Translate

Il tempo all'Avana

+28
°
C
H: +28°
L: +23°
L'Avana
Lunedì, 24 Maggio
Vedi le previsioni a 7 giorni
Mar Mer Gio Ven Sab Dom
+28° +29° +29° +28° +29° +29°
+24° +24° +24° +24° +24° +24°

lunedì 9 marzo 2015

Prime Dame, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde dell'8/3/15

Prime dame

Lo scriba non può precisare, adesso, quando si cominciò a usare a Cuba il termine di Prima Dama per indicare la moglie del presidente della Repubblica. Suppone che fu durante il Governo del maggior generale Mario García Menocal y Deop ebbene, prima, nemmeno Genoveva Guardiola, moglie di Estrada Palma che fra l’altro era figlia i un presidente dell’Honduras, né América Arias, compagna di José Miguel Gómez e madre di Miguel Mariano, altro presidente, meritarono tale titolo.  Erano semplicemente le signore del primo cittadino. Fra il 1902 e 1958, si disimpegnarono nell’Isdola 19 presidenti. Alcuni di essi - Grau e Batista - detennero il potere in più di un’occasione e altri più a lungo di un periodo, come Menocal e Machado. Di essi, Grau, scapolone impenitente, non era sposato. Nemmeno lo era Andrés Domingo y Morales del Castillo, presidente decorativo tra agosto del 1954 e febbraio del 1955. Batista portò al Palazzo Presidenziale due prime dame, una alla volta.

Il coltello di Toyo

Fulgencio Batista conobbe quella che fu la sua prima moglie al Wajay, quando era uno dei soldati scelti per la guardia della residenza di campagna del presidente Alfredo Zasyas. Si chiamava Elisa Godinez. Con lei si installò nella casa segnata col numero 24 della calle Josefina, alla Vibora e poi cercò un appartamento sopra il café Cuchillo (coltello, n.d.t.) nella Esquina de Toyo. Il soldato vinse, per opposizione, un posto di sergente dattilografo e cominciò a lavorare come maestro nella stessa scuola dove aveva studiato, l’accademia di dattilografia San Mario, in Lealtad angolo Reina. Aveva un piccolo veicolo, giocava a domino coi suoi vicini e per arrotondare le sue entrate vendeva gioielli a rate. Ma la vita era cara e dura, Elisa contibuiva al bilancio famigliare con quello che dava il suo lavoro di lavandaia.
La coppia ebbe una relazione lunga, fino a che contrassero matrimonio nel 1936. Da quasta unione nacquero Mirta Caridad (8 settembre del 1927), Fulgencio Rubén (18 novembre 1933) e Elisa Aleyda (7 febbraio 1941). Di loro sopravvive solo Elisa Aleida che è impiegata all’ospedale Mount Sinai di Miami.
L”amore non fu eterno, indubbiamente. Ancora sposato con Elisa, Batista conobbe Marta Fernández Miranda della quale aveva tranquillamente nil doppio di età. Il militare andava già per il passaggio tormentoso dei 40 e lei non aveva ancora compiuto i 20. Si dice che l’automobile presidenziale, con batista a bordo, investí la ragazza mentre andava in bicicletta e che il romanzo nacque quando il Presidente la visitava in ospedale. Questo non va al di la di essere una leggenda. Non scrive niente in merito, Roberto Fernández Miranda nelle sue memorie intitolate Mis relaciones con el general Batista. La verità sembra essere che Marta - un’umile ragazza del quartiere Buena Vista a Marianao che era molto attiva e appariscente – faceva parte del seguito di Mary Morandeira, poetessa spagnola residente a Cuba e fu presentata al presidente dalla sua testa di legno Andrés Domingo Morales y del Castillo.
Batista allora ebbe, in modo parallelo, una relazione pubblica e una segreta. Con Elisa nel Palazzo e con Marta dove poteva. Fu allora che comprò una tenuta rustica di 17 cavallerie d’estensione, racchiusa al bordo dell’Autopista del Mediodía, la Carretera Central la carretera de Cantarranas a Entronque del Guatao e la strada che scorre da San Pedro a Punta Brava. La battezzò come Kuquine e incaricò l’architetto Nicolás Arroyo - che con l’andare del tempo sarà il suo ministro delle Opere Pubbliche e ambasciatore a Washington – l’esecuzione della casa d’abitazione della tenuta.
Quando uscí dalla presidenza, il 10 ottobre del 1944, Batista divorziò da Elisa Godinez. Alla signora toccarono undici milioni di pesos nella separazione dei beni. Si sposò con Marta il 28 novembre del 1945, nella cappella dell tenuta. Già allora, 19 agosto del 1942, era nato il primo dei cinque figli della coppia.

Donna América

Genoveva Guardiola de Estrada Palma non fu l’unica delle prime dame che nacque fuori da Cuba. Fuori nacquero anche Laura Bertinni moglie di Carlos Mnuel de Céspedes, figlio del Padre della Patria che non arrivò a un mese di presidenza e Marcela Cleard, la moglie di José Agripino Barnet y Vinajeras.
Il generale Alberto Herrera fu presidente dopo le dimissioni di Machado, tra il pomeriggio dell’11 agosto 1933 fino al mezzogiorno del 12. Lo sriba non trovò il nome di sua moglie. Elisa “Yoyó” Edelman, figlia di un presidente del Tribunale Supremo di Giustizia, era la moglie di Carlos Hevia Reyes Gavilán che passò 38 ore alla presidenza della Repubblica. Ancora più breve - solo sei ore – durò il mandato interino di Manuel Márquez Sterling, sposato con sua cugina Mercedes. Anche lui con una cugina, Elvira, contrasse matrimonio Gerardo Machado. Elvira sopravvisse diverse decadi a suo marito: morí con più di cento anni, nella decade del ’60 inoltrata. Furono tumulati in nicchie contigue nel cimitero di Woodland Park a Miami. Serafina Diago fu la moglie di Miguel Mariano Gómez che passò non più di sette mesi al potere.
Genoveva Guardiola non potette assistere alla presa di possesso di suo marito come presidente della Repubblica perché il protocollo di allora impediva la presenza femminile in questo tipo di cerimonie. Era tutta modesta e semplicità. Seduta in una seggiolina a dondolo rammendava, sul balcone di quello che fu il Palazzo dei Capitani Generali, i calzini di suo marito, il Presidente che nonostante la sua posizione, aveva solo tre vestiti.
Era piccola e magra. Usava le scarpe fino a consumarle e sfoggiava come unico gioiello la fede matrimoniale, un anello liscio, d’oro.
Mariana Seba de García Menocal, invece, spendeva con distinzione ed eleganza quello che suo marito rubava stando alla presidenza. A María Jaén, la moglie di Zayas, la soprannominavano María Centén perché dicevano che questa fosse la sua tariffa nelle allegre notti della gioventù. Era grassa, molto grassa,. Una notte, dopo una funzione d’opera, mentre abbandonava il Tatro Nacional, lo fece accompagnata dalle risa mal dissimulate della moltitudine che riempiva il teatro. I colori del suo vestito – blu celeste pallido e bianco – risaltavano l’esagerata grossezza della Pima Dama. Non poté né volle ignorare i lazzi di cui era oggetto e trattenendo il passo, ma senza guardare gli irriguardosi, esclamò; “È meglio causare risa che pianto”.
Carmela Ledón era una donna onesta e molto innamorata di suo marito, Carlos Mendieta (presidente provvisorio tra il 1934 e 1935), al punto che l’unica figlia che ebbe la coppia si sentiva come un’estranea davanti a quella coppia. Nessuno poté accusarla di mettere mano al Tesoro della nazione né di patrocinare ministri ladri. Peró non vide mai le macchie di suo marito, Leronor Montes – Monona – de Laredo Bru, adorna di tutte le virtù delle creole di buona famiglia e con tutte le loro limitazioni. Con i “piccoli risparmi” di suo marito, Monona fece costruire l’edificio di “N” nel Vedado.
América Arias de Gómez fu sempre Doña América. Renée Méndez Capote la ricordava semplice in mezzo a una gran fortuna crescente, sulla quale non le era permesso indagare da donde venisse né come aumentava. Durante la Guerra del 95 fu messaggera dei “mambises” e una sicura collaboratrice del marito quando, José Miguel, prima di trasformarsi nel pescecane che nuotava e schizzava, comandava nella sterpaglia la valorosa cavalleria di Santi Spiritus. Fu una gran cubana. Oggi, un busto perpetua la sua memoria nelle immediatezze dell’antico Palazzo Presidenziale e un ospedale materno avanero porta il suo nome.

