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venerdì 8 agosto 2014

Primo Wi-Fi Cafè all'Avana

Fonte: Cuba contemporanea

Modas Café: el primer restaurante wi-fi de Cuba

Acaba de abrir y promete ser uno de los sitios más sugerentes dentro de esa gran gama de negocios gastronómicos de todo tipo que vienen floreciendo en la Cuba de estos tiempos, bajo el sello de la iniciativa privada. Modas Café llega con un concepto muy innovador: el del menú y el servicio digital; concepto que todavía hoy es revolucionario en Asia y Europa, y que en nuestra isla caribeña huele a pura modernidad, se siente como aire fresco.
Me alegró saber de su ubicación en una de esas calles famosas aunque venida a menos de la Habana Vieja: el bulevar de San Rafael. Justo en su esquina con Consulado, en el espacio que ocupó primero la conocida peletería Ingelmo y luego alguna que otra tienda sin trascendencia, surgió este proyecto que inició la diseñadora y estilista Raquel Expósito, con su atelier de modas en el piso inferior, complementado ahora con un curioso bar-restaurante que sorprende por su propuesta vanguardista.
Confiesa Raquel que cuando le concedieron el alquiler del local completo, a través del Fondo de Bienes Culturales, pensó siempre en que sus diseños y propuestas de alta costura iban a combinar muy bien con un pequeño lugar en el piso superior donde el cliente pudiera disfrutar de buena gastronomía y coctelería. El sueño se le hizo realidad en talla extra y con reforzados pespuntes: escaleras arriba, pasando por su salón de coloridos catálogos, perchas largas y probadores, un grupo de jóvenes apasionados ha abierto el primer restaurante wi-fi del país.
Lo contó esa emprendedora mujer al equipo de Cuba Contemporánea en la jornada de la inauguración, mientras disfrutábamos de un maridaje perfecto entre música, vinos del viejo y el nuevo mundo y pequeñas muestras de una cocina fusión en la que se adivina el gusto por lo gourmet, lo exquisito, y aflora fuerte la creatividad de un chef que confesaría un poco más tarde: “no tengo límites en gastronomía, me gusta probarlo y combinarlo todo”.
En realidad, la invitación para conocer este lugar había llegado a nuestra redacción de parte de su gerente general, Yoendris Hortas Morejón, quien nos adelantó algo sobre el novedoso sistema inalámbrico instalado dentro de Modas Café, permitiendo a los clientes ordenar absolutamente todo, incluyendo la cuenta, gracias a un dispositivo de pantalla táctil que encuentran junto a sus mesas.

No hay que decir que a puro golpe de dedo fuimos explorando  toda la carta digital, disponible en español, inglés y francés, y que tiene incorporadas imágenes de los platos y bebidas, más detalles de precios, ingredientes, calorías que aportan e información sobre el modo de preparación. Descubrimos que además de interactiva es bien ámplia la oferta, pues incluye desde tapas variadas, panadería y pizzería hasta entrantes, alternativas diversas de cocina de plancha y fuego, guarniciones, postres, helados, más bebidas no alcohólicas y alcohólicas y una carta de vinos.
Con un simple clíck, en Modas Café se puede votar también por la calidad de lo consumido,  verificar el estado de nuestra cuenta, o elegir la música con la que se quiere acompañar la velada, o quizás algún audiovisual que nos resulte interesante. Una idea que merece aplausos prolongados es que en ese apartado han incorporado animados para entretener a los niños.
El concepto del restaurante moderno que se revela al visitante desde el primer impacto visual con el diseño de este local, minimalista y sobrio, se completa así con la experiencia de la exploración y el pedido digital. “Aquí el camarero soy yo”, reza en un cartel en la pared, bajo una especie de androide verde, y precisamente ese será el principio: regirá allí la tecnología para garantizar mayor rapidez en el servicio, con solo una persona sirviendo por turno.
Esto último lo explicó rápidamente el gerente general de Modas Café mientras iba y venía recibiendo invitados y ultimando preparativos. Luego supimos que no es un improvisado en el mundo de la culinaria cubana, pues su otro restaurante, Mango Habana, ostenta numerosos reconocimientos, entre ellos un certificado de excelencia otorgado este año por el famoso portal TripAdvisor.
En la despedida de aquella noche les deseamos a él y a Raquel un futuro próspero con este nuevo negocio, y volvimos a alegrarnos por las luces claras y vivas con las que han iluminado una conocida esquina de la otrora importante arteria comercial de San Rafael.


 Nota dell'autore del Blog:

Per chi non comprendesse lo spagnolo, il nome del ristorante non tragga in inganno. Non si tratta, infatti, di un "cyber caffè" e non si offre la possibilità di connessione alla rete, ma si tratta di un sistema per ordinare dal tavolo con l'aiuto di schermo e tastiera. Comunque una novità abbastanza rilevante per Cuba.




giovedì 7 agosto 2014

I sogni nel cassetto 2


Fonte: nuke.mollotutto.com

TRASFERIRSI A VIVERE E LAVORARE A CUBA
Marco Mazzucchelli vive e lavora a Cuba dove è direttore generale di 2 alberghi
Di Maria Valentina Patanè 12/06/2012













Marco Mazzucchelli vive e lavora a Cuba dove è direttore generale di 2 alberghi.
Dopo un diploma di liceo scientifico e studi d’amministrazione d’impresa all’estero, Marco con il suo spirito di avventura decide di partire per varie mete tra cui Repubblica Domenicana, Juan Dolio, Santo Domingo, Rio S. Juan e infine Cuba dove lavora e risiede attualmente… questa la sua 

esperienza.



Ciao come ti chiami?
Ciao sono Marco Mazzucchelli e ho 42 anni.

Da quanto tempo  ti sei trasferito a Cuba?
Nel 1996 mi trasferì in Repubblica Domenicana, esattamente a Las Galeras De Samaná, dove ho ancora una casa. Ho vissuto lì fino al 2001, dopodiché mi trasferii a Juan Dolio, per ragioni di lavoro. Da lì a Santo Domingo, dopodiché nuovamente a Samaná; poi a Rio S.Juan e dal 2008 Cuba, dove risiedo attualmente.

Perché hai scelto proprio Cuba per cambiare vita?
Ci ero stato in vacanza ed avevo visto la possibilità di ritagliarmi uno spazio.

Dove vivevi in Italia?
Vivevo a Genova.

Hai studiato e avuto il tuo diploma a Genova?
Sì, ho un diploma di Liceo Scientifico a Genova, e studi di Amministrazione d´impresa  all'estero.

Come mai hai deciso di andare via dall’Italia?
Avevo un desiderio di provare qualcosa di diverso e spirito d´avventura.

E’ stato difficile ambientarsi a Cuba?
All'inizio lo é stato. Avevo solo 26 anni, non conoscevo la lingua e calarsi in una realtà  profondamente diversa da quella Italiana non è stato semplicissimo. Comunque tutte le difficoltà aiutano a crescere.

I tuoi parenti e amici più stretti cosa ti avevano consigliato?
Consigli non me ne hanno dati, o almeno non ricordo. La maggior parte pensavano stessi facendo un errore.

Com’era la tua giornata tipo in Italia?
La mia giornata tipo in Italia... é passato tanto tempo ed ero molto giovane... direi lavoro, la compagnia di amici, la fidanzata, la Sampdoria... non necessariamente in questo ordine.

Di cosa ti occupi ora esattamente?
Sono Direttore Generale di 2 alberghi della Catena Meliá Hotels Internationals in Cuba.

Sei soddisfatto del tuo nuovo lavoro a Cuba?
Molto. Amo il mio lavoro, a prescindere dal fatto che mi assorbe quasi tutta la giornata.

Quali sono i tuoi hobby?
La Pesca subacquea

Vivi da solo o hai una tua famiglia?
Attualmente convivo.




Come ti trovi a vivere a Cuba, lo consiglieresti ad altri Italiani per una vacanza o per viverci?
Per una vacanza assolutamente. Cuba é un paese bellissimo, con sapori autentici ed una cultura che non ha uguali nei Caraibi. Tra l'altro, é molto sicuro; cosa che non si può dire di molti altri posti a queste latitudini. Per quanto riguarda la possibilità di viverci, conosco molti Italiani che risiedono qui, più che altro a La Habana, però ce ne sono in tutte le provincie. Per viverci? Perché no?

Hai avuto difficoltà nel tuo trasferimento a Cuba?
No, comunque é giusto sottolineare che si é occupata di tutto l´impresa che mi ha  contrattato. Sono entrato con un permesso di lavoro.

Come ti immagini tra 20 anni?
Francamente, non ne ho idea. Non amo guardare così avanti nel tempo. Mi auguro la  salute, il resto si vedrà.

Sei rimasto in contatto con i tuoi parenti e i tuoi amici Italiani?
Certo che si! Molti unendo l´utile al dilettevole sono venuti a trovarmi in questi anni ed io torno in Italia in vacanza spesso.

Che ne pensi di Facebook, Skype, ecc… li utilizzi?
Le reti sociali sono vitali nel mio lavoro. A livello personale, uso Facebook…  per le altre  qua  é un poco complicato.

Cosa ti manca della tua città, ne hai nostalgia?
Di tante cose... ovviamente la famiglia e gli amici; certi posti che rappresentano ricordi piacevoli, certi sapori della mia terra... e la mia amata Sampdoria.

Sapresti descrivermi 3 culture di Cuba?
Cuba é il risultato di una mescola di varie culture. Tra le più presenti,
la Spagnola, la Africana e poi tracce di altre, come per esempio la nostra.

Cosa ti piace di più’ di Cuba?
Che il Cubano, nonostante gli enormi problemi con cui convive non perde il buon umore. Un altro aspetto che merita essere citato é il livello culturale della popolazione. Generalmente più alto della media del continente.

Ci vivono molti Italiani a Cuba nella zona dove vivi tu?
Attualmente, vivo in un atollo a 52 km da Caibarien, nella provincia di S. Clara. Ovviamente, qui ci sono solo installazioni turistiche e non ci vive nessuno, eccetto noi che ci lavoriamo.
Nella provincia Italiani ce ne sono, anche se non credo tanti come a La Habana, Matanzas o Holguin.



Quali sono le maggiori differenze di vita che vedi tra l’Italia e Cuba?
Cuba é un paese che soffre da decenni la decisione degli USA di danneggiarlo economicamente, impedendogli accedere ai mercati Internazionali, per cui le ripercussioni nel quotidiano sono enormi.
Ciononostante, o sarà proprio per questo, le relazioni interpersonali sono più vere e sincere. Più che esempi che lasciano il tempo che trovano, la forma di vivere qua  mi ricorda molto quella del paesino di campagna dove andavo in estate da bambino. Tutti che si conoscono e si aiutano; nessuno che si preoccupa di chiudere la porta quando esce di casa. I bambini che giocano in piazzetta o nei prati e le persone che fanno notte parlando, sedute al ciglio della strada.

Sei più tornato in Italia a trovare famiglia e amici?
Diverse volte in vacanza. L´ultima a settembre dell'anno scorso.

Torneresti mai a vivere in Italia?
Mai dire mai, comunque a corto raggio non credo proprio.

EMAIL: 
marcomazzucchelli69@hotmail.it

Direttore degli alberghi:
Meliá Cayo Santa Maria e Meliá Buenavista, in Cayo Santa Maria


Di Maria Valentina Patanè 12/06/


Interdipendente

INTERDIPENDENTE: accanito tifoso neroazzurro

mercoledì 6 agosto 2014

Inospitale

INOSPITALE: ci si va quando si è malati

martedì 5 agosto 2014

Aperti i voli da Bogotá all'Avana

Fonte: Cuba Contemporanea
Avianca expande servicios a La Habana
Por Redacción
5 Agosto, 2014 - 07:25
La aerolínea colombiana Avianca informó que desde finales de julio expandió sus servicios a La Habana. La compañía incrementó desde cuatro a cinco los vuelos semanales entre Bogotá y la capital cubana.
El aumento de las frecuencias de Avianca a La Habana significa que se añaden 200 plazas semanales en la ruta entre ambas capitales.
La Habana es uno de los destinos de la aerolínea en el Caribe, donde también opera vuelos directos a Aruba, Cancún, Curazao, San Juan, Punta Cana y Santo Domingo.
Además, Avianca opera vuelos directos cinco veces a la semana entre La Habana y Lima, y seis frecuencias semanales entre la capital cubana y San Salvador.




I fratelli del cinema di animazione cubano

Fonte:Cuba Contemporanea
Juan Padrón y el cine cubano de animación



Por Luciano Castillo
4 Agosto, 2014 - 06:12
Quiso el azar que a dos hermanos matanceros correspondiera registrar en la historia del cine cubano sendos largometrajes de animación: Juan Padrón realizó Elpidio Valdés (1979), el primero en su categoría producido en la Isla, y Ernesto Padrón logró finalmenteMeñique (2014), el primero en 3D, que esperamos marque un antes y un después en el devenir del cine criollo de animación. Realicemos un flashback en torno al primero de ellos y su inserción en la cinematografía nacional.
Salvo muy esporádicas expresiones -en particular la creación de un efímero estudio en Santiago de Cuba hacia 1946-, en el período pre-revolucionario el cine de animación era una rara avis en la escuálida producción cinematográfica de la Isla.
Con el surgimiento de la televisión, los dibujos animados son reactivados como elementos indispensables para la propaganda comercial. Un año después de su constitución, en 1960, el ICAIC crea el Departamento de Animación, que reúne a un grupo de entusiastas: el caricaturista Jesús de Armas (1934-2002), Manuel Lamar (Lillo), el diseñador valenciano Eduardo Muñoz Bachs (1937-2001), José Reyes y Hernán Henríquez.
Los dos primeros cortos producidos de inmediato: El maná y La prensa seria, reflejan satíricamente el torbellino de transformaciones que se operaba alrededor. En esta primera etapa con predominio de la parodia prevalece el diseño geométrico, los trazos bruscos y una gran libertad expresiva en el uso del color, según señala el estudioso Roberto Cobas. Se advierte, además, la influencia de los dibujos animados de la televisión norteamericana.
La cosa (1963), realizado por el australiano Harry Reade, residente en Cuba en esta etapa, es el primer título en obtener un reconocimiento internacional al ser escogido como Filme Notable del Año en Londres.
Al año siguiente comienzan a influir en el cine cubano de animación algunas tendencias del arte contemporáneo aplicadas al abordaje de conflictos intimistas, al mismo tiempo que la impronta del cine de animación europeo que llega a Cuba, sobre todo procedente del campo socialista, en especial de Hungría, Polonia y Checoslovaquia.
Ese proceso de intelectualización, recurrencia al simbolismo y excesiva valoración del diseño es reflejado en obras de gran valor estético pero de limitada comunicación popular, sobre todo Un sueño en el parque (1965), del escritor Luis Rogelio Nogueras, y El poeta y la muñeca (1967), concebida por Tulio Raggi (1938-2013), uno de los más prolíficos creadores, quien ese mismo año emprende una línea de trabajo destinada al auditorio infantil.
Paralelamente a esta labor in crescendo, desde 1963 aparecían en una revista de la juventud cubana las caricaturas del joven Juan Padrón (nacido en 1947), poseedor de una innata destreza para el dibujo y un arraigadísimo sentido del humor. Nunca cursó estudios de pintura, aunque se graduó como Licenciado en Historia del Arte en la Universidad de La Habana, pero la aceptación del trabajo firmado por Padroncito le posibilitó extenderlo a cuatro publicaciones de historietas y creó sus primeros personajes: el samurai Kashibashi y el extraterrestre Barzum.
En el suplemento humorístico “El sable” del diario Juventud Rebelde descubre la vertiente preferida de su imaginación: el humor negro, que comunica a sus numerosos chistes protagonizados por verdugos y vampiros. No sospechaba entonces que harían de las suyas en las calles habaneras de los años 30 en un delirante largometraje: ¡Vampiros en La Habana! (1985), toda una película de culto.
Pero mucho antes, en 1970, con su dominio de la línea y de los detallados fondos, surge de sus manos en el semanario infantil Pionero un personaje emblemático que conquistaría a todos: Elpidio Valdés, ingenioso mambí en lucha contra el colonialismo español.
Padrón se entrenó como camarógrafo de mesa de animación antes de que sobre su caballo Palmiche saltara su aguerrido y carismático mambisito, machete en mano, de las páginas a la pantalla en Una aventura de Elpidio Valdés (1974), título que significa el inicio de su trabajo en el ICAIC y de una prolífica serie de cortos animados. Alterna las peripecias de Elpidio Valdés, devenido el personaje por antonomasia del cine cubano de animación, con otros cortos de no menor significación como N’Vula (1981) y ¡Viva Papi! (1982). Sus intercambios con los niños incidieron en la complejidad de los guiones y la elevación del nivel de los chistes.
Cinco años más tarde concibe su primer largometraje: Elpidio Valdés, pionero en su categoría realizado en Cuba, objeto de una cálida recepción de crítica y público por su muy bien estructurado guión salpimentado con abundantes dosis de chispeante humor criollo y un ritmo dinámico. Al año siguiente surge la hilarante serie de dibujos animados para adultos Filminutos, iniciada por Padrón pero que pronto incorpora a los más importantes realizadores: Mario Rivas, Tulio Raggi, Mario García Montes… e intenta nuclear a importantes humoristas.
A partir de 1985 le siguió la no menos exitosa Quinoscopios, cuando el caricaturista argentino Joaquín Lavado (Quino) descubrió sorprendido en Padrón y su equipo a las personas idóneas para captar la línea y la psicología de sus personajes y situaciones y, al mismo tiempo, enriquecerlos en la animación, en un vínculo mutuamente fructífero. Esta colaboración inicial propiciaría el filme Mafalda (1994), que compiló en su argumento ciento cuatro chistes animados con los afamados caracteres creados por Quino.
Una década antes y entre ambas series muy difundidas en todo el mundo, Padrón realizó doce mil dibujos paraElpidio Valdés contra dólar y cañón (1983), su segundo largometraje. En los diez mil de ¡Vampiros en La Habana!depuró el diseño de bocas, caras, manos, pies...
Una de las virtudes de Padroncito es la versatilidad para abordar cualquier tema con distintas gradaciones del humor y un estilo y ritmo inconfundibles, fiel a su principio de que “hacer una historieta es hacer cine y viceversa”.
Su afán por el rigor histórico le condujo a reunir tantos datos en sus investigaciones que el resultado se convirtió en El libro del mambí (1976), y le permitió, además, ser nombrado asesor para cuestiones bélicas del filme Baraguá(1986), de José Massip.
Una síntesis de la serie televisiva en seis capítulos Más se perdió en Cuba (1995) originó el tercer largometraje sobre el veterano Elpidio Valdés: Contra el águila y el león, en el cual se advierten síntomas de agotamiento y un humor menos efectivo al dejar de ser los españoles -ahora coproductores- el blanco de sus bromas.
Simultáneamente a la obra de un creador de la talla de Juan Padrón, otros realizadores formados sobre la marcha contribuyen a elevar el nivel cualitativo y la repercusión internacional del cine cubano de animación.
La pluralidad temática, la riqueza del diseño, las exploraciones de las posibilidades expresivas de la cámara, el uso de la música, las búsquedas en las técnicas de animación, nutridas con las nuevas tecnologías, son rasgos señalados a una producción plena de aliento creativo que ha aportado obras notorias al cine de animación contemporáneo.
La especial atención prestada por el ICAIC a esta vertiente alcanzaría mayores resultados con la creación de los Estudios de Animación, pero, al decir de Kipling, esa ya es otra historia…


Inoculare

INOCULARE: dentro al mirino di visione

lunedì 4 agosto 2014

L'accogliente scantinato di Nuñez Rodríguez

È appena apparso un libro di Enrique Nuñez Rodríguez. Si intitola El vecino de los bajos (Il vicino del piano di sotto, n.d.t.) e comprende 99 delle cronache che il suo autore pubblicò nell’edizione domenicale di Juventud Rebelde tra il 1987 e il 2002 che fu l’anno della sua morte.
Nuñez Rodríguez ebbe una lunga e fruttifera collaborazione con questo giornale. La colonna che vi mantenne, nutrì quasi tutti i suoi libri, da quelli molto popolari Yo vendí mi bicicleta (1989) e Mi vida al desnudo (2000) fino ai meno ricordati Oyee, como lo cogieron (1991) e Gente que yo quise (1995). Ma rimase molto materiale, suo, negli archivi del quotidiano e da lì si estrassero le cronache che conformano questo volume appena pubblicato.
Ma perché questo titolo di El vecino de los bajos, pubblicato dalle Edizioni Union?
Succede che per diversi anni, Enrique, mantenne il suo spazio in quello che chiamò “l’accogliente scantinato” della terza pagina del giornale della domenica, mentre i piani superiori si riservavanoa Gabriel García Márquez. Qunado finirono le valide collaborazioni dell’autore di Cent’anni di solitudine, la direzione del giornale offrì il “piano di sopra” a Enrique. Alcuni fedelissimi lo incitarono a reclamare lo spazio che lasciava il colombiano. L’antichità, la costanza e la lunga permanenza nel lavoro – dicevano i lettori – concedevano a Enrique il diritto alla promozione.
L’umorista declinò l’offerta della direzione del giornale e disattese la domanda del pubblico. Addusse che “non è facile, nel giornalismo, accreditare una colonna e stabilire fra i lettori l’abitudine di cercarla nella stessa pagina e nello stesso posto”. Aggiunse che era allergico ai traslochi e che il trasferimento di posto all’interno della pagina non si confaceva col suo “sedentarismo abitazionale”. In fine espresse al direttore di JR che “le cadute dai piani bassi, sono meno dolorose”.
D’altra parte, questo scantinato, gli permise di essere un “invidiabile osservatorio verso l’alto”. Da lì si sentì più che compiaciuto con la compagnia di autori latinoamericani consacrati come Eduardo Galeano, Mario Benedetti e Arturo Alape, fra gli altri, che gli fecero mantenere “lo sguardo fisso verso l’alto”, allo stesso modo di giovani creatori cubani, come Leonardo Padura che gli diedero lezioni di buon giornalismo.

Aiutate l’artista cubano

Túpac Pinilla, nipote di Enrique Nuñez Rodríguez, redasse ed editò El vecino de los bajos. La gente richiedeva la riedizione dei libri dell’autore, completamente esauriti. Dopo aver rovistato negli archivi, Pinilla preferì mettere alla luce questi 99 testi. Gli dette un ordine cronologico. La distribuzione delle cronache attraverso gli anni non è equilibrata in nessun modo, dichiara Pinilla. Così, per esempio, del 1990 si raccolgono 25 cronache e nove del 1996; ma solo quattro corrispondono al 2001 e tre all’anno 2000. “Quei periodi, meno rappresentati qua, furono il cantiere essenziale dei precedenti libri dell’autore”, scrive il compilatore.
Di cosa trattano queste cronache? Trattano semplicemente della vita. Sono pagine di ricreazione autobiografica, di memoria allo specchio, di evocazione di fatti e persone. Visione incisiva del fluire quotidiano. Peripezie e intimità del mondo dello spettacolo, del teatro, la radio, la televisione. Cronache scritte con disincanto, aliene a ogni tipo di lungaggine, senza pretese moralizzanti e nelle quali la risata è, a volte, un tremito inatteso e una stoccata a fondo. Nuñez Rodríguez, sottolinea Abel Prieto, non si è immischiato in questioni teoriche; si è limitato a ricordare e raccontare e così lasciò il suo apporto alla nostra permanente e instancabile definizione collettiva e polifonica di “il cubano”.
Enrique, dice lo stesso Abel nel prologo della opera, fu un cacciatore di esseri anonimi. I protagonisti delle sue pagine sono quindi giocatori di dadi e cercafortuna di ogni tipo. Giornalisti che inventano la notizia. Barbieri. Sorelle zitellone che fanno quasi a pugni per abbassarsi l’età. Il mutilato delle due mani che ha, senza ombra di dubbio, le impronte digitali nella sua tessera elettorale. L’ex recluso simpatico che uccide la moglie. Maestri, preti, ballerine, cuochi. Non manca il cantante dilettante che si esibiva a bordo di un autobus o in qualunque angolo e, dopo la sua attuazione, passava a rastrellare offerte con la scusa di “Aiutate l’artista cubano”.
Abel Prieto scrive che quando il cronista sceglieva il nucleo della sua pagina e del suo personaggio centrale, si collocava invariabilmente agli antipodi del giornalismo d’effetto. Adottava un punto di vista antagonista a quello del paparazzo a quello del cacciatore di scandali di “famosi” di “stelle”. In ogni caso, sottolinea Abel, Enrique sarebbe stato più un cacciatore di situazioni insignificanti che immediatamente risultavano interessanti.
Pagine attraversate dalla nostalgia. La fidanzatina che torna, profumata di gelsomino di El Cabo, dal profondo di un’ingenua e dolorosa tenerezza. L’amico dimenticato che percorre di nuovo le strade, in una notte di cammino, alla caccia di occhi che oggi guardano i nipotini. Il ragazzino di Quemado de Güines che conosce tutte le linee di autobus della capitale e di cui si inorgoglisce che il bottegaio dell’angolo lo chiami già col suo nome, nonostante per diplomarsi da avanero gli manca ancora di commettere il sacrilegio di soppiantare la cena della sera con il caffelatte e il pane e burro della colazione e lavarsi la mattina, prima di uscire per il lavoro, invece di farlo di sera come si fa nel resto del Paese.
Quando molta gente di località dell’interno si garantiva il biglietto di ritorno al paesello, se si disponeva a correre la propria avventura avanera, Enrique Nuñez Rodríguez compro il biglietto di sola andata senza ritorno e, in attesa del suo viaggio, vendette la sua bicicletta come modo di confermare a se stesso che per lui non ci sarebbe stato ritorno.
Diventerà avvocato all’Università dell’Avana e si sentì avanero fin dai suoi giorni di studente. L’Avana fu, per lui, non solo la Collina universitaria con i suoi 88 scalini verso la speranza e la pensione della calle San Miguel, 1023, che chiamava La Posada Maledetta dove, per 17 pesos al mese gli garantivano alloggio e tre pasti al giorno e gli restava un credito anche perché gli dessero un po’ di affetto. La sua Avana fu anche qualla del tram U-4, Playa-Stazione Centrale, quella del bottegone di Teodoro e l’hotel Andino, vicini all’università, il romanzo clandestino su scale oscure,il vestito pagato a rate e le manifestazioni studentesche. “Il fatto di aver visto i nostri figli nascere all’Avana – dirà più tardi – basterebbe di per sé perché non che non siamo nati qua, ci si senta avaneri”.

Il piattino di dolce

El vecino de los bajos evoca abitudini cubane profonde. Nella cronaca che intitolò Il dolce della domenica:
“Ci sono abitudini cubanissime che non dovrebbero sparire. Mia mamma fu un’eccellente preparatrice di dolci. Anche la nonna materna. Ricordo nomi che già non sento: rabbia feroce, sollevato, boniatillo vagabondo...
C’era allora la gradevole abitudine, tra vicini, di passarsi al di sopra del recinto un piattino con frittelle appena fatte o un pandolce fatto nel forno di casa che é un modo di dire, magari era cucinata nel tegame, perché avere un forno era così, come ostentare un titolo nobiliare...
In ciò di passarsi il piattino di dolce sopra il recinto, oltre a quanto significava in quanto a solidarietà umana, c’era una specie di religiosità; restituire il piattino, ma restituirlo vuoto costituiva un’infamante eresia. Così se si arrivava con marmellata di mango, doveva tornare con un dolce di latte, questo miracolo di teneri e deliziosi grumi, con la sua riga di cannella in rametto e un leggero tocco di buccia di limone”.
Il cronista seppe raccogliere senza amarezza la aspra quotidianità del periodo speciale e seppe, perfino, farci ridere in mezzo al dramma di sopravvivere che caratterizzò quel momento. Nelle pagine di questo libro, gli specialisti avvertono la risata riflessiva e filosofica dell’umorista. C’è anche presente la volontà dell’autore di provocare risa di botto, di farci passare un momento gradevole con quello che scrive come fa nella cronaca che intitola Nel bar, la vita è più gradevole.
Succede che Carlos Más, quell’attore che per averlo tanto interpretato rimase nel ricordo come il disoccupato della televisione, celebrava il suo compleanno nel bar del ristorante La Roca e siccome invitava tutti i suoi compagni dell’ICRT che passavano da lì, ad accompagnarlo nel condividere le bevute, il conto cresceva e cresceva ad ogni istante. Quando decise di andarsene e cercò il portafogli nella tasca, per pagare quello che aveva consumato si accorse, terrorizzato, di non averlo. Aveva già chiesto il conto e Richard, il cameriere glie l’aveva portato. Carlos Más spiegò la situazione e chiese che gli dette l’opportunità per andare a casa a prendere i soldi. Richard disse che non c’era nessuna opportunità e che doveva pagare il conto al momento. Carlos Más pregò e Richard rimase sulle sue. Fu allora che l’attore, disperato esclamò:
-Ma tu mi conosci, sono Carlos Màs.
E Richard, immutabile, rispose:
-E io sono Federico Engels e devi liquidarmi il conto.

Intrecciare la fune

Abel Prieto si dispiace, nel prologo, della pericolosa tendenza al dimenticatoio. Muore una figura profonda della nostra cultura e non tardiamo a vederla ad ogni istante sempre più distante e offuscata, nonostante gli si offra un ricordo fugace in occasione dei suoi anniversari. “Adesso per fortuna, rileggendo le cronache che Enrique ha pubblicato su Juventud Rebelde, compartiamo ancora quell’uomo dall’umore acutissimo e la parola scintillante e fluida che traspirava cubania da ogni suo poro ed era capace di dotare di equilibrio e senso anche l’aneddoto apparentemente più triviale”.
A misura che lavorava nella selezzione dei testi che conformavano El vecino de los bajos, Túpac Pinilla che è un lettore intelligente e critico acuto, si accorge dei feticci di suo nonno alla ora di “intrecciare la corda” che era come chiamava l’atto di scrivere – trucchi, manie e ossessioni -. Mentre avanzava, inciampava continuamente in un insistente frammento che si insinuava in qualunque cronaca, qualunque fosse il suo tema. Alludeva al bolerista Pablo Quevedo e diceva, con leggere varianti: “Quevedo non ha inciso dischi si è portato via la sua voce intima e piccola, come per proteggerla. Il suo ricordo si estinguerà con l’ultima testimonianza: ‘Quevedo se ne è andato. Della sua voce non rimane niente’. E con l’ultima testimonianza scomparirà, anche, quel mito lontano di sonore campanelle di cristallo”.
Túpac scrive: “La sua era un’allerta tenera e seria – molto pertinace – sulla fragilità dell’effimero, ma la sua sorprendente ricorrenza mi strappava le risate. Ebbene, voglio invitarvi a che, con queste stesse risate, tenere e serie avitiamo a Enrique il destino di Quevedo.
Lo scriba, con questa pagina, si aggiunge con modestia a questo proposito.


El sótano acogedor de Núñez Rodríguez

Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
2 de Agosto del 2014 18:42:40 CDT

Acaba de aparecer un libro de Enrique Núñez Rodríguez. Se titula El
vecino de los bajos y compila 99 de las crónicas que su autor publicó
en la edición dominical de Juventud Rebelde entre 1987 y 2002, que fue
el año de su muerte.
Tuvo Núñez Rodríguez una larga y fructífera relación con este
periódico. La columna que mantuvo en él nutrió casi todos sus libros,
desde los muy populares Yo vendí mi bicicleta (1989) y Mi vida al
desnudo (2000) hasta los menos recordados Oyee, como lo cogieron
(1991) y Gente que yo quise (1995). Pero quedaba mucho material suyo
en los archivos del diario, y de allí se sacaron las crónicas que
conforman este volumen recién publicado.
Pero, ¿por qué ese título de El vecino de los bajos, que publica
Ediciones Unión? Sucede que durante años, Enrique mantuvo su espacio
en lo que él llamó el “acogedor sótano” de la página tres del
periódico de los domingos, mientras que los “altos” se reservaban a
Gabriel García Márquez. Cuando se agotaron las valiosas colaboraciones
del autor de Cien años de soledad, la dirección del periódico ofreció
“el piso de arriba” a Enrique. Algunos seguidores le instaban a
reclamar el espacio que dejaba el colombiano. La antigüedad, la
constancia y la larga permanencia en el trabajo --decían los lectores--
concedían a Enrique el derecho al ascenso.
El humorista declinó la propuesta de la dirección del diario y desoyó
la demanda del público. Adujo que “no es fácil, en el periodismo,
acreditar una columna y establecer el hábito, entre los lectores, de
buscarla en la misma página y en el mismo sitio”. Añadió que era
alérgico a las mudadas y que el traslado de sitio dentro de la página
no se avenía con su “sedentarismo habitacional”. Por último, expresó
al director de JR, “que las caídas desde el piso bajo son menos
dolorosas”.
Por otra parte, ese sótano le permitió hacerse de “un envidiable
mirador hacia las alturas”. Desde allí se sintió más que complacido
con la compañía de autores latinoamericanos consagrados, como Eduardo
Galeano, Mario Benedetti y Arturo Alape, entre otros, quienes le
hicieron mantener “la vista fija en las alturas”, al igual que de
jóvenes creadores cubanos, como Leonardo Padura, quienes le dieron
lecciones de buen periodismo.

Ayude al artista cubano

Túpac Pinilla, el nieto de Enrique Núñez Rodríguez, compiló y editó El
vecino de los bajos. La gente reclamaba la reedición de los libros del
autor, todos totalmente agotados. Luego de bucear en los archivos,
Pinilla prefirió sacar a la luz esos 99 textos. Les dio un orden
cronológico. La distribución de las crónicas a través de los años no
es equilibrada en modo alguno, asegura Pinilla. Así, por ejemplo, de
1990 se recogen 25 crónicas, y nueve de 1996; pero solo cuatro
corresponden a 2001, y tres al año 2000. “Aquellos períodos menos
representados aquí fueron cantera esencial de los anteriores libros
del autor”, escribe el compilador.
¿De qué tratan esas crónicas? Tratan, sencillamente, de la vida. Son
páginas de recreación autobiográfica, de memoria espejeante, de
evocación de hechos y personas. Visión incisiva del fluir cotidiano.
Peripecias e intimidades del mundo de la farándula, del teatro, la
radio y la televisión. Crónicas escritas con desenfado, ajenas a todo
tipo de estiramiento, sin pretensiones moralizantes y en las que la
risa es, a veces, temblor inesperado y también una puntada a fondo.
Núñez Rodríguez, precisa Abel Prieto, no se inmiscuyó en cuestiones
teóricas; se limitó a recordar y contar, y así dejó su aporte a
nuestra permanente e incansable definición colectiva y polifónica de
“lo cubano”.
Enrique, dice el propio Abel en el prólogo de la obra, fue un cazador
de seres anónimos. Los protagonistas de sus páginas son entonces
jugadores de cubilete y buscavidas de toda laya. Periodistas que
inventan las noticias. Barberos. Hermanas solteronas que discuten casi
a puñetazos para rebajarse la edad. El manco de las dos manos que
tiene, sin embargo, huellas dactilares en su carné electoral. El ex
recluso simpático que asesina a su mujer. Maestros, curas, rumberas,
cocineros. No falta el cantante aficionado que hacía lo suyo a bordo
de un ómnibus o en cualquier esquina, y que luego de su actuación
pasaba el “cepillo” a la voz de “Ayude al artista cubano”.
Escribe Abel Prieto que cuando el cronista escogía el núcleo de su
página y su personaje central, se colocaba invariablemente en las
antípodas del periodismo efectista. Adoptaba un punto de vista
antagónico al del paparazzi, al del cazador de escándalos, de
“famosos”, de “estrellas”. En todo caso, subraya Abel, Enrique sería
más bien un cazador de situaciones insignificantes que resultaban, de
súbito, iluminadoras.
Páginas transidas por la nostalgia. La noviecita que regresa, olorosa
a jazmín de El Cabo, desde el fondo de una ingenua y dolorosa ternura.
El amigo olvidado que recorre de nuevo las calles, en noche de
verbena, a la caza de unos ojos que hoy miran nietos. El hijo de
Quemado de Güines que empieza a conocer todas las rutas de guagua de
la capital y que se enorgullece de que el bodeguero de la esquina lo
llame ya por su nombre, aunque para graduarse de habanero le falta aún
cometer el sacrilegio de suplantar la comida de la tarde por el café
con leche y el pan con mantequilla de los desayunos, y bañarse por la
mañana, antes de salir para el trabajo, en vez de hacerlo por la
tarde, como se hace en el resto del país.
Cuando mucha gente de localidades del interior se aseguraba el pasaje
de regreso al terruño si se disponía a correr su aventura habanera,
Enrique Núñez Rodríguez compró el boleto de venida, sin regreso, y, en
vísperas del viaje, vendió su bicicleta, como forma de confirmarse a
sí mismo de que no habría retorno para él.
Se haría abogado en la Universidad de La Habana y se sintió habanero
desde sus días de estudiante. La Habana para él fue no solo la Colina
universitaria con sus 88 escalones hacia la esperanza y la casa de
huéspedes de la calle San Miguel, 1023, a la que llamaba La Posada
Maldita, y en donde por 17 pesos mensuales le garantizaban hospedaje y
tres comidas diarias, y aún quedaba crédito para que le dieran un poco
de cariño. Su Habana fue también la del tranvía U-4 Playa-Estación
Central, la del bodegón de Teodoro y el hotel Andino, aledaños a la
Universidad, el romance clandestino en escaleras oscuras, el traje
pagado a plazos y las manifestaciones estudiantiles. “El hecho de
haber visto nacer a nuestros hijos en La Habana, diría más tarde,
bastaría por sí mismo para que los que no nacimos aquí nos sintamos
habaneros”.

El platico de dulce

Evoca El vecino de los bajos costumbres cubanas entrañables. Escribe
en la crónica que tituló El postre del domingo:
“Hay costumbres cubanísimas que no debieran desaparecer. Mi mamá fue
una excelente repostera. Mi abuela materna, también. Recuerdo nombres
que ya no escucho: mala rabia, subío, boniatillo sato...
“Había entonces, entre los vecinos, la agradable costumbre de pasarse,
por encima de la cerca, un platico con buñuelos recién hechos o una
panetela horneada en casa --lo cual es un decir: podía cocinarse en una
cazuela, porque tener un horno constituía algo así como ostentar un
título nobiliario...
“En eso de pasarse el platico de postre sobre la cerca, además de lo
que significaba en cuanto a solidaridad humana, había una especie de
religión: devolver el platico, pero devolverlo vacío constituía una
infamante herejía. Así, si llegaba con mermelada de mango, tenía que
regresar con dulce de leche, ese milagro de suaves y deliciosos
grumos, con su rajita de canela en rama y un ligero toque de cáscara
de limón”.
Supo el cronista recoger sin amargura la áspera cotidianidad del
período especial y hasta supo hacernos reír en medio del drama de
sobrevivir que caracterizó aquella etapa. En las páginas de este libro
advierten los especialistas la risa reflexiva y filosófica del
humorista. También está presente la voluntad del autor por provocar la
risa a secas, de hacernos pasar un rato agradable con lo que escribe,
como lo hace en la crónica que titula En el bar, la vida es más
sabrosa.
Sucede que Carlos Más, aquel actor que de tanto interpretarlo quedó en
el recuerdo como el cesante de la televisión, celebraba su cumpleaños
en el bar del restaurante La Roca, y, como invitaba a todos sus
compañeros del ICRT que pasaban por el lugar a que lo acompañaran a
compartir los tragos, la cuenta crecía y crecía por momentos. Cuando
decidió marcharse y buscó la billetera en el bolsillo para pagar lo
consumido, comprobó, horrorizado, que no la tenía. Había pedido ya la
cuenta, y Richard el camarero se la trajo. Carlos Más le explicó la
situación y pidió que le diera un chance para ir a su casa a buscar el
dinero. Richard adujo que no había chance alguno, que debía liquidar
la cuenta al momento. Rogó Carlos Más, y Richard en sus trece. Fue
entonces que el actor, desesperado, exclamó:
--Pero tú me conoces a mí. Yo soy Carlos Más.
Y Richard, sin inmutarse, repuso:
--Y yo soy Federico Engels y me tienes que liquidar la cuenta.

Trenzar la ristra

Se duele Abel Prieto en el prólogo de la peligrosa tendencia a la
desmemoria. Fallece una figura entrañable de nuestra cultura y no
tardamos en verla cada vez más distante y borrosa, aunque le
ofrendemos un recuerdo fugaz en ocasión de sus aniversarios. “Ahora,
por fortuna, releyendo las crónicas que publicó Enrique en Juventud
Rebelde, vamos a compartir de nuevo con aquel hombre de humor
agudísimo y palabra chispeante y fluida, que transpiraba cubanía por
cada uno de sus poros y era capaz de dotar de gravitación y sentido a
la anécdota en apariencia más trivial”.
A medida que trabajaba en la selección de los textos que conforman El
vecino de los bajos, Túpac Pinilla, quien es lector inteligente y
crítico agudo, advierte sobre los fetiches de su abuelo a la hora de
“trenzar la cuerda”, que era como llamaba al acto de escribir --trucos,
manías y obsesiones--. Mientras avanzaba tropezaba a ratos con un
insistente fragmento que se colaba en cualquier crónica, fuera cual
fuera su tema. Aludía al bolerista Pablo Quevedo y decía con ligeras
variantes: “Quevedo no grabó discos, y se llevó su voz íntima,
pequeña, como para protegerla. Su recuerdo se extinguirá con el último
testigo: ‘Ya Quevedo se ha marchado. De su voz no queda nada’. Y con
el último testigo, desaparecerá, también, aquel mito lejano de sonoras
campanitas de cristal”.
Escribe Túpac: “Era la suya una alerta tierna y seria --y muy pertinaz--
sobre la fragilidad de lo efímero, pero su sorpresiva recurrencia me
arrancaba la risa. Quiero invitarlos, pues, a que con esa misma risa,
tierna y seria, evitemos para Enrique el destino de Quevedo”.
El escribidor, con esta página, se suma con modestia a ese propósito.
 
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/



Café Presidente

Fonte TTC
Café Presidente: la versatilidad del glamour citadino

Por Marita Pérez Díaz
Fotos Alvite
22 Junio, 2014 - 11:59



Cuando Raúl Rosales y Mary Cabrera decidieron abrir su propio negocio, la premisa fue lograr algo “diferente”, y así nació, hace apenas seis meses, el Café Presidente, donde la excelencia del servicio, el glamour del espacio y la variedad de la carta cumplen las expectativas del más exigente.
Ubicado en la céntrica calle G, también llamada Avenida de los Presidentes, esquina a 25, en El Vedado, con acceso a parqueo y horario de 12:00 m. a 2:00 a.m., en muy poco tiempo este emprendimiento se ha convertido en uno de los sitios favoritos de habaneros y visitantes, tal vez por la singular conjunción de un ambiente con reminiscencias parisinas o madrileñas, la magnífica oferta y el trato respetuoso pero cálido proveniente de la mejor tradición cubana.  
Para Raúl, el éxito radica en la versatilidad del Presidente, que une a su privilegiada ubicación las bondades de un café especializado, un restaurante de alta cocina y un bar muy bien provisto.
“Hicimos una mezcla de carta principal con carta ligera, sin perder la coctelería y el café. La clave es esa sensación de estar en la calle, pero sin estarlo, con la claridad de los ventanales de vidrio transparente, algo que se usa mucho en Europa. Aquí se crea una complicidad, un clima especial, muy agradable, en medio de la ciudad”.
Su esposa Mary resalta los valores del lugar, no solo por céntrico, sino por su significación histórica, pues en el último piso del edificio vivió la familia de Eduardo Chibás, un carismático líder político, fundador del Partido Ortodoxo, y allí se prepararon muchas de sus populares transmisiones radiales en la primera mitad del siglo pasado. “Nos gusta tener esa historia para contar”, confiesa.


“Nuestros principales clientes son las familias y gente de negocios. Hay muchos extranjeros, pero también muchos cubanos. Algunos vienen directo desde el aeropuerto hacia acá. Para satisfacerlos pensamos en sus necesidades: si alguien viene con un niño pequeño tiene acceso a diferentes papillas; si unos jóvenes están apurados pueden comer un sándwich, una pizza o la hamburguesa especial de la casa; si es cuestión de negocios pueden tomar unos tragos o diferentes tipos de cafés, y si vienen a cenar en pareja pueden tomar un vino, comer un mignon, disfrutar de variedad en cualquier momento del día. Mientras el mundo afuera corre, aquí adentro pueden disfrutar del jazz, de una excelente comida y estar a la vez en una ciudad en movimiento”, explica Mary.
En cuanto al futuro del elegante Café Presidente, Raúl adelantó a Cuba Contemporánea nuevos proyectos:
“Estamos pensando en traer cantantes para actuar en vivo, y, también, en la posibilidad de abrir próximamente en horario de desayuno, algo muy demandado por los clientes. Muchos dicen que este es el mejor café de La Habana. No sé si será el mejor, pero sí te aseguro que está entre los mejores”.
Con esa seguridad nos despedimos de la joven pareja cubana, dueña de un espacio de altura presidencial.


Ingratitudine

INGRATITUDINE: non essere riconoscenti (Friuli-venezia Giulia)

domenica 3 agosto 2014

Ingolfare

INGOLFARE: indossare un indumento di lana

sabato 2 agosto 2014

Ingiustizia


INGIUSTIZIA: zia poco equanime

Conducta premiato a Giffoni


Il film "Conducta" Ernesto Daranas ha vinto, nella catgoria +13, il premio al Cinefestival di Giffoni (Salerno). Un premio prestigioso ricevuto nell'ambito della 43ma edizione di questo Festival dedicato al cinema per i giovani e giovanissimi.

venerdì 1 agosto 2014

La chat non funziona


Ho dovuto togliere la finestra di chat perché non vi era accesso al server. Ho provato ad installarne un'altra, ma con lo stesso risultato. Il "bloqueo" sarà di qua o di la? Questo è il problema. Nel frattempo, mercoledì sera un autoarticolato che trasportava un container ha tranciato i cavi dell'elettricità e del telefono all'angolo di casa mia. La compagnia elettrica ha provveduto rapidamente a riparare il danno e in poco più di un'ora avevamo di nuovo la corrente. ETCSA (telefoni) invece finora non si è nemmeno presentata sul posto con i suoi tecnici...Quando riavremo la linea nel quartiere? Anche questo è il problema.

Informazione

INFORMAZIONE: compagnia, plotone o squadra allineata e coperta