Palma forzaron el retraimiento de Masó, y el 31 de
diciembre de 1901 Estrada Palma concurrió a las elecciones como
candidato único y logró la victoria. Raros comicios aquellos en los
que el aspirante no participó en la campaña ni se encontraba siquiera
en Cuba.
Quiere el escribidor precisar que aquellas elecciones amañadas no
agriaron los nexos entre ambas figuras. Ya electo presidente, Estrada
Palma desembarcó por Gibara y se adentró en territorio cubano rumbo a
Manzanillo. Atravesó el río Cauto por el llamado Paso de la Mula.
Cerca de Yara lo esperaba Masó. Se fundieron en un estrecho abrazo
entre aplausos y vítores. El <> de La Jagüita se convirtió en
anfitrión del <> de Central Valley; lo alojó en su casa y
comían como en familia. Evocaban, en amenas charlas, lejanos
recuerdos, pero caían a veces en silencios abismales al abordar la
actualidad. <>.
Al rehusar Masó integrar la candidatura presidencial de Estrada Palma,
se barajaron los nombres de Manuel Sanguily y Luis Estévez y Romero.
Sanguily rechazó el ofrecimiento y el otro lo aceptó luego de
múltiples gestiones y de la intervención personal de Máximo Gómez, que
lo visitó para ayudarle a decidir. Era un abogado distinguido y su
matrimonio con Martha Abreu lo puso en relación con una de las
familias más ricas de la región central y lo vinculó a la lucha por la
independencia. Escribió varios libros, entre ellos el titulado Desde
el Zanjón hasta Baire, que apareció en 1899 y que Sanguily consideró,
en su momento, el estudio más completo del período encerrado entre dos
grandes guerras. No acompañó Luis Estévez a don Tomás hasta el fin de
su mandato. Renunció el 31 de marzo de 1905. Alegó motivos de salud,
pero en opinión de García Garófalo, su biógrafo, la dimisión, por su
fecha y por lo que en ese momento ocurría en Cuba, puede interpretarse
como una expresión de inconformidad con la afiliación de Estrada Palma
al Partido Moderado, recién fundado entonces, y a su intención de
reelegirse. Se suicidó en París, el 3 de febrero de 1909, justo un mes
después de la muerte de Martha.

Zayas y miguelistas
En su reelección, don Tomás lleva como vice al general Domingo Méndez
Capote. Había presidido la Asamblea Constituyente de 1901 y ocupó la
presidencia del Senado durante el primer período de Estrada Palma. Fue
una vicepresidencia efímera; de poco más de cuatro meses, entre mayo y
septiembre de 1906. Incapaz de sofocar la insurrección liberal de ese
año --la llamada <>-- y negarse a llegar a un acuerdo
con los alzados, Estrada Palma prefirió, en virtud de la Enmienda
Platt, solicitar la intervención norteamericana, y antes de renunciar
exigió la dimisión de todos sus ministros y la del vicepresidente, con
lo que dejó acéfala la República y las puertas abiertas a la
injerencia extraña.
La segunda intervención se extendería hasta el 28 de enero de 1909,
cuando accedió al poder el tique José Miguel Gómez-Alfredo Zayas. Los
conservadores y, con ellos, los derrotados de Estrada Palma,
estrecharon filas en torno a García Menocal, su caudillo natural.
Dentro de las huestes liberales pugnaban las facciones de miguelistas
y zayistas, con José Miguel al frente del grupo <>, y Zayas,
del Partido Liberal propiamente dicho. Las elecciones parciales de
1908 demostraron a los liberales que de permanecer divididos podían
olvidarse del triunfo. Fue así que ambas facciones se unieron para
llevar a José Miguel de presidente y a Zayas de vice, con la promesa
de que este último sería el candidato a la presidencia para el período
1913-1917. Así ocurrió, pero no resultó electo.
En esa ocasión Zayas, con Eusebio Hernández --general de la
independencia y eminente ginecólogo-- de vice, fueron derrotados por la
maquinaria Menocal-Varona. En las elecciones de 1908, Menocal había
llevado a Rafael Montoro como vice. Los liberales los derrotaron con
facilidad. El pasado autonomista de Montoro restó votos a esa
candidatura. Era previsible, pues antes su nombramiento como profesor
universitario fue impugnado con tal fuerza que no pudo acceder al
claustro. Los que se le oponían olvidaban que aquel hombre, de pulcra
actuación personal y defensor únicamente de sus ideas políticas, de
haberse ido a España al cesar la soberanía española en la Isla hubiera
disfrutado de una prometida senaduría vitalicia y de todos los honores
imaginables, entre estos un marquesado, con Grandeza de España, que
nunca quiso aceptar. Decidió permanecer en la tierra que lo vio nacer.
Era un hombre demasiado valioso para que la República lo dejara de la
mano. Fue, con Estrada Palma, embajador en Inglaterra y Alemania:
ministro de la Presidencia con Menocal, en 1913, y canciller en el
Gobierno de Zayas. Pasó por la vida pública sin mancharse. Al final de
su vida, el pueblo de La Habana hizo una colecta para que pudiera
morir en casa propia.