Comandano le donne


Maria “Mary” Tarrero si disimpegnava come dattilografa del Senato e dei 54 senatori in funzione, si innamorò dell’unico che arriverà ad essere presidente, Carlos Prío Socarrás. Ebbero due figlie. Uno dei nipoti della coppia è consigliere del presidente Obama. La vedova di Prío morí a Miami il 23 settembre del 2010 a 85 anni d’età e fu sepolta assieme a suo marito nel cimitero di Woodland Park. Grau San Martín ripeteva in pubblico la frase “comandano le donne” e in privato che nonostante comandassero, non era necessario fargli caso. Quando occupò il posto di Primo Cittadino, la Prima Dama fu sua cognata Paulina Alsina e in altre occasioni, sua nipote Polita. Che non fosse sposato non voleva dire che non si innamorasse e fosse donnaiolo. Alla Méndez Capote – lo racconta lei stessa – la rinchiuse una volta nello studio presidenziale e le disse che se passava qualche giorno con lui le dava quello che volesse. Questo successe nel 1933. Con tanto di riuscire nei suoi propositi era disposto a imprigionare il marito alla Cabaña. Quando tornò al potere, nel 1944, la mandò di nuovo a cercare. Le promise una promozione nel lavoro e stipendio al Ministero dell’Educazione, al fine di ottenere ciò che si proponeva. “Io pazzo per te e tu sempre schivandomi...”. Un’altra volta la mandò a chiamare. Si trovarono nel Placio las Damas del Buen Vecino e lí ci sarebbe stato anche l’ambasciatore nordamericano Braden. Racconta Renée nel suo libro Por el ojo de la cerradura: “Successe una cosa tra l’imbarazzante e il terribile: mentra l’ambasciatore faceva il suo discorso che non potevo già ascoltare per mancanza di concentrazione, il Presidente della Repubblica che mi aveva fatto l’onore di collocarmi alla sua destra, in piedi dietro la sua scrivania e contro la parete, per tutto il tempo che lo yankee occupò a dire le sue scemenze mi massaggiava le natiche con slancio. Io non potevo, senza suscitare scandalo, togliermi dal posto d’onore in cui mi aveva posto, rendendomi onore davanti a una società che mi ripudiava”. Anni dopo, Grau fece colpo nell’opinone pubblica quando si fece ritrarre in costume da bagno a Varadero assieme a Lina Salomé, scultorea e curvilinea vedette cubana. Fotografie, naturalmente, riprodotte dalla stampa. “Il vecchio” si difese: “Forse un’artista non ha il diritto di ricevere da me le stesse attenzioni che merita una rispettabile dama della nostra società?” E commentò per quelli che ribattevano che data la sua condizione di ex presidente non doveva esibirsi in costume da bagno: “E cosa volevano? Che mi vestissi col frac o in giacca e cravatta per andare in spiaggia e a fare il bagno?”.


Primeras Damas
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
7 de Marzo del 2015 20:40:52 CDT

No puede precisar ahora el escribidor cuándo comenzó a utilizarse en
Cuba el término de Primera Dama para designar a la esposa del
presidente de la República. Supone que fue durante el Gobierno del
mayor general Mario García Menocal y Deop, pues antes ni Genoveva
Guardiola, esposa de Estrada Palma y que, por cierto, era hija de un
presidente de Honduras, ni América Arias, compañera de José Miguel
Gómez y madre de Miguel Mariano, otro presidente, merecieron tal
título. Eran sencillamente las señoras del primer mandatario. Entre
1902 y 1958, 19 presidentes se desempeñaron en la Isla. Algunos de
ellos --Grau y Batista-- detentaron el poder en más de una ocasión, y
otros, a lo largo de más de un período, como Menocal y Machado. De
ellos, Grau, solterón empedernido, no estaba casado. Tampoco lo estaba
Andrés Domingo y Morales del Castillo, presidente decorativo entre
agosto de 1954 y febrero de 1955. Batista llevó al Palacio
Presidencial a dos primeras damas, una cada vez.

El cuchillo de Toyo

Fulgencio Batista conoció a la que sería su primera esposa en el
Wajay, cuando era uno de los soldados destacados en la custodia de la
residencia campestre del presidente Alfredo Zayas. Se llamaba Elisa
Godínez. Con ella se instaló en la casa marcada con el número 24 de la
calle Josefina, en la Víbora, y buscó luego un apartamento en los
altos del café El Cuchillo, en la esquina de Toyo. Ganó el soldado,
por oposición, una plaza de sargento taquígrafo y comenzó a laborar
como maestro en la misma escuela donde había estudiado, la academia de
taquigrafía San Mario, en Lealtad casi esquina a Reina. Tenía un
cacharrito, jugaba al dominó con sus vecinos y para redondear las
entradas vendía joyas a plazo. Pero la vida era cara y dura, y Elisa
contribuía al presupuesto familiar con lo que le reportaba su oficio
de lavandera.
Tuvo la pareja una prolongada relación hasta que contrajeron
matrimonio en 1936. De esa unión nacieron Mirta Caridad (8 de
septiembre de 1927), Fulgencio Rubén (18 de noviembre de 1933) y Elisa
Aleida (7 de febrero de 1941). De ellos, solo sobrevive Elisa Aleida,
que es empleada del hospital Monte Sinaí, de Miami.
El amor no fue eterno, sin embargo. Casado aún con Elisa conoció
Batista a Marta Fernández Miranda, a la que descansadamente doblaba la
edad. Andaba ya el militar por el tormentoso cabo de los 40 años, y
ella no había cumplido todavía los 20. Se dice que el automóvil
presidencial con Batista a bordo atropelló a la muchacha cuando
montaba bicicleta y que el romance surgió cuando el Presidente la
visitaba en el hospital. Eso no pasa de ser una leyenda. Nada escribe
al respecto Roberto Fernández Miranda en sus memorias tituladas Mis
relaciones con el general Batista. Lo real parece ser que Marta --una
humilde muchacha del reparto Buenavista, en Marianao, y que era muy
atractiva y vistosa-- formaba parte del séquito de Mary Morandeira,
poetisa española radicada en Cuba, y fue presentada al mandatario por
su testaferro Andrés Domingo y Morales del Castillo.
Batista tuvo entonces, de manera paralela, una relación pública y otra
secreta. Con Elisa en Palacio, y con Marta donde podía. Fue entonces
que compró una finca rústica de 17 caballerías de extensión, enclavada
al borde de la Autopista del Mediodía y que queda encerrada entre la
Carretera Central, la carretera de Cantarranas a Entronque del Guatao
y la vía que corre de San Pedro a Punta Brava. La bautizó como Kuquine
y encargó al arquitecto Nicolás Arroyo -- que andando el tiempo sería
su ministro de Obras Públicas y embajador en Washington-- la ejecución
de la casa de vivienda del predio.
Cuando salió de la presidencia, el 10 de octubre de 1944, Batista se
divorció de Elisa Godínez. Once millones de pesos tocaron a la señora
en la división de gananciales. Se casó con Marta el 28 de noviembre de
1945, en la capilla de la finca. Ya para entonces, 19 de agosto de
1942, había nacido el primero de los cinco hijos del matrimonio.


Doña América

Genoveva Guardiola de Estrada Palma no fue la única de las primeras
damas que nació fuera de Cuba. Fuera nacieron también Laura Bertinni,
esposa de Carlos Manuel de Céspedes, hijo del Padre de la Patria, que
no llegó a un mes en la presidencia, y Marcela Cleard, la esposa de
José Agripino Barnet y Vinajeras.
El general Alberto Herrera fue presidente tras la renuncia de Machado,
entre la tarde del 11 de agosto de 1933 hasta el mediodía del 12. No
encontró el escribidor el nombre de su esposa. Elisa “Yoyó” Edelman,
hija de un presidente del Tribunal Supremo de Justicia, era la esposa
de Carlos Hevia Reyes Gavilán, que pasó 38 horas en la presidencia de
la República. Más breve aun --solo seis horas-- duró el mandato interino
de Manuel Márquez Sterling, casado con su prima Mercedes. También con
una prima suya, Elvira, contrajo matrimonio Gerardo Machado. Elvira
sobrevivió largas décadas a su marido; falleció con más de cien años,
muy entrada la década de 1960. Fueron inhumados en nichos contiguos en
el cementerio de Woodland Park, de Miami. Serafina Diago fue la esposa
de Miguel Mariano Gómez, que pasó no más de siete meses en el poder.
Genoveva Guardiola no pudo asistir a la toma de posesión de su marido
como presidente de la República, porque el protocolo de entonces
impedía la presencia femenina en ese tipo de actos. Era toda modestia
y sencillez. Sentada en una comadrita, zurcía en un balcón del palacio
que fue de los Capitanes Generales los calcetines de su esposo, el
Presidente que, pese a su posición, tenía solo tres trajes. Era
pequeña y delgada. Usaba los zapatos hasta gastarlos y lucía como
única prenda su alianza de matrimonio, un aro liso, de oro.
Mariana Seba de García Menocal, en cambio, gastaba con distinción y
elegancia lo que robaba su marido en la presidencia. A María Jaén, la
esposa de Zayas, le apodaban María Centén porque decían que esa fue su
tarifa en noches de alegre juventud. Era gorda, muy gorda. Una noche,
luego de una función de ópera, en la que abandonaba el Teatro
Nacional, debió hacerlo escoltada por las risas mal disimuladas de la
elegante multitud que colmaba el coliseo. Los colores de su traje
--azul celeste tierno y blanco--  resaltaban la exagerada gordura de la
Primera Dama. No pudo ni quiso ignorar la burla de que era objeto y
deteniendo el paso, pero sin mirar a los irrespetuosos, exclamó: “Más
vale causar hilaridad que llanto”.
Carmela Ledón era una mujer honesta y muy enamorada de su marido,
Carlos Mendieta (mandatario provisional entre 1934 y 1935), al punto
de que la única hija que tuvo el matrimonio se sentía como una extraña
ante aquella pareja. Nadie pudo acusarla de meter la mano en el Tesoro
de la nación ni de apadrinar ministros ladrones. Pero nunca vio las
manchas de su esposo, como tampoco vio las del suyo Leonor Montes
--Monona-- de Laredo Bru, adornada de todas las virtudes de las criollas
de buena cepa y de todas sus limitaciones también. Con los “ahorritos”
de su esposo, Monona hizo construir el edificio “N” en el Vedado.
América Arias de Gómez fue siempre Doña América. Renée Méndez Capote
la recordaba sencilla en medio de una gran fortuna creciente, sobre la
que no le estaba permitido indagar de dónde provenía ni cómo se
acrecentaba. Durante la Guerra del 95 fue correo de los mambises y una
segura colaboradora del marido cuando José Miguel, antes de
convertirse en el tiburón que se bañaba y salpicaba, encabezaba en la
manigua la valiente caballería espirituana. Fue una gran cubana. Hoy,
un busto perpetúa su memoria en las inmediaciones del antiguo Palacio
Presidencial y lleva su nombre un hospital de maternidad habanero.

Las mujeres mandan

María “Mary” Tarrero se desempañaba como taquígrafa del Senado, y de
los 54 senadores en ejercicio se enamoró del único que llegaría a ser
presidente, Carlos Prío Socarrás. Tuvieron dos hijas. Uno de los
nietos de la pareja es asesor del presidente Obama. La viuda de Prío
falleció en Miami el 23 de septiembre de 2010, a los 85 años de edad,
y fue inhumada junto a su esposo en el cementerio de Woodland Park.
Grau San Martín repetía en público la frase de “las mujeres mandan” y
en privado aclaraba que aunque mandaran no era necesario hacerles
caso. Cuando ocupó la primera magistratura, la Primera Dama fue su
cuñada Paulina Alsina y, en otras ocasiones, su sobrina Polita. Que no
estuviera casado no quiere decir que no fuera enamorado y mujeriego. A
la Méndez Capote --lo cuenta ella misma-- la acorraló una vez en el
despacho presidencial y le dijo que si pasaba unos días con él le daba
lo que quisiera. Eso ocurrió en 1933. Con tal de lograr sus propósitos
estaba dispuesto a meter al marido preso en La Cabaña. Cuando regresó
al poder en 1944 la mandó a buscar de nuevo. Le prometió un ascenso de
empleo y sueldo en el Ministerio de Educación, a fin de conseguir lo
que se proponía. “Yo, loco por ti y tú siempre dándome el
esquinazo...”.  Otra vez envió por ella. Se reunían en Palacio las
Damas del Buen Vecino y estaría allí también el embajador
norteamericano Braden. Cuenta Renée en su libro Por el ojo de la
cerradura: “Y sucedió una cosa entre chusca y terrible: mientras que
el embajador soltaba su discurso, que yo no pude oír por encontrarme
incapaz de prestar atención, el Presidente de la República, que me
había hecho el honor de colocarme a su derecha, parados los dos detrás
de su buró y contra la pared, todo el tiempo que se tomó el yanqui
para decir sus sandeces, me amasaba las nalgas concienzudamente. Yo no
podía, sin escándalo, quitarme del lugar de honor en que me había
colocado, honrándome ante una sociedad que me repudiaba”. Años después
Grau impactaría a la opinión pública cuando se dejó fotografiar en
Varadero en traje de baño y junto a Lina Salomé, escultural y
curvilínea vedette cubana. Fotografías que, desde luego, reprodujo la
prensa. “El Viejo” se defendió: “¿Acaso una artista no tiene el
derecho de recibir de mí el mismo trato que merece una encopetada dama
de nuestra sociedad?”. Y comentó para los que alegaban que dada su
condición de ex mandatario no debió exhibirse en trusa: “¿Y qué
querían? ¿Que me vistiera de frac o de chaquet para bañarme en la
playa?”.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

Pompelmo

POMPELMO: copricapo da vigile del fuoco

sabato 7 marzo 2015

Pollanca

POLLANCA: cantante canadese in voga negli anni '50/60 e 70. Mitiche le sue canzoni: Daiana - Put ior héd on mai sciulder - Iu ar mai déstini

venerdì 6 marzo 2015

Punto di vista di Nancy Pelosi

Pubblicato da Redazione TTC

Punto di Vista: Stati Uniti – Cuba: Nancy Pelosi pensa che ci sia appoggio bipartitico per eliminare il blocco economico contro l`isola




 Le dichiarazioni di Pelosi sono stati rilasciate nel contesto della visita all`Avana, Cuba, d`una delegazione di congressisti statunitensi del Partito Democratico per diverse trattative con rappresentanti del governo cubano.

BBC Mondo

L'Avana.- La leader della minoranza democratica alla Camera di Rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, ha dichiarato di pensare che ci sia sufficiente appoggio bipartitico al Congresso statunitense per eliminare l'embargo finanziario, commerciale ed economico contro Cuba.
“Credo che ci sia l'appoggio bipartitico nel Congresso degli Stati Uniti per eliminare l'embargo e penso che questo possa aprire le porte a diversi cambiamenti su questo tema. Quello che dico è: non che ci sia unanimità, ma molto entusiasmo in maniera bipartitica e così sarà visto in altre visite a Cuba di membri del Congresso”.
Le dichiarazioni di Pelosi sono stati rilasciate nel contesto della visita all'Avana, Cuba, di una delegazione di congressisti statunitensi del Partito Democratico per varie trattative con rappresentanti del Governo cubano.
Questa è la seconda visita di questo tipo da quando si è annunciato il “disgelo” tra Washington e l'Avana alla fine dello scorso anno.
Gli analisti ritengono che la simbologia di un viaggio a Cuba di un gruppo d'alto livello come questo è molto importante e hanno ricordato che questo accade poco prima delle prossime trattative tra gli Stati Uniti e Cuba sul ristabilimento dei rapporti diplomatici tra i due Paesi.
Come è stato spiegato dal corrispondente della BBC Mondo, a Washington, Thomas Sparrow, anche se sembra ci sia un appoggio crescente nel Congresso per eliminare l'embargo o ridurre il suo effetto, questo appoggio non è generale.
Infatti, due degli oppositori principali sono i senatori Marco Rubio (Partito Repubblicano) e Robert Menéndez (Partito Democratico), membri dell'influente Comitato d'Affari Esteri di questa Camera.
Quello che si può sperare, d’ora in poi, è che ci siano più viaggi a Cuba dei congressisti, oltre ad un maggior dibattito nel Parlamento, dove sono stati già presentati alcuni progetti di legge per eliminare o ridurre le restrizioni all'Isola.

(Trad. A.A.)


Speciale di TTC:
Speciale di TTC: Un viaggio magico e misterioso per gli yankee

Pubblicato da Redazione TTC 



Queste navi crociere partiranno dall`Avana i lunedì e da Montego Bay, la Giamaica, i venerdì, dal prossimo 30 marzo in poi.
Salpare per Cuba dalla Giamaica, o in modo più preciso, recarsi all`Avana da Montego Bay, sarà sicuramente un viaggio magico e misterioso per gli “yankee”, dopo di più di mezzo secolo dell’essere vietato il godimento delle vacanze sull'Isola in modo legale.
Dopo l'annuncio fatto lo scorso 17 dicembre dal Governo statunitense e dal Governo cubano sul “disgelo” dei loro rapporti bilaterali, un operatore di crociere del Canada ha detto che vuole vedere più statunitensi viaggiare a Cuba sulle sue navi da crociera.
Si tratta di Cuba Cruise, un operatore canadese di crociere il quale ha informato pubblicamente che i cittadini statunitensi possono acquistare legalmente i biglietti a Cuba per le sue crociere, qualora siano fra le categorie permesse dal loro Governo. Qualsiasi cittadino dell'Avana può passeggiare lungo la zona del porto della capitale e vedere, spesso, la nave da crociera Louis Cristal, con capacità di 1.200 passeggeri, che opera sulla rotta tra Cuba e la Giamaica.
Il Governo degli Stati Uniti, nell'ambito del processo di “normalizzazione” dei rapporti con Cuba, ha stabilito nuovi permessi per 12 categorie di persone che possono recarsi sull'Isola con la relativa autorizzazione. Questi permessi non richiedono più una richiesta formale o un nulla osta previo del Dipartimento di Stato.
Parecchi cittadini possono visitare il paese caraibico per incontri di famiglia, per partecipare a diverse attività culturali,  religiose e progetti umanitari.
Una coppia di turisti statunitensi, arrivata da poco tempo all'Avana nel Louis Cristal, ha ammesso che il loro viaggio a Cuba è stata una “opportunità meravigliosa”. Hanno chiesto, però, di non pubblicare i loro nomi, forse temendo qualche sanzione delle autorità. La donna ha detto che prima di fare questo viaggio “Cuba sembrava essere in un altro pianeta”, secondo quanto dichiarato al giornalista di TTC, “Cuba era qualcosa di tetro e lontano, vietata per ragioni politiche. Oggi noi facciamo una passeggiata in questa piazza piena di gente e parliamo con i cubani. Loro sono persone come noi, alle quali piace anche passeggiare e prendersi il tempo libero”, ha aggiunto, mentre si trovava nella piazza dove si esibivano le statue degli orsi multicolori, che sono state fatte in ognuno dei paesi componenti le Nazioni Unite, come simbolo di pace.
Il programma di crociere “popolo a popolo” è offerto in associazione a un fondo senza scopo di lucro per la Riconciliazione e lo Sviluppo, ed è una delle modalità d'istruzione nell'ambito di questi nuovi permessi, come ha dichiarato John McAuliff, direttore e coordinatore di questo programma Stati Uniti / Cuba.
McAuliff ha detto in un comunicato che “i partecipanti al nostro programma culturale hanno l'opportunità unica di muoversi comodamente ed in modo efficiente in quattro regioni diverse di Cuba nella nave crociera Louis Cristal (...) Noi siamo orgogliosi d`offrire agli statunitensi questa nuova maniera di visitare Cuba in un momento emozionante d`apertura tra i nostri Paesi”, ha aggiunto.
I gestori di Cuba Cruise, che sono stati citati dal giornale Sun Sentinel della Florida, hanno detto che i clienti per fare le loro prenotazioni devono registrarsi direttamente presso l'agenzia senza scopo di lucro che ha sede a New York. I passeggeri riceveranno diversi documenti d'informazione sul loro viaggio a Cuba a complemento del  permesso generale.
Queste navi crociera partiranno dall`Avana il lunedì e da Montego Bay, in Giamaica, il venerdì, dal prossimo 30 marzo in poi.
La tariffa più bassa per sette notti è di 660 dollari per persona a cui si aggiunge una quota d'iscrizione di 75 dollari. Il Louis Cristal, con capacità di trasporto per 1200 passeggeri, offre 480 tra cabine e suite, diversi ristoranti e bar, una discoteca, un casinò, una palestra ed un istituto di bellezza, tra gli altri servizi.

(Trad. A.A.)


Poetastro

POETASTRO: corpo celeste che ispira il vate

giovedì 5 marzo 2015

Ian Padrón chiarisce la sua scelta

Con questa (bella) lettera aperta, pubblicata su Facebook, il regista Ian Padrón chiarisce i motivi della sua scelta di risiedere, temporaneamente, fuori da Cuba.

VIVA DONDE VIVA, SIEMPRE SERÉ UN MAMBÍ, NUNCA RAYADILLO.
(CARTA ABIERTA AL MINISTERIO DE CULTURA DE CUBA)
California, 25 de febrero de 2015.
En estos días he leído con mucha atención toda la repercusión a la entrevista concedida por mi a CNN en español, donde dejaba claro que iba a iniciar una nueva etapa de vida en Estados Unidos y que residiría provisionalmente en dicho país. En la vida nada es eterno, todo es circunstancial, excepto la muerte.
Algunos, festinadamente, se han tomado el derecho a opinar sobre mi persona y dar sus apresuradas valoraciones sobre supuesto abandono, traición y ese tipo de faltas de respeto. Confieso que me ha tomado por sorpresa el alcance de dicho intercambio con la periodista Carmen Aristegui, aun cuando CNN ESPAÑOL no se transmite en Cuba, por lo que casi nadie allí ha visto la nombrada entrevista.
Para evitar los malentendidos de “Radio Bemba” y siendo consecuente con mi manera de actuar, dejo claras mis razones:
1- No he dicho en ningún momento que abandono a mi patria, ni a mi cultura. No me escondo de nadie. Estoy en Estados Unidos, iniciando una nueva etapa de mi vida profesional y personal.
2- Salí de mi amado país en un viaje estrictamente personal, no de trabajo. Vale aclarar que no soy miembro de ninguna institución gubernamental y soy todo lo independiente que se puede ser en Cuba. Por lo tanto, no engañé a nadie, ni viajé con dinero estatal; ni “deserté” de ninguna delegación. Tampoco soy agente de la CIA, ni de la Seguridad del Estado.
3- Hasta donde conozco, vivir fuera de Cuba no es ningún delito. Tampoco es un premio ni algo agradable. En Cuba están mis dos hijos, toda mi familia y mis amigos. Reconozco ha sido muy doloroso verme obligado a tomar una decisión así. Ojala yo fuera el último cubano que decide residir fuera de Cuba. Lo ideal es que todos pudiéramos vivir allí y respetarnos mutuamente, con pluralidad de ideas y maneras de amar a nuestra tierra.
4- Vine 20 veces a festivales de cine en Estados Unidos y en todos esos eventos representé con orgullo a mi país. Nunca pensé ni deseé esto. En Cuba siempre he expuesto mis ideas hacia aspectos de la sociedad cubana con los cuales no estoy de acuerdo. Jamás he tenido doble cara. Lo hice porque sentía era mi deber ciudadano y honestamente creí era lo mas saludable para mi entorno. No busqué notoriedad alguna. No soy así.
5- La más inmediata razón de estar aquí y ahora, es que iba a ser padre de Lucia, mi primera hija hembra. Estoy divorciado y mi nueva mujer estaba aquí en USA con 8 meses de embarazo y no podía viajar en avión. El deber elemental de un padre, es estar presente cuando nacen sus hijos. Verla nacer hace unos días y ser el primero que la recibió en este mundo, es algo sagrado.
6- Perdí 5 años de mi vida por la censura de FUERA DE LIGA y no me fui de Cuba a pesar de dicho atropello. Después de HABANASTATION y toda su repercusión, llevaba 3 años tratando de buscar apoyo para mi segunda película, sobre Elpidio Valdés. Solo recibí el desdén de las instituciones que deberían haber abrazado dicho proyecto. Ni me respondieron siquiera mis cartas. Ni me contestaron las llamadas. Lo mismo pasó con mi trabajo como Coordinador del Salón de la Fama del Béisbol Cubano, cuando no estuve de acuerdo con la exclusión de Orestes Miñoso a la ceremonia de exaltación en Cuba. También cuando denuncié que es injusto que Reinaldo Miravalles no reciba el Premio Nacional de Cine por residir fuera de Cuba. Exactamente igual cuando ganando el Premio Lucas al Mejor Video del Año, expuse claramente todas las irregularidades y carencias de ese querido certamen. Y nadie dió la cara, el tiempo pasó y Miñoso murió y hasta el Presidente Obama lo respeta, pero Cuba no lo valoró como debía. Posiblemente Miravalles muera sin recibir un premio que no necesita, pero que merece. Ojalá no muera el Salón de la Fama en su pleno renacer; o los Lucas “se vayan por el tragante” por no rectificar a tiempo. Me siento un buen cubano porque duermo con mi conciencia tranquila; pero cuando uno se siente subvalorado e innecesario, se va a donde pueda tener la oportunidad de ser útil y lograr un futuro distinto.
7- En mi propio país me han censurado muchas veces, me han marginado tantas otras y hasta agredido físicamente con total impunidad. Aun así le he dado los mejores años de mi juventud a Cuba y nunca he pensado en cuanto gano o pierdo con eso. Nunca me he colocado a mi mismo, por encima de mi sociedad. He luchado por cambiarla y mejorarla; tomando los riesgos que ello implica; algo que muy pocos tienen “los berokos” de hacer más allá de los comentarios de pasillo.
8- No soy anexionista por decidir vivir en USA. Muchos cubanos viven alrededor del mundo y eso no es noticia. ¿Sería distinto si fuera en otro país o si me mantuviese en silencio? ¿No sería mejor preguntarse por qué tantos jóvenes no viven en Cuba actualmente? ¿No es más importante encontrar las causas de la desilusión y marginación de aquellos que tienen ideas propias e igualmente aman su tierra sin encontrar espacio en ella?
9- Dije en mi entrevista a CNN que hay que ser valiente para irse, pero igualmente valiente para quedarse en Cuba. Los 40 días que llevo viviendo aquí, no deberían borrar los casi 40 años que he vivido allí. Empezar de cero es algo muy duro para cualquiera. Quizás termino trabajando en cualquier oficio distinto a los audiovisuales. Solo deseo trabajar como lo he hecho toda mi vida y no sentirme estigmatizado como “problemático” o “tipo difícil” por defender mis criterios de manera abierta.
10- Hasta dónde tengo entendido, las leyes actuales cubanas permiten que un cubano viva legalmente fuera de Cuba hasta por 2 años – creo debería ser ilimitado-, por lo que creo apresurado hablar de abandono o traición y todas esas tergiversaciones. Mi regreso a Cuba, dependerá también de muchos factores que nada tienen que ver conmigo. No seré yo quien ponga ningún impedimento para ello.
A todos los que han tratado de profundizar en los motivos reales de por qué ha pasado todo esto, mi eterno agradecimiento por ser respetuosos de la ética más elemental. A los arribistas que me han atacado y desconocido, mis irrespetos igualmente. A los oportunistas de turno, les prometo que con cada unos de mis actos, les haré tragar las calumnias y cobardías en mi contra.
El tiempo en la vida de un individuo, no se percibe igual al tiempo de cambio de una sociedad. La intolerancia y la desidia me sacaron de Cuba por ahora. Como diría José Martí: “Prefiero ser yo extranjero en otras patrias, a serlo en la mía.” Hoy más que nunca me siento orgulloso de ser cubano.
Ante la historia, con tristeza pero con orgullo,
Respetuosamente,
Ian Padrón
vanvanfever@yahoo.com
www.ianpadroncuba.com
Principio del formulario

Final del formulario


Podio

PODIO: da odiare o anche per la divinità (Napoli)

mercoledì 4 marzo 2015

Pneumotorace

PNEUMOTORACE: petto gonfiabile

martedì 3 marzo 2015

Plutonico

PLUTONICO: del cane di Topolino

lunedì 2 marzo 2015

Domani, 3 marzo, riproposto Tomás "Monnezza" Milián si Raimovie

Domani sera, in concomitanza col suo 82mo compleanno, Tomás Milián verrà riproposto su Raimovie alle 23.30 nel documentario biografico di Giuseppe Sansonna: The Cuban Hamlet, girato all'Avana lo scorso novembre, dopo un'assenza di quasi 60 anni dalla sua terra natale. Per chi non lo avesse visto, lo avesse perso nelle due precedenti presentazioni o chi lo volesse rivedere.

Banco de los Colonos e altre risposte, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 1*/3/15

Sul Banco de los Colonos, domanda la lettrice Ada M. Smith Machado, direttrice della succursale 296 del Banco Metropolitano sita in Juan Delgado y Lacret, Santos Suarez.
Ada afferma nel suo messaggio che sono molti i clienti che continuano chiamando Banco de los Colonos questa entità bancaria ed è “interesse mio –afferma – conoscere la storia della sua nascita e il motivo per cui gli fu dato questo nome”.
Guillermo Jiménez nel suo libro Las empresas de Cuba.1958, pubblicato dall’Editorial Ciencias Sociales nel 2004, dice che con relazione ai suoi depositi – 22 milioni di pesos – occupava il dodicesimo posto come importanza fra le banche cubane. Aveva la sua casa madre nella calle Aguíar 360 e contava con sette succursali. Quella di Juan Delgado e Lacret, annota per conto suo lo scriba, dev’essere stata una delle ultime ad essere aperte, non viene segnata nell’elenco telefonico dell’Avana corrispondente al 1958 e che raccoglie informazioni anteriori al 31 dicembre del 1957.
La banca contava con 3000  azionisti. Il proprietari della maggioranza, col 54% delle azioni, era Gastón Godoy Loret de Mola che dopo il colpo di Stato del 10 marzo 1952 presiedette il Consiglio Consultivo batistiano; nel 1953 fu ministro della Giustizia e presiedette la Camera dei Rappresentanti tra il 1954 e il 1958. Quest’ultimo anno, nelle elezioni spurie del 3 dicembre, venne eletto vice presidente della Repubblica, carica che avrebbe dovuto assumere il 24 febbraio del 1959. La vittoria della Rivoluzione gli precluse questa possibilità. Assieme a sua moglie e suo figlio lasciò il Paese verso la Repubblica Dominicana con lo stesso aereo in cui lo fece il dittatore Fulgencio Batista.
Jiménez considera Godoy il più elevato fra gli alti dirigenti del Governo batistiano. Oltre alla banca era padrone di una compagnia di assicurazioni e di una azienda che si dedicava al commercio di lubrificanti per l’uso in zuccherifici, ferrovie, trattori e macchine agricole, così come una che operava nei moli e magazzini del porto e che faceva anche da compagnia di navigazione a Santiago di Cuba. Era azionista dello zuccherificio Andorra, dove anche Batista aveva interessi e controllava i due terzi della produzione nazionale di miele.
Figlio di spagnolo, nacque in Perù e assieme alla sua famiglia non tardò a stabilirsi a Santiago. Fu un prestigioso avvocato, specializzato in temi relativi allo zucchero, ma al tempo di Machado difese, da penalista, antimachadisti prigionieri e dopo l’abbattimento della dittatura, assunse la difesa di machadisti portati davanti al Tribunale Penale. Nel 1941 difese il colonnello José Eleuterio Pedraza nel giudizio a cui fu sottoposto per il suo tentativo di colpo di Stato contro Batista.
Gastón Godoy Agostini, padre di Godoy Loret de Mola, promosse la fondazione della banca nel 1943. A Cuba si chiamavano coloni i raccoglitori di canna da zucchero. Quaranta di loro, in maggioranza di origine canaria, si involucrarono nell’impresa col proposito di stimolare i piccoli coloni. In breve, gli azionisti maggiori capeggiati da Godoy padre, cominciarono a pressionare gli azionisti minori affincé vendessero le loro partecipazioni e a partire dal 1952, la banca abbandonò il suo proposito iniziale di aiutare i piccoli coloni e si convertì essenzialmente, nella fornitrice di prestiti a proprietari de zuccherifici. Così in quella data, l’80 per cento dei suoi prestiti beneficiava l’industria zuccheriera e solo il 9 per cento i coloni. I suoi principali clienti erano l’Associazione Nazionale dei Coloni di Cuba, la nuova Compagnia Zuccheriera di Gómez Mena, la centrale Andorra che aveva difficoltà di pagamenti; la centrale Narcisa...
La situazione finanziaria, la politica creditizia, la solvibilità e le utilità, anche se non dichiarate, erano buone nel Banco de los Colonos, scrive Guillermo Jiménez ne Las empresas de Cuba.1958. La sua amministrazione era sicura ed efficiente anche se cominciò a risentire della presidenza di Gastón Godoy figlio.

Ebrei a Cuba

La pubblicazione di Herejes (Eretici, n.d.t.), il romanzo più recente di Leonardo Padura, ha sollevcato interesse per la presenza ebraica a Cuba. Del tema si interessa il lettore José Antonio Herrera Pita.
I primi ebrei arrivarono a Cuba con Colombo. Nei suoi viaggi per l’America, navigarono con l’Ammiraglio circa 160 ebrei, sicuramente convertiti o che nascondevano la loro origine per sfuggire all’Inquisizione. Di loro si ricordano i nomi di Martín Alonso Pinzón, Rodrigo de Jerez e Luis de Torres, poliglotta consumato che fu il primo latifondista ebreo a Cuba e colui che introdusse il tabacco in Europa. Furono ebrei portoghesi, d’altra parte, che portarono la canna da zucchero.
Anche così fu arduo il compito degli ebrei nello sforzo di gettare radici a Cuba e in tutto il Nuovo Continente, ebbene quando si autorizzò l’arrivo dei figli degli arsi dall’Inquisizione, gli si impose la limitazione che non potessero occupare cariche pubbliche. Gli si ostacolava la mobilità sociale e non fruttavano i loro espedienti di “pulizia del sangue”, Carlos V, nel 1552, proibì la vendita di onorificenze nobili a coloro che avessero un antenato condannato per  “vergogna pubblica”, ai discendenti dei comprometari ai sospettati di eresia o di discendere da ebrei. I successori dell’Imperatore, a partire dal XVII secolo, flessibilizzarono la vendita di questo privilegio.In ogni caso era ebrea convertita Isabel de Bobadilla che sostituì suo marito, Hernando de Soto, come governatore dell’Isola e ispirò l’artista che scolpì la Giraldilla.
Non fu fino al 1881 quando il Governo di Madrid autorizzò l’emigrazione degli ebrei.
È a partire da allora che si può parlare di una comunità ebrea a Cuba, sebbene non esistesse la libertà di culto martí ebbe ebrei fra i suoi collaboratori vicini e fu notevole l’apporto della comunità ebraica di Key West alla Guerra d’Indipendenza nella quale si evidenziarono combattenti ebrei.
Nel 1906 assommavano a circa mille gli ebrei radicati a Cuba. Erano essenzialmente uomini d’affari, fondarono un’istituzione sociale e una sinagoga all’Avana e un cimitero a Guanabacoa. Tra il 1910 e il 1917 arrivarono circa 4000 ebrei sefarditi dal Marocco e dalla Turchia. Nel 1919, arrivarono 2000 ebrei askenaziti provenienti da Polonia, Russia e Lituania e questa cifra raddoppierà verso il 1924.
I sefarditi cercavano zone suburbane o rurali. Erano venditori ambulanti e introdussero il credito nella loro pratica commerciale. Gli askenaziti si dedicavano al commercio a ella piccola industria all’Avana, sopratutto durante la II Guerra Mondiale e dopo. Nel 1945 si contavano circa 25000 ebrei a Cuba. Le più nutrite immigrazioni ebbero luogo nelle decadi del ’20 e del ’30 sopratutto all’Avana Vecchia, stabilirono scuole, botteghe, ristorant, negozi per la vendita di tessuto e mercerie...introdussero l’industria del taglio dei diamanti. Due giornali in yiddish e uno in spagnolo, si editavano per questa comunità che svolgeva un’attiva vita culturale e sociale sia nella capitale come nelle province. Molti di questi ebrei, con la fine della Guerra, tornarono in Europa o passarono a risiedere negli Stati Uniti o in Canada.
Questa comunità entrò in crisi a partire dal 1960, la nazionalizzazione del commercio e l’industria provocò l’emigrazione della maggioranza dei suoi appartenenti, generalmente commercianti o professionisti. Di cosa si sarebbe nutrita? Il Patronato Ebraico dell’Avana convocò tutti coloro che avessero tracce di giudaismo nella stirpe. A Cuba erano contate le coppie che avessero ascendenza diretta e dal 1965 le unioni matrimoniali erano miste, ebbene quasi mai un ebreo o ebrea poteva sposarsi con qualcuno della propria fede. Il Patronato adottò il rito conservatore che è molto più moderno e d’accordo coi tempi che il rito ortodosso. In quest’ultimo, incrostato in antiche tradizioni, è la madre che assegna legittimità ai suoi discendenti. Adesso si trattava che tutte le famiglie miste, o no, si considerassero ebree.
Quale sarà il destino di questa comunità a Cuba? Da nni, lo scrittore ebreo Jaime Sarusky diceva: “A Cuba gli ebrei affrontano la drammatica disgiuntiva di dissolversi o tentare di ritrovarsi e conseguire una coesione, per precaria che sia. È impossibile vaticinare come sarà la  comunità ebraica a Cuba nel 2025 o nel 2050. Ma se per allora rimanesse viva e attiva, certamente avrà caratteristiche molto proprie nelle quali saranno fuse, in una entità singolarmente caraibica, due tradizioni: l’ebrea e la cubana”.

Ferrara

Varie interroganti sono formulate nel suo messaggio dal lettore Miguel A. López Fernández, avvocato di Unión de Reyes, Matanzas. Impossibile rispondere a tutte. La morte di Gonzalo Castañon la affrontò lo scriba già da molto tempo ed ò impossibile adesso riferirne i dettagli per ragioni di spazio. D’altra parte, ignoro se il politico machadista camagüeyano Rogerio Zayas Bazán, morto nel 1932 in un duello irregolare, era parente di Carmen, la moglie di José Martí, anche lei camagüeyana. Zayas Bazán fu segretario (ministro) nel primo gabinetto di Machado e con questa carica fu il braccio visibile della pretesa politica di rigenerazione morale della vita cubana, orchestrata da machado. Perseguì con accanimento prositute e protettori, ciò che gli valse il plauso e riconoscimento e il suo nome si associa alla costruzione del Carcere Modello dell’Isola dei Pini. In quel periodo, la stampa gli dedicava tanto spazio come quello che dedicava a Machado. Rinunciò al suo incarico di ministro nel maggio 1928 e nell’aprile del 1931 il :Partito Liberale lo porta al Senato della Repubblica. Abitava all’angolo di L e 21 nel Vedado, dove adesso c’è un parcheggio.
Sull’italiano Orestes Ferrara (1876-1972) ha pubblicato, lo scriba, fino a non poterne più. López fernández domanda come arrivó a Cuba, quando e dove si laureò da avvocato. Era studente e si entusiasmó con la guerra che i cubani avevano contro la Spagna. Un giorno senza che i suoi si rendessero conto, uscì dalla sua casa di Napoli e giunse a New York. Venne a Cuba come membro della spedizione del sesto viaggio del vapore Daunteless che sbarcò nella provincia di Oriente. Passò un periodo in questa provincia e in quella di Camagüey fino a che varcò la linea da Jùcaro a Morón e si incorporò come comandante ausiliario alla prima divisione del quarto corpo dell’Esercito di Liberazione che operava a Las Villas agli ordini del generale José Miguel Gómez col quale partecipò ai combattimenti di Bacuino e Peña e nella presa di Arroyo Blanco, fra altre azioni.
Conclusa la guerra, tornò in Italia col grado di colonnello e terminò gli studi di Diritto. Tornò all’Isola e si dedicò al Diritto Penale fino a che si rese conto che era più producente dedicarsi a rappresentare gli interessi delle grandi compagnie nordamericane a Cuba.
Fu Rappresentante all camera, il massimo incarico eleggibile al quale poteva aspirare vista la sua condizione di straniero e occupò la presidenza di questo corpo legislativo. Fu ambasciatore negli USA e cancelliere al tempo di Machado. Fuggì alla caduta della dittatura (1933) e tornò nel 1937. Alla fine degli anni ’40, fu nominato ambasciatore all’Unesco e rimase con questa carica fino a che il governo cubano lo destituì nei primi giorni di gennaio del 1959.
Impartì all’Università del’Avana i corsi di Diritto Romano. Fu un buen professore. Si dice che non bocciò mai nessun alunno per incapace che si mostrasse agli esami. Quando i suoi compagni del tribunale gli rimproveravano quelle promozioni, Ferrara aveva una frase invariabile: “Promuoviamoli adesso che li boccerà la vita”.





Banco de los Colonos y otras respuestas
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
28 de Febrero del 2015 19:19:32 CDT

Sobre el Banco de los Colonos inquiere la lectora Ada M. Smith
Machado, directora de la sucursal 296 del Banco Metropolitano, sita en
Juan Delgado y Lacret, Santos Suárez. Afirma Ada en su mensaje que son
muchos los clientes que siguen llamando Banco de los Colonos a esa
entidad bancaria y “es interés mío --afirma-- conocer la historia de su
surgimiento y el motivo por el que se le dio ese nombre”.
Guillermo Jiménez en su libro Las empresas de Cuba. 1958, publicado
por la Editorial de Ciencias Sociales en 2004, dice que, en atención a
sus depósitos --22 millones de pesos-- ocupaba el décimosegundo lugar en
importancia entre los bancos cubanos. Tenía su casa matriz en la calle
Aguiar 360, y contaba con siete sucursales. La de Juan Delgado y
Lacret, apunta por su cuenta el escribidor, debe haber sido de las
últimas en inaugurarse, pues no aparece consignada en el Directorio
Telefónico de La Habana correspondiente a 1958 y que asienta
informaciones anteriores al 31 de diciembre de 1957.
Contaba el banco con 3 000 accionistas. El propietario principal, con
el 54 por ciento de las acciones, era Gastón Godoy Loret de Mola, que
tras el golpe de Estado del 10 de marzo de 1952 presidió el Consejo
Consultivo batistiano; fue, en 1953, ministro de Justicia y encabezó
la Cámara de Representantes entre 1954 y 1958. En ese último año, en
las elecciones espurias del 3 de diciembre, resultó electo
vicepresidente de la República, cargo que debía asumir el 24 de
febrero de 1959. El triunfo de la Revolución le cerró esa posibilidad.
Junto con su esposa y su hijo, salió del país rumbo a la República
Dominicana en la misma aeronave en que lo hizo el dictador Fulgencio
Batista.
Jiménez considera a Godoy como el más encumbrado propietario entre los
altos dirigentes del Gobierno batistiano. Además del banco, era dueño
de una compañía de seguros y de una empresa dedicada al comercio de
grasas y aceites para uso en centrales azucareros, ferrocarriles,
tractores y equipos agrícolas, así como de una operadora de muelles y
almacenes que oficiaba asimismo como agencia de vapores en Santiago de
Cuba. Era accionista del central azucarero Andorra, donde Batista
también tenía intereses, y controlaba las dos terceras partes de la
producción nacional de mieles.
Hijo de español, nació en Perú, y, junto con su familia, no demoró en
radicarse en Santiago. Fue un abogado prestigioso, especializado en
temas azucareros, pero en tiempos de Machado defendió, como
criminalista, a antimachadistas presos y tras el derrocamiento de la
dictadura asumió la defensa de machadistas llevados ante los
Tribunales de Sanciones. Defendió, en 1941, al coronel José Eleuterio
Pedraza en el juicio que se le siguió por su intento de golpe de
Estado contra Batista.
Gastón Godoy Agostini, padre de Godoy Loret de Mola, promovió la
fundación del banco en 1943. En Cuba se llamaba colonos a los
cosecheros de caña. Cuarenta de ellos, de origen canario en su
mayoría, se nuclearon en la empresa con el propósito de refaccionar a
pequeños colonos. Pronto los accionistas mayores, encabezados por
Godoy padre, empezaron a forzar a los accionistas menores para que
vendieran su participación y, a partir de 1952, el banco rehuyó su
propósito inicial de ayudar a los pequeños colonos y se convirtió, en
lo esencial, en prestamista de dueños de centrales azucareros. Así, en
esa fecha, el 80 por ciento de sus préstamos beneficiaba a la
industria del azúcar, y solo el nueve por ciento a los colonos. Sus
principales clientes eran la Asociación Nacional de Colonos de Cuba,
la Nueva Compañía Azucarera de Gómez Mena, el central Andorra, que
tenía dificultades de pago; el central Narcisa...
La situación financiera, la política crediticia y la solvencia y las
utilidades, aunque estas no las declaraba, eran buenas en el Banco de
los Colonos, escribe Guillermo Jiménez en Las empresas de Cuba. 1958.
Su administración era segura y eficiente, aunque comenzó a resentirse
bajo la presidencia de Gastón Godoy hijo.

Judíos en Cuba

La publicación de Herejes, la más reciente novela de Leonardo Padura,
ha despertado el interés por la presencia judía en Cuba. Por el tema
se interesa el lector José Antonio Herrera Pita.
Los primeros judíos llegaron a Cuba con Colón. En sus viajes a América
navegaron con el Almirante unos 160 judíos, seguramente conversos o
que ocultaban su origen para escapar de la Inquisición. De ellos se
recuerdan los nombres de Martín Alonso Pinzón, Rodrigo de Jerez y Luis
de Torres, políglota consumado que fue el primer terrateniente hebreo
en Cuba y el introductor del tabaco en Europa. Fueron judíos
portugueses, por otra parte, los que trajeron la caña de azúcar.
Aun así fue ardua la tarea de los judíos en su afán de echar raíces en
Cuba y en todo el nuevo continente,  pues cuando se autorizó la venida
de los hijos de los quemados por la Inquisición, se les impuso la
restricción de que no ocupasen cargos públicos. Se les obstaculizaba
su movilidad social y no fructificaban sus expedientes de <<limpieza de
sangre>>. Carlos V, en 1552, prohibió la venta de hidalguías a los que
tuviesen un antepasado condenado por <<pública infamia>>, a los
descendientes de los comuneros y a los sospechosos de herejía o de
descender de judíos. Los sucesores del Emperador, a partir del siglo
XVII, flexibilizaron la venta de ese privilegio. De todas formas, era
judía conversa Isabel de Bobadilla, que sustituyó a su esposo,
Hernando de Soto, como gobernadora de la Isla, e inspiró al artista
que esculpió La Giraldilla.
No fue hasta 1881 cuando el Gobierno de Madrid autorizó la migración
de los judíos. Es a partir de entonces que puede hablarse de una
comunidad judía en Cuba, si bien no existía la libertad de cultos.
Martí tuvo judíos entre sus colaboradores cercanos y fue valioso el
aporte de la comunidad judía de Cayo Hueso a la Guerra de
Independencia, en la que sobresalieron combatientes judíos.
En 1906 sumaban unos mil los judíos radicados en Cuba. Eran en lo
esencial hombres de negocios y fundaron una institución social y una
sinagoga en La Habana y un cementerio en Guanabacoa. Entre 1910 y 1917
arribaron unos 4 000 judíos sefarditas procedentes de Marruecos y
Turquía. En 1919, llegaban 2 000 hebreos askenazis provenientes de
Polonia, Rusia y Lituania, y esa cifra se duplicaría hacia 1924.
Los sefarditas buscaban zonas suburbanas o rurales. Eran vendedores
ambulantes e introdujeron los créditos en su práctica comercial. Al
comercio y a la pequeña industria se dedicarían en La Habana los
askenazis, sobre todo durante la  II Guerra Mundial y después. En 1945
se contaban unos 25 000 judíos en Cuba. Las más nutridas migraciones
habían tenido lugar en las décadas de los 20 y los 30 y en La Habana
Vieja, sobre todo, establecieron escuelas, bodegas, cafés,
restaurantes, tiendas para la venta de tejidos y retazos... e
introdujeron la industria de la talla de diamantes. Dos periódicos,
uno en yiddish y otro en español, se editaban para esa comunidad, que
desplegaba una activa vida cultural y social tanto en la capital como
en las provincias. Muchos de esos judíos, con el fin de la Guerra,
volvieron a Europa o pasaron a radicarse en Estados Unidos o Canadá.
Esa comunidad entró en crisis a partir de 1960, cuando la
nacionalización de comercios e industrias provocó la emigración de la
mayoría de sus componentes, por lo general comerciantes y
profesionales. ¿De qué fuentes se nutriría? El Patronato Hebreo de La
Habana convocó a todo el que tuviera briznas de judaísmo en su
estirpe. Eran contadas en Cuba las parejas que tenían ascendencia
directa y desde 1965 las uniones matrimoniales eran mixtas, pues casi
nunca un judío o una judía podían casarse con alguien de su misma
creencia. El Patronato adoptó el rito conservador, que es mucho más
moderno y acorde con los tiempos que el rito ortodoxo. En este último,
enquistado en tradiciones antiguas, es la madre la que otorga
legitimidad a sus descendientes. Ahora se trataba de que todas las
familias, mixtas o no, se asumieran como judías.
¿Cuál será el destino de esta comunidad en Cuba? Decía hace varios
años el escritor judío Jaime Sarusky: “En Cuba, los hebreos enfrentan
la dramática disyuntiva de disolverse o intentar reencontrarse y
conseguir una cohesión, por precaria que sea. Es imposible vaticinar
cómo será la comunidad hebrea en Cuba en el 2025 o en el 2050. Pero si
aún entonces permanece viva y activa, seguramente tendrá
características muy propias, en las que estarán fundidas, en una
entidad singularmente caribeña, dos tradiciones: la hebrea y la
cubana”.

Ferrara


Varias interrogantes formula en su mensaje el lector Miguel A. López
Fernández, abogado de Unión de Reyes, Matanzas. Imposible dar
respuestas a todas. La muerte de Gonzalo Castañón la abordó el
escribidor hace ya mucho tiempo y es imposible referir ahora los
detalles por cuestión de espacio. Por otra parte, desconozco si el
político  machadista camagüeyano Rogerio Zayas Bazán, muerto en 1932
en un duelo irregular, era familia de Carmen, la esposa de José Martí,
también camagüeyana. Zayas Bazán fue secretario (ministro) de
Gobernación (Interior) en el primer gabinete de Machado y desde ese
cargo fue el brazo visible de la pretendida política de regeneración
moral de la vida cubana orquestada por Machado. Persiguió con saña a
prostitutas y proxenetas, lo que le valió aplausos y denuestos y su
nombre se asocia a la construcción del Presidio Modelo, en Isla de
Pinos. En ese tiempo, la prensa le dedicaba tanto espacio como el que
le dedicaba a Machado. Renunció a su puesto de ministro en mayo de
1928 y en abril de 1931 el Partido Liberal lo llevó al Senado de la
República. Vivía en la esquina de L y 21, en el Vedado, donde ahora
hay un parqueo.
Sobre el italiano Orestes Ferrara (1876-1972) ha escrito el escribidor
hasta decir no quiero más. Pregunta López Fernández cómo llegó a Cuba
y cuándo y dónde se graduó de abogado. Era estudiante y se entusiasmó
con la guerra que los cubanos libraban contra España. Un día, sin dar
cuenta a los suyos, salió de su casa, en Nápoles, y llegó a Nueva
York. Vino a Cuba como miembro de la expedición del sexto viaje del
vapor Daunteless, que desembarcó en la provincia de Oriente. Pasó un
tiempo en esa provincia y en la de Camagüey hasta que cruzó la trocha
de Júcaro a Morón y se incorporó como comandante auditor a la primera
división del cuarto cuerpo del Ejército Libertador que operaba en Las
Villas a las órdenes del general José Miguel Gómez, con quien
participó en los combates de Bacuino y Peña y en la toma de Arroyo
Blanco, entre otras acciones.
Al concluir la guerra, con grados de coronel, volvió a Italia y
terminó sus estudios de Derecho. Regresó a la Isla y se dedicó al
Derecho Penal hasta que se percató de que era más productivo dedicarse
a representar los intereses en Cuba de las grandes compañías
norteamericanas.
Fue Representante a la Cámara, el máximo cargo elegible al que podía
aspirar dada su condición de extranjero, y ocupó la presidencia de ese
cuerpo colegislador. Fue embajador en EE.UU. y canciller en tiempos de
Machado. Huyó a la caída de la dictadura (1933) y regresó en 1937. A
finales de los años 40 se le nombró embajador ante la Unesco y en ese
cargo permaneció hasta que el Gobierno cubano lo cesanteó en los
primeros días de enero de 1959.
Impartió en la Universidad de La Habana la asignatura de Derecho
Romano. Fue un buen profesor. Se dice que jamás suspendió a alumno
alguno por incapaz que se mostrara en el examen. Cuando sus compañeros
de tribunal le reprochaban aquellos aprobados, Ferrara tenía una frase
invariable: “Aprobémoslo ahora, que ya lo suspenderá la vida”.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

Placido

PLACIDO: Michele, Beniamino o Domingo?

domenica 1 marzo 2015

Pizza

PIZZA: noia mortale