Con las ganas
El general Emilio Núñez acompañó a Menocal en su segundo mandato,
entre 1917 y 1921. Cuando Máximo Gómez murió el 17 de junio de 1906
impugnaba la reelección de Estrada Palma y promovía la candidatura
presidencial de Núñez, un hombre que participó en las tres guerras por
la independencia y que en la del 95 encabezó, con acierto, el
Departamento de Expediciones. Estuvo en la Asamblea Constituyente de
1901 y fue Gobernador de La Habana hasta 1908, cuando se empeñó en
organizar a los veteranos de las luchas patrias. Figura prominente del
Partido Conservador, fue muy activa su participación en las campañas
electorales de 1908 y 1912. Menocal lo nombró ministro de Agricultura,
Comercio y Trabajo, sectores agrupados entonces en una sola
secretaría, y en 1916 despuntó como candidato de los conservadores a
la Presidencia de la República. Pero decidido Menocal a reelegirse,
Núñez aceptó la candidatura para vicepresidente y, vencedor en los
comicios, sustituyó a Varona como tal.
Otro general de la Independencia, Francisco Carrillo, llegó al poder
con Zayas, en 1921. Zayas aspiró por el Partido Popular, organización
minúscula, de bolsillo, que triunfó con el apoyo de los conservadores
a cambio de que en las elecciones generales siguientes allanara la
victoria de Menocal. Es decir, esta vez no es llevado por los
liberales. Algo curioso. Zayas fue despojado de la presidencia del
Partido Liberal en un ruidoso pleito. El hecho de ser derrotado ante
los tribunales le abrió, por esos contrasentidos de la vida
republicana, la oportunidad de llegar a la Presidencia. Su contrario,
por los liberales, fue José Miguel, que llevó de vice a Miguel Arango
y Mantilla, figura minúscula como político, pero con gran influencia
en el sector azucarero. Solo el arraigo de José Miguel sobre las
huestes liberales pudo hacer posible que se obviara para
vicepresidente la candidatura del comandante camagüeyano Enrique
Recio, hombre de gran simpatía popular. Ese revés electoral anticipó
quizá la muerte de José Miguel, que falleció en Nueva York cuando
todavía no había transcurrido un mes de la toma de posesión de su
adversario.
Carlos de la Rosa fue el último vicepresidente electo al calor de la
Constitución de 1901. El cargo, ya se dijo, desapareció con la reforma
constitucional de 1928. Llegó al poder con Gerardo Machado y
representó, aseveran especialistas, una modificación en la política
electoral cubana desenvuelta hasta entonces entre <>. Se asegura que peleó en el Ejército Libertador, pero
alcanzó un grado tan, tan modesto, que sus panegiristas tienen a bien
no consignarlo. Matriculó la carrera de Derecho, pero no llegó a
graduarse. Su actuación en la vicepresidencia es calificada de
discreta, que es un término que engloba, por lo general, el de
mediocre, culminación de una modesta carrera que empezó como alcalde
de Manguito y luego de Cárdenas. Machado, cuando desapareció el cargo,
lo compensó con una senaduría vitalicia. Murió en 1933, poco antes del
derrumbe machadista.
Federico Laredo Bru fue el único vicepresidente que ocupó la primera
magistratura, luego de que el Senado juzgara y destituyera al
presidente Miguel Mariano Gómez. Ocurrió en 1936. Fulgencio Batista
ganó la presidencia en 1940, y tuvo como vice al eminente médico
Gustavo Cuervo Rubio. Se mencionaron arriba los vice de Grau y Prío.
Rafael Guas Inclán fue, entre 1955 y 58, vicepresidente de Batista.
Renunció para aspirar a la alcaldía habanera en la farsa electoral de
noviembre de ese último año. Ganó la plaza y debió tomar posesión el
24 de febrero de 1959. Triunfó la Revolución y Guas se quedó con las
ganas.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/




domenica 16 febbraio 2014

Una leggiadra signora di 79 anni, Ford 1935













Cuba, sa sa, è un autentico museo a cielo aperto per quello che riguarda i veicoli circolanti, ma la maggior parte di loro per poter essere usata quotidianamente per lavoro, ha dovuto essere modificata e riadattata con invenzioni anche geniali, ma che ne hanno fatto perdere la genuinità. Non è il caso di questa "signora", una Ford del 1935 con motore V8 che è ancora integra nella sua meccanica, carrozzeria e interni. Peccato che (per adesso) non si possa esportare...

Decedere

DECEDERE: e sia, lasciare (Livorno)

sabato 15 febbraio 2014

Decalcificare

DECALCIFICARE: sospendere il campionato

venerdì 14 febbraio 2014

I giovedì di Ciro


Particolarmente affollata la, ormai, tradizionale “tertulia” (conversazione) di Ciro Bianchi del secondo giovedì del mese nel bar caffetteria del centralissimo Hotel Inglaterra. Nel pomeriggio di ieri, oltre ai consueti aneddoti sulla storia, vita e costume dell’Avana che nel caso specifico hanno riguardato il “barrio de Colón”, ovvero l’antico quartiere della prostituzione, si è parlato dell’attuale situazione dei rapporti Cuba-USA e particolarmente con Miami, grazie alla presenza del giornalista Max Lesnik, direttore di Radio Miami. Lesnik ha evidenziato il cambio evidente di atteggiamento sia dell’opinione pubblica americana che dell’emigrazione cubana nei confronti della politica da tenere verso l’Avana.
Anche nelle file dei parlamentari, sia democratici che repubblicani ci sono ormai opinioni diffuse che sia giunta l’ora di cambiare qualcosa nei rapporti fra i due Paesi dopo oltre 50 anni di logorante e inefficace, per quanto riguarda gli obbiettivi proposti, embargo economico, commerciale e finanziario. Lesnick ha anche evidenziato che pure fra i ricchi esponenti della borghesia espropriata a suo tempo di beni a Cuba, cominciano ad emergere posizioni pragmatiche che prevedono di chiudere un passato doloroso per aprire un futuro migliore. Il suo auspicio, in conclusione è stato che per avere una Cuba migliore, bisogna partire dalle basi odierne e non da quelle lasciate dietro le spalle. Ha detto che una rivoluzione, quando avviene, spazza via tutto e purtroppo assieme allle cose negative può anche portar via qualcosa di positivo, ma che le basi per un futuro sono state create e oggi è il momento per iniziarlo.
Era presente al tavolo dei “relatori” anche il giornalista analista e opinionista di Juventud Rebelde Gustavo Robreño e fra il pubblico che è intervenuto con domande e commenti era presente anche una “vecchia gloria” dei conduttori del Noticiero della TV: Edel Morales.



Decadentismo

DECADENTISMO: piorrea

giovedì 13 febbraio 2014

Danneggiamento

DANNEGGIAMENTO: cazzotto

mercoledì 12 febbraio 2014

Lutto a sorpresa nella "trova" cubana è morto Santiago Feliù

Lamentable pérdida para la cultura cubana: falleció Santiago Feliú
Cubadebate. Miércoles, 12 febrero, 2014 • Deja su comentario hace 2 horas ... Por voluntad expresa de su familia el cadáver de santiago Feliú será cremado.


Víctima de un infarto cardíaco falleció en la madrugada de este miércoles en La Habana el cantautor Santiago Feliú, una de las grandes voces de la trova cubana.

El trovador cubano Santiago Feliú Sierra murió en madrugada de este miércoles en La Habana, según informaron fuentes cercanas a su familia. Tenía 51 años.
Representante de la más fiel continuidad de la nueva trova cubana. En su música están presentes las raíces latinoamericanas y caribeñas contemporáneas que lo ubican como una de las figuras jóvenes más destacadas dentro de la canción cubana contemporánea. Su creación incluye canciones infantiles y trovadorescas. Premio al Mejor Guitarrista en el Festival de Sochi, ostenta la Distinción Por la Cultura Nacional.
El músico tenía previsto presentarse el próximo sábado con su banda en la Fábrica de Arte Cubano, el proyecto recién inaugurado por X Alfonso.
La noticia la dio a conocer Silvio Rodríguez en su blog

Dannare

DANNARE: da catalogare nel tempo

martedì 11 febbraio 2014

Dannata

DANNATA: vino eccezionale

lunedì 10 febbraio 2014

Coniato

CONIATO: marito de a sorea o frateo de la molie (veneto, appendice alla lettera C)

Sportive di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 9/2/14


Lo sport dei pugni o dei cavolfiori ha avuto un inizio tardivo a Cuba. La sua storia ufficiale inizia a partire dal 1921, quando si crea la Commissione Nazionale di Pugilato. Prima – e sembrerà incredibile – la pratica di questo sport era proibita nell’Isola. Così dispose la Segreteria di Governo del presidente José Miguel Gómez. Una proibizione aleatoria, come succede molte volte con le proposte, ebbene anche così si celebravano combattimenti e i risultati venivano anche pubblicati sui giornali. Bastava chiedere il permesso corrispondente o svolgerla in modo clandestino. In realtà non c’erano argomenti solidi contro questo sport. Fu come quando si disse che il gioco del calcio non si doveva permettere perché i giocatori scendevano in campo in mutande.
Non pochi combattimenti ebbero come scenario la soffitta dell’American Club in Prado angolo Virtudes, dove ha sede attualmente la Federazione delle Società Asturiane. Lì si celebrò, nel 1915, l’incontro tra Léster Johnson e Anastasio Peñalver, primo campione cubano dei pesi massimi che perse per la via breve, nel primo assalto. Ci furono anche incontri nella sede del Club Atlético di Cuba, pure in Prado, ma di quei tempi che i cronisti definiscono romantici, i più ricordati furono quelli del ring del giornale Cuba, il quotidiano dei fratelli José María e José Ramón Villaverde, nella calle Empedrado. Qualunque posto sembrava adeguato per un incontro di boxe, si parla di un campionato che si tenne in una casa col pavimento di cemento del vicolo di Cañongo.
Con proibizione e tutto,  il 5 di aprile del 1915 nell’ippodromo Oriental Park di Marianao, due nordamericani si contesero la cintura d’oro dei pesi massimi: il campione Jack Johnson, negro, e lo sfidante Jess Willard considerato, allora, la grande speranza bianca nello sport dei pugni. Era un incontro stabilito su 45 assalti e fu presenziata dallo stesso presidente della Repubblica, Mario García Menocal. All’altezza del 26° round, davanti alla costernazione generale, successe quello che senza dubbio era inconcepibile: Johnson cadde al tappeto senza possibilità di riprendere il combattimento e Willard si alzava col titolo dorato. La moltitudine non tardò a comprendere quello che era successo realmente.
Di tutti i combattimenti pugilistici celebrati a Cuba, è questa quella di cui si parla di più, nonostante i 99 anni trascorsi da allora. Il motivo è semplice: fu un aggiustamento. Johnson vendette la sua cintura di campione per 30.000 dollari. Pensò che gli consegnassero i soldi al momento del peso, ma gli dissero che lo avrebbero dato a sua moglie durante l’incontro. Quando la signora, dalle tribune, gli comunicò con un segnale convenuto che aveva i soldi, Johnson che stava facendo melina col suo rivale, cadde inaspettatamente per effetto di un destro inefficace. Il sole gli dava fastidio – l’incontro avvenne di giorno – e Johnson si coprì il viso con le braccia fino a che si mise tranquillamente prono. Il combattimento era durato un’ora e 44 minuti.

Otto gol a zero

Il calcio si conosceva già, a Cuba, nel 1907. E prendete nota di quello che lo scriba dirà di seguito: uno dei primi incontri seri di questo sport ebbe carattere internazionale e finì con la vittoria dei cubani. Una squadra formata dall’equipaggio della nave inglese Cidra si confrontò, al Palatino, alla squadra locale che aveva il nome di Hatuey. Il punteggio di otto gol a zero a favore della squadra di casa fece si che gli inglesi, in transito o residenti all’Avana, cercassero di ottenere una rivincita.
Sorse così la squadra del Rovers che non poche volte affrontò l’Hatuey. C’era una specie di collaborazione tra le due formazioni: con gli inglesi giocavano gli uomini che avanzavano sulla panchina dei creoli. Non sarebbe stato fino al 1908 che Rovers e Hatuey si affrontarono nella prima partita formale nel poligono del campo militare di Columbia. Ciò nonostante, la prima partita di calcio che si riconosce in modo ufficiale, come prima nell’Isola, si effettuò nel Palatino l’11 dicembre del 1911. C’è una critica di Víctor Muñoz, del 7 gennaio del 1912. In quella descrive un gioco, nell’Almendares Park, tra il Rover e l’Hatuey. Muñoz fu quello che introdusse a Cuba il Giorno della Mamma, era un cronista sanguigno e instancabile, padrone di una vena umoristica straordinaria. Fu, tra noi, il creatore della cronaca sportiva descrivendo i giochi di foot ball e sopratutto di baseball in cui si affrontava una squadra cubana con una formazione straniera – generalmente nordamericana – come una gara con cui la Repubblica nascente giustificava il suo diritto di esistere. Esaltava la vittoria cubana come una questione di sovranità nazionale. Il lettore può immaginare il titolo di quella cronaca, pubblicato a piena pagina: L’Hatuey ha lasciato in bianco gli inglesi.
Già nel 1925 una squadra cubana, Fortuna, uscì all’estero vincendo i quattro incontri che tenne in Costa Rica. Era già in auge il calcio locale quando, nel 1926, giunse da New York una squadra conformata da spagnoli. Il risultato di questa visita fece si che non tardassero ad arrivarne altre dalla Spagna e dal Cile. Arrivò anche, dopo, il Nacional dall’Uruguay, in quel momento campione mondiale. Debuttò all’Avana di fronte all’Iberia uscendo vincitore per quattro a uno. Cadde di fronte alla squadra della Juventud Asturiana, quattro a due e umiliò l’Hispano con un commiato di otto gol.
Molti fatti si scrivono con lettere d’oro negli annali del calcio creolo. La vittoria contro il campione dell’Uruguay è uno di quelli. Un’altro fu la vittoria di Cuba di fronte alle selzioni di Giamaica, Honduras, El Salvador e Costa Rica durante i II Giochi Centroamericani e dei Caraibi dell’Avana nel 1930. E per ultimo la presenza cubana nella Coppa del mondo del 1938. Nella città francese di Tolosa, Cuba riuscì a pareggiare con tre gol con la Romania e poi la sconfisse per due a uno, per poi cadere con la Svezia per otto a zero.

La rete e le racchette

Se inglesi e cubani collaborarono all’avvio del calcio nell’Isola, non sembra che succedesse la stessa cosa col tennis. Nonostante non ci sia disponibile una data d’inizio della pratica dello sport della rete e delle racchette tra noi, gli specialisti garantiscono che si conosce, a Cuba, da prima che iniziasse il secolo XX°. Si dice che già nel 1886, inglesi residenti all’Avana lo praticavano di nascosto, per paura che i cubani imparassero a giocarlo. Altri, in cambio, dicono che furono i cubani i loro iniziatori. I cosiddetti vedadistas nel piccolo recinto giochi  che  loro stessi costruirono e che diventerà il Vedado Tennis Club. Al chiamato “club azzurro”, appartennero i primi campioni nazionali. Le gare ufficiali di questo sport si tennero a partire dal 1903 e si estesero alle donne l’anno successivo. Anteriormente al 1959, il tennis cubano partecipò in numerose gare internazionali, fra le quali la famosa Coppa Davis e in giochi centroamericani e dei Caraibi dove quelli di casa non offrirono mai esibizioni scialbe. L’Avana fu anche sede di competenze di carattere internazionale e molti assi mondiali incrociarono le racchette con i locali.
La pallacanestro giunse a Cuba nel 1905. Lo portarono, fra gli altri, i membri della Gioventù Cristiana (Y.M.C.A.), i fratelli Leopoldo e José Sixto de Sola, fondatori dell’importante rivista Cuba Contemporanea. José Sixto che morì prematuramente – il suo unico libro, Pensando a Cuba, una raccolta dei suoi scritti, apparve nel 1917 quando il suo autore era già morto – non solo formò la squadra del suo gruppo, ma incitò gli studenti dell’Università avanera, l’unica che ci fosse allora a Cuba, a che lo imitassero. Sorse così la squadra Caribe che si oppose a quella della Y.M.C.A. il 13 ottobre 1906, in quello che si considera il primo incontro serio di basket che si effettuò a Cuba e che vinsero gli universitari che non poterono, peraltro, ripetere il successo negli incontri seguenti per cui il trofeo rimase nelle mani della Y.M.C.A. Le gare tornarono nel 1907, stavolta con una squadra in più, in rappresentanza delle truppe nordamericane accantonate nel campo Columbia. Non sarà fino al 1915 che José Sixto fonderà la Lega Nazionale di Basket.
Si giunse a praticare molto, con ampia copertura di stampa, il tiro al piattello nel Club dei Cacciatori di Buena Vista. In quella stessa epoca, nel Parco dei Divertimenti di Palatino, c’erano raduni per proclamare l’uomo più forte dell’Avana, eventi che venivano accompagnati da giochi e fuochi artificiali. Si pattinava nello Skating Park del Vedado e le serate di gala del sabato in questa installazione ricreativa meritavano le cronache di tutti i giornali.

Malolo

Si dice, anche se non è provato che lo sport ippico, a Cuba, cominciò nella città matanzera di Colón. Correvano i tempi della colonia e l’esercito spagnolo aveva una scuola di equitazione in detta località. Gli ufficiali distaccati in loco, forse per ammazzare la noia, tracciarono una pista e cominciarono  le gare. Poco dopo si svegliava, a Camagüey, uno straordinario interesse per le corse dei cavalli. Un sentiero rettilineo serviva da pista e si costruirono diverse tribune che erano occupate dai militari spagnoli, con le loro famiglie e da alcuni cubani invitati. Fu allora che si effettuarono per la prima volta le scommesse. In realtà non c’erano allibratori come tali, ma la gente si lanciava piccole borse che contenevano once d’oro, d’accordo alla quantità stipulata in ogni scommessa.
L’ippodromo Oriental Park, inaugurato il 14 gennaio del 1915 fu, a suo tempo, l’orgoglio di Cuba e d’America. Nel 1927 vi furono lì gare memorabili. I premi istituiti nelle corse ordinarie non erano appetitosi.Ma i dirigenti dell’azienda organizzarono una serie di eventi straordinari con ricompense altissime. Ciò fece che molti proprietari delle scuderie di Hialeah Park e Tropical Park portassero i loro cavalli e l’ippodromo avanero alloggiasse un nutrito gruppo di esemplari di alta classe, incluso Extreme, già famosissimo tra la tifoseria cubana.
Fra questi cavalli ce n’era uno, cubano, di proprietà del giornalista Manuel Braña. Si chiamava Malolo. Non aveva le condizioni per misurarsi con quel gruppo di purosangue. Ciò nonostante li sconfisse in tutte le gare straordinarie grazie alla forma in cui si mantenne durante tutte le competizioni e ciò comportò, per il suo proprietario, una discreta somma di denaro.
Già negli anni ’40 l’Oriental Park entra in crisi. La mancanza di stabilità nella sua programmazione, il bilancio gonfiato e la grandezza delle cosiddette spese segrete, cominciano a corrodere la pratica dell’ippica. Mancavano cavalli purosangue cubani. Erano pochi, gli allevatori di casa, che si avventuravano su un cavallo per il quale, come minimo, dovevano aspettare tre anni per vederne i frutti. Nel 1957 i proprietari dell’ippodromo volevano vendere i loro terreni a scopo di urbanizzazione. L’affare non si concretizzò perché chiedevano due milioni di pesos per la proprietà. Ciò avrebbe dato luogo alla costruzione di un nuovo ippodromo.


Deportivas

Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
8 de Febrero del 2014 20:01:55 CDT

El deporte de los puños o de las coliflores tuvo en Cuba un comienzo relativamente tardío. Su historia oficial se inicia a partir de 1921, cuando se crea la Comisión Nacional de Boxeo. Antes --y parecerá
increíble-- la práctica de dicho deporte se prohibió en la Isla. Así lo dispuso en 1912 la Secretaría de Gobernación del presidente José Miguel Gómez. Una prohibición aleatoria, como ocurre muchas veces con las proscripciones, pues aun así se celebraban peleas y sus resultados se publicaban incluso en los periódicos. Bastaba con pedir el permiso correspondiente o celebrarla de manera clandestina. No había, en realidad, argumentos sólidos contra ese deporte. Fue como cuando se dijo que los juegos de fútbol no debían permitirse porque los jugadores salían al terreno en calzoncillos.
No pocos combates tuvieron por escenario en la época, la azotea del American Club, en Prado esquina a Virtudes, donde radica en la actualidad la Federación de Sociedades Asturianas. Allí se celebró en
1915 el encuentro entre Léster Johnson y Anastasio Peñalver, primer campeón cubano de los pesos pesados, quien perdió, y por la vía rápida, en el primer asalto. Hubo además, peleas en la sede del Club Atlético de Cuba, también en Prado, pero de aquellos tiempos, que los cronistas insisten en calificar como románticos, las más recordadas fueron las del ring del periódico Cuba, el cotidiano de los hermanos José María y José Ramón Villaverde, en la calle Empedrado. Cualquier sitio parecía apropiado para un match de boxeo, y se habla de un campeonato que se dirimió en la sala de una casa con piso de cemento del callejón de Cañongo.
Con prohibición y todo, el 5 de abril de 1915, en el hipódromo Oriental Park, de Marianao, dos norteamericanos contendieron por la faja de oro de los pesos completos: el campeón Jack Johnson, negro, y el retador Jess Willard, considerado entonces la gran esperanza blanca del deporte de los puños. Era una pelea pactada a 45 asaltos y que fue
presenciada por unos   20 000 espectadores, entre ellos el mismísimo
presidente de la República, Mario García Menocal. A la altura del round 26 y ante la consternación general sucedía, sin embargo, lo
inconcebible: Johnson caía a la lona sin posibilidades de reanudar el combate, y Willard se alzaba con el título de oro. No demoró aquella multitud en comprender lo que sucedió realmente.
De todas las peleas de boxeo celebradas en Cuba, es de esta de la que más se habla pese a los 99 años transcurridos desde entonces. La razón es simple: fue una pala. Johnson vendió su faja de campeón por 30 000 dólares. Pensó que le entregarían el dinero en el momento del pesaje, pero le dijeron que se lo darían a su esposa en el transcurso del combate. Cuando la señora, desde las gradas, con una señal convenida, le comunicó que tenía el dinero, Johnson, que había estado dándole largas a su rival, cayó sorpresivamente ante un derechazo ineficaz. El sol le molestaba --la pelea se celebró de día-- y Johnson se cubrió el rostro con los brazos hasta que tranquilamente se puso bocabajo. El combate había durado una hora con 44 minutos.

Ocho golpes por cero

Ya en 1907 se conocía el balompié en Cuba. Y tomen nota de lo que el escribidor dirá enseguida: uno de los primeros encuentros serios de ese deporte tuvo carácter internacional y terminó con victoria para los cubanos. Un equipo conformado por los tripulantes del buque inglés Cidra se enfrentó, en Palatino, al equipo local que llevaba el nombre de Hatuey. El marcador de ocho goles por cero a favor de los del patio hizo que ingleses residentes y en tránsito por La Habana fueran por el desquite.
Surgió así el equipo Rovers, que no pocas veces se enfrentó al Hatuey.
Había una especie de colaboración entre ambas agrupaciones: jugaban con los ingleses los hombres que sobraban en el banco de los criollos.
No sería hasta 1908 en que el Rovers y el Hatuey se enfrentaron en el primer partido formal, en el polígono del campamento militar de Columbia. No obstante, el partido de balompié que, de manera oficial, se reconoce como el primero en la Isla se efectuó en Palatino, el 11 de diciembre de 1911.
Hay una crónica de Víctor Muñoz, de 7 de enero de 1912. En ella reseña un juego, en el Almendares Park, entre el Rovers y el Hatuey. Muñoz, que fue el introductor en Cuba del Día de las Madres, era un cronista proteico e incansable, dueño de una vena humorística extraordinaria.
Fue, entre nosotros, el creador de la crónica deportiva, y reseñaba los juegos de fútbol y, sobre todo, de béisbol, en los que se enfrentaba un equipo cubano contra una agrupación  foránea --norteamericana por lo general-- como una competición en que la naciente República justificaba su derecho a la vida. Alentaba el triunfo cubano como una cuestión de soberanía nacional. Ya imaginará el lector el título de aquella crónica, publicada a plana completa: El Hatuey dejó en blanco a los ingleses.
Ya en 1925 un equipo cubano, Fortuna, salía al extranjero, y ganaba los cuatro partidos que celebró en Costa Rica. Sonaba ya el balompié local cuando, en 1926, llegó desde Nueva York un equipo conformado por españoles. El éxito de esa visita hizo que no demoraran en arribar otros de España y Chile. Llegó además el Nacional, de Uruguay, campeón mundial en aquel momento. Debutó en La Habana frente al Iberia y salió vencedor cuatro por uno. Cayó frente al equipo de la Juventud Asturiana, cuatro por dos, y humilló al Hispano con una despedida de ocho goles.
Varios hechos se inscriben con letras de oro en los anales balompédicos criollos. El triunfo frente al equipo campeón del Uruguay es uno de ellos. Otro, las victorias de Cuba frente a las selecciones de Jamaica, Honduras, El Salvador y Costa Rica durante los II Juegos Centroamericanos y del Caribe de La Habana, en 1930. Y por último, la presencia cubana en la Copa del Mundo, en 1938. En la ciudad francesa de Toulouse, Cuba logró empate a tres goles con Rumania y la derrotó luego dos por uno, para caer ante Suecia ocho por cero.

La red y las raquetas

Si ingleses y cubanos colaboraron en la arrancada del balompié en la Isla, no parece que sucediera lo mismo con el tenis. Aunque no hay fecha disponible en cuanto a los inicios de la práctica del deporte de la red y las raquetas entre nosotros, especialistas aseguran que se conoce en Cuba desde antes de que comenzara el siglo XX. Se dice que
ya en 1886 ingleses avecindados en La Habana lo   practicaban a
escondidas, temerosos de que los cubanos aprendieran a jugarlo. Otros, en cambio, aseveran que fueron cubanos sus iniciadores. Los llamados vedadistas, en el pequeño court que ellos mismos construyeron y que sería el del Vedado Tennis Club. Al llamado <<club azul>> pertenecieron los primeros campeones nacionales. Las competencias oficiales de este deporte se registraron a partir de 1903, y se abrieron para las féminas desde el año siguiente.
Con anterioridad a 1959, el tenis cubano participó en numerosas series internacionales, entre ellas la famosísima Copa Davis y en olimpiadas centroamericanas y caribes, donde los del patio jamás ofrecieron exhibiciones pálidas. La Habana fue asimismo sede de lides de carácter internacional y muchos ases mundiales cruzaron sus raquetas con los del patio.
El basket ball llegó a Cuba en 1905. Lo trajeron, entre otros miembros de la Juventud Cristiana (Y.M.C.A.), los hermanos Leopoldo y José Sixto de Sola, fundadores de la importante revista Cuba Contemporánea.
José Sixto, que falleció prematuramente --su único libro, Pensando en Cuba, una compilación de sus escritos, apareció, ya muerto el autor, en 1917-- no solo formó el equipo de su agrupación, sino que instó a estudiantes de la Universidad habanera, la única que había entonces en Cuba, a que lo imitaran. Surgió así el equipo Caribe, que se enfrentó al de la Y.M.C.A., el 13 de octubre de 1906, en lo que se considera el primer partido serio de basket ball que se efectuó en Cuba y que ganaron los universitarios que no pudieron, sin embargo, repetir la victoria en encuentros sucesivos, quedando el trofeo en manos de la Y.M.C.A. Volvieron las competencias en 1907, esa vez con un equipo más, en representación de las tropas norteamericanas acantonadas en el campamento de Columbia. No sería hasta 1915 cuando José Sixto fundó la Liga Nacional de Basket Ball.
Llegó a practicarse mucho, y con amplia cobertura de prensa, el tiro al platillo en el Club de Cazadores de Buena Vista. Por esa misma época, en el Parque de Diversiones de Palatino tenían lugar certámenes para proclamar al hombre más fuerte de La Habana, eventos que solían acompañarse de retretas y fuegos artificiales. Se patinaba en el Skating Park del Vedado y las galas del sábado por la noche en esa instalación recreativa merecían reseñas en todos los periódicos.

Malolo

Se dice, aunque no se ha probado, que el deporte hípico, en Cuba, se inició en la ciudad matancera de Colón. Corrían los tiempos de la colonia y el ejército español mantenía una escuela de aplicación en dicha localidad. Los oficiales allí destacados, quizá para matar el aburrimiento, trazaron una pista y empezaron las competencias. Poco después se despertaba en Camagüey extraordinario interés por las carreras de caballos. Un camino recto sirvió de pista y se construyeron unos cuantos palcos que eran ocupados por militares españoles, sus familiares y algunos cubanos invitados. Fue entonces que, por primera vez, se efectuaron apuestas entre los espectadores.
Apostadores como tales, en realidad, no había, pero la gente se lanzaba de un palco a otro bolsitas que contenían, en onzas de oro, la cantidad estipulada en cada postura.
El hipódromo Oriental Park, inaugurado el 14 de enero de 1915, fue, en su momento, orgullo de Cuba y de América. En 1927 tuvieron lugar allí competencias memorables. Los premios instituidos para las carreras ordinarias no eran apetitosos. Pero los directivos de la empresa convocaron a una serie de eventos extraordinarios con recompensas altísimas. Eso hizo que muchos propietarios de las cuadras de Hialeah Park y Tropical Park trajeran sus caballos y el hipódromo habanero alojara a un nutrido grupo de ejemplares de alta clase, incluyendo a Extreme, ya muy famoso entre la afición cubana.
Entre esos caballos había uno, cubano, propiedad del periodista Manuel Braña. Se llamaba Malolo. No tenía condiciones para medirse con aquel grupo de pura sangre. Sin embargo, los derrotó a todos en los eventos extraordinarios gracias a la forma en que se mantuvo durante todas las competencias, lo que reportó a su propietario una bonita suma de dinero.
Ya en los años 40 el Oriental Park entra en crisis. La falta de estabilidad en su programación, el inflado presupuesto y la magnitud de los llamados gastos secretos empiezan a corroer la práctica del hipismo. Faltaban caballos cubanos pura sangre. Eran pocos los criadores del patio que se aventuraban con un caballo por el que, como mínimo, tendrían que esperar tres años para que empezara a dar sus frutos. En 1957 los propietarios del hipódromo querían vender sus terrenos a fin de que se urbanizaran. El negocio no llegó a concretarse porque pedían dos millones y medio de pesos por la propiedad. Eso hubiera dado lugar a la construcción de un nuevo hipódromo.

Ciro Bianchi Ross



domenica 9 febbraio 2014

È morto José Massíp

All'età di 88 anni, dopo lunga malattia è mancato "Pepe" Massíp, un'altro dei grandi del cinema cubano se n'è andato. Autore di diverse pellicole e gratificato da molti premi nella sua lunga carriera, ho potuto seguirlo da vicino nell'86 durante le riprese del suo film-odissea "Baraguá". Grande intellettuale e studioso, nei suoi lavori era sempre presente, sotto diversi aspetti e diverse epoche, la storia.

Cultura

CULTURA: ostruisce il deretano

sabato 8 febbraio 2014

Culmine

CULMINE: parte bassa di artefatti esplosivi

venerdì 7 febbraio 2014

Culminato

CULMINATO: deretano a rischio di esplosioni

giovedì 6 febbraio 2014

Ricevo e pubblico...

nuovo post con Franco Fondriest
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/05/da-cortina-a-modena-la-nostra-civilta-perfetta-alla-prova-di-un-blackout/869650/

Da Cortina a Modena, la nostra civiltà perfetta alla prova di un blackout

Spingi l’interruttore ed ecco si accende la luce; attacchi la presa ed ecco, frigo, freezer, lavatrice, lavastoviglie, televisione, computer, tutto funziona a meraviglia. Giri una levetta ed ecco la casa è calda alla temperatura giusta. Apri un rubinetto ed ecco che esce acqua potabile pronta da bere, ma volendo, anche calda per fare una doccia.

Scendi di casa, giri la chiave ed ecco l’ automobile, ruggente, pronta a partire.

Nella nostra civiltà (ma non in tutto il mondo, ricordiamocelo) queste sono certezze quotidiane di cui nemmeno ci rendiamo conto. Diamo per scontato che una cosa funziona, spesso senza neanche sapere come è fatta e cosa c’è dietro. Non pensiamo, per esempio quando facciamo il pieno, da dove viene la benzina, come è estratto il petrolio, men che meno come si è formato o se qualche militare in “missione di pace” fa la guardia per consentirci di girare in auto.

E nemmeno quando accendiamo la luce o uno dei tanti, ed a volte inutili elettrodomestici, ci chiediamo da dove venga l’energia e come sia stata prodotta. Per esempio, chi sa che per ogni kWh consumato ( una carica di lavatrice) indirettamente si bruciano 150 g di petrolio o quasi mezzo kg di inquinante carbone?

L’ importante è che acqua, elettricità e benzina siano sempre disponibili. Ma sarà sempre così? La nostra civiltà così perfetta, non è altrettanto fragile ed attaccabile?

Ma vediamo cosa sta accadendo in Italia; sì in Italia, non in Bangladesh.

Cortina, la perla delle Alpi e buona parte del Cadore, per giorni sono stati senza corrente elettrica a causa di una intensa nevicata; e in questi giorni la situazione si è ripetuta. Cosa ha voluto dire per i residenti ed i turisti?

Gli impianti di riscaldamento non funzionano, buio, frigo e freezer spenti, niente radio, televisioni, computer, niente ricarica dei cellulari (pare fosse questo il problema maggiore per molti, più che il freddo, luci spente a casa e fuori). Poi cose quasi buffe, emblema della nostra dipendenza dall’elettricità anche laddove non è necessario, per comodità (o pigrizia?) o per moda, dagli apriporta e cancello elettrici (senza un valido meccanismo alternativo manuale) alle tapparelle elettriche, per non parlare delle “ecologiche” moderne stufe a pellets, che funzionano solo con la corrente elettrica!

Insomma, tutti al freddo, al buio e senza comunicazioni. Con caccia a fiammiferi, torce, batterie, candele e perfino ceri da chiesa o lumini da cimitero.

Zona a nord di Modena, colpita da un’alluvione causato da intense piogge che hanno provocato il cedimento di un argine, una situazione che pochi si aspettavano, anche se le previsioni annunciavano la pioggia. Nessuno poi ha spiegato prima, alla popolazione, cosa è successo in passato nei nostri territori e i pochi che mettevano in allarme erano tacciati di cassandre catastrofiste.

Cosa ha voluto dire?

Per quanto riguarda l’energia elettrica, le stesse cose che a Cortina, con in più il singolare via vai di gommoni dei VVF per ritirare i cellulari, caricarli e restituirli; insomma, il freddo si sopporta, ma senza cellulare, SMS, facebook non si vive, perché è da lì che arrivano le notizie. Ma mentre là le auto erano solo coperte di neve e le strade bloccate, qui, molte auto sono state messe fuori uso anche definitivamente dall’ acqua e dal fango.

Quindi, sia a Cortina che nella bassa modenese si è sperimentato cosa vuol dire vivere senza auto: niente lavoro, niente spesa, niente figli accompagnati a scuola, niente visite mediche; insomma immobilità quasi totale in un paese che ha ridotto al minimo il trasporto pubblico a favore della mobilità automobilistica privata.

Va detto che la popolazione, gli emiliani che tengono botta, si è attivata e arrangiata, per sopperire alle mancanze delle istituzioni. Il car pooling è nato senza bisogno di essere finanziato da progetti europei, senza APP che fanno incontrare esigenze di sconosciuti, senza consigli di amministrazione e consulenze che si mangiano buona parte dei finanziamenti, ma semplicemente, come si è sempre fatto, dallo spirito di comunità e dall’amicizia. Qualcuno è tornato all’autostop, altri si sono resi disponibili nel tempo libero. Non un amministratore pubblico che abbia proposto di istituire, nell’urgenza, servizi di navette o bus. Eppure, si fa ai convegni, agli eventi sportivi, perfino alle conferenze del clima in poco tempo si organizzano reti di bus per i delegati. Ma non si fa per gli alluvionati o i colpiti dalle catastrofi. E neppure nessun amministratore che abbia messo a disposizione di chi ne aveva bisogno la propria auto blu, mentre le si vedono bellamente parcheggiata in piazza Mazzini, in piazza Grande e davanti al duomo.

E’ positivo che la gente si auto-organizzi, ed anche necessario, ma è penoso vedere anche in questo campo l’assenza delle istituzioni.

Comunque, i recenti fatti di Cortina e della bassa modenese sono stati una piccola ma significa prova per dimostrare quanto la nostra società sia tanto perfetta quanto fragile. Qualcuno dirà che l’Italia è allo sfascio, e forse è vero, ma situazioni simili sono successe con una grossa alluvione a Toronto o con le tempeste di neve o gli uragani a New York.

Insomma, tenere in casa qualche pila, qualche candela, torcia, batterie, una radio portatile e qualche scorta di viveri, compreso qualche bottiglia d’acqua, non è poi una cattiva idea. Del resto black out elettrici, di gas o acqua sono sempre possibili, non solo nelle catastrofi ma anche per guasti, per tensioni sociopolitiche magari lontane, per la mancanza di manutenzione delle reti, tipica delle società in declino.

Anche nella nostra perfetta società può succedere di tutto, ma dobbiamo e possiamo aumentare la nostra “resilienza” ovvero la capacità di subire shock senza (possibilmente) collassare come capitò all’impero Romano o ai Maya. E questo è ancora in mano ai cittadini.

luca lombroso
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Quasi ai nastri di partenza la Fiera Internazionale del Libro n° 23

Dal 13 al 26 prossimi si terrà, nel tradizionale spazio del complesso Morro-Cabaña, la 23ma edizione della Fiera del Libro che come sempre avrà appendici in tutte le province fino al 9 di marzo e manifestazioni collaterali in altre sedi come quella abituale del Pabellón Cuba de La Rampa.
Il Paese invitato d’onore quest’anno è l’Ecuador con la presenza del presidente Correa che lancerà il suo libro: “De banana republic a la no República” e terrà una conferenza magistrale all’Università dell’Avana il giorno 14 sul tema “El buen vivir en Ecuador”.
Da parte italiana è prevista la presenza degli editori Luciana Castellina, Ginevra Bompiani e Luca Formenton accompagnati da David Riondino.
Parteciperà anche Claudio Machetti che con Gianluca Mengozzi e Luca Spitoni, triade di architetti, è autore del libro: “Cuba, Scuole Nazionali d’Arte” (Edizioni Schirà) che verrà presentato il giorno 22, si spera anche col DVD di Francesco Apolloni, sempre sulle scuole di Cubanacan, nella cui spianata fra l’altro, si era esibito Zucchero Fornaciari.

Culinaria

CULINARIA: posteriore innalzato

mercoledì 5 febbraio 2014

Altra scossa di terremoto

Ancora una scossa di terremoto nel litorale nord cubano a est di Varadero, dove si erano già verificati fenomeni simili nelle scorse settimane. Il sisma è avvenuto alle 22.19 di ieri con una magnitudo di 4.3 gradi. È stato avvertito particolarmente a Varadero e Matanzas, ma non ha causato nessun danno a cose o persone.

Esordio del film "Conducta" di Ernesto Daranas

Ieri sera ho assistito all'esordio di un film...nuovo, si passi il gioco di parole. La pellicola di Daranas "Conducta" è un fatto veramente nuovo nel cinema cubano: è quello che si potrebbe chiamare un film di "denuncia", basato su storie reali, dove si mettono a nudo in modo crudo, quasi spietato e con grande evidenza alcuni problemi di non grande dominio pubblico, o quantomeno, che non vengono pubblicizzati dalle cronache come l'emarginazione, fra gli altri. Una grande interpretazione di Alina Rodríguez nella parte un'anziana maestra elementare che opera in un quartiere emarginato ed ha una scolaresca dove, dalla media degli alunni "normali", emergono due figure contrapposte: una bambina diligente e studiosa, la classica prima della classe e un bambino molto difficile. Entrambi hanno problemi seppure di diversa natura. Lei è arrivata col padre, un grande e onesto lavoratore, dall'Oriente cubano, sono dei "palestinos" all'Avana, non hanno una residenza e nemmeno un domicilio ufficiale, vivono nella semi clandestinità e questo preclude l'iscrizione regolare alla scuola dove, seppure l'istruzione è obbligatoria e garantita per tutti, secondo le "regole" si presta nei luoghi di residenza legale. Un'ostacolo che viene aggirato dalla "profe" con un'iscrizione fasulla, ma che le porterà conseguenze con la burocrazia scolastica che si uniranno a quelle causate dalla sua ostinazione a mantenere in classe il bambino "difficile" che vive con una madre alcolizzata, impasticcata e che vive di espedienti in un edificio fatiscente del centro storico dove nella soffitta si svolgono combattimenti di cani con relative scommesse e si svolge una lotteria clandestina. Il bambino, per contribuire al bilancio famigliare, alterna l'allevamento di piccioni viaggiatori alla cura e allenamento dei cani che poi verranno messi nel recinto a sbranarsi.
Inevitabile il formarsi di un carattere ribelle, in eterno conflitto con coetanei e adulti, cosa che gli crea problemi specie a scuola.
L'assistente sociale, chiamata ad intervenire, fa inviare il piccolo a un centro di rieducazione: un "escuela de conducta", da qui il titolo del film, ma la maestra reduce da un infarto che l'aveva allontanata temporaneamente dall'aula e quindi impossibilitata a fermare il trasferimento, si reca alla scuola per riscattare il suo alunno. Tutte queste vicende portano a una serie di complicazioni sempre maggiori per la maestra che lotta contro retaggi e contraddizioni che ritiene assurde e sopratutto dannose per l'educazione dei bambini. Non entro in dettagli ed evito di descrivere il finale dolce e amaro allo stesso tempo che comunque fa molto riflettere.
In conclusione un film drammatico e molto duro che viene stemperato qua e la da situazioni e battute tipicamente cubane che contribuiscono ad alleggerire una storia veramente "nuova" nelle opere cubane presentate in pubblico.

Culatta

CULATTA: terga metalliche

martedì 4 febbraio 2014

Con Pietro Resta il calcio italiano sbarca all'Avana

Ispirato da un articolo apparso su Juventud Rebelde di domenica scorsa, sono andato ad assistere ad un allenamento della squadra di calcio de La Habana per conoscere l'unico calciatore italiano militante in un campionato cubano. Faccio così conoscenza con il fiorentino verace Pietro Resta, 21 anni (beato lui) giunto a Cuba lo scorso 29 dicembre. Mi racconta, Pietro, di essere "cresciuto" nelle giovanili della Fiorentina e poi sbarcato a Padova per giocare in serie D. Un incidente stradale gli ha procurato la frattura di un femore, lunga sosta per recupero e riabilitazione e alla ripresa ha percepito di non avere grandi spazi in patria, così ha accolto l'invito del padre che frequenta Cuba da tempo per motivi di lavoro ed ha una moglie cubana. "Mi disse di aver parlato con l'allenatore de La Habana, Dariem Díaz, il quale gli ha detto che sarebbe stato ben felice di avermi qua anche perché il calcio cubano ha bisogno di un po' di tutto, dalla popolarità e diffusione internazionale ai mezzi tecnici ed equipaggiamenti. Con la mia presenza al di la delle prestazioni sul campo avrei anche potuto essere un piccolo aiuto internazionalista". Racconta Pietro e prosegue: "Una mattina verso le 10, mio padre venne a parlarmi con questi argomenti, alle 12.30 avevo già il biglietto in mano".
Alla ovvia richiesta di parlarmi delle sue eventuali difficoltà di inserimento mi ha detto che dal punto di vista psicologico non ne ha avute per quello che riguarda l'inserimento nel gruppo dove è benvoluto e rispettato da tutti, certo rimane il cambiamento più generale di ambiente e sopratutto di clima. Anche dal punto di vista tecnico non ha avuto problemi di inserimento si è trovato, anzi, sorpreso perché pensava di trovare un ambiente meno ferrato tecnicamente. Ha fatto e sta facendo un po' di fatica per via della preparazione fisica di cui era a corto, a causa della lunga sosta in Italia mentre ha trovato i suoi nuovi compagni già avanti fisicamente. Nelle partite, la differenza che ha notato, è che gli arbitri frammentano molto il gioco fischiando spesso anche quando sarebbe il caso di lasciar correre o applicare la regola del vantaggio e questo influisce sulla fluidità degli incontri.
Verso la metà dell'allenamento, Pietro, è stato vittima di una storta per cui non ha potuto terminare con i compagni. È questo uno degli aspetti negativi: i terreni di gioco. Spesso veri e propri percorsi di guerra cosparsi di buche, dislivelli o ciuffi d'erba ribelle che oltre ad imprimere strane traiettorie al pallone possono produrre infortuni per i quali non ci sono nemmeno i mezzi di pronto soccorso a cui si è abituati nel calcio dei Paesi sviluppati e bisogna arrangiarsi con metodi empirici e prodotti antinfiammatori comuni. Naturalmente si parla di lievi incidenti, in malaugurati e per fortuna rarissimi casi di infortuni seri, allora entra in ballo il sistema ospedaliero che è un altro discorso.
Per la cronaca, il campionato di Prima Categoria (serie A) è iniziato da due giornate e La Habana conta con una vittoria in casa per 3 a 1 con Ciego de Ávila e un pareggio per 1 a 1 a Cienfuegos. Sabato prossimo faranno visita a Camagüey. Ce la farà Pietro ad assorbire la storta?
Speriamo di si e facciamogli tanti auguri per una lunga carriera nel calcio cubano.


Una fase dell'allenamento, prima dell'infortunio di Pietro





Dopo la seduta di allenamento, ascoltando i suggerimenti e consigli tecnici dell'allenatore Dariem Díaz.

Cugino

CUGINO: con il Gino (Meridione